Giustizia Matematica. Il dovere di autotutela dipende dal tipo matematico dell'errore e l'abuso del diritto è matematicamente sanzionabile ma non tassabile

Marco Versiglioni
Francesca Cruciani
15 Giugno 2021

Il lavoro si basa su una ricerca: trovare la regola di validità del ragionamento dell'uomo giuridico e dunque osservare la forma più profonda di ciò che chiamiamo diritto previa identificazione del motore che informa-mv la sua costante perenne mutevolezza-mv. I nomi e i concetti più rilevanti sono scritti, almeno una volta, con il loro apice-mv o tra ‘apicetti'. Ciò avviene non solo per rappresentare correttamente l'Autore originario del nome e del concetto che quel nome porta con sé. Quanto, soprattutto, per evitare confusione e rendere possibile una corretta circolazione e un fisiologico sviluppo dialettico dell'idea iniziale, come dell'intera ricerca. A tal fine, l'uso del nome e/o del suo concetto, che ovviamente chiunque è libero di fare nello scrivere e/o nel dire, implica l'apice-mv, gli ‘apicetti' e/o la menzione dell'autore.
L'accoglimento o il non-accoglimento dell'istanza di autotutela: atto doveroso o discrezionale?

Il primo esperimento di Giustizia Matematica-mv ha per oggetto la seguente questione giuridica: l'accoglimento o il non-accoglimento dell'istanza di autotutela è atto doveroso o discrezionale? In ogni caso, come va motivato?

Molto sinteticamente si può definire l'autotutela amministrativa come il potere della pubblica amministrazione di fare giustizia da sé, senza bisogno di ricorso al giudice, rispetto ad ogni sfera dell'azione pubblica. Tale potere è espressione dell'attività discrezionale di ponderazione tra più interessi secondari in ordine ad un interesse primario, che spetta unicamente alla P.A. nello svolgimento della sua funzione di c.d. amministrazione attiva. L'autotutela amministrativa mira al bilanciamento di plurimi interessi concorrenti tra cui quello del cittadino interessato dal provvedimento, quello dei contro interessati e infine quello della P.A., che in linea di massima coincide con l'interesse generale.

L'autotutela tributaria, invece, può essere definita come il diritto del contribuente a non essere leso nella propria sfera patrimoniale da provvedimenti illegittimi o infondati che impongono il pagamento di somme non dovute o neghino il rimborso di somme indebitamente versate. E, quindi, consiste nella capacità riconosciuta all'amministrazione finanziaria, di riesaminare, ricorrendo ragioni di interesse pubblico, la propria attività provvedimentale in modo da poter pervenire all'annullamento degli atti viziati da illegittimità. L'annullamento dell'atto, in sede di autotutela, può essere totale o parziale. In caso di annullamento totale, gli effetti dell'atto vengono radicalmente rimossi, mentre in caso di annullamento parziale l'atto conserva, per la parte non annullata, piena validità ed efficacia.

La finalità dell'autotutela tributaria è quella di richiedere un giusto prelievo, conforme ai principi di eguaglianza, capacità contributiva e di esercizio imparziale della funzione tributaria.

Sulla doverosità, o meno, dell'esercizio dell'autotutela tributaria e, quindi, sull'ammissibilità dell'impugnazione del diniego (espresso o tacito), non si registra un orientamento univoco.

Un indirizzo, sostenuto in un primo momento dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. SS.UU. n. 2870/2009), ha negato l'impugnabilità del diniego di autotutela per i principi di seguito enunciati:

  • l'autotutela è un potere discrezionale, il suo esercizio o il suo mancato esercizio non sono passibili di sindacato giurisdizionale;
  • il sindacato sugli atti impugnabili darebbe impropriamente luogo ad un giudizio sulla legittimità dell'imposizione tributaria, sebbene ormai divenuta definitiva con il rischio di riapertura dei termini di impugnazione oramai ampiamente decorsi.

È stato, infatti, affermato che: “in tema di contenzioso tributario, l'atto con il quale l'Amministrazione manifesti il rifiuto ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non rientra nella previsione di cui al D.lgs. n. 546/1992, art. 19, e non è quindi impugnabile, sia per la discrezionalità da cui l'attività di autotutela è connotata in questo caso, sia perché, altrimenti, si darebbe ingresso ad una inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo” (Cass. n. 7511/2016), non comportando alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui noto e consolidato per la mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento, laddove, invece, deve ritenersi ammissibile un'autonoma impugnabilità del nuovo atto se di portata ampliativa rispetto all'originaria pretesa.

Un altro indirizzo, sostenuto recentemente dalla giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto ammissibile l'impugnazione del diniego di autotutela (Cass. n. 18992/2019, Cass. n. 23805/2019), atteso che:

  • è ben vero che l'Amministrazione finanziaria non è obbligata a pronunciarsi, ma in caso di mancata risposta si verrebbe a creare un vuoto di tutela poiché il contribuente sarebbe privo di strumenti per far valere le proprie pretese e la lesione dei suoi interessi, in particolare ove si consideri che la situazione illegittima a monte è frutto di un errore della P.A.;
  • depone in tal senso anche il principio di leale collaborazione che disciplina i rapporti tra Fisco e contribuente, come recita l'art. 10 dello Statuto dei contribuenti. Diversamente argomentando si consoliderebbe una situazione di contrasto con la legge, poiché la pretesa tributaria, sospetta di essere illegittima o infondata, risulterebbe irremovibile a seguito del decorso dei termini per impugnare, e passibile di correzione solo in autotutela per mano dell'Amministrazione libera, però, di rifugiarsi nell'inerzia.

