Le modifiche al piano nelle procedure concorsuali: profili applicativi e funzione dell'attestatore

Paolo Scapolo
17 Giugno 2021

Le modifiche del piano e della proposta nelle procedure concorsuali è una tematica che è tornata di attualità in ragione dell'emergenza pandemica: il Legislatore è intervenuto, dapprima, con il D.L. 23/2020 e poi con la modifica all'art.182 bis L.F. ad opera dell'art. 37 bis in sede di conversione del c.d. Decreto Sostegni. Il testo novellato costituisce di fatto l'anticipazione dell'entrata in vigore del CCI che introduce, nell'ambito degli accordi, la distinzione tra modifiche sostanziali del piano intervenute prima o dopo l'omologazione dell'accordo, richiedendo - in entrambi i casi - il rinnovo dell'attestazione. Restano tuttavia irrisolti taluni profili applicativi: traendo spunto dalla normativa emergenziale, si approfondiscono i contenuti sulla base di una breve disamina del dettato normativo, dei principi di attestazione di recente emanazione e dell'orientamento assunto dalla best practice professionale.
Introduzione

Le modifiche del piano e della proposta nelle procedure concorsuali è una tematica che è tornata di attualità in ragione dell'emergenza pandemica .

iI Legislatore è intervenuto, dapprima, con il D.L. 8 aprile 2020, n. 23, e poi con la modifica all'art. 182 bis L.F. introdotta dall'art. 37 bis in sede di conversione del D.L. 22 marzo 2021, n. 41 (c.d. Decreto Sostegni), stabilendo che, se si rendono necessari cambiamenti sostanziali del piano, l'imprenditore può apportare le modifiche idonee ad assicurare l'esecuzione dell'accordo di ristrutturazione, richiedendo all'attestatore indipendente il rinnovo della relazione attestativa.

Prima dell'introduzione della recente disposizione, il principio di modifica del piano o della proposta nella direttiva nazionale, trovava regolamentazione infatti solo nell'ambito del concordato preventivo, ove il Legislatore si era limitato a specificare che è necessaria una nuova attestazione nel caso in cui si verifichino modifiche sostanziali al piano o alla proposta, lasciando tuttavia alla libera interpretazione la qualificazione delle stesse.

Il testo novellato costituisce di fatto l'anticipazione dell'entrata in vigore del Codice della crisi che introduce, nell'ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti, la distinzione tra modifiche sostanziali del piano intervenute prima o dopo l'omologazione dell'accordo, richiedendo - in entrambi i casi - il rinnovo dell'attestazione.

Restano tuttavia irrisolti taluni profili applicativi: traendo spunto dalla normativa emergenziale, si è ritenuto pertanto di approfondirne i contenuti sulla base di una breve disamina del dettato normativo, dei principi di attestazione di recente emanazione e dell'orientamento assunto dalla best practice professionale.

Spunti dalla normativa emergenziale

Con il comma 2 dell'art. 9 D.L. 8 aprile 2020, n. 23 è stata prevista la facoltà per il debitore (“nei procedimenti per l'omologazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione pendenti alla data del 23 febbraio 2020”) di presentare un nuovo piano e una nuova proposta di concordato ai sensi dell'art. 161 L.F. (di seguito CP) o di un nuovo accordo di ristrutturazione ai sensi dell'art. 182-bis L.F. (di seguito ADR) sino all'udienza fissata per l'omologa.

Dalla lettura della norma emergevano due aspetti meritevoli di più attenta analisi:

  1. il Legislatore ha usato il sostantivo “nuovo”, non riferendosi pertanto direttamente ad una modifica del piano e della proposta;
  2. l'intervallo temporale a cui il Legislatore ha fatto implicitamente riferimento parrebbe essere quello compreso tra la data di deposito della domanda c.d. “piena” (ai sensi dell'art. 182 bis, comma 1, nel caso di ADR ed ai sensi dell'art. 161, comma 1, nel caso di CP) e la data di omologa. Si tenderebbe ad escludere il periodo compreso tra la data di deposito della proposta di accordo disciplinata dall'art. 182 bis, comma 7, e la successiva data di deposito della proposta c.d. “definitiva” disciplinata dal combinato disposto dei comma 1 e comma 7 del medesimo articolo. Tale fattispecie non richiederebbe infatti a priori un nuovo piano e una nuova proposta di ADR essendo pendente de facto il deposito della domanda stessa. Tale assunto vale anche nel caso di deposito di una domanda ex art. 161, comma 6, L.F. seguita poi dalla proposta exart. 182 bis, comma 1.

Invero, al medesimo comma, il legislatore ha tenuto a precisare che “l'istanza è inammissibile se presentata nell'ambito di un procedimento di concordato preventivo nel corso del quale è già stata tenuta l'adunanza dei creditori, ma non sono state raggiunte le maggioranze stabilite dall'art. 177 L.F.” (art. 9, comma 2, D.L. 8 aprile 2020, n. 23).

