Incostituzionale la seconda proroga della sospensione delle esecuzioni riguardanti l'abitazione principale del debitore
28 Giugno 2021
Massima
Va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 13, comma 14, del d.l. 183/2020, recante «Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi, di realizzazione di collegamenti digitali, di esecuzione della decisione (UE, EURATOM) 2020/2053 del Consiglio, del 14 dicembre 2020, nonché in materia di recesso del Regno Unito dall'Unione europea», convertito, con modificazioni, nella l. 21/2021, per violazione degli artt. 3, comma 1, e 24, commi 1 e 2, Cost., restando assorbiti gli altri parametri fatti valere nelle ordinanze di rimessione. Il caso
Con ordinanza del 13 gennaio 2021, il Giudice dell'esecuzione immobiliare presso il Tribunale ordinario di Barcellona Pozzo di Gotto sollevava – in riferimento agli artt. 3, comma 2, 24, comma 1, 47, comma 2, 111, comma 2 e 117, 1 comma, della Costituzione – quest'ultimo in relazione agli artt. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e 1 del Protocollo addizionale alla CEDU – questioni di legittimità costituzionale dell'art. 54-ter del d.l. 18/2020, modificato e prorogato nel termine d'efficacia al 31 dicembre 2020 dall'art. 4, comma 1, del d.l. 137/2020 poi convertito, con modificazioni, in l. 176/2020, e ulteriormente prorogato nel termine d'efficacia al 30 giugno 2021 dall'art. 13, comma 14, del d.l. 183/2020, convertito, con modificazioni, nella l. 21/2021. A parere del rimettente la disposizione censurata aveva introdotto nell'ordinamento un'ipotesi di sospensione in grado di pregiudicare il diritto alla tutela giurisdizionale di cui all'art. 24 Cost., in quanto idonea a realizzare un ostacolo processuale alla tutela del diritto del creditore di procedere in via di esecuzione forzata in assenza di un apprezzabile vantaggio di altri beni di rango costituzionale. Secondo il rimettente, infatti, la norma non era in grado di apprestare alcun vantaggio per la salute individuale o collettiva ed il legislatore non sembrava aver ponderato il pregiudizio che la sospensione rischiava di arrecare agli interessi dei creditori in un momento di difficile crisi economica, ledendo in tal modo gli artt. 3, comma 2 e 42, comma 2, Cost. La sospensione, inoltre, determinando una protrazione dei tempi di definizione del processo di espropriazione non era nemmeno compatibile né con l'art. 111, comma 2, Cost., né con l'art. 117 Cost., evocato in relazione all'art. 6, par. 1 della CEDU e all'art. 1 del Protocollo addizionale alla medesima Convenzione, in quanto la norma censurata, specie a seguito delle proroghe via via disposte, contrastava con il principio di ragionevole durata del processo e con la tutela del diritto al rispetto dei propri beni, nei quali rientrano anche i diritti di credito derivanti da una decisione giudiziaria. Con ordinanza del 18 gennaio 2021, il Giudice delle esecuzioni immobiliari presso il Tribunale ordinario di Rovigo sollevava analoghe questioni di costituzionalità, in particolare deducendo l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 4, 1 comma, d.l. 137/2020, come convertito, e 13, 14 comma, d.l. 183/2020, come convertito, laddove hanno esteso il termine di efficacia dell'art. 54-ter d.l. 18/2020, come convertito, rispettivamente, al 31 dicembre 2020 e al 30 giugno 2021, per violazione degli artt. 3, 24, 41, 42, comma 3, 47, 111 e 117, comma 1, Cost. – quest'ultimo in relazione agli artt. 6 CEDU e 16 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE). Il secondo rimettente, in particolare, faceva valere il contrasto con il riconoscimento costituzionale dell'iniziativa economica privata e il pregiudizio derivante dalla sospensione per l'affidamento dell'imprenditore sulla certezza e speditezza delle procedure di recupero dei crediti, quali mezzi di finanziamento dell'impresa. In particolare, mancavano nel caso di specie i presupposti individuati dalla Corte costituzionale per ritenere legittimi gli interventi limitativi dell'iniziativa economica e della libertà di impresa, in quanto la ratio della norma censurata era legata non tanto all'emergenza sanitaria, quanto alla tutela del bisogno abitativo dei soggetti ritenuti economicamente più deboli, con ingiustificata limitazione del diritto di azione, in quanto non giustificata né dalla crisi economica né dall'esigenza di tutela della salute, bensì finalizzata a una “indiscriminata politica di favore” del diritto di determinati soggetti all'abitazione. Il giudice a quo assumeva, inoltre, un possibile contrasto delle disposizioni censurate con l'art. 