Si è evidenziata anche la necessità di definire i poteri che spetterebbero al giudice, investito della impugnazione del diniego, espresso o tacito, di autotutela; ossia occorre chiarire se, una volta accertata l'illegittimità dell'atto impositivo definitivo, oggetto del diniego di autotutela, il giudice potrebbe annullare l'atto, oppure potrebbe solo pronunciarsi sul provvedimento di autotutela.

Va preliminarmente precisato che, l'indirizzo che sostiene l'ammissibilità dell'impugnazione del diniego di autotutela ritiene anche che il contribuente può impugnare il diniego espresso o tacito di autotutela, quindi il silenzio-rifiuto.

In particolare, con la pronuncia n. 20200 del 2020, è stato affermato: “Non è consentito al contribuente proporre ripetute istanze di autotutela avverso accertamenti tributari divenuti definitivi, e decidere quale impugnare dinanzi al giudice, potendo essere proposto ricorso soltanto avverso il diniego espresso o tacito, a seguito della formazione del silenzio – rifiuto, relativo alla prima istanza proposta, e soltanto invocando ragioni di interesse generale all'annullamento dell'accertamento definitivo, che si assume siano state trascurate dall'Amministrazione finanziaria”(in senso conforme, Cass. n. 6030 del 2020; Cass. n. 4989 del 2020, Cass. n. 7616 del 2018).

Quindi, il contribuente può presentare un'istanza di autotutela relativa all'atto definitivo, ma non coperto da giudicato, purché essa sia sempre sorretta da un interesse pubblico di rilievo generale, tale da giustificare l'intervento su relazioni giuridiche ormai stabilizzate, ancorché basate su provvedimenti illegittimi (Cass. n. 24033 del 2019) e, in caso di rifiuto, espresso o tacito dell'Amministrazione finanziaria, può proporre impugnazione.

Con riferimento alla necessità che l'atto definitivo non sia coperto da giudicato, si è affermato che: “In tema di accertamento tributario, il potere di autotutela dell'Amministrazione espressamente riconosciuto dall'art. 2-quater, comma 1, del d.l. n. 564/1994, conv. con modif. in l. n. 656/1994, ha carattere generale e, pertanto, può essere legittimamente esercitato ove non si sia formato il giudicato sull'atto oggetto dello stesso e non sia decorso il termine di decadenza, fissato dalle singole leggi di imposta, per l'emissione dell'avviso di accertamento” (Cass. n. 7033/2018).

Il sindacato sull'atto di diniego dell'Amministrazione di procedere ad annullamento del provvedimento impositivo può riguardare solo profili di illegittimità del rifiuto, e non la fondatezza della pretesa tributaria, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l'esercizio di tale potere, che, come affermato proprio di recente dalla Corte Costituzionale, nella sentenza n. 181 del 2017, si basa su valutazioni ampiamente discrezionali e non costituisce uno strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente (Cass. n. 21146/2018; Cass. n. 23249/2020).

La Corte, quindi, introduce come limite alla sindacabilità del potere di autotutela la necessità di rilevare un interesse generale, che giustifichi l'esercizio di tale potere, sebbene non spieghi in concreto quando un interesse pubblico generale viene a concretizzarsi, deferendo il compito agli impulsi della dottrina e della giurisprudenza.

E' stato precisato, con alcune pronunce, che: “ il dedotto interesse a che ciascun cittadino sia soggetto ad una tassazione conforme alla legge e correlata alla propria capacità contributiva è un interesse astratto (coincidente con il ripristino della legalità) laddove, invece, per giustificare la doglianza contro il diniego di autotutela occorre che sia dedotto un interesse generale (cioè travalicante quello individuale della parte in causa), concreto e specifico in esatta corrispondenza all'interesse in cui l'amministrazione deve dare conto nella motivazione dell'atto di annullamento, adottato anche in assenza di sollecitazione del privato” (Cass. n. 4937/2019).

Si può quindi concludere che, secondo questo indirizzo, il sindacato giurisdizionale sull'impugnato diniego di autotutela, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento dell'atto può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell'Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l'esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un'indebita sostituzione del giudice nell'attività amministrativa o un'inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai divenuto definitivo (v. anche Cass. n. 7616/2018, Cass. n. 4937/2019, Cass. n. 4008/2021).

Secondo i giudici di legittimità, il dedotto interesse a che “ciascun cittadino sia soggetto ad una tassazione conforme alla legge e correlata alla propria capacità contributiva” non è un interesse astratto (coincidente con il ripristino della legalità) laddove invece, per giustificare la doglianza contro il diniego di autotutela occorre che sia dedotto un interesse generale (cioè travalicante quello individuale delle parti in causa), concreto e specifico (come ad esempio, l'interesse derivante dall'intervenuto annullamento da parte del giudice amministrativo di un atto presupposto a quello in questione; di atto basato su una affermazione di principio, suscettivo di generalizzazione, errata), in esatta corrispondenza all'interesse di cui l'amministrazione deve dar conto nella motivazione dell'atto di annullamento (adottato anche in assenza di sollecitazione del privato) (Cass. n. 4937/2019; Cass. n. 23249/2020).

La mappa A-mv nel caso dell'autotutela tributaria

In sintesi, il problema esaminato e illustrato nel paragrafo precedente è costituito dal dubbio se siano o no legittimi i provvedimenti di diniego di autotutela emessi dall'Amministrazione finanziaria con riguardo a propri atti erronei o illegittimi, sia se ancora impugnabili, sia se, e a fortiori, divenuti invece non più impugnabili per decorrenza dei termini di decadenza.

Occorre dunque testare su questo banco di prova l'algoritmo umano del diritto A-mv che costituisce il cuore pulsante del DM.