Tale disposizione, collegata al favor legis riconosciuto alle imprese in crisi che nel CP raggiungono il traguardo del voto a maggioranza, potrebbe far sorgere tuttavia qualche dubbio circa la declinazione della norma sul piano sostanziale, dal momento che:

  • in mancanza di maggioranza, il dettato normativo disciplinato dagli artt. 162, comma 2, e 179 L.F. prevede già la revoca dell'ammissione alla procedura di CP, dal che la facoltà del debitore di presentare una nuova domanda ex art. 161, comma 1, L.F.;
  • un nuovo piano e una nuova proposta risultano improcedibili in pendenza di una domanda di CP; sul punto è stato affermato, infatti, che “non è configurabile una ulteriore domanda di concordato con carattere di autonomia rispetto a quella originaria – che dia, cioè, luogo a una nuova e separata procedura, che ricominci dal suo inizio con l'audizione del debitore – perché con riguardo al medesimo imprenditore e alla medesima insolvenza il concordato non può che essere unico, e dunque unica la relativa procedura ed il suo esito” (Trib. Busto Arsizio 4 aprile 2018). Tale conclusione si ritiene valga anche in pendenza dell'omologa di una procedura di ADR già depositata ai sensi dell'art. 182 bis, comma 1.

Senza con ciò voler dimenticare che, in base alla citata normativa emergenziale, occorre che la procedura sia pendente alla data del 23 febbraio 2020 (data che segna astrattamente una sorta di spartiacque tra l'era ante e post Covid-19), come confermato dalla relazione Illustrativa al D.L. in commento. Pare tuttavia potersi ritenere che il Legislatore con l'aggettivo “nuovo” abbia voluto intendere una “modifica sostanziale” al piano e alla proposta, poiché la qualificazione della nuova domanda come autonoma non troverebbe giustificazione in diritto, tanto più superata la fase di ammissione alla procedura di concordato preventivo ai sensi dell' art.162 L.F.

Specificando che la modifica debba avere natura sostanziale, troverebbe collocazione tra le modifiche di natura non sostanziale allora anche il successivo comma 3, ove viene disposto che “Quando il debitore intende modificare unicamente i termini di adempimento del concordato preventivo o dell'accordo di ristrutturazione deposita sino all'udienza fissata per l'omologa una memoria contenente l'indicazione dei nuovi termini, depositando altresì la documentazione che comprova la necessità della modifica dei termini. Il differimento dei termini non può essere superiore di sei mesi rispetto alle scadenze originarie” (art. 9, comma 3, D.L. 8 aprile 2020, n. 23).

Tale assunto pare, nella sostanza, confermato anche dal recente intervento del legislatore che introduce nell'art. 182 bis L.F. – attraverso l'art. 37 bis in sede di conversione del D.L. 41/2021 - la facoltà per l'imprenditore di modificare il piano in modo che lo stesso risulti idoneo ad assicurare l'esecuzione dell'accordo di ristrutturazione.

Detta circostanza non prevede esplicitamente un nuovo giudizio omologativo da parte del Tribunale, ma richiede che l'attestatore rinnovi la propria relazione di attestazione.

Le modifiche al piano nella prassi

Per collocare compiutamente l'ambito di intervento del legislatore, si reputa utile muovere dall'identificazione dei periodi temporali da considerare ai fini della proposizione da parte del debitore di eventuali modifiche al piano e alla proposta, che si ritiene possano essere così individuati:

  1. periodo antecedente al deposito del ricorso contenente il piano/accordo ai sensi degli artt. 161, comma 1, e 182 bis, comma 1;
  2. periodo compreso tra il deposito del ricorso contenente il piano/accordo e l'omologazione da parte del Tribunale;
  3. periodo successivo all'omologazione previsto per l'esecuzione del piano (ovviamente nel caso in cui il giudizio di omologazione abbia avuto esito positivo).

Invero, più che di modifiche, sarebbe probabilmente più appropriato parlare nel primo caso di correttivi che il debitore (con l'ausilio degli advisors estensori della predisposizione del piano) mette a punto al fine di presentare una versione definitiva del piano che possa essere giudicata dal professionista incaricato di attestarla come : i) veritiera dal punto di vista della base dati contabile e ii) attuabile/fattibile dal punto di vista delle prospettive di realizzabilità.

Le modifiche del piano e della proposta nei periodi identificati ai precedenti pt. 2 e 3 trovano invece applicazioni differenti a seconda che si tratti di ADR o di CP.

