La problematica esenzione dal fallimento della start-up innovativa

Simone Marzo
16 Giugno 2021

L'esenzione dal fallimento connessa alla qualifica di start-up innovativa richiede non soltanto l'iscrizione della società nella sezione speciale del registro delle imprese previsto dall'art. 25, comma 8, d.l. n. 179/2012, ma anche la ricorrenza effettiva di tutti i presupposti richiesti dalla legge per il riconoscimento di detta qualifica.
Massima

L'esenzione dal fallimento connessa alla qualifica di start-up innovativa richiede non soltanto l'iscrizione della società nella sezione speciale del registro delle imprese previsto dall'art. 25, comma 8, d.l. n. 179/2012, ma anche la ricorrenza effettiva di tutti i presupposti richiesti dalla legge per il riconoscimento di detta qualifica.

(Fonte: IlFallimentarista)

Il caso

Pur esercitando attività commerciale, le società in possesso della qualifica di start-up innovativa ai sensi dell'art. 25, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito in l. 17 dicembre 2012, n. 221, sono come noto sottratte all'applicazione della disciplina del fallimento e, in prospettiva futura, della liquidazione giudiziale. L'art. 31, primo comma, del citato d.l. n. 179/2012 stabilisce infatti che “La start-up innovativa non è soggetta a procedure concorsuali diverse da quelle previste dal capo II della legge 27 gennaio 2012, n. 3”.

L'esclusione delle start-up innovative dall'ambito di applicazione del fallimento e della (rinominata) liquidazione giudiziale è stata confermata, come si accennava, anche dal Codice della crisi e dell'insolvenza, posto che dette società sono contemplate dall'

art. 2, comma 1, lett. c), CCI

tra i soggetti interessati dallo stato di “sovraindebitamento” e, quindi, tra quelli non assoggettabili alla liquidazione giudiziale di cui agli

artt. 121 ss. CCI

, bensì alla liquidazione controllata di cui agli

artt. 268 ss. CCI

.

Si tratta di una rilevante eccezione alla generale applicabilità della disciplina sulle procedure d'insolvenza a tutti gli imprenditori commerciali (non piccoli), che quindi impone una precisa delimitazione della sua portata applicativa.

Con la sentenza n. 55/2021 del 25 gennaio 2021 la Corte d'Appello di Brescia è intervenuta proprio su tale argomento ed ha enunciato alcuni rilevanti principi, che meritano di essere esaminati.

Il caso affrontato dalla Corte d'Appello, nei suoi tratti essenziali, è sintetizzabile come segue: una società iscritta nella sezione speciale del registro delle imprese contemplato dall'art. 25, comma 8, d.l. n. 179/2012 veniva dichiarata fallita dal Tribunale e proponeva reclamo dinanzi alla Corte d'Appello, deducendo per l'appunto che, data la sua iscrizione nella ridetta sezione speciale, avrebbe dovuto trovare applicazione in proprio favore l'esonero dal fallimento sancito dall'art. 31 del medesimo decreto.

La Corte d'Appello, dunque, è stata chiamata ad interrogarsi dapprima sulla rilevanza, ai fini dell'applicazione della norma che sottrae le start-up innovative dal fallimento, dell'iscrizione della società nella sezione speciale del registro delle imprese; superata tale questione nei termini che si vedranno, ha poi verificato la concreta sussistenza delle condizioni di operatività di tale esenzione. Soprattutto su tale seconda questione la sentenza fornisce alcuni interessanti spunti di riflessione, che ne sollecitano una più attenta disamina.

Le questioni giuridiche e le soluzioni

Le società start-up innovative ed i presupposti per l'esonero dal fallimento

L'esenzione delle start-up innovative dal fallimento e dalla liquidazione giudiziale è correlata dalla legge al possesso da parte della società della relativa qualifica soggettiva, la quale a sua volta è subordinata al possesso dei requisiti elencati dal secondo comma dell'art. 25 d.l. n. 179 del 2012.

L'art. 8 del citato articolo, inoltre, dispone che “Per le start-up innovative di cui ai commi 2 e 3 […] le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura istituiscono una apposita sezione speciale del registro delle imprese di cui all'articolo 2188 del codice civile, a cui la start-up innovativa e l'incubatore certificato devono essere iscritti al fine di poter beneficiare della disciplina della presente sezione”. L'iscrizione della società nella sezione speciale del registro delle imprese, dunque, rappresenta una condizione necessaria per beneficiare dell'esonero dal fallimento.