In pratica, va osservato come funziona la mappa A-mv nel caso dell'autotutela tributaria (disciplinata ai sensi delle disposizioni giuridiche appena ricordate dalla relatrice che mi ha preceduto) e, ancor più in particolare, occorre indicare il metodo mediante il quale trovar risposte a due interrogativi:

i) quando il funzionario dell'amministrazione finanziaria «deve» accettare la proposta di autotutela;

ii) quando il giudice tributario «deve» giudicare illegittimo il provvedimento amministrativo portante il rifiuto di accettare la proposta di autotutela?

Per impostare il discorso è necessario porre almeno alcune premesse terminologiche e concettuali.

Se la cosa che chiamiamo Diritto è un discorso, allora esistono due tipi di discorsi.

Un primo tipo è il discorso non apofantico (ossia non suscettibile di V/F).

Ad esempio, è tale il discorso spiegato dalla relazione [Y=d ]-mv, laddove Y (diritto o effetto giuridico) è conseguenza del diktat (d) di chi discorre o scrive. In questo caso, chi dice o scrive il diritto (e diamo per scontato, per semplificare, che questi abbia l'autorità di dire o scrivere il diritto) è in situazione di «libertà» di dire o scrivere ciò che vuole; il diritto è comunque valido perché la sua validità non dipende dalla verità o meno di ciò che chi ha l'autorità di dire o scrivere dice o scrive. D'altra parte, chi ascolta o chi legge è nell'indeterminatezza tipica di chi ascolta o di chi legge un discorso, per sua natura, Senza Verità-mv.

Un secondo tipo è il discorso apofantico (invece suscettibile di V/F).

Ad esempio, è tale il discorso spiegato dalla relazione [Y=f (x)]-mv, laddove Y (il diritto o l'effetto giuridico) per essere valido, deve esser Vero-mv. In questo caso, infatti, perché questo possa accadere x deve essere vera, f deve esser vera e f (x) deve essere vera, ossia univoca-mv. Dunque, chi dice o scrive il diritto è in situazione di indisponibilità-mv perché, per dire o scrivere diritto valido, non può dire o scrivere ciò che non è vero; se lo facesse, il diritto sarebbe invalido. In tal caso, chi ascolta è nella certezza tipica di chi ascolta o di chi legge un discorso per sua natura Con Verità-mv (a prescindere dal fatto che, poi, nel concreto, tale discorso possa rivelarsi vero o falso).

Osservando prima il fusto, poi i rami e infine ciascuna foglia del diritto, si nota che alcuni singoli elementi o interi insiemi di elementi dell'organismo vivente, per poter svolgere fisiologicamente la loro funzione organica, devono necessariamente parametrarsi ad altri singoli elementi o insiemi di elementi costituzionali e/o sovranazionali.

Dunque, per forza di cose, nasce un infinito numero di relazioni apofantiche. Se la singola relazione necessaria-mv tra ciascuna disposizione e il suo parametro di validità è vera, allora la disposizione è valida, se, invece, è falsa, allora la disposizione è invalida-mv. I diritti che presentano questo tipo di relazioni sono ciò che chiamo Diritti Con Verità-mv.

Invece, per altri singoli elementi, o per altri interi insiemi di elementi, dell'organismo vivente tutto questo non accade; perciò, chiamo tali elementi o insiemi di elementi Diritti Senza Verità-mv.

Ora, tanto per volgere lo sguardo al problema specifico da trattare, i diritti la cui validità dipende dalla (rectius: dalle) Verità sono indisponibili perché eterodiretti dal tipo di verità che le disposizioni contengono in se stesse, ossia le norme d'uso di se stesse-mv.

Così, per giungere davvero al tema, il Diritto Tributario è Diritto Con Verità-mv (come lo sono altri diritti, il Diritto Penale, il Diritto del Lavoro, il Diritto Fallimentare, il Diritto Privato di fonte legale, etc.).

Ciò significa che nel diritto tributario italiano ciascuna valida legge di imposta e, allo stesso modo, ciascuna valida disposizione giuridica incorpora sin dalla nascita un proprio Codice di verità-mv.

Come si è visto, l'ipotesi fondamentale del DM è che questo Codice sia sempre riconducibile a uno di questi quattro esclusivi tipi logici: (≡), ( · ), ( — ) e ( Ø ).

Se la prospettiva fosse il Diritto Musicale-mv, allora, forse, almeno a prima vista, i codici di verità-mv potrebbero essere sette, e non già quattro; d'altra parte, se la musica fosse anch'essa un discorso matematico-mv, forse anche il numero sette con il quale si enumerano le note musicali potrebbe essere spiegato da questi quattro Codici.

Tutto ciò solo per dire che il Codice-mv (simile al DNA di una cellula): identifica il tipo di verità (matematica) che caratterizza il thema intorno al quale la disposizione è costruita e impone il vero modo (matematico) d'uso della disposizione, sia in senso qualitativo, perché esplicita il tipo logico della norma di uso di se stessa che la disposizione incorpora affinché l'uomo giuridico usi la disposizione correttamente e non ne abusi, sia in senso temporale, perché obbliga l'uomo giuridico a individuare prima il tipo del Codice-mv presente nella disposizione e solo poi, non appena combinata matematicamente la Coppia-mv, ad adottare il tipo di ragionamento (o forma mentis) corrispondente a quel tipo di Codice-mv, ottenendo così la pre-norma-mv (che, come dicevo, è di solo metodo).

In definitiva, se una disposizione giuridica per esser valida deve esser Vera-mv (nel senso che essa deve contenere almeno una delle quattro possibili verità matematiche sopra indicate), allora la ragione ordinamentale del Diritto Matematico-mv è che sia la Verità della Legge a fare la Verità del caso concreto, e non già la Verità dell'Auctoritas o del Cittadino-mv.