Accordi di ristrutturazione

A differenza dei CP, la fase di esecuzione degli accordi non risulta puntualmente disciplinata, non potendosi invocare l'applicazione dell'art. 185 L.F. Non esistono pertanto organi della procedura demandati alla sorveglianza dell'adempimento, tantomeno deputati a raccogliere le segnalazioni sull'esecuzione. L'ADR, inoltre, dal punto di vista giuridico è un contratto che si perfeziona, al pari di qualsiasi altro contratto, secondo le ordinarie regole civilistiche ed è perciò valido ed efficace indipendentemente dalla sua omologazione. L'omologazione non costituisce, infatti, un elemento essenziale dell'accordo, bensì un elemento necessario affinché si producano gli effetti protettivi assicurati dalla legge (Sciuto, Effetti legali e negoziali degli accordi di ristrutturazione dei debiti, 2009, in Rivista Diritto Civile. Si veda anche Nocera, Analisi civilistica degli accordi di ristrutturazione dei debiti, 2017).

L'ADR ed i negozi ad esso collegati rimangono pertanto “pienamente validi ed efficaci anche se in concreto inattuabili (ossia inidonei a superare lo stato di crisi/insolvenza del debitore ed assicurare il pagamento dei creditori non aderenti), con l'unica conseguenza che:

  1. ove l'accordo sia ab origine inattuabile il Tribunale non omologherà l'accordo;
  2. ove l'inattuabilità dell'accordo si manifesti successivamente all'omologazione quale conseguenza di patologie sopravvenute, gli effetti protettivi dell'omologazione vengono meno” (Pirisi, Accordi di ristrutturazione: inadempimenti e scostamenti rispetto alle previsioni di piano, in Il Fallimentarista.it, 2017).

Ciò premesso, il Legislatore ha ritenuto in sede di conversione del D.L. Sostegni, di definire maggiormente, attraverso il comma 7 dell'art. 182 bis L.F., il perimetro di intervento in caso di modifiche sostanziali del piano sottostante all'accordo di ristrutturazione.

Il citato articolo, ricalcando la disposizione di cui all'art. 58 (di cui si dirà più approfonditamente nel proseguo del presente contributo) del Codice della crisi, prevede che, qualora a seguito dell'omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti si rendano necessarie modifiche sostanziali al piano, l'imprenditore proponente l'accordo medesimo già omologato, vi apporti unilateralmente le modifiche idonee ad assicurarne l'esecuzione, richiedendo al professionista indipendente, dotato dei requisiti richiesti all'art. 67, comma 3, lett. d), L.F., il rinnovo della relazione attestativa.

In tal caso, il piano modificato e la relazione sono pubblicati nel registro delle imprese e della

pubblicazione è dato avviso ai creditori a mezzo di lettera raccomandata o posta elettronica certificata. Entro trenta giorni dalla ricezione dell'avviso è ammessa opposizione avanti al Tribunale, nelle forme stabilite dal comma 4 dell'art. 182 bis L.F., dinnanzi alla Corte di appello.

Il comma 7 dell'art. 182 L.F. introduce pertanto, tacitamente, la distinzione - ai fini della regolamentazione della modifica del piano - tra il periodo compreso tra il deposito del ricorso contenente il piano/accordo e l'omologazione da parte del Tribunale ed il periodo successivo all'omologazione previsto per l'esecuzione del piano.

Sotto il profilo pratico, gli operatori si troveranno ad affrontare quindi differenti casistiche, ovverosia:

  • qualora nel piano si manifestino scostamenti che non determino il venir meno i) del soddisfacimento dei creditori estranei, ii) del regolare adempimento dei creditori aderenti, iii) della ragionevole prospettiva di integrale adempimento dell'accordo, si può ritenere che il debitore non sia tenuto ad intervenire modificando l'accordo (cfr. Fabani, Fase esecutiva degli accordi di ristrutturazione e varianti del piano e dell'accordo, 2013, in Fall.);
  • qualora nell'ambito dell'accordo si verifichino al contrario:
    • scostamenti dagli accordi sottoscritti con i creditori cd. aderenti, che determinino l'inadempimento con effetti civilistici (ad es. risoluzione ex art. 1453 c.c. o clausola risolutiva espressa exart. 1456 c.c.);
    • inadempimenti circa l'obbligo di integrale pagamento dei creditori non aderenti nei termini stabiliti dall'art. 182 bis L.F. (il debitore non viola un'obbligazione contrattualmente assunta, posto che l'accordo di ristrutturazione è da considerarsi res inter alios acta exart. 1373 c.c. bensì viola un obbligo imposto dalla legge, con la conseguenza che il creditore non aderente potrà esperire un'azione esecutiva individuale) (Pirisi, op. loc. cit.);
    • modifiche all'accordo risultano necessarie per evitare il rischio che venga successivamente disconosciuta l'esenzione dalla revocatoria fallimentare degli atti posti in essere in esecuzione dell'accordo stesso (Fabani, op. loc. cit.).

Tali modifiche si ritiene possano essere distinte in meccanismi correttivi “preventivi” e “successivi”.

I meccanismi preventivi, volti a dare esecuzione all'accordo in presenza di eventi patologici reversibili, possono essere inseriti nell'accordo stesso attraverso alcune clausole (che valgono rispetto ai soli creditori aderenti) di aggiustamento automatico del piano (correttivi interni al piano), quali a titolo esemplificativo la cessione di un cespite non strumentale alla prosecuzione dell'attività d'impresa in presenza di uno scostamento negativo nella generazione di flussi di cassa oppure clausole pattizie di self adjusting (aggiustamento automatico del piano) che producono i loro effetti al verificarsi dell'evento patologico. Ad esempio il debitore e i creditori aderenti potranno pattuire che, ove la gestione non consenta la generazione di cassa in misura sufficiente ad assicurare il pagamento in danaro dei creditori nella misura stabilita, scatti un meccanismo di conversione in strumenti finanziari partecipativi di tutti o parte dei crediti non soddisfatti (Pirisi, op. loc. cit.).

Qualora invece si manifestino circostanze e scenari non neutralizzati preventivamente attraverso i citati correttivi di adeguamento automatico, ci si è chiesto in passato se occorresse sottoporre nuovamente l'accordo ad una nuova attestazione e (nel caso in cui l'accordo fosse già stato omologato da parte del Tribunale) ad una nuova omologa.

A tal riguardo, in giurisprudenza si registravano scarsissimi contributi e non di recente derivazione. Si ritiene di citare – in senso contrario a modifiche ad un accordo di già in precedenza omologato – l'orientamento di un Tribunale di merito che dichiarava inammissibile l'istanza della proponente (istanza accompagnata da una relazione integrativa dell'attestatore) sulla base della mancanza di alcun tipo di previsione nell'attuale normativa che non prevede “alcuna forma di intervento giudiziale nella fase attuativa dell'accordo già definitivamente omologato – anche in forma di ulteriore omologa di sue eventuali modifiche – se non suscitata da una specifica censura di inadempimento ad opera della parte interessata, tanto più stante la persistente libertà negoziale dei partecipanti all'accordo medesimo” (Trib. Terni, 4 luglio 2011, in Ilcaso.it).

In un altro caso noto, in cui varie società debitrici appartenenti ad un medesimo gruppo avevano presentato al Tribunale una richiesta di omologazione di alcuni accordi modificativi di precedenti accordi di ristrutturazione già omologati, il Tribunale adito procedeva invece ad omologare gli accordi modificativi ritenendo che non si ravvisasse “alcun ostacolo normativo alla relativa omologa, che comunque sembra rispondere ad un apprezzabile interesse delle parti alla certezza di stabilità dei relativi effetti, anche tenuto conto, tanto più in presenza di nuovi creditori estranei, che l'alternativa mera adesione stragiudiziale di tutti gli originari aderenti ai nuovi accordi modificativi potrebbe rivelarsi non sufficiente ad assicurare ai nuovi e relativi atti esecutivi l'estensione degli effetti dell'originaria omologazione”(Trib. Milano, 30 novembre 2010, in dirittobancario.it ).

Come detto, con la nuova previsione annoverata dall'art. 182 bis L.F., il legislatore risponde - almeno in parte - ai quesiti sopra esposti, rimandando al debitore la facoltà di depositare una modifica al piano che abbia natura sostanziale e all'attestatore di rinnovare il giudizio di attestazione.

Parrebbe escluso pertanto un ulteriore intervento del Tribunale al fine dell'omologazione dell'accordo. Tale meccanismo eviterebbe infatti “di affollare i Tribunali con la richiesta di nuovi iter di omologazione degli accordi e rimette alla fase, eventualmente contenziosa, la necessità di investirei giudici di dirimere i motivi di doglianza dei creditori alle scelte unilaterali del debitore (Pollio, Ristrutturazione dei debiti libera, in ItaliaOggi, 20 maggio 2021).

In sintesi, quindi, il proponente dovrà valutare caso per caso lo scenario in cui si trova, potendo fare riferimento, a ogni buon conto, alle seguenti direttrici:

  • in ipotesi di modifica del piano prima dell'omologa, e nel caso in cui tali modifiche incidano sui singoli rapporti contrattuali con i creditori aderenti e/o sulle modalità di pagamento dei creditori non aderenti, si ritiene che il piano potrà essere modificato e depositato in Tribunale unitamente ad una relazione integrativa dell'attestatore;
  • in ipotesi di modifica del piano post omologa:
    • che non incida sull'attuabilità dell'accordo omologato, non sarà necessario un ulteriore giudizio di omologazione da parte del Tribunale e una nuova attestazione;
    • nel caso in cui invece si determinino scostamenti significativi che rendano inattuabile l'accordo nella sua formulazione originaria, allora, al fine di assicurare gli effetti protettivi agli atti da compiere in sua esecuzione, il piano dovrà essere modificato al fine di renderlo idoneo ad assicurare l'esecuzione degli accordi, previo rilascio di una nuova attestazione.

La nuova attestazione ed il piano devono essere pubblicati presso il Registro delle imprese e in tal caso, entro trenta giorni dalla comunicazione, i creditori possono proporre opposizioni.

Le modifiche introdotte alla legge fallimentare anticipano in tal modo la disciplina prevista nel Codice della crisi all'art. 58, il quale fissa, anche nell'ambito dell'ADR, il concetto di modifica “sostanziale” (seppure non fornendo espressamente i tratti idonei a configurarla) ad un piano di risanamento o ad un accordo di ristrutturazione, a cui consegue sempre il rinnovo del giudizio di attestazione ex art 57, comma 4.

Nello specifico attraverso l'art. 58 il legislatore distingue le modifiche sostanziali in funzione della circostanza che le stesse siano intervenute prima o dopo l'omologazione:

  • nel primo caso, il debitore richiede il rinnovo delle manifestazioni di consenso ai creditori parti degli accordi;
  • nel secondo caso, il debitore apporta le modifiche idonee ad assicurare l'esecuzione degli accordi.

In conclusione, nonostante le novità introdotte alla legge fallimentare, mutuate dal Codice della crisi, restano tutt'ora indefiniti il concetto di modifica sostanziale e le condizioni alle quali sia necessario un nuovo passaggio omologativo. Non sono, infatti, espressamente previsti momenti di intervento giudiziale né in ordine all'esecuzione dell'accordo né in ordine al suo eventuale annullamento o risoluzione, come previsto invece in relazione al concordato preventivo.

Concordato preventivo

Il debitore nell'ambito del CP ha la facoltà di modificare il piano e la proposta attenendosi alle disposizioni di cui agli artt. 161, comma 3, 162, comma 2, 172, comma 2, e 179, comma 2. L.F.

Traendo spunto quindi dal combinato disposto e dalle pronunce della giurisprudenza in materia, si può immaginare di distinguere ulteriormente il periodo temporale compreso tra il deposito del ricorso contenente il piano/accordo e l'omologazione da parte del Tribunale nei seguenti sotto periodi:

  1. dal deposito della proposta “piena” fino all'ammissione della procedura ex art. 163 L.F., “ll Tribunale può concedere al debitore un termine non superiore a quindici giorni per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti” (art. 162, comma 1, L.F). Può essere necessario in questo caso che il piano modificato sia accompagnato da una relazione integrativa di attestazione a conferma della fattibilità del piano e della veridicità dei dati di partenza;
  2. dall'ammissione alla procedura fino a quindici giorni prima del voto, il debitore ha la facoltà di presentare modifiche al piano o alla proposta. Se si tratta di modifiche di natura sostanziale, è richiesta, questa volta espressamente dall'art. 161, comma 3, una nuova relazione d'attestazione. In assenza di tale relazione la nuova proposta deve essere dichiarata inammissibile, a prescindere dal fatto che la stessa sia migliorativa rispetto alla proposta originaria (Cass. 25 novembre 2019, n. 30627). In ipotesi quindi di CP già ammesso , in cui il debitore apporti al piano e alla proposta modifiche sostanziali, non sarà necessaria l'emanazione di un nuovo decreto di ammissione né si assisterà alla designazione di un nuovo commissario giudiziale, ma sarà sufficiente che il piano sia accompagnato da una nuova attestazione ex art 161, comma 3 L.F., in quanto la suddetta modifica si esplica nel contesto di una procedura già instaurata (diversamente dall'ipotesi in cui il debitore presenti nuova proposta di CP);
  3. dall'adunanza dei creditori fino all'omologazione da parte del Tribunale, modifiche alla proposta o al piano (anche se qualificate dal debitore come migliorative) sono giudicate inammissibili (Cass. 28 aprile 2015, n. 8575), al fine di evitare che il piano su cui i creditori hanno espresso il voto risulti diverso da quello che verrà effettivamente eseguito. A medesima conclusione si perviene qualora si consideri il periodo successivo all'omologazione previsto per l'esecuzione del piano (nel caso in cui il giudizio di omologazione abbia avuto esito positivo). Sul punto, tuttavia, appare suggestiva un'interpretazione fornita in dottrina che apparentemente estenderebbe la possibilità di effettuare modifiche anche oltre il limite posto dall'adunanza dei creditori: riferendosi a quanto disposto dall'art. 179, comma 2, L.F., pur ritenendosi perentorio il termine stabilito dall'art. 175, comma 2, L.F., si è affermato infatti che “A tale termine, tuttavia, non soggiacciono le modificazioni delle sole condizioni di fattibilità del piano, che sono possibili anche successivamente, sia in senso migliorativo, che peggiorativo ed anche se volontariamente introdotte dal debitore proponente. Nel caso in cui l'alterazione sopravvenga dopo l'approvazione del concordato, al commissario giudiziale è attribuito il compito di darne avviso a tutti i creditori, cui è consentito di modificare il voto, costituendosi nel giudizio di omologazione anche direttamente all'udienza ex art. 180 l. fall. Alla luce della rilevante conseguenza applicativa (id est il mutamento del voto), non ogni modifica in punto di fattibilità può ritenersi rilevante ed il commissario giudiziale potrà legittimamente filtrare le modificazioni meramente epidermiche del piano, non inoltrando l'avviso ai creditori. In ogni caso, non è l'avviso del commissario giudiziale a legittimare il creditore ai fini della rettifica del voto, bensì la verificazione oggettiva di un mutamento significativo e sopravvenuto delle condizioni di fattibilità del piano” (Iucci, Controllo giudiziale sulla fattibilità giuridica e integrazioni della proposta di concordato, in IlFallimentarista.it, 25 luglio 2014).

