Trasferimento fittizio della sede legale della società debitrice. Oneri probatori e processuali in capo ai creditori nel procedimento prefallimentare

23 Giugno 2021

La pronuncia del Tribunale di Prato come evidenziano gli Autori, offre interessanti spunti in tema di criteri per fondare la giurisdizione del giudice fallimentare italiano, nonché di adempimenti per la corretta instaurazione del contraddittorio nell'ambito di un procedimento prefallimentare contro una società debitrice avente la propria sede legale fittiziamente trasferita all'estero, da oltre un anno.
Le massime

1. L'omessa cancellazione dal registro delle imprese italiano, la mancata iscrizione presso il registro delle imprese straniero e il mantenimento del domicilio in Italia dell'amministratore della società debitrice, costituiscono elementi presuntivi sufficienti a ritenere fittizio il trasferimento della sede legale all'estero.

2. Il creditore istante che allega il carattere fittizio del trasferimento all'estero della sede della società debitrice, ha l'onere di notificare l'istanza di fallimento sia presso la sede asseritamente fittizia, sia presso la sede italiana anteriore al trasferimento, che allega come effettiva.

Il caso

La ex dipendente di una S.r.l. deposita istanza di fallimento nei suoi confronti per i crediti riconosciuti a suo favore da una sentenza del Tribunale di Firenze passata in giudicato e rimasta solo parzialmente eseguita da parte della società.

A complicare (e a rendere giuridicamente interessante) il caso in esame sta la circostanza che dalla visura camerale risultava che la società, oltre un anno prima del deposito dell'istanza di fallimento, aveva trasferito la propria sede legale in Belgio, trasferimento poi accertato come fittizio.

Il Tribunale di Prato è dunque stato chiamato ad esprimersi riguardo alla questione relativa alla giurisdizione e agli adempimenti di notifica che gravano sul creditore procedente in caso di trasferimento della sede legale della società debitrice.

Le questioni giuridiche

a) La giurisdizione del Giudice fallimentare

Preliminarmente, una volta rilevato l'intervenuto trasferimento della sede legale della società debitrice oltre un anno prima del deposito dell'istanza di fallimento, i Giudici del Tribunale di Prato ne hanno accertato la “natura fittizia o comunque fraudolenta”, incompatibile con una scelta dettata da effettive ragioni imprenditoriali.

Nell'affermare ciò, il Tribunale toscano ha ritenuto superata, nel caso, la presunzione di coincidenza tra il centro principale degli interessi del debitore e la sede legale ai sensi “dell'art. 3 del Regolamento 1346/2000”.

Il probabile refuso della sentenza laddove si fa riferimento all'art. 3 del Regolamento n. 1346/2000 al posto dell'art. 3 del Regolamento 848/2015, che, come noto, ha riformato la disciplina delle insolvenze transfrontaliere comunitarie e sostituito il precedente testo normativo, è tuttavia innocuo atteso che, in entrambi i casi, il legislatore europeo ha previsto che siano competenti ad aprire la procedura di insolvenza i giudici dello Stato presso cui è situato il centro degli interessi principali del debitore, che si presume, fino a prova contraria, coincidere con il luogo in cui si trova la sede legale.

Nel caso in esame, come detto, tale presunzione è stata considerata superata dalla compresenza di un insieme di circostanze che, valutate nel loro complesso, sono state ritenute sufficienti per qualificare il trasferimento della sede legale come meramente fittizio.

In particolare, si è osservato come la società debitrice non si fosse mai cancellata dal registro delle imprese di Prato (i.e. quello della precedente sede), e come d'altro canto non si fosse mai iscritta presso la Camera di Commercio delle imprese belga. Infine, è stata ritenuta eloquente l'irreperibilità dell'amministratore unico della società, risultante dal medesimo registro delle imprese, la cui residenza anagrafica risultava sconosciuta, mentre il domicilio risultava coincidere proprio con la precedente sede legale italiana della società.

L'attitudine del trasferimento della sede legale di una società a pregiudicare i creditori in sede fallimentare è una problematica ben nota, tanto al legislatore quanto alla giurisprudenza, sia comunitaria che nazionale.

A testimonianza dell'attualità del tema, è sufficiente osservare che il Regolamento n. 848/2015 (il “Regolamento”) all'articolo 90 ha indicato, per la Commissione, il termine del 27 giugno 2020 affinché presentasse al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo uno studio sulla questione relativa al forum shopping pretestuoso, anche ai fini di evitare procedure di insolvenza in uno Stato Membro. Se infatti la diversità è una preziosa componente della concorrenza legittima tra norme fondata su scelte politiche nazionali, da un punto di vista più ampio genera il problema del suo abuso da parte degli operatori economici.

Il trasferimento della sede legale può rappresentare uno strumento agevole in mano alle società debitrici che, in odore di fallimento, ricorrano a questo escamotage al fine di assoggettare la instauranda procedura al regime più favorevole per sé e per i suoi soci e amministratori .

In tal senso, se è vero che l'obiettivo dichiarato del legislatore comunitario è quello di creare un diritto dell'insolvenza sempre più omogeneo tra gli Stati membri - obiettivo imprescindibile per la creazione di uno spazio economico europeo completo - ad oggi permangono differenze estremamente significative tra gli ordinamenti (in proposito è sufficiente pensare al diverso grado di soddisfazione riservato ai soci in riferimento alle loro erogazioni, il cui recupero in Italia è gravemente ostacolato dal meccanismo di postergazione e ripetizione a cui sono soggetti ex art. 2467 c.c. ).

Non solo: è ben possibile che il trasferimento sia finalizzato esclusivamente a sottoporre ai creditori rimasti insoddisfatti un ostacolo di natura processuale, alcune volte particolarmente gravoso, come la corretta istaurazione del contraddittorio.

Come noto, il giudice dello Stato Membro avente giurisdizione in tema di insolvenza viene determinato sulla base del Center of Main Interest (COMI) definito dal Regolamento come il “luogo in cui il debitore esercita la gestione dei suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi”.

La coincidenza tra la sede legale della società debitrice e il COMI, prescritta dall'art. 3 del Regolamento, trova espressa eccezione al par. 1 della stessa norma, laddove il legislatore comunitario ha introdotto l'irrilevanza del trasferimento della sede legale intervenuto entro tre mesi dalla domanda di apertura della procedura concorsuale, in una logica speculare alla disposizione in tema di competenza territoriale contenuta all'art. 9, comma 2 L.F..

Per pacifica giurisprudenza comunitaria, la presunzione citata “può essere superata qualora una valutazione complessiva degli elementi a disposizione consenta di stabilire, in modo riconoscibile ai terzi, che il centro effettivo di direzione gestione e controllo della società risulti concentrato presso uno stato membro diverso rispetto a quello in cui ha formalmente la propria sede legale” (Corte di Giustizia UE 20 ottobre 2011, n. 369/09; 15 dicembre 2011, n. 191/10; 2 maggio 2006, n.341/04).

Recependo tale orientamento, anche la nostra Corte di Cassazione ha affermato la sussistenza della giurisdizione italiana nei confronti di una società, costituita in Italia, che abbia trasferito la propria sede legale all'estero quando risulti, sulla base di determinate circostanze, che il trasferimento fosse preordinato a sottrarre la società al rischio di fallimento, piuttosto che per una scelta dettata da effettive ragioni imprenditoriali (Cass. S.U. n. 19978 del 2014; n. 5945 del 2013 e n. 20144 del 2011).

Tuttavia, seppure semplice, questa presunzione porta con sé, in ultima istanza, anche l'effetto di porre in capo ai creditori procedenti un onere probatorio gravoso non solo laddove il COMI non coincida con la sede legale della debitrice, ma anche quando lo stesso trasferimento, come nel caso in esame, sia stato meramente fittizio.

È stato dunque compito della giurisprudenza individuare, caso per caso, quali elementi presuntivi, valutati complessivamente, siano sufficienti a integrare l'onere probatorio imposto dal Regolamento Europeo.

Così è stato ritenuto significativo il mantenimento della partita IVA in Italia, la scadenza dei crediti azionati anteriori al trasferimento (Trib. Padova, 15 ottobre 2015), e il non effettivo esercizio di attività imprenditoriale nella nuova sede (Cass. S.U. 20144 del 2011).

Estremamente preziosa è la sentenza della Cassazione n. 7470 del 2017 che ha dichiarato idoneo a rivelare la natura fraudolenta e fittizia del trasferimento della sede legale un nutrito elenco di circostanze quali il fatto che: (i) la società debitrice avesse indicato, quale sede legale in Inghilterra, un mero recapito postale e che presso lo stesso edificio risultassero ubicate oltre 33mila società; (ii) il socio di maggioranza della società fosse stato amministratore per appena sei giorni e gli era subentrato un altro soggetto che contemporaneamente amministrava 15 società quasi tutte cessate; (iii) non vi fosse stato spostamento dell'attività d'impresa svolta in Italia né del centro direttivo né da quello amministrativo della società stessa; (iv) che lo stato d'insolvenza fosse conclamato da tempo anteriore allo spostamento di sede all'estero, sicché tale scelta non potesse che essere finalizzata all'intento di sottrarre la società dalla dichiarazione di fallimento in Italia.

La pronuncia del Tribunale di Prato in rassegna ha, dunque, il merito di individuare e arricchire il novero degli elementi da cui desumere la natura fittizia del trasferimento della sede legale.

b) Il procedimento di notifica al debitore trasferitosi fittiziamente o fraudolentemente

La sentenza risulta anche particolarmente interessante sotto un profilo più prettamente processuale.

Come infatti anticipato, far apparire la sede legale di una società come trasferita all'estero potrebbe essere utile anche al fine di avvantaggiarsi delle difficoltà e degli oneri che i creditori devono sostenere per perfezionare correttamente la vocatio in ius, e dunque instaurare validamente il giudizio finalizzato al fallimento (è scontato dire che, nel caso di specie – come de resto spesso accade –, l'indirizzo pec della società debitrice risultava disattivato, di tal che la “via comoda” della notificazione via pec era messa fuori gioco).

Nella sentenza del Tribunale di Prato si dà atto di come la notifica del decreto di fissazione dell'udienza prefallimentare ex art 15 L.F., ed il ricorso per la dichiarazione di fallimento depositato, siano stati ritualmente notificati a) sia presso la sede legale estera che risultava dal registro delle imprese italiano, e che si allegava, nel ricorso, come fittizia, b) sia presso la sede precedente, di cui nel ricorso si allegava, invece, l'attualità ed effettività.

Nel primo caso, la notifica si è perfezionata ai sensi dell'art. 38 del Codice di procedura civile belga.

Secondo tale disposizione, nel caso in cui il destinatario sia sconosciuto il procedimento notificatorio si perfeziona col deposito dell'atto presso la Procura del Re (tale norma rappresenta, nell'ordinamento belga, il corrispettivo di quella prevista, nell'ordinamento italiano, dall'art. 143 c.p.c.). Nel secondo caso ai sensi dell'art. 15 L.F. e dunque mediante deposito dell'atto nella casa comunale, qualora, come nel caso di specie, la notifica non si potesse eseguire di persona, data l'assenza di qualsivoglia riferimento alla società, anche all'indirizzo in cui si trovava la precedente, ed “effettiva” sede legale.

Dalla decisione, sembra, in sostanza, desumersi che se il trasferimento della sede legale di una società viene allegato dal ricorrente come fittizio (e tale qualifica viene avvalorata dal fatto che, presso il nuovo indirizzo, non vi à alcuna traccia della società), perché si perfezioni validamente la vocatio in ius nei confronti del debitore è necessario notificare anche alla sede che si allega come effettiva, e che giustifica il radicamento della giurisdizione presso cui si sta procedendo.