42, 3 comma, Cost., poiché la sospensione di cui alla norma censurata, impedendo al creditore di diventare proprietario del bene oggetto della procedura esecutiva mediante la proposizione dell'istanza di assegnazione, si concretava di fatto in un'espropriazione non fondata su un interesse pubblico preminente e comunque era priva di ogni forma di indennizzo. Il Tribunale di Rovigo, infine, dubitava della compatibilità delle norme che hanno prorogato l'efficacia dell'art. 54-ter del d.l. 18/2020 con l'art. 47 Cost., atteso che le difficoltà nel recupero dei crediti determinate dalla sospensione in questione finivano «con il riverberarsi sulle condizioni di accesso della generalità dei cittadini al credito bancario, rendendole più rigorose». La questione
Viene così sottoposta alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell'art. 54-ter d.l. 18/2020 - come successivamente modificato dall'art. 4, 1 comma, d.l. 137/2020 e dall'art. 13, 14 comma, d.l. 183/2020 - relativa alla sospensione delle procedure esecutive aventi ad oggetto l'abitazione principale del debitore durante l'emergenza pandemica. Le soluzioni giuridiche
La Corte costituzionale, riuniti i giudizi, osserva che dal tenore delle censure formulate si evince come l'oggetto della questione di legittimità costituzionale vada identificato non nell'art. 54-ter d.l. 18/2020, ma nell'art. 13, comma 14, d.l. 183/2020, che ha disposto la (seconda) proroga della sospensione delle procedure esecutive immobiliari aventi ad oggetto l'abitazione principale del debitore esecutato dal 1 gennaio al 30 giugno 2021. Così circoscritto l'oggetto del giudizio, dichiara fondate le questioni di legittimità costituzionale della norma sollevate in riferimento agli artt. 3, comma 1, e 24, commi 1 e 2, Cost., con assorbimento delle altre, osservando che se è vero che il legislatore ordinario - in presenza di altri diritti meritevoli di tutela, come quello fondamentale all'abitazione - può procrastinare la soddisfazione del diritto del creditore alla tutela giurisdizionale anche in sede esecutiva, è del pari indubitabile che la compressione di tale ultimo diritto fondamentale cagionata dalla sospensione delle procedure esecutive può essere contemplata dal legislatore solo a fronte di circostanze eccezionali e per un periodo di tempo limitato. Ciò non è accaduto nel caso di specie, avendo il legislatore per ben due volte prorogato fino al complessivo periodo di 14 mesi la sospensione inizialmente introdotta, senza tuttavia preoccuparsi di specificare i presupposti soggettivi e oggettivi della misura, anche eventualmente demandando al vaglio dello stesso giudice dell'esecuzione il contemperamento in concreto degli interessi in gioco. La Consulta aggiunge poi che la sproporzione conseguente al mancato aggiustamento del bilanciamento sotteso alla misura in esame è resa ancor più evidente dalla considerazione che il diritto del debitore a conservare la disponibilità dell'abitazione viene comunque tutelato dalla proroga della sospensione dei provvedimenti di rilascio di immobili di cui all'art. 103, 6 comma, dello stesso d.l. 18/2020, essendo tale norma applicabile anche al decreto di trasferimento del bene espropriato. In altre parole, il bilanciamento sotteso alla temporanea sospensione delle procedure esecutive aventi ad oggetto l'abitazione principale è divenuto, nel tempo, irragionevole e sproporzionato, al punto da inficiare la tenuta costituzionale della seconda proroga (dal 1 gennaio al 30 giugno 2021), prevista dell'art. 13, comma 14, del d.l. n. 183 del 2020; tale ultima disposizione, dunque, va dichiarata incostituzionale per violazione degli artt. 3, comma 1, e 24, commi 1 e 2, Cost., con assorbimento di tutti gli altri parametri. In ogni caso, la Corte ha precisato che «resta ferma in capo al legislatore, ove l'evolversi dell'emergenza epidemiologica lo richieda, la possibilità di adottare le misure più idonee per realizzare un diverso bilanciamento, ragionevole e proporzionato, contemperando il diritto all'abitazione del debitore esecutato e la tutela giurisdizionale in executivis dei creditori procedenti». Osservazioni