Quanto al concetto di modifica “sostanziale”, esso pare legato alla circostanza che si verifichino variazioni materiali alla struttura dell'impianto originario, potendosi considerare pertanto modifiche sostanziali al piano “gli interventi che attengono alla sua struttura, a cominciare dal passaggio dallo scenario della continuità aziendale “pura” alla prospettiva della cessione dell'azienda o, addirittura, della liquidazione atomistica; parimenti, rileva l'emersione della disponibilità (o del diniego) di terzi a erogare finanziamenti o, comunque, la prospettazione ex novo (o, al contrario, la cancellazione) di una qualsiasi componente caratterizzante la soluzione in concreto elaborata dall'imprenditore, incluse la presenza dell'assuntore o di forme di garanzia.

Con riferimento alla proposta, vengono in considerazione tutte le variazioni capaci di determinare un apprezzabile mutamento nel trattamento di creditori: l'introduzione, la modifica o l'eliminazione della divisione in classi; la prospettazione della falcidia delle pretese assistite da privilegio insistente su beni (parzialmente) incapienti; la (significativa) correzione della percentuale prospettata ai chirografari, con oscillazione che superi la “forbice” eventualmente prospettata ab origine. Restano invece escluse dal perimetro della necessaria rinnovazione dell'attestazione le semplici chiarificazioni della domanda, al pari delle modifiche di mero dettaglio, per loro natura incapaci d'incidere sulla sostanza dell'operazione concordataria” (Aiello-Ambrosini, La modifica, la rinuncia e la ripresentazione della domanda di concordato preventivo).

Relativamente a quest'ultima accezione, si è espressa la Corte d'Appello di Firenze nel 2014 (con provvedimento 10 febbraio 2014, n. 262), ritenendo non necessaria la redazione di un'ulteriore relazione da parte del professionista attestatore, poiché le modifiche apportate al piano erano circostanziate ad aspetti marginali o modifiche di carattere esecutivo o meramente migliorativo della precedente proposta.

Quanto al Codice della crisi, le previsioni in materia non presentano discontinuità rispetto all'attuale normativa fallimentare: si segnala all'art. 90, comma 8 (che ricalca parzialmente l'attuale art. 172, comma 2, L.F.) la facoltà di modificare la proposta di concordato fino a 20 giorni (non più 15) prima della votazione dei creditori.

La funzione dell'attestatore secondo i principi di attestazione

La revisione dei principi di attestazione dei piani di risanamento a cura del CNDCEC, approvata in data 16 dicembre 2020, reca evidenza al paragrafo 9.2 di una specifica sezione denominata “Modifiche del Piano e nuova attestazione”.

In linea con l'indirizzo prevalente assunto in dottrina e in giurisprudenza, i principi specificano che le modifiche o scostamenti del piano non sempre rendono necessaria una nuova attestazione. Circostanza questa che si rende essenziale - pena l'esclusione di tali modifiche dalla protezione prevista dalla legge - quando al piano (e/o alla proposta), a seguito dell'emissione del giudizio di attestazione:

a) siano apportate modifiche sostanziali;

b) gli stessi siano redatti ex novo.

Secondo il CNDCEC, tale soluzione deve ritenersi applicabile per tutti gli strumenti di superamento della crisi disciplinati dalla legge fallimentare, sebbene attualmente sia normativamente prevista solo per il concordato preventivo.

Il documento in esame, muovendo dall'orientamento ormai consolidato nella best practice professionale, estende il concetto di modifica sostanziale del piano. Essa può essere considerata tale “quando si verifichino congiuntamente tutte le seguenti situazioni:

  • si verifica uno scostamento rispetto al contenuto ed alle previsioni del Piano, tale da incidere sulla realizzabilità dello stesso (e non consentirne il rispetto) sui tempi e sulle modalità del percorso di superamento della crisi;
  • lo scostamento non è assorbito da risparmi (savings) e/o correttivi e meccanismi di aggiustamento, in quanto non previsti e/o non sufficienti;
  • occorra modificare le intenzioni strategiche del Piano.

Non è una modifica sostanziale la modifica dell'action plan che non comporti un cambiamento delle intenzioni strategiche del piano. Costituisce, ad esempio, un cambiamento di intenzioni strategiche la dismissione di un ramo aziendale del quale era previsto dal Piano originario la conduzione diretta” (I principi di attestazione dei piani di risanamento, par. 9.2.2).

Pertanto al verificarsi delle condizioni sopra rappresentate, il debitore sarà chiamato a redigere un nuovo piano, formalmente diverso da quello originario ancorché possa riportare dati e/o elementi del piano precedente.