Occorre tuttavia rilevare che l'iscrizione della società nell'apposita sezione speciale del registro delle imprese avviene “automaticamente” (così il comma 12 dell'art. 25 d.l. n. 179/2012) a seguito della presentazione della domanda e che i requisiti richiesti dalla legge sono attestati dal legale rappresentante con apposita autocertificazione depositata presso l'ufficio del registro delle imprese all'atto della costituzione (comma 9) e successivamente con cadenza annuale (comma 15). Il comma 16 del citato art. 25, infine, prevede che “Entro 60 giorni dalla perdita dei requisiti di cui ai commi 2 e 5 la start-up innovativa o l'incubatore certificato sono cancellati d'ufficio dalla sezione speciale del registro delle imprese di cui al presente articolo, permanendo l'iscrizione alla sezione ordinaria del registro delle imprese. Ai fini di cui al periodo precedente, alla perdita dei requisiti è equiparato il mancato deposito della dichiarazione di cui al comma 15”.

Alla luce di tale disciplina, sorge innanzitutto il dubbio se l'esenzione dal fallimento e dalla liquidazione giudiziale per la start-up innovativa debba essere correlata unicamente all'iscrizione nell'apposita sezione speciale del registro delle imprese, dovendo a quest'ultima riconoscersi efficacia costitutiva dell'attribuzione della relativa qualifica, oppure se all'iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese debba accompagnarsi la verifica circa l'effettivo possesso dei requisiti previsti dall'art. 25, comma 2, d.l n. 179/2012.

L'interrogativo ha motivo di porsi atteso che, come già chiarito dalla giurisprudenza (Trib. Torino - Giud. Registro imprese, ord. 10 febbraio 2017; Trib. Roma - Giud. Registro imprese, ord. 5 aprile 2019), la citata disciplina non assegna all'ufficio del registro delle imprese alcun potere di sindacato sulla veridicità delle attestazioni rese dalle “aspiranti” start-up innovative, né alcun potere di carattere ispettivo sulla reale sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge. Per tale motivo, è più che verosimile ipotizzare che nell'apposita sezione speciale del registro delle imprese vengano e restino iscritte per periodi di tempo più o meno lunghi anche società che non hanno mai posseduto o che già abbiano perso i requisiti di iscrizione.

Un argomento in favore della rilevanza costitutiva dell'iscrizione della società nella sezione speciale del registro delle imprese potrebbe trarsi dall'art. 31, comma 4, d.l. n. 179/2012, laddove prevede che venga a cessare “l'applicazione della disciplina prevista nella presente sezione” qualora la start-up innovativa “perda uno dei requisiti previsti dall'articolo 25, comma 2, prima della scadenza dei cinque anni dalla data di costituzione, secondo quanto risultante dal periodico aggiornamento della sezione del registro delle imprese di cui all'articolo 25, comma 8”. La disposizione appena citata sembrerebbe dunque collegare la perdita dei benefici concessi dalla legge alla start-up innovativa (tra cui l'esenzione dal fallimento) alle risultanze dei periodici aggiornamenti della sezione speciale del registro delle imprese.

Altri elementi, però, depongono in senso contrario.

In primo luogo, non sembra che dalla norma sopra richiamata possa evincersi una presunta natura costitutiva dell'iscrizione della società nella sezione speciale del registro delle imprese, in deroga alla mera efficacia di pubblicità-notizia normalmente connessa alle iscrizioni nelle sezioni speciali del predetto registro. La norma sopra menzionata, in tale ottica, individuerebbe nell'iscrizione della società nella sezione speciale il presupposto necessario per l'applicazione del regime giuridico privilegiato in parola, ma ciò sempre a condizione che a tale iscrizione corrisponda l'effettiva sussistenza dei requisiti previsti dalla legge per l'attribuzione della ridetta qualifica di start-up innovativa.

Inoltre, come osservato in giurisprudenza, l'assenza di qualunque controllo sostanziale sulla sussistenza dei requisiti richiesti per l'iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese comporterebbe il riconoscimento di “una sorta di autoreferenzialità della natura stessa della società che, pur essendo una società commerciale, sarebbe sottratta al fallimento sulla base della mera dichiarazione del suo legale rappresentate a scapito delle ragioni dei creditori” (così, Trib. Udine, sent. 22 maggio 2018, in www.ilfallimentarista.it, con commento di F. Cesare, La dichiarazione di fallimento della start up apparente, 13 agosto 2018).

