La Consulta detta l'interpretazione del divieto di analogia a sfavore del reo

Giuseppe Losappio
14 Giugno 2021

Il divieto di analogia non consente di riferire la norma incriminatrice a situazioni non ascrivibili ad alcuno dei suoi possibili significati letterali e costituisce così un limite insuperabile rispetto alle opzioni interpretative a disposizione del giudice di fronte al testo legislativo. Di conseguenza, non integrano la violazione dell'art. 572, comma 1, c.p. le condotte vessatorie nell'ambito di una relazione di coabitazione saltuaria e non stabile che esulano dal significato letterale del sostantivo “convivente”, secondo il linguaggio comune...
Massima

Il divieto di analogia non consente di riferire la norma incriminatrice a situazioni non ascrivibili ad alcuno dei suoi possibili significati letterali e costituisce così un limite insuperabile rispetto alle opzioni interpretative a disposizione del giudice di fronte al testo legislativo. Di conseguenza, non integrano la violazione dell'art. 572, comma 1, c.p. le condotte vessatorie nell'ambito di una relazione di coabitazione saltuaria e non stabile che esulano dal significato letterale del sostantivo “convivente”, secondo il linguaggio comune.

Il caso

Il Giudice monocratico del Tribunale ordinario di Torre Annunziata era chiamato a pronunciarsi sull'accusa di atti persecutori (c.d. stalking), aggravati dalla relazione affettiva tra autore e vittima (art. 612-bis, comma 2, c.p.), nei confronti di un imputato cui era contestato di avere posto in essere plurime condotte di minacce, molestie e lesioni personali aggravate (artt. 582 -585, in relazione agli artt. 576, n. 5.1., e 577, n. 1, c.p.) che avevano cagionato alla compagna un fondato timore per la propria incolumità, un perdurante e grave stato di ansia e paura, costringendola a non uscire più di casa oltre a cambiare il numero di telefono.

Conclusa l'istruttoria dibattimentale, il giudice prospettava alle parti di volere procedere alla riqualificazione dei fatti contestati nel più grave delitto di maltrattamenti in famiglia sulla base dell'indirizzo della giurisprudenza di legittimità secondo cui ricorre il delitto dell'art. 572, comma 1, c.p. (e non quello dell'art. 612-bis, comma 2, c.p.) quando le condotte vessatorie si collocano in un “contesto affettivo protetto”, caratterizzato da “legami forti e stabili tra i partner” e dalla “condivisione di progetti di vita”. Per tale ragione, alla luce di «un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell'art. 521 comma 1 c.p.p.» il giudice invitava le parti «a instaurare il contraddittorio in ordine ad un'eventuale riqualificazione giuridica» del fatto già contestato come c.d. stalking aggravato nella più grave ipotesi incriminatrice dell'art. 572 c.p. Al che il difensore dell'imputato, dopo aver inutilmente sollecitato l'ammissione al giudizio abbreviato che veniva respinta perché tardiva, chiedeva che il giudice restituisse gli atti al pubblico ministero, come prevede l'art. 521, comma 2, c.p.p. Al riguardo il giudice argomenta che secondo il diritto vivente questa dispone consente prima della deliberazione della sentenza, di instaurare il contraddittorio argomentativo e probatorio della difesa in ordine alla riqualificazione giuridica del fatto, ma ciò non esclude la preclusione nella scelta del rito che costituisce una delle manifestazioni più significative del diritto di difesa da «intendersi sia come diritto al riassestamento della strategia difensiva nel dibattimento, sia come diritto alla rivisitazione della scelta del dibattimento». Sebbene la distinzione tra quaestio facti e quaestio iuris - prosegue il ragionamento del remittente – non sia irragionevole, la differenza di regolamentazione impatta con gli artt. 3, 24 e 111 Cost.

La questione

Secondo la prospettazione dell'ordinanza di rimessione, l'art. 612-bis, comma 2, c.p., punisce chiunque pone in essere gli atti persecutori nei confronti del «coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa» e, quindi, abbraccia le sole ipotesi di relazioni affettive non caratterizzate (o non più caratterizzate) da una «attuale condivisione di spazi e progetti di vita che condizionano fortemente la capacità di reagire della vittima». L'art. 572, comma 1,c.p. punisce chiunque «maltratta … una persona della famiglia o comunque convivente», e, quindi, si riferisce ad un «contesto affettivo protetto», caratterizzato da «legami affettivi forti e stabili, tali da rendere particolarmente difficoltoso per colui che patisce i maltrattamenti sottrarsi ad essi e particolarmente agevole per colui che li perpetua proseguire». Il giudice del processo principale postula che questa disposizione sarebbe applicabile alle situazioni caratterizzate dalla «condivisione di progetti di vita», pur estranee al contesto di «una stabile convivenza» che, comunque, “agevolano” le condotte offensive e ostacolano la difesa della vittima, come quelle di vera e propria convivenza. La Corte costituzionale, tuttavia, avverte che tale orientamento risale ad epoca antecedente alla introduzione dell'art. 612-bisc.p., e si è formato in larga misura con riferimento a ipotesi concrete caratterizzate dal venir meno di una preesistente convivenza. Per contro, la più recente giurisprudenza di legittimità ha escluso il delitto di maltrattamenti in famiglia in un'ipotesi assai simile a quella oggetto di contestazione, caratterizzata da una relazione «instaurata da non molto tempo» e da una “coabitazione” consistita soltanto «nella permanenza anche per due o tre giorni consecutivi nella casa dell'uomo, ove la donna si recava, talvolta anche con la propria figlia». Di conseguenza – osserva la Consulta – la Corte di Cassazione fornisce indicazioni assai meno univoche di quanto appaia dall'ordinanza di rimessione circa la possibilità di sussumere nell'ambito dello spettro di tipicità dall'art. 572, comma 1,c.p. (e non in quello dell'art. 612-bis,comma 2, c.p.) condotte abusive poste in essere nel contesto di una relazione affettiva tra partner non conviventi. In queste condizioni – osserva la Corte – l'ordinanza di rimessione nel supporre la più grave qualificazione giuridica del delitto di maltrattamenti (in luogo dell'art. 612-bis, comma 2, c.p.) «omette di confrontarsi con il canone ermeneutico rappresentato, in materia di diritto penale, dal divieto di analogia a sfavore del reo» che non consente di riferire la norma incriminatrice a situazioni estranei ai suoi possibili significati letterali secondo il linguaggio comune che costituisce un limite invalicabile delle opzioni interpretative a disposizione del giudice di fronte al testo legislativo. La questione sollevata è, dunque, inammissibile perché la riqualificazione giuridica del fatto contestato, che costituiva il «presupposto logico che condiziona l'applicazione nel giudizio a quo della disposizione, della cui legittimità costituzionale il giudice dubita», è il risultato di una interpretazione analogica a sfavore del reo della norma penale, come tale vietata dall'art. 25,comma 2, Cost.

Le soluzioni giuridiche

Nella versione originaria del codice Rocco, l'art. 572 c.p. operava esclusivamente nel contesto della famiglia. L'art. 4 della l. n. 172/2012 ha esteso l'ambito della tutela contro i maltrattamenti anche alle persone comunque “conviventi” registrando le profonde modifiche della realtà sociale che sotto altri profili hanno condotto (tra l'altro) all'adozione della c.d. “Legge Cirinnà” (l. n. 76/2016) con la quale sono state istituite e regolamentate le unioni civili anche tra persone del medesimo genere. In questo contesto, nel suo ruolo ancipite di fattore di punizione e di maggiore punizione, da un lato, e di non punibilità o minore punizione dall'altro, la convivenza si è trovata al centro di pressioni ermeneutiche tese a forzare il “nucleo” semantico del “lemma” alla ricerca di significati in bilico tra l'interpretazione estensiva e l'analogia, proibita contro il reo e consentita in suo favore. Anche (ma non solo) per questa ragione, le situazioni-limite di una condizione di fatto intrinsecamente sganciata da un paradigma formale sicuramente riconoscibile (es. il matrimonio) sono divenute oggetto di lettura contrastanti. Le oscillazioni più vistose sono state generate dal ruolo attribuito alla sussistenza di rapporti di reciproca assistenza morale ed affettiva (Cass. pen., sez. VI, 18 marzo 2014, n. 31123) ovvero alla stabilità di una relazione sentimentale con assidua frequentazione che in alcune decisioni hanno condotto all'applicazione dell'art. 572, comma 1, c.p., in altre all'esclusione dello stesso delitto qualora, nonostante la durata prolungata del rapporto affettivo o la nascita di un figlio, mancava una stabile convivenza ovvero un progetto di vita comune (Cass. pen., sez. III, 27 novembre 2018, n. 345). E non si tratta, come lascia intendere la Consulta, di un contrasto oramai risolto in favore dell'interpretazione più selettiva. Benché questo indirizzo trovi anche in prospettiva teleologica una sponda nell'art. 612-bis, comma 2, c.p., fruibile quale fattispecie soglia dove far confluire le condotte vessatorie non chiaramente incardinate nell'ambito di una relazione di convivenza, anche la giurisprudenza più recente continua a valorizzare circostanze ai margini di questa nozione, come i vincoli nascenti dal coniugio (anche a seguito della separazione legale) ovvero dalla filiazione, purché la generazione non sia stata un evento meramente occasionale ma si sia quantomeno instaurata una relazione sentimentale o sia comunque associata a vincoli di solidarietà, di assistenza o collaborazione fondati sul precedente matrimonio che sortiscano comunque l'effetto di porre la parte offesa in condizione di subordinazione psicologica (ex multis Cass. pen., sez. VI, 8 luglio 2014, n. 33882; Cass. pen., sez. II, 5 luglio 2016, n. 39331; Cass. pen., sez. VI, 28 settembre 2017, n. 52723; Cass. pen., sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 3356; Cass. pen., sez. VI, 30 maggio 2019, n. 35677; Cass. pen., sez. VI, 25 giugno 2019, n. 37628).

Osservazioni

La nitida presa di posizione della Consulta deve indurre ad una riconsiderazione di questo indirizzo che travalica l'interpretazione estensiva e rende un'applicazione analogica e in senso sfavorevole della legge penale. La ferma presa di posizione della Corte, inoltre, offre un'indicazione precisa anche in ordine alla mai sopita discussione sui limiti intrinseci ed estrinseci dell'interpretazione penalistica. In estrema sintesi (e con qualche approssimazione), chi rifiuta che esista interpretazione senza creazione di significato nega la possibilità stessa di distinguere interpretazione e analogia mentre all'opposto si colloca chi non solo riconosce questa alternativa dialettica ma scava un fossato tra gli stessi poli dell'attività ermeneutica negando la validità della interpretazione estensiva nel diritto penale: un'opzione che visse un'effimera stagione di inconcludente successo quando venne persino recepita nel testo della c.d. bicamerale, presieduta dall'on. D'Alema dove, nell'ambito della sezione relativa alle “Norme sulla giurisdizione”, era previsto che «Le norme penali non possono essereinterpretate in modo analogico o estensivo» (art. 129, cpv. progetto di legge costituzionale Camera dei Deputati n. 3931-A e n. 2583-A Senato della Repubblica, XIII legislatura). In senso nettamente contrario, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, l'interpretazione estensiva «lungi dall'essere vietata, è invece lecita e, anzi, doverosa quando sia dato stabilire - attraverso un corretto uso della logica giuridica – che il precetto legislativo abbia un contenuto più ampio di quello che appare dalle espressioni letterali». In questi casi, secondo i giudici di legittimità, non è violato l'articolo 14 delle disposizioni sulla legge in generale, perché il contenuto effettivo della disposizione non è ampliato «ma si impedisce che fattispecie ad essa soggette si sottraggano alla sua disciplina per un ingiustificato rispetto di manchevoli espressioni letterali» (Cass. pen., sez. V, 18 aprile 2012, n.15048). Più di recente le Sezioni Unite hanno ulteriormente eroso la distinzione tra limiti interni (interpretazione estensiva) ed esterni (applicazione analogica) dell'interpretazione penale sancendo che «il canone interpretativo posto dall'art. 12 preleggi, comma 1, prevede la valorizzazione del significato immediato delle parole, di quello derivante dalla loro connessione nonché della “intenzione del legislatore”. E da tale disposizione – che va completata con la verifica di compatibilità coi principi generali che regolano la ricostruzione degli elementi costitutivi dei precetti – si evince un solo vincolante divieto per l'interprete, che è quello riguardante l'andare “contro” il significato delle espressioni usate, con una modalità che sconfinerebbe nell'analogia, non consentita nella interpretazione del comando penale. Non gli è invece vietato andare “oltre” la letteralità del testo, quando l'opzione ermeneutica prescelta sia in linea con i canoni sopra indicati, a maggior ragione quando quella, pur a fronte di un testo che lascia aperte più soluzioni, sia l'unica plausibile e perciò compatibile col principio della prevedibilità del comando» (Cass. pen., Sez. Un., 21 dicembre 2017, n. 8770). Alla luce di queste premesse – per cui non sarebbe analogica ma legittimamente estensiva l'interpretazione che, pur trascendendo il testo della legge, non lo contraddice – si comprende l'operazione ermeneutica del giudice rimettente (e della giurisprudenza sulla stessa linea) dove più che fissare le situazioni da riferire alla nozione di convivenza questa viene estesa a tutte le relazioni sentimentali sorrette da un progetto di vita o da un baricentro affettivo (come la generazione) con esclusione solo dei casi in cui è da escludere qualsiasi condivisione anche soltanto occasionale di spazi comuni.

Senza prendere posizione sui limiti interni dell'interpretazione penalistica, la sentenza della Consulta n. 98/2021 smentisce le Sezioni Unite sancendo che il giudice non solo non deve andare contro il significato delle parole nel linguaggio comune ma deve circoscrivere i contenuti della norma entro questo limite. Convivenza, quindi, sono solo le situazioni di convivenza e non anche quelle situazioni che (come appunto le relazioni stabili) che trascendono sia il nucleo che l'area concettuale dello stesso termine e che costituiscono un'analogia sfavorevole al reo vietata dai principi fondamentali del sistema penale italiano. A favore del reo, invece, l'analogia è (salvi taluni limiti logici o positivi) ammessa come hanno di recente ribadito le Sezioni Unite riconoscendo l'applicabilità della causa di non punibilità dell'art. 384 c.p., testualmente prevista solo per il coniuge ed i prossimi congiunti, anche al convivente more uxorio (Cass. pen., Sez. Un., 26 novembre 2020, n. 10381).

Guida all'approfondimento

CONTENTO, Intepretazione estensiva e analogia, in Le discrasie tra dottrina e giurisprudenza in diritto penale, Jovene, 1991 (anche in Scritti, 1964-2000, Laterza, 2002);

MARINUCCI, L'analogia e la punibilità svincolata dalla conformità alla fattispecie penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007;

CARCATERRA, DI GIOVINE, MAZZACUVA, VELUZZI, Tra analogia e interpretazione estensiva. A proposito di alcuni casi problematici tratti dalla recente giurisprudenza, in Criminalia, 2010;

LO MONTE Art. 572 c.p.: maltrattamenti infraconiugali in ipotesi di interruzione della convivenza, in Cass. Pen., 2010, 606;

VOGLIOTTI, Dove passa il confine? Sul divieto di analogia nel diritto penale, Giappichelli, 2011;

PICCATTI, Unioni civili e convivenze di fatto. Riflessi penali, in questa Rivista, 17 giugno 2016;

PADOVANI, Sull'estensione analogica dell'art. 384, comma 1, c.p., in questa Rivista, 27 maggio 2021.

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