In modo più diretto, soltanto se si tiene conto che nel nostro paese, in specie con l'avvento della Costituzione Repubblicana, è divenuto falso, o comunque non più attuale il postulato di Hobbes (auctoritas, non veritas, facit legem), allora il problema dell'autotutela appena illustrato può essere posto sul suo corretto banco di prova (quello dei Diritti Con Verità-mv) e si può dare inizio al test dell'algoritmo umano che è fattore del Diritto Matematico-mv.

Il percorso, almeno per chi si avvicini per la prima volta all'algoritmo, passa per la tabella di automazione contenente i tipi di verità matematiche.

In sintesi, dalla matematica delle relazioni tra cose si traggono quattro tipi concettuali rappresentati da quattro segni e quattro tipi di verità alle quali attribuisco nomi intuitivamente collegabili ai loro concetti caratterizzanti o identificativi.

Tipi concettuali matematici

Tipi concettuali

di ‘verità matematiche'

Soluzioni preesistenti

( ≡ )

‘verità identità'

Non esiste il problema di cercare soluzione (sempre vera)

( · )

‘verità puntuale'

1 sola

( — )

‘verità intervallare'

1, più di una, infinite

( Æ )

‘verità sostitutiva', cioè:

‘verità impossibile in un ambiente e

---------------------------

non impossibile in ambiente diverso '

nessuna

--------------------

1, più di una, infinite

Occorre poi “passare” per la tabella delle verità giuridiche, costruita dopo aver trovato nella filosofia del diritto quattro tipi di verità giuridica mediante analogia con la matematica e dopo aver associato, o meglio combinato, le variabili dalle quali dipende la costruzione del metodo di giudizio.

‘tipi

matematici'

‘verità

matematiche'

‘ambiente'

‘uomo

giuridico'

‘medio logico'

forma mentis

costituente'

‘verità giuridiche'

(filosofico-teoretiche)

( ≡ )

‘identità'

‘unilateralità'

‘tutti'

‘scienza'

‘razionalità'

«identità»

( · )

‘puntuale'

‘unilateralità'

‘tutti'

‘scienza'

‘razionalità'

«corrispondenza»

( — )

‘intervallare'

‘unilateralità'

‘tutti'

‘etica e scienza'

‘ragionevolezza'

«coerenza»

( Æ )

‘sostitutiva'

‘bilateralità'

________

‘terzietà'

parti

_______

giudice

‘etica'

‘ragionevolezza'

«consenso»

_________

‘equità'

Prendiamo dunque a riferimento il concetto di autotutela così come appena esposto ed applichiamo ad esso, sul solo piano logico, l'algoritmo del DM; individuiamo, cioè, il concettodi autotutela matematica-mv, lo inseriamo nel contesto dei Diritti con Verità (tale essendo il Diritto Tributario), combiniamo, convertiamo e completiamo i nessi secondo la logica if, then, che è come dire: [Y=f (x)]-mv.

Così, si ottiene la forma matematica sia del dovere di autotutela tributaria matematica-mv, sia del dovere di motivazione-mv che ad esso logicamente pertiene e da ciò estraggo le pre-norme giuridiche che, portate sul piano normativo vigente al momento dell'applicazione, indicano, come trovare la norma che regola il caso concreto.

La tabella è volta a fissare tutti i risultati del test in una sola forma, con tutti i limiti propri di ogni rappresentazione che fotografa e rende virtualmente statico ciò che, nella realtà, ha invece, come si è visto, una dimensione temporale, ed è perciò dinamico.

‘tipo di disposizione' o

di ‘thema'

Es. thema di fatto

Es. thema di diritto

‘tipo di indisponibilità'

‘tipo di dovere dell'homo mathematicus'

dovere di autotutela

tributaria matematica-mv

e

dovere di motivazione

( ≡ )

‘idealmente non controvertibile'

Somma di due numeri

51%=maggioranza

‘indisponibilità puntuale ideale'

‘di non cercare la soluzione'

dovere di autotutela

(nel merito) dovere di ‘motivazione zero'

( · )

‘in pratica non controvertibile'

n. cv di un'autovettura

parentela padre figlio

‘indisponibilità puntuale pratica'

‘di trovare la soluzione, seppur arrotondata'

dovere di autotutela

(nel merito) dovere di ‘motivazione breve'

( — )

‘controvertibile entro certi limiti'

% di calo rimanenze

________________

Sanzione pecuniaria

‘indisponibilità intervallare'

=

‘discrezionalità'

‘di trovare la soluzione tra le più soluzioni possibili riducendo al massimo l'impossibile'

dovere di autotutela parziale fino al divisibile-mv

(nel merito) dovere di ‘motivazione lunga'

dovere di non autotutela parziale

per i resti-mv

(nel merito) dovere di ‘motivazione zero'

( Æ )

‘controvertibile all'infinito'

valore normale

abitualità

‘indisponibilità rovesciata'

‘di deliberare la soluzione sostituiva prelevando la meno errata in ambiente diverso'

dovere di

non autotutela

(nel merito) dovere di ‘motivazione zero'

Economia dell'intervento

Per economia dell'intervento, non è possibile affrontare qui, in termini giusmatematici, alcuni temi che, come si intuisce, sono strettamente connessi all'autotutela matematica-mv e alla motivazione matematica-mv.

Così, ad esempio, occorre rinviare a un successivo incontro - e ad altra prossima pubblicazione - l'analisi di temi implicati dalla successione degli atti (come il ne bis in idem, il bis in idem, l'integrazione o la modificazione, la coesistenza o la sostituzione) o i temi legati all'inerzia (come la non contestazione, il silenzio, la prescrizione, la decadenza).