Tali ragioni inducono a ritenere che l'iscrizione della società nella sezione speciale del registro delle imprese dedicato alle start-up innovative “non preclude di per sé […] l'accertamento in sede prefallimentare dell'effettiva sussistenza dei requisiti di legge per l'attribuzione di tale qualifica al fine di verificare l'assoggettabilità o meno, sotto il profilo soggettivo, al fallimento della società resistente” (così, sempre, Trib. Udine, sent. 22 maggio 2018).

Seppure con una motivazione non particolarmente articolata, anche la sentenza qui commentata si orienta nel senso appena indicato, affermando che “l'esenzione dalle procedure concorsuali prevista dall'art. 31 D.L. 179/2012 suppone non soltanto l'iscrizione dell'impresa nell'apposito registro previsto dall'ottavo comma dell'art. 25 di tale decreto ma anche l'effettiva ricorrenza di tutti i presupposti richiesti dal medesimo art. 25 per la qualificazione dell'impresa come start up innovativa”.

Anche secondo la Corte d'Appello di Brescia, dunque, l'iscrizione della società nella sezione speciale del registro delle imprese previsto dall'art. 25, comma 8, d.l. n. 179/2012, che nel caso in esame sussisteva pacificamente, rappresenta una condizione necessaria ma di per sé non sufficiente a garantire alla società l'esenzione dal fallimento. La società che intenda sottrarsi al fallimento ed alla liquidazione giudiziale in quanto qualificata come start-up innovativa, pertanto, dovrà dimostrare non soltanto di essere iscritta nella relativa sezione speciale del registro delle imprese, ma anche l'effettivo possesso dei requisiti previsti a tal fine dalla legge.

Il requisito dell'oggetto sociale

Passando ad esaminare la concreta sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge, la Corte d'Appello di Brescia giunge ad escludere che nel caso di specie la società debitrice potesse legittimamente assumere la qualifica di start-up innovativa (e dunque sottrarsi per tale ragione alla dichiarazione di fallimento), sulla base di tre concorrenti ragioni.

La prima carenza individuata dai Giudici riguarda l'oggetto sociale. L'art. 25, comma 2, lett. f), d.l. n. 179/2012 richiede infatti che, per vedersi riconosciuta la qualifica in parola, la società debba avere “quale oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico”.

Nel caso di specie, l'oggetto sociale della società debitrice prevedeva, tra l'altro, “la progettazione, sviluppo, produzione e commercializzazione di prodotti e servizi ad alto valore tecnologico”, ma in nessun passo della clausola statutaria si faceva riferimento al carattere di innovatività dei prodotti o servizi che la società si proponeva di progettare e produrre. Tanto avrebbe comportato, secondo la Corte d'Appello, l'impossibilità per la società di assumere la qualifica di start-up innovativa.

Ad una prima analisi, la decisione potrebbe sembrare fondata su una lettura eccessivamente formalistica della clausola statutaria, poiché una clausola così formulata avrebbe certamente consentito la progettazione e lo sviluppo di prodotti e servizi innovativi. Si potrebbe dunque ritenere che il solo mancato richiamo testuale al carattere di innovatività dei prodotti o servizi non potesse giustificare la conclusione raggiunta dalla Corte d'Appello, se l'attività concretamente svolta dalla società avesse rispettato il requisito dell'innovatività.

Sulla correttezza di una simile conclusione, invero, sarebbe lecito dubitare. Nel richiamare l'“oggetto sociale esclusivo o prevalente”, l'art. 25, comma 2, lett. f), d.l. n. 179/2012 sembra infatti riferirsi proprio a quello consacrato nella clausola dello statuto o dell'atto costitutivo, fermi restando i problemi, già emersi nella prassi giurisprudenziale (si veda, Trib. Torino - Giud. Registro imprese, ord. 10 febbraio 2017) in merito alla difficoltà di valutare il carattere di innovatività dell'oggetto sociale enunciato.

Quanto appena detto sembra confermato dal fatto che, nella prospettiva del legislatore, l'effettiva sussistenza di un alto valore tecnologico e di un elevato grado di innovatività dell'attività concretamente esercitata dalla società dovrebbe essere dimostrata dalla ricorrenza di uno dei tre criteri alternativi richiesti dalla successiva lett. h) del medesimo art. 25, comma 2, di cui altrimenti sarebbe difficile cogliere la ratio.

Un ulteriore indizio in tal senso sembra potersi trarre proprio dal richiamato art. 25, comma 2, lett. h), n. 3, d.l. n. 179/2012 il quale, ai fini dell'iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese, richiede che la società sia titolare, licenziataria o depositaria di una delle privative industriali ivi menzionate, a condizione che “tali privative siano direttamente afferenti all'oggetto sociale e all'attività di impresa”.

Anche il legislatore, dunque, dimostra di aver avuto una distinta considerazione dell'oggetto sociale enunciato nello statuto o nell'atto costitutivo e dell'attività d'impresa concretamente svolta dalla società; da ciò si può dedurre che il riferimento all'oggetto sociale contenuto tanto nella lett. f) quanto nella lett. h) dell'art. 25, comma 2, d.l. n. 179/2012 sia da intendere come rivolto proprio a quello enunciato nell'atto costitutivo o nello statuto.

La qualifica di start-up innovativa, in definitiva, può essere riconosciuta alle società che svolgano effettivamente attività innovative e ad alto valore tecnologico, ma sempre a condizione che l'esercizio di tali attività rappresenti l'oggetto esclusivo o prevalente dell'oggetto sociale dichiarato nell'atto costitutivo o nello statuto; difettando tale presupposto, la qualifica (e la correlata esenzione dal fallimento) non dovrebbe essere riconosciuta.

La qualifica di “depositaria” di privativa industriale

Ferma la carenza riguardante l'oggetto sociale, la Corte d'Appello ha ritenuto che la debitrice non integrasse nemmeno alcuno dei requisiti funzionali a dimostrare il concreto carattere di innovatività dell'attività esercitata.

L'art. 25, comma 2, lett. h), n. 3, d.l. n. 179/2012 dispone che la società possa essere iscritta nella sezione speciale qualora, tra le altre ipotesi, “sia titolare o depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale ovvero sia titolare dei diritti relativi ad un programma per elaboratore originario registrato presso il Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore, purché tali privative siano direttamente afferenti all'oggetto sociale e all'attività di impresa”.

Nel caso di specie la debitrice aveva dedotto di essere depositaria di una privativa industriale, per avere proposto una domanda di brevetto per invenzione industriale. La Corte d'Appello, però, ha rilevato che la domanda di brevetto per invenzione era stata respinta, in quanto il progetto presentato non avrebbe posseduto le caratteristiche tipiche del brevetto industriale ma quelle del modello di utilità, e che tale tipologia di privativa industriale non è tra quelle contemplate dal citato n. 3 della lett. h).

Tale capo della decisione merita alcune necessarie precisazioni.

La lett. h) indica puntualmente i diritti di proprietà industriale di cui la società deve essere titolare, licenziataria o depositaria, richiamando quelli disciplinati dalle sezioni IV (invenzioni), IV-bis (invenzioni biotecnologiche), VI (topografie dei prodotti a semiconduttori), VIII (nuove varietà vegetali) del capo II del Codice della proprietà industriale di cui al d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, ma non anche i modelli di utilità di cui alla sezione V del citato capo. Pertanto, non sembra possibile estendere la portata applicativa della norma di esenzione dal fallimento anche a società che non abbiano integrato i presupposti richiesti dalla legge, in quanto mere titolari, licenziatarie o depositarie di brevetto per modello di utilità.

Sotto tale profilo, dunque, la decisione appare in linea di principio corretta. Si può tuttavia sollevare qualche dubbio sul fatto che, in concreto, la società debitrice non potesse essere qualificata quale depositaria di una domanda di brevetto per invenzione industriale.

Come chiarito dal Ministero dello Sviluppo Economico (parere prot. n. 0147532 del 22 agosto 2014), il legislatore ha disposto “che la start up possa essere non soltanto titolare o licenziataria ma anche “depositaria” di tale privativa” e ciò implica “che il requisito sarebbe soddisfatto anche nel caso in cui la start up avesse presentato domanda per la registrazione del brevetto, pur non conoscendone ancora l'esito”; pertanto, sempre secondo il Ministero, “ove la società abbia già depositato formalmente il brevetto, ancorché sia ancora in attesa di registrazione, appare verificato il requisito dell'“essere depositaria”, ed in quanto tale appare iscrivibile nella sezione speciale del registro delle imprese”.

La qualifica di “depositaria” di una privativa industriale, dunque, dovrebbe essere riconosciuta alla società che sia ancora in attesa dell'esito della domanda di registrazione presentata.

Nel caso di specie la dichiarazione di fallimento era intervenuta successivamente al rigetto della domanda di brevetto per invenzione industriale; ancorché nella sentenza non sia specificato, si può supporre che la domanda di brevetto fosse stata rigettata dall'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi e che al momento della dichiarazione di fallimento fosse ancora pendente il termine di 60 giorni per l'impugnazione dinanzi la Commissione dei ricorsi ex art. 135 c.p.i. (contro le cui decisioni è a sua volta ammesso ricorso in Cassazione exart. 136-terdeciesc.p.i.). Attesa la scansione temporale degli eventi di cui si dà atto nella sentenza e considerato che, ai sensi dell'art. 136-octies, comma 5, c.p.i., l'intervenuto fallimento della società comporta la proroga di sei mesi del termine per proporre il ricorso, si può verosimilmente ipotizzare che tale termine fosse ancora pendente persino alla data di pubblicazione della sentenza della Corte d'Appello. A tale data, in sostanza, il provvedimento di rigetto della domanda di brevetto per invenzione non era ancora divenuta definitivo.

Se così fosse, sorgerebbe quanto meno il dubbio che (tanto alla data della sentenza di fallimento quanto alla data della sentenza sul reclamo fallimentare) la società potesse ancora essere qualificata quale “depositaria” della domanda di brevetto per invenzione industriale, trattandosi di una domanda rigettata soltanto in prima istanza. Nessun elemento certo consente infatti di ritenere che il rigetto della domanda da parte dell'Ufficio Italiano Marchi e Brevetti possa di per sé far venire meno la qualifica di “depositaria” rilevante ai fini dell'art. 25, comma 2, lett. h), n. 3, d.l. n. 179/2012, anche qualora tale provvedimento sia ancora censurabile dinanzi la Commissione dei ricorsi.

Pur affermando un principio corretto (ovvero che la presentazione di una domanda di brevetto per modello di utilità non integra il presupposto di cui all'art. 25, comma 2, lett. h), n. 3, d.l. n. 179/2012) il capo della sentenza in commento potrebbe allora ritenersi viziato, avendo escluso la qualità di depositaria di una domanda di brevetto per invenzione industriale sulla base di un provvedimento non ancora definitivo e, perciò, verosimilmente non idoneo ad escludere tale qualità.

La pretesa incompatibilità tra stato di liquidazione e qualifica di start-up innovativa

Anche l'ultimo motivo in base al quale la Corte d'Appello ha escluso che la società debitrice potesse in concreto assumere la qualifica di start-up innovativa desta alcune perplessità.

Secondo la Corte, ad escludere l'applicazione dell'art. 31, primo comma, del citato d.l. n. 179/2012 “è poi il fatto che la società fallenda è stata messa in liquidazione in data 5 luglio 2019, e, quindi, da tale data non è più stata “attiva””, ed ancora, che la società “per essere iscritta nella sezione speciale e beneficiare della disciplina di speciale favore riservatale dal legislatore, deve perciò essere attiva; allo scioglimento di una società, invece, consegue l'avvio della fase liquidatoria, che comporta inevitabilmente l'arresto della fase di progettazione e produzione, in linea col principio generale del divieto del compimento di nuovi atti d'impresa”.

Secondo la Corte d'Appello, in altri termini, la qualifica di start-up innovativa può essere riconosciuta soltanto a società “attive”, cioè che non abbiano avviato la fase di liquidazione conseguente al loro scioglimento.

Come detto, quanto meno nella sua assolutezza, tale assunto solleva alcuni dubbi. È certo che lo scioglimento della società incida notevolmente sulle finalità verso cui tende l'attività sociale (da qualificarsi pur sempre d'impresa), che non è più quella “di restare sul mercato” ma diviene quella “di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività, e alla distribuzione dell'eventuale residuo tra i soci” (così, tra le tante, Cass., sez. I, ord. 10 dicembre 2020, n. 28193, sul noto tema della c.d. “insolvenza statica” nelle società in liquidazione). Nulla però esclude che tale finalità venga perseguita mediante la continuazione dell'attività d'impresa, come espressamente contemplato dagli artt. 2487 e 2490 c.c.; secondo l'opinione prevalente, inoltre, l'eventuale continuazione dell'attività d'impresa potrebbe essere decisa anche in mancanza di una espressa deliberazione assembleare in tal senso (ma non in presenza di una deliberazione contraria).

In sostanza, il mero scioglimento della società non implica ex se e necessariamente la cessazione della fase “dinamica” dell'attività d'impresa; pertanto, non dovrebbe nemmeno comportare l'automatica perdita della qualifica di start-up innovativa rilevante ai fini dell'esenzione dal fallimento.

Occorre d'altro canto considerare che l'affermata incompatibilità tra la qualifica di start-up innovativa e la fase di liquidazione della società condurrebbe a ritenere inoperante l'esenzione dal fallimento della start-up innovativa proprio nei casi in cui maggiore sarebbe l'interesse ad assicurare tale esenzione.

Come rileva la stessa Corte d'Appello, l'intento perseguito dal legislatore con la disciplina in esame è quello di favorire l'avvio di attività economiche ad alto rischio (proprio in quanto maggiormente innovative), ponendole al riparo dal pericolo del fallimento nel caso in cui l'iniziativa volgesse all'insuccesso. Se ciò è vero, è allora evidente che l'esenzione dal fallimento avrebbe motivo di operare proprio nel momento in cui i soci abbiano deciso di porre fine ad un'iniziativa imprenditoriale rivelatasi non proficua, cioè proprio nell'ipotesi in cui la Corte d'Appello di Brescia ha ritenuto che l'esenzione dal fallimento non possa essere riconosciuta.

Potrebbe invero sostenersi che, in tali casi, la società abbia modo di sottrarsi al fallimento accedendo alla procedura di liquidazione del patrimonio attualmente prevista dalla l. 27 gennaio 2012, n. 3 (e, in futuro, alla liquidazione controllata ex

artt. 268 ss. CCI

). In tal modo si contempererebbe l'interesse della società a non essere assoggettata al fallimento e quello dei creditori sociali ad una liquidazione comunque regolata secondo i canoni della concorsualità.

Inoltre, anche escludendo che allo scioglimento della società consegua automaticamente la perdita della qualifica di start-up innovativa, la perdita di tale qualifica dovrebbe in ogni caso verificarsi allorché, proprio in conseguenza dell'apertura della fase di liquidazione, la società non fosse più in grado di rispettare uno dei requisiti richiesti dall'art. 25, comma 2, lett. h), d.l. n. 179/2012 (perché ad esempio non sostenesse più spese in ricerca e sviluppo, interrompesse i rapporti di lavoro o collaborazione con il personale qualificato o cedesse i diritti di privativa industriale di cui era titolare).

Ciò sembrerebbe in effetti confermare che, nella prospettiva del legislatore, la qualifica di start-up innovativa (e con essa l'esenzione dal fallimento) sia riservata alle sole società “attive” nel senso indicato dalla Corte d'Appello di Brescia, venendo perciò meno con l'interruzione dell'esercizio dinamico dell'impresa.

Conclusioni

Alla luce delle brevi riflessioni sin qui esposte, si può concludere rilevando come la norma che esonera le società start-up innovative dal fallimento si presenti di applicazione assai incerta.

L'unico principio sul quale non sembra vi siano dubbi è quello in forza del quale l'esonero dal fallimento disposto dall'art. 31, comma 1, d.l. n. 179/2012 non è correlato unicamente alla formale iscrizione della società nella sezione speciale del registro delle imprese ma anche all'effettiva sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge per l'assunzione della qualifica di start-up innovativa e che, conseguentemente, la società che intenda beneficiare di tale norma è onerata di dimostrare la concreta ricorrenza di tali presupposti.

Tale principio viene ribadito anche dalla Corte d'Appello di Brescia e trova fondamento nell'assenza di poteri ispettivi in capo al conservatore del registro delle imprese circa la sussistenza dei presupposti per l'iscrizione della società nella sezione speciale, da cui non può che scaturire la sindacabilità della qualifica in sede fallimentare.

Passando alla concreta verifica circa la sussistenza di tali presupposti, però, l'incertezza è massima, praticamente con riguardo a tutti i requisiti richiesti dall'art. 25, comma 2, d.l. n. 179/2012.

Ciò sembra dovuto principalmente alla scarsa consapevolezza, da parte del legislatore, della complessità delle questioni connesse all'interpretazione di una norma soltanto apparentemente banale, quale quella che dispone l'esenzione dal fallimento delle start-up innovative. In un simile contesto, soltanto un'accorta opera di ricostruzione ermeneutica della normativa può assicurare risultati applicativi coerenti con la ratio che ne sta alla base.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.