In tale quadro, si potrebbe opinare che, almeno in questa fase, il creditore procedente sia penalizzato, dovendo subire in modo particolarmente pregnante gli effetti del trasferimento fittizio della società, ed essendo chiamato dunque ad aver cura di perfezionare la notifica presso entrambe le sedi – quella fittizia e quella reale – la necessaria notifica a quest'ultima discendendo, logicamente, dall'accoglimento della natura fittizia della prima, presso cui il recapito dell'atto non sarebbe idoneo a radicare il contraddittorio.

In effetti, può sembrare paradossale che il creditore debba subire il rischio di non riuscire a notificare presso la sede estera, attese le maggiori difficoltà che un simile procedimento notificatorio usualmente richiede, oltre alle possibili inefficienze (che talora si riscontrano) legate ai procedimenti di notifica all'interno di alcuni Stati Membri.

La conseguenza di questa rigida impostazione processuale potrebbe essere quella di fornire al debitore che lamenti una irregolarità dell'instaurazione del contradittorio un possibile motivo di reclamo ex art. 18 L.F. anche laddove sia stato egli stesso ad aver posto le condizioni affinché il contradditorio non si potesse istaurare.

Proprio partendo da questo paradosso è interessante ricordare come il supremo Collegio, in un orientamento sicuramente oramai superato e inapplicabile, richiamando la storica sentenza della Corte Costituzionale n. 141 del 1970, che rimarcava la necessità di bilanciare il principio della necessaria garanzia del diritto di difesa con l'esigenza di speditezza e di operatività (cui deve essere improntato il procedimento concorsuale), ritenne che, qualora il debitore si fosse trasferito per ignota destinazione volontariamente e colposamente, tale comportamento legittimasse l'emanazione di una sentenza dichiarativa di fallimento a prescindere dalla convocazione preordinata a consentirgli la prospettazione di ragioni difensive. In quella sede, infatti, si affermò il principio secondo cui “la sentenza di fallimento può essere emessa con esenzione dall'obbligo (divenuto inesigibile) della previa convocazione, prevalendo sulle ragioni di difesa (neutralizzate da un comportamento di malafede o non diligente del debitore) quelle di ordine pubblico cui si informa la procedura concorsuale” (Cass. n. 32 del 2008).

Seppur sia evidente il vantaggio che un orientamento così netto possa apportare in termini di speditezza processuale, la Cassazione ha tuttavia ritenuto che esso non fosse più attuabile alla luce dell'avvenuta procedimentalizzazione del giudizio e delle attività di trattazione e istruttoria riformate dai D.lgs. del 9 gennaio 2006, n. 5 e al D. lgs. del 12 settembre 2007, n. 169.

In virtù di questa procedimentalizzazione, la notificazione al debitore del ricorso e del decreto di convocazione all'udienza deve essere la regola anche quando il debitore, rendendosi irreperibile, si sia sottratto volontariamente o per colpevole negligenza al procedimento, restando la notificazione un adempimento indefettibile (cfr. S.U. 2201 del 2016; orientamento precedentemente affermato da Cass. 10954 del 2014 e 22218 del 2013).

In definitiva, se la sentenza del Tribunale di Prato, da un lato, suscita interesse perché amplia la casistica esistente, in cui la presunzione di cui all'art. 3 del Regolamento si deve ritenere superata, dall'altro, risalta in quanto il Tribunale di Prato sembra aver aderito a quell'orientamento delle Sezioni Unite che ribilancia nuovamente il valore dell'interesse alla speditezza del procedimento concorsuale in favore della tutela del principio del contraddittorio e della difesa, arricchendolo tuttavia di un elemento di novità, rappresentato dall'onere di una doppia notifica: alla sede qualificata come fittizia ed anche a quella, effettiva, che giustifica il radicamento di giurisdizione.

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