Pur non volendo anticipare i risultati che emergeranno dallo sviluppo delle relazioni giusmatematiche correnti tra tutti i temi appena citati, può tuttavia dirsi sin d'ora che probabilmente si scoprirà come, l'umana perennità-mv della mutevolezza-mv delle relazioni che in-formano-mv il diritto e la relativa perennità-mvdi talune sue soluzioni logiche, sono incompatibili a priori, almeno nei Diritti Con Verità-mv, con un'idea assolutizzante o unitaria di ne bis in idem, di bis in idem, di silenzio, di non contestazione, di prescrizione o di decadenza.

Si scoprirà, tra l'altro, come l'attuale Prescridenza-mv - così andrebbe forse chiamato il mixtum civilistico di prescrizione e decadenza impropriamente usato in sede tributaria - possa ritenersi logicamente compatibile solo con i Diritti Senza Verità-mv, mentre, per i Diritti con Verità-mv, la giusmatematica-mv assegna all'inerzia o al silenzio o alla non contestazione un'inedita categoria, l'unica per essi logicamente possibile, alla quale può darsi nome, perché no?, Precadenza-mv.

L'imposta e la sanzione, amministrativa o penale, sono logicamente e costituzionalmente possibili in caso di abuso del diritto?

Il secondo esperimento di Giustizia Matematica-mv ha per oggetto la seguente questione giuridica: l'imposta e la sanzione, amministrativa o penale, sono logicamente e costituzionalmente possibili in caso di abuso del diritto?

La tematica è molto attuale e cioè la disamina del concetto di giustizia predittiva e la comparazione di due diversi metodi interpretativi a confronto tra loro per la coerente interpretazione normativa e di conseguenza della produzione giurisprudenziale coerente nella attività del Giudice.

In particolare, la tematica prescelta e cioè l'esame dell'istituto dell'abuso del diritto in materia tributaria al fine di rileggere, mediante il linguaggio giusmatematico-mv elaborato dal prof. Marco Versiglioni, il contrasto giurisprudenziale e la successiva dirimente soluzione normativa adottata dal legislatore, per individuare quando una condotta oggettiva azionata dal contribuente possa dirsi integrante la fattispecie dell'abuso del diritto, per poi definitivamente delineare il regime sanzionatorio applicabile alla perseguita finalità elusiva d'imposta.


L'istituto dell'abuso del diritto ha dato adito al noto contrasto giurisprudenziale della sanzionabilità (o meno) penale della fattispecie.

Detto noto contrasto giurisprudenziale insorto nelle sentenze di Corte di cassazione (cui parallelamente si affiancava un acceso dibattito dottrinale) ha preso luogo prima della nota novella normativa che ha interessato l'art. 10-bis dello Statuto del Contribuente modificato con il d.lgs. 24 settembre 2015 n. 156, per effetto della quale la fattispecie dell'abuso del diritto è stata espressamente e positivamente depenalizzata.

Vale osservare che la autonoma irrilevanza penale delle violazioni a monte della dichiarazione dei redditi trovava già origine in pronunce piuttosto risalenti della Corte Costituzionale (cfr. Corte Cost. 49/2002).

Nell'ordinamento permaneva, però, la difficoltà di definire tanto le conseguenze e gli effetti correlati alla elusione fiscale quanto di definire l'eventuale sanzionabilità (di carattere amministrativo ovvero anche penale) della fattispecie dell'abuso del diritto (diversa fattispecie rispetto alla prima menzionata elusione) previa necessaria identificazione di tutte le condotte tese ad ottenere un beneficio fiscale indebito mediante la lecita condotta giuridica di porre in essere più negozi tra loro connessi ma privi della naturale esigenza economica cui normalmente essi sono preposti.

L'istituto dell'abuso del diritto e cioè la condotta di abusare di una norma fiscale ottenendo l'effetto di un indebito risparmio d'imposta (id est l'elusione), ben poteva essere qualificato dunque come un “illecito atipico” la cui portata - dal punto di vista oggettivo sostanziale - esuberava dal perimetro della legge n. 74/2000 volta a codificare le tipiche figure dei reati di falsa dichiarazione, dichiarazione fraudolenta, etc. di per sé fattispecie non esaustive di tutte le potenziali condotte oggettive “abusive” integranti invece la più volte menzionata figura “dell'abuso del diritto tributario”.

L'abuso del diritto poteva diventare quindi uno strumento che ben si prestava all'adattamento in via giurisprudenziale del dato legislativo, permettendo di adottare soluzioni capaci di valorizzare istanze di giustizia sostanziale rispetto al dato formale del testo normativo.

La configurazione dell'istituto sino ad ora descritta però, appariva piuttosto distante dai crismi inviolabili del diritto penale, materia in cui l'illecito è rigorosamente tipico e, per definizione, estraneo alla strutturale e innata atipicità del generale di divieto di abuso del diritto nel quale, per salvaguardare la necessaria prevedibilità delle sanzioni, non è ammesso alcun intervento creativo dell'organo giudicante.

Alla luce delle riflessioni che precedono, e cioè in ordine alla difficoltà di delineare e distinguere l'elusione, l'evasione, l'abuso del diritto, e della sanzionabilità penale o meno in assenza di esaustiva “tipizzazione” normativa delle diverse fattispecie perseguibili in quanto integranti la figura dell'elusione ovvero dell'abuso del diritto più volte menzionate, si spiega l'origine dei due successivi diversi orientamenti giurisprudenziali che hanno caratterizzato lo scenario nel periodo che precede la codificazione della depenalizzazione di cui al novellato art. 10-bis cit.