Come è ormai noto a tutti gli operatori del settore giustizia, il legislatore dell'emergenza pandemica, dopo aver disposto in un primo tempo il rinvio generalizzato delle udienze, nonché la sospensione del decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto nei procedimenti civili e penali, ha, al termine del primo lockdown, introdotto una serie di disposizioni volte alla ripresa delle attività processuali, pur con modalità compatibili con il permanere dell'emergenza epidemiologica, prevedendo, ad esempio, nel settore civile la possibilità di svolgere l'udienza «cartolare» e quella telematica. Come ha notato anche l'estensore della sentenza che qui si annota, la normativa emergenziale ha riguardato il processo civile nella sua generalità, per cui è mancata disciplina specifica per le procedure esecutive, anch'esse sottoposte alle regole previste in linea generale per fronteggiare l'epidemia da Coronavirus. Uniche ma rilevanti eccezioni sono rappresentate dall'art. 54-ter inserito nel d.l. 18/2020 in sede di conversione della l. 27/2020, che ha disposto sino al 30 ottobre 2020 la sospensione di «ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare, di cui all'art. 555 del codice di procedura civile, che abbia ad oggetto l'abitazione principale del debitore», e dall'art. 103, comma 6, del d.l. 18/2020, che ha previsto la sospensione sino al 30 giugno dell'esecuzione «dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo». Sennonché, l'inaspettato perdurare della pandemia da Covid-19 ha spinto il legislatore ad ampliare l'ambito temporale di tali ipotesi di sospensione, contestualmente apportando modifiche al tenore letterale delle norme in questione. Si intende far riferimento all'art. 4, d.l. 137/2020 (c.d. decreto «Ristori») il quale, oltre ad avere prorogato l'efficacia della sospensione delle procedure esecutive aventi ad oggetto l'abitazione principale del debitore sino al 31 dicembre 2020, ha altresì sancito l'inefficacia di «ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare, di cui all'art. 555 del codice di procedura civile, che abbia ad oggetto l'abitazione principale del debitore, effettuata dal 25 ottobre 2020 alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto». L'efficacia della disposizione – il cui contenuto è rimasto immutato – è stata prorogata fino al 30 giugno 2021 dall'art. 13, comma 14, del d.l. 183/2020. Analoga sorte è toccata all'art. 103, comma 6 del d.l. 18/2020, il cui termine, prorogato dapprima al 1° settembre 2020 dalla legge di conversione n. 27/2020 e poi al 31 dicembre dal d.l. 34/2020, è ulteriormente slittato al 30 giugno 2021 per effetto del d.l. 183/2020, che all'art. 13, 14 comma ha disposto la proroga della sospensione in questione «limitatamente ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze e ai provvedimenti di rilascio conseguenti all'adozione, ai sensi dell'art. 586, comma 2, c.p.c., del decreto di trasferimento di immobili pignorati ed abitati dal debitore e dai suoi familiari». Entrambe le norme sono state oggetto di aspre critiche da parte della dottrina più avvertita e oggetto di censure sotto il profilo della legittimità costituzionale da parte dei giudici. Oltre alle ordinanze di rimessione pronunciate dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto e di Rovigo che hanno occasionato la sentenza che qui si annota, va segnalata la decisione del Tribunale di Trieste del 24 aprile 2021, con la quale è stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 103, comma 6, d.l. 18/2020, nonché degli artt. 17-bis d.l. 34/2020 e 13, comma 13, d.l. n. 183/2020, in quanto asseritamente lesivi degli artt. 3, 24, 42, 47, 77 e 117, comma 1, della Costituzione. Tra le ragioni addotte a fondamento dell'istanza, si è osservato che le norme censurate, prevedendo la sospensione dei procedimenti di rilascio degli immobili in ossequio all'emergenza sanitaria in situazioni preesistenti alla pandemia, non possono giustificarsi nell'emergenza medesima e sono da essa indipendenti, nonché la considerazione che l'impossibilità per il proprietario di vedere eseguito il rilascio degli immobili, tramutandosi in una fattispecie illegittima di espropriazione in senso sostanziale senza indennizzo, lede non solo il principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui all'art. 24 Cost., ma anche la garanzia del diritto di «proprietà» riconosciuto dall'art. 42 Cost. Più in generale, va osservato che entrambe le norme sono, sotto molti profili, assai criticabili, a causa della sciatteria impiegata dal legislatore nella stesura delle stesse e dell'estrema atecnicità del dato normativo che hanno originato molti dubbi interpretativi di difficile soluzione. Si è così discusso, con riguardo alla sospensione delle procedure espropriative aventi ad oggetto l'abitazione principale del debitore, cosa debba intendersi con tale ultima nozione: se debba intendersi come sinonimo di «prima casa» o quale dimora abituale del debitore in cui di regola risiede; ancora, ci si è chiesto se destinatario del beneficio sia il solo debitore o se debