Risoluzione consensuale e licenziamento collettivo: cambio di rotta?

Il datore è tenuto ad avviare la procedura di cui alla l. n. 223/91 anche nel caso in cui, unitamente a licenziamenti di meno di 5 lavoratori, alcuni contratti di lavoro siano stati sciolti consensualmente, ex art. 7 l. n. 604/66, nell'arco di 120 giorni?

I confini interpretativi della nozione di “licenziamento” sono stati definiti dalla giurisprudenza di legittimità richiamando la normativa sovranazionale, rectius all'art. 1, comma 1, lettera a) della direttiva 98/59/CE.

Configura un'ipotesi di licenziamento la modifica sostanziale da parte del datore, unilateralmente ed a svantaggio del lavoratore, degli elementi essenziali del contratto dì lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso, da cui consegua la cessazione del rapporto, anche su richiesta del dipendente medesimo.

Recentemente, con riferimento all'art. 24 l. n. 223/91, la Corte di cassazione ha ritenuto che nel numero minimo di 5 licenziamenti - considerato come sufficiente ad integrare l'ipotesi del licenziamento collettivo - non possano essere incluse altre differenti ipotesi risolutorie del rapporto di lavoro, ancorché riferibili all'iniziativa datoriale, precisando che l'espressione “intenda licenziare” di cui all'art. 24 prefato debba essere intesa come manifestazione della volontà di recesso - successiva all'iter procedimentale di legge - mentre l'espressione “deve dichiarare l'intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo” di cui all'art. 7 l. n. 604/66, indicherebbe un'imposizione finalizzata all'avvio della procedura di conciliazione dinanzi alla DTL (ora Ispettorato Territoriale del Lavoro), con conseguente non automatica applicabilità della disciplina in materia di licenziamento collettivo.