Tale circostanza determina, sotto il profilo formale e sostanziale, la necessità che l'attestatore rediga una nuova attestazione, che potrà essere rilasciata anche dal medesimo professionista che ha attestato il piano originario, a condizione che permangano, in capo a tale soggetto, i requisiti di professionalità e di indipendenza richiesti dall'art. 67, comma 3, lett. d), L.F. (par. 9.2.7 “In particolare, la presunzione legale assoluta della mancanza di indipendenza in capo al professionista che ha ‘ prestato negli ultimi 5 anni attività di lavoro autonomo in favore del debitore' non è applicabile alla fattispecie in esame”)

Dal punto di vista della struttura della nuova attestazione, si afferma che la stessa non debba configurarsi quale mero supplemento o integrazione dell'attestazione originaria del piano originario, dovendo prevedere - in termini di attività di verifica, struttura e giudizio conclusivo - sia le attività di verifica di veridicità dei dati (su cui si fonda il nuovo piano), sia l'analisi di fattibilità del nuovo piano.

A titolo esemplificativo, qualora il nuovo piano esponga una successiva diversa “data di riferimento” rispetto a quella individuata nel vecchio piano, l'attestatore sarà chiamato a ripetere le verifiche necessarie al rilascio del giudizio di veridicità dei dati aziendali. Tali attività si limiteranno tuttavia alle analisi delle sole variazioni intervenute, potendo il professionista tenere in considerazione il lavoro già svolto e tutte le informazioni già acquisite in precedenza.

Viceversa, in caso di modifiche non sostanziali del piano, all'attestatore può essere richiesta una conferma della fattibilità (c.d. comfort letter) del piano originario. Secondo i principi di attestazione, infatti, tale attività (che potrà anch'essa essere soggetta a uno specifico incarico) rientrerà tra quelle di monitoraggio del piano, ed il giudizio reso non costituirà una delle attestazioni richieste dalla legge fallimentare.

In relazione proprio alla fase di monitoraggio, i principi di attestazione ritengono opportuno che il piano fissi parametri di riferimento c.d. KPI (Key Performance Indicator), di tipo quantitativo, qualitativo e per il risanamento. Nelle more dell'esecuzione del piano, potranno essere identificati altresì obiettivi intermedi (c.d. milestones) al fine di esaminare lo stato di “avanzamento” del piano stesso. Tali obiettivi sono individuabili anche in altri parametri, quali, se esistenti, il rispetto di covenants contrattuali o i risultati di fine esercizio.

I parametri individuati forniranno indicazione degli obiettivi rispetto ai quali effettuare la misurazione delle prestazioni raggiunte, nonché dei limiti stabiliti di tolleranza, con particolare riguardo al c.d. punto di rottura, ovvero la soglia sotto la quale le assunzioni del piano andrebbero completamente riviste e si renderebbe necessario adottare iniziative correttive del piano e della proposta. In tal caso, i principi affermano che, laddove tali iniziative siano già previste nel piano, è opportuno che l'attestatore si pronunzi sulla loro praticabilità.

Nulla osta a che l'attestatore effettui inoltre i controlli legati all'attività di monitoraggio dell'esecuzione del piano, in qualità di professionista esperto della materia, non risultando tale attività incompatibile - in ordine ai requisiti di indipendenza richiesti all'attestatore - rispetto alle relazione d'attestazione già effettuata.

In tal caso sarà necessario, in fase di formalizzazione dello specifico incarico di monitoraggio, “stabilire qualità e quantità dell'informativa periodica che il debitore e la direzione aziendale devono produrre in favore dell'attestatore (al piano, le azioni compiute in difformità al piano, gli scostamenti rispetto al cronoprogramma delle attività, previsto nel Piano). Normalmente tali componenti dovrebbero essere già individuati nel piano come essenziale elemento di verifica di esecuzione dello stesso”( par. 9.1.6).

Anche le analisi di sensitività, utili a testare la tenuta del piano in contesti normali, potranno allora essere sostituite con l'esame di diversi scenari alternativi possibili a livello microeconomico, che si innesterebbero “in automatico” allo sforamento dei KPI individuati e del punto di rottura, “violato il quale, in una valutazione ex ante, viene meno il risanamento della esposizione debitoria ed il raggiungimento del riequilibrio finanziario (oltre che nel caso di concordati preventivi l'adempimento della proposta concordataria)” (par. 6.9.4).

Il monitoraggio degli indicatori da parte della direzione aziendale, nella fase di esecuzione del piano, consentirà di attivare con tempestività le iniziative da adottare nel caso di scostamento tra gli obiettivi pianificati e quelli effettivamente raggiunti.

Di conseguenza la declinazione in concreto dell'applicazione del modello basato su scenari alternativi si sostanzierà in “iniziative che potranno consistere, in via graduata in relazione alla gravità della deriva rispetto al piano:

  • in azioni alternative, in tutto o in parte eventualmente già individuate;
  • in un cambiamento della strategia;
  • nella modifica del modello di business;

nei casi più gravi, nel ricorso ad un diverso od ulteriore strumento di composizione della crisi rispetto a quello adottato. Ci si riferisce, in questo caso, ad ulteriori accordi con i creditori, anche in sede di esecuzione di concordati preventivi in continuità, ovvero nuove soluzioni concordatarie o, addirittura, una istanza di fallimento eventualmente accompagnata dalla proposta di un esercizio provvisorio o l'accesso a procedure di amministrazione straordinaria” (par. 6.9.4).

Tale circostanza comporta che, tra gli scenari presentati, l'attestatore possa “assumere come scenario di riferimento quello ritenuto più probabile o, quantomeno, meno improbabile, senza estendere l'analisi a tutti gli scenari possibili” (par. 6.9.2).

L'impostazione sopra rappresentata, determinante per l'attestatore al fine di valutare la completezza del piano, si colloca, peraltro, nel quadro normativo previsto dal Codice della crisi agli artt. 56, comma 1, lett. e) e 87, comma 2, lett. e). Sicché tale principio, certamente compatibile (quanto meno in termini di best practices) con il quadro normativo in essere, è opportuno che venga rappresentato in ogni caso dall'attestatore anche in difetto dell'adozione dello stesso da parte del debitore, fermo restando che la scelta delle iniziative da assumere resta nella competenza e nella responsabilità esclusiva dell'organo amministrativo.

Conclusioni

Lo stato emergenziale dovuto alla pandemia da Covid-19 ha reso necessaria l'introduzione di misure speciali di modifiche al piano e alla proposta nell'ambito delle procedure concorsuali di ADR e CP, evidenziandone tuttavia i profili applicativi ancora irrisolti.

In questo contesto, emergono ancor più le difficoltà della direzione aziendale di fondare piani di risanamento su previsioni attendibili e che possano essere ritenute tali anche dal professionista attestatore.

Quale parziale effetto di mitigazione, i principi di attestazione, nel tentativo di rendere conforme il processo di attestazione all'attuale contesto straordinario, hanno introdotto la possibilità di “modellizzare” il piano in virtù di diversi scenari alternativi. Tale previsione si ritiene possa concorrere quale impulso per:

  • la definizione di meccanismi correttivi “preventivi” da associare ai singoli accordi sottoscritti con i creditori aderenti;
  • l'attivazione tempestiva di meccanismi correttivi “successivi” al verificarsi di scostamenti significativi dal piano, nella fase di monitoraggio di esecuzione dello stesso;
  • il perfezionamento di un'informativa adeguata, al fine di consentire ai creditori una valutazione che tenga conto della pluralità dei rischi e incertezze associati ai piani di risanamento in questo particolare momento storico.

Il Legislatore, dal canto suo, è intervenuto con il Codice della crisi introducendo meccanismi di monitoraggio del piano correlati all'esplicitazione di un action plan e delle iniziative da adottare nel caso di scostamento tra gli obiettivi pianificati e quelli raggiunti, prevedendo altresì un criterio più puntuale rispetto al passato per regolamentare le modifiche al piano e alla proposta.

Tali novità normative, finalizzate alla conservazione dell'integrità del patrimonio aziendale, possono essere lette unitamente a quelle introdotte al novellato art. 119, che prevede – sebbene con una differente prospettiva - la legittimazione ad agire per la risoluzione del concordato anche al Commissario giudiziale nel caso in cui un creditore gliene faccia richiesta e se l'inadempimento o il ritardo non hanno scarsa importanza.

Seguendo la strada tracciata dal Legislatore, si ritiene dunque che la previsione di un meccanismo di monitoraggio del piano demandato all'attestatore, nella fase successiva all'omologa di un ADR, possa - in concreto - ridurre i tempi di reazione qualora il piano non performasse secondo le aspettative.

Al venir meno del raggiungimento di specifiche milestones (impattanti rispetto ai creditori aderenti o, ancor più, rispetto all'eventuale mancato soddisfacimento dei creditori estranei), si innesterebbe in automatico quindi un meccanismo di alert.

Ove lo scostamento fosse valutato non neutralizzabile, al debitore sarà imposto di attivarsi tempestivamente al fine di modificare il piano e la proposta (corredati della relativa attestazione) attraverso azioni a priori condivise.

In difetto d'individuazione delle determinanti di piano, il rinnovo del giudizio di attestazione a cura dello stesso professionista risulterebbe – a parere di scrive – indebolito.

Orbene, sul piano normativo, benché resti indefinito il concetto di “modifica sostanziale”, lo stesso troverebbe qualificazione fattuale all'interno di un perimetro di intervento maggiormente circoscritto.

La neo costituita Commissione per le proposte di modifica al Codice della crisi avrà l'occasione di valutare anche questi aspetti unitamente al confine d'intervento del Tribunale nella fase di esecuzione dell'accordo.

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