Operatori sanitari, escluso ogni dubbio sull'obbligo vaccinale anti-COVID

Attilio Ievolella
17 Giugno 2021

Legittima l'azione del datore di lavoro che, preso atto del rifiuto delle operatrici socio-sanitarie a sottoporsi al vaccino anti-COVID, le ha prima poste in ferie e poi le ha tenute a distanza dalla struttura.

Legittimo il decreto-legge n. 44/2021 con cui si è stabilito l'obbligo vaccinale per gli operatori delle strutture sanitarie.

A dirlo i giudici del Tribunale di Belluno (ordinanza del 6 maggio 2021), prendendo in esame le obiezioni proposte da alcune lavoratrici inquadrate come operatori socio-sanitari, ritrovatesi prima in ferie obbligate e poi tenute lontane dalla struttura in cui lavorano a causa della loro opposizione all'idea di sottoporsi alla vaccinazione anti-coronavirus.

In prima battuta le lavoratrici, dipendenti di una società con contratti di lavoro a tempo indeterminato e con mansioni di operatore socio-sanitario, hanno visto riconosciuta legittimità dai giudici al provvedimento con cui il datore di lavoro le ha obbligate, in sostanza, «a usufruire di periodi di ferie» una volta preso atto della «loro mancata disponibilità a vaccinarsi contro il COVID-19».

Per i giudici di primo grado non si può ignorare né «l'obbligo del datore di lavoro di tutelare la salute sul luogo di lavoro» né «il diritto del lavoratore ad un periodo annuale di ferie retribuito, nel tempo stabilito dall'imprenditore, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro».

A contenzioso in corso è poi arrivata l'introduzione dell'obbligo vaccinale ad opera del d.l. n. 44/2021, ma le lavoratrici hanno ribadito comunque la richiesta di «dichiarare il loro diritto di scegliere liberamente se vaccinarsi o meno, al netto del decreto o comunque per i periodi non coperti dal decreto, senza che ciò comporti il collocamento in permessi o ferie forzate, la sospensione dal lavoro senza retribuzione o, peggio, il licenziamento».

A margine, peraltro, le lavoratrici hanno anche sostenuto dinanzi al giudice l'illegittimità costituzionale «dell'art. 4 del decreto numero 44 dell'1 aprile 2021» laddove «prevede l'obbligo di vaccinazione per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario».

Per i giudici di Belluno, però, non può essere messa in discussione né «l'applicabilità soggettiva del decreto alle lavoratrici quali operatrici socio-sanitarie, non è invero, in ogni caso, in contestazione» né la legittimità del decreto-legge.

Secondo i giudici, comunque, proprio in conseguenza dell'entrata in vigore dell'art. 4 del d.l. n. 44/2021, «deve ritenersi venuto meno l'interesse ad agire in capo alle lavoratrici, risultando introdotto altresì per gli operatori socio-sanitari l'obbligo vaccinale». Di conseguenza, «deve ritenersi giustificata, sulla base del predetto obbligo, l'adozione, da parte del datore di lavoro, di provvedimenti volti a inibire la presenza sul luogo di lavoro, nei particolari ambiti previsti dal decreto, di lavoratori che abbiano rifiutato la vaccinazione anti COVID-19».

Il legale che rappresenta le lavoratrici ha osservato che «il decreto legge, per sua natura, potrebbe non essere convertito in legge», ma, ribattono i giudici, «occorre tuttavia considerare che la fonte normativa in oggetto è atto con forza di legge, la cui portata precettiva è pertanto immediata e contestuale alla sua entrata in vigore».

Ciò significa che «ai fini del presente procedimento cautelare deve essere valutata la normativa in attualità vigente, e, pertanto, la forza normativa del d.l. n. 44/2021 non può essere esclusa in considerazione della sola eventualità che il medesimo decreto non sia convertito».

Irrilevante, poi, anche il riferimento a «un pregiudizio eventuale correlato all'ipotesi in cui il decreto legge che ha introdotto l'obbligo vaccinale non sia convertito in legge e perda la sua efficacia ex tunc».

Dal Tribunale di Belluno arriva poi un'ulteriore importante considerazione sulla presunta illegittimità costituzionale dell'obbligo vaccinale fissato nel decreto-legge.

Su questo punto i giudici sono netti: «deve ritenersi prevalente, rispetto alla libertà di chi non intenda sottoporsi alla vaccinazione contro il COVID-19, il diritto alla salute dei soggetti fragili, che entrano in contatto con gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario in quanto bisognosi di cure, e, più in generale, il diritto alla salute della collettività, nell'ambito della perdurante emergenza sanitaria derivante dalla pandemia da COVID-19».

A sostegno di questa visione, poi, anche i pronunciamenti favorevoli sull'obbligo vaccinale contro il morbillo e sulle vaccinazioni antipolio, antidifterica, antitetanica e contro l'epatite B.

E poi, aggiungono i giudici, va riconosciuta «la discrezionalità del legislatore, la quale deve essere esercitata, alla luce delle condizioni sanitarie ed epidemiologiche, nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, potendo egli selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell'obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l'effettività dell'obbligo», come stabilito dai giudici della Corte Costituzionale nel 2018.

(Fonte:

DirittoeGiustizia.it

)

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