A) Per l'opinione dottrinale e giurisprudenziale a lungo unanime (sino all'anno 2011), la riconosciuta esistenza della vigenza di un generale principio antielusivo avrebbe dovuto esaurire i propri effetti nel comportare l'inopponibilità all'Amministrazione finanziaria di ogni operazione elusiva, ancorché non espressamente contemplata dall'art. 37-bis, co. 3, d.P.R. 600/1973.

Il compimento di condotte abusive/elusive non avrebbe potuto dunque dar luogo ad alcuna conseguenza sanzionatoria in assenza di un'apposita disposizione di legge in tale senso ed in presenza di un generale divieto di abuso del diritto non declinato in fattispecie tipizzabili in base alla condotta oggettiva.

Nel periodo compreso tra gli anni 2006 e 2011, e vale a dire fino al noto revirement correlato alla pronuncia n. 7739/2012 più nota come sentenza “Dolce e Gabbana” (su cui infra si dirà più lungamente), è asseverato dalla giurisprudenza largamente maggioritaria che la violazione di disposizioni antielusive “in linea di principio, non comporta conseguenze di ordine penale”.

Le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, ancora con le “sentenze gemelle” del 2008 (nn. 30055; 30057; 30058) hanno riconosciuto l'esistenza di un “generale principio antielusivo”, “con la precisazione che la fonte di tale principio, in tema di tributi non armonizzati, quali le imposte dirette, va rinvenuta non nella giurisprudenza comunitaria quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l'ordinamento tributario italiano (id est i principi di capacità contributiva ex art. 53 Cost., comma 1) e di progressività dell'imposizione.

In particolare, per le Sezioni Unite il principio enunciato non potrebbe “in alcun modo ritenersi contrastante con la riserva di legge in materia tributaria di cui all'art. 23 Cost., in quanto il riconoscimento di un generale divieto di abuso del diritto nell'ordinamento tributario non si traduce nella imposizione di ulteriori obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l'applicazione di norme fiscali.”

La Corte di Giustizia al punto 93 della nota sentenza Halifax ancor più esplicitamente così statuiva: “Occorre altresì ricordare che la constatazione dell'esistenza di un comportamento abusivo non deve condurre a una sanzione, per la quale sarebbe necessario un fondamento normativo chiaro e univoco, bensì e semplicemente a un obbligo di rimborso di parte o di tutte le indebite detrazioni dell'IVA assolta a monte”.

B) Con pronuncia n. 7739/2012, nota come sentenza “Dolce e Gabbana”, la seconda Sezione della Corte di Cassazione ha dato luogo ad un significativo revirement, attribuendo rilevanza penale all'elusione fiscale, mediante riconduzione del fenomeno alle fattispecie incriminatrici in materia tributaria.

In questo secondo orientamento si rileva una fortissima valorizzazione della distinzione tra le due categorie “elusione” ed “abuso del diritto”, e si affermava la possibile rilevanza penale sub specie dei reati fiscali di evasione di cui al d.lgs. 74/2000 delle ipotesi di elusione tipizzate dall'art. 37-bis comma 3 d.P.R. 600/1973, e si negava quella del generale divieto di abuso del diritto.

In questo senso appena sopra indicato concludeva, infatti, la nota sentenza della Cassazione Penale del 2012 pronunciatasi sulla vicenda Dolce & Gabbana.

C) L'intervento della codificata “depenalizzazione” di cui all'art. 10 bis cit. è stato mosso proprio dalla necessità di superare le diverse prospettive ermeneutiche rilevate nei due diversi orientamenti giurisprudenziali della Corte di Cassazione sopra descritti sub punto A) e sub punto B).

È dato invero leggere così come segue testualmente nella relazione ministeriale di accompagnamento al Decreto legislativo del 24/09/2015 n. 156 che modificava il citato art. 10-bis: “in particolare sul fronte dell'abuso del diritto alcune recenti sentenza della Corte di cassazione hanno aperto nuove prospettive ermeneutiche producendo ulteriori forti incertezze riguardo alla legittimità di comportamenti in passato ritenuti corretti.”

Il legislatore si riproponeva di dipanare il nodo cruciale della questione e cioè fronteggiare l'insufficienza normativa nella individuazione delle diverse fattispecie di condotte oggettive abusive e/o elusive.

Per un verso, veniva dunque prevista la sanzione amministrativa per infedele dichiarazione calcolata sull'imposta aggirata e, per altro verso, veniva esclusa la punibilità penale della condotta. Questa esclusione fu ritenuta coerente conseguenza della postulata assenza, nel comportamento elusivo del contribuente, di tratti riconducibili ai paradigmi, penalmente rilevanti, della simulazione, della falsità, più in generale, della fraudolenza.

Tutto quanto premesso, è' dato quindi in sintesi osservare un andamento e diversi approdi interpretativi circa la punibilità amministrativa e/o penale dell'abuso del diritto, sintetizzabile come segue.

  1. Un primo orientamento non favorevole alla sanzionabilità penale in ragione della eventuale violazione di un atipico generale divieto di abuso del diritto immanente nel sistema fiscale in quanto ricavabile dai principi costituzionali ex art. 53 Cost. ed ex art. 37 bis d.P.R. n. 600/73 (CFR. “sentenze gemelle” del 23 dicembre 2008 nn. 30055; 30057; 30058);
  2. un secondo orientamento favorevole alla sanzionabilità penale mediante riconduzione del fenomeno alle fattispecie incriminatrici in materia tributaria (7739/2012 nota come sentenza “Dolce e Gabbana”);
  3. la soluzione del legislatore che depenalizza in via codificata entrambe le unificate figure della elusione e dell'abuso del diritto e prevede l'applicabilità della sanziona amministrativa per infedele dichiarazione (calcolata sulla differenza tra quanto dovuto sulla fattispecie aggirata e quanto versato dal contribuente).
L'abuso del diritto e la logica ideale

Con il precedente paragrafo è stato, dunque, sintetizzato in modo chiaro i tre termini del problema della sanzionabilità o no dell'abuso del diritto; sono stati peraltro delineati tre diversi modi con i quali il problema è stato affrontato e risolto, dapprima da contrastanti indirizzi espressi dalla Suprema Corte e, poi, dal Legislatore del 2015.

Così, infine, è stato segnalato l'esistenza e l'avvicendarsi nel tempo di tre soluzioni al medesimo problema, l'una diversa dall'altra; tant'è vero che la soluzione più recente, quella adottata dal legislatore, contraddice entrambi i precedenti e contrastanti orientamenti giurisprudenziali.

In definitiva, il test da condurre sul DM e sulla GM concerne il seguente interrogativo: la relazione [sanzione = f (abuso del diritto)] è matematicamente-mv possibile? Dunque, se tradotti in termini giusmatematici, quale dei tre approcci appena esposti (A, B, o C) sarebbe metodologicamente corretto?

In realtà, come si è appena osservato testando la GM sul dovere di autotutela, l'applicazione dell'algoritmo umano A-mv al caso concreto implica una propedeutica analisi logica del tema che funge da Indice-mv. Infatti, solo così facendo è possibile mappare il problema nella sua-mv categoria tipologica e associare ad esso il suo-mv Codice-mv.

Sia che si muova dal tema che formò in origine oggetto della nota pronuncia Halifax o delle successive sentenze della Suprema Corte di Cassazione in tema di abuso del diritto, sia che si muova dal tema intorno al quale sono costruiti i tre commi fondamentali dell'art. 10-bis (commi 1, 12 e 13), si percepisce immediatamente che l'abuso del diritto implica logica ideale, ossia (≡).

Probabilmente, alcuni di voi si chiederanno: perché qui sussiste questo tipo di implicazione logica?

Come si può individuare il corretto modo che consente di superare davvero questo primo passaggio della GM, peraltro puramente analogico?

Occorre in primo luogo partire dai segni che il tema esterna.

Per essere estremamente sintetici, limiterò il discorso a due soli segni indicati dall'Indice-mv, entrambi univoci.

Il primo, offerto dal comma 1 dell'art. 10-bis, indica che l'abuso è un indebito risparmio di imposta, dunque, è ciò che si ottiene da una differenza ideale (≡) tra un numero, quello che rappresenta l'Imposta realmente pagata (Ir) e un altro numero, quello che, a parità di capacità contributiva manifestata, rappresenta l'Imposta aggirata (Iagg), ossia l'imposta che avrebbe dovuto essere invece pagata. Tant'è vero che, appunto, se la capacità contributiva manifestata dalla fattispecie reale (CCr) è uguale alla capacità contributiva manifestata dalla fattispecie aggirata (CCagg), allora, e solo allora, venendo a sussistere la condizione di “indebito”, il noto comma 1 obbliga il contribuente a pagare l'imposta =f (abuso del diritto), ossia (Iab) = (Iagg) – (Ir). In tutto questo c'è sempre una sola soluzione, anzi, la soluzione ideale-mv. Perciò, la norma d'uso di se stessa- mv che il comma 1 dell'art. 10-bis dello Statuto contiene ha per Codice (≡). A riprova valga il fatto che la disposizione non indica arrotondamenti, dunque non ricorre la logica di verità puntuale ( · ), né indica certi limiti minimi e massimi, dunque neppure ricorre la logica di verità intervallare ( — ), né indica l'assenza di una soluzione o più soluzioni predeterminata/e, dunque, non ricorre la logica della verità impossibile ( Ø ).

La seconda, ricavabile dal combinamento dei commi 1 e 12 dell'art. 10-bis, crea anch'esso una relazione identitaria (≡), prevedendo che una cosa, ossia un'identità, esclude idealmente-mv l'altra: così, l'abuso del diritto esclude idealmente-mv l'evasione, o c'è l'uno o c'è l'altra, se c'è abuso, a priori non può esistere evasione, e viceversa. A riprova, nel combinamento dei commi 1 e 12 mancano indicazioni di arrotondamenti, resti o intervalli o spazi vuoti.

Tutto ciò significa che, per poter applicare correttamente l'art. 10-bis, occorre per forza di cosa passare propedeuticamente per una tabella di verità, appunto ideale, ossia (≡).

Non essendo possibile svolgere in questa sede tutti i passaggi attraverso i quali la tabella di verità viene costruita, rinvio, per quanti ne avessero la curiosità, a tutti i passaggi logici che conducono alla matematica illegittimità costituzionale dell'art. 10-bis (ex art. 23, nonché artt. 2, 3 e 53 Cost.) reperibili nei miei precedenti lavori (v., ad es., Abuso del diritto. Logica e Costituzione, 2016, 53 ss.), e comunque consultabili nel sito https://dirittomatematico.it/.

Una siffatta e propedeutica analisi logica (ossia analogica) del problema conduce in definitiva ai risultati rappresentati nella seguente tabella di verità.

Abuso del diritto - tabella di verità matematica-mv

tipo di norma

della quale è

sospetto l'avvenuto abuso

descrizione della norma

della quale è

sospetto l'avvenuto abuso

possibilità

matematica

di abuso

del diritto

occorre verificare se, nel concreto, vi sia stato abuso del diritto?

vero

diritto con verità

norme giuridiche

aventi veramente relazioni di validità necessarie

VERE

(norme veramente costituzionalmente legittime)

F

NO

falso

diritto con verità

norme giuridiche

aventi veramente relazioni di validità necessarie

FALSE

(norme veramente illegittime costituzionalmente

ma non rinviate o non dichiarate tali)

V

SI

vero

diritto senza verità

norme giuridiche

NON

aventi veramente relazioni di validità necessarie

(veramente non sindacabili in sede Costituzionale, UE o Int.le)

V

SI

falso

diritto senza verità

norme giuridiche

NON

aventi falsamente relazioni di validità necessarie

VERE

(costituzionalmente legittime)

F

NO

Costruita la tabella di verità, è poi semplice pervenire sia alle soluzioni del problema della sanzionabilità o no dell'abuso del diritto, sia, più in generale, al meno considerato ma ancor più importante problema della tassabilità o no dell'abuso del diritto.

I risultati dell'analisi sono rappresentati nella tabella che segue.

Tabella di automazione giusmatematica-mv delle possibilità logiche di esistenza nel concreto

di fattispecie di abuso del diritto (x) e del tipo delle conseguenze (Y) logicamente possibili

[ Y = f (x) ]

Codice-mv

Possibilità Logica

o

Impossibilità logica

di (vero)

Abuso del diritto

Possibilità Logica

o

Impossibilità logica

dell'Imposta

= f (Abuso del diritto)

Possibilità Logica

o

Impossibilità logica

della Sanzione amm.va

= f (Abuso del diritto)

Possibilità Logica

o

Impossibilità logica

della Sanzione penale

= f (Abuso del diritto)

( ≡ )

Impossibilità

Impossibilità

Impossibilità

Impossibilità

( · )

Impossibilità

Impossibilità

Impossibilità

Impossibilità

( — )

Possibilità

(di entità inversamente proporzionale rispetto al numero delle soluzioni possibili)

Impossibilità

Possibilità

(ma è necessaria nuova e specifica fattispecie sanzionatoria legale (*) logicamente correlata alla condotta

eticamente non grave)

Possibilità

(ma è necessaria nuova e specifica fattispecie sanzionatoria legale (*) logicamente correlata alla condotta

eticamente grave)

( ø )

Impossibilità

Impossibilità

Impossibilità

Impossibilità

In definitiva, se il discorso che in un Diritto Con Verità-mv il legislatore o l'operatore del diritto (giudice, funzionario o cittadino) ‘deve' svolgere è, come in effetti è, del tipo tertium non datur, nel senso che Logica e Costituzione italiana impongono una sola risposta, quella ideale, ossia, matematicamente parlando, quella più che vera-mv, allora perché continuare a prevedere o ad applicare l'imposta su una fattispecie per la quale è matematicamente-mv impossibile prevedere, e dunque applicare, l'imposta? Perché non prevedere ed applicare invece a tale fattispecie la sanzione che, invece, è per tale fattispecie matematicamente possibile-mv, purché sia specificamente tipizzata dalla legge?

Non sarebbe questo, prima di tutto, il modo per mantener fermo il valore, inestimabile, della logicità e dunque della realtà della nostra Carta fondamentale come Diritto Con Verità-mv in quanto atto a verificare la relazione tra sé e la convivenza sociale ed economica che caratterizza ancora la scienza e l'etica della nostra collettività?

Non si corre altrimenti il rischio di indebolire le fondamenta della relazione tra la Costituzione repubblicana e la convivenza sociale ed economica di una comunità, attuale e futura, che non ha smarrito e non intende smarrire le sue tradizioni millenarie?

In conclusione

Se il diritto che una società si dà ha davvero per fine dare a ciascuno il suo e ricevere da ciascuno il suo-mv, allora il suo fattore-mv A-mv (ossia l'algoritmo umano del Diritto Matematico-mv) è la sua Costante-mv.

Del resto, A-mv è ciò che si trova costantemente nelle relazioni che corrono tra disposizioni, tra norme, tra norme e persone, tra norme e cose etc.; così come, appunto banalmente, esso si trova nelle relazioni, di qualunque tipo o natura, che corrono tra persone, tra persone e cose etc. In ultimo, così come esso si trova nelle relazioni, dal più piccolo al più grande, e viceversa, che corrono tra ‘intellectus' e ‘res'. La Costante del Diritto-mv pare dunque la sua Mutevolezza-mv, ossia la mutevolezza ordinata, appunto matematica-mv, del tipo della interazione, imprescindibile e continua, tra ‘etica' e ‘scienza', così come testimoniata dalla forma-mv che, al loro insieme unitario, dà il combinamento-mv, perennemente mutevole, prodotto dal fattore A-mv, forma che, appunto, ha per nome Diritto Matematico-mv e della quale sono segni le Costituzioni matematiche, le Leggi matematiche, le Sentenze matematiche, i Provvedimenti matematici, gli Accordi matematici e così via dicendo; in sintesi, tutto ciò che identifica la Legislazione Matematica-mv o la Giustizia Matematica-mv.

In definitiva, nell'homo mathematicus-mv, ‘scienza' ed ‘etica' convivono pacificamente. Dunque, esse non sono irrimediabilmente antagoniste, e sempre protese a vincere l'una sull'altra, per lo più in assoluto, così come pare testimoniare la maggior parte della tradizione plurimillenaria di un ‘homo juridicus' nel quale l'‘homo burocraticus' domina l'‘homo rhetoricus' o viceversa.

E ciò accade perché nell'homo mathematicus-mv è univoco, in senso logico, solo il modo, circolare, del continuo sostituirsi, equivalente e non alternativo, delle due ragioni, o meglio delle due funzioni matematiche, dell'essere in pace con sé e con gli altri, ossia a ciascuno il suo e da ciascuno il suo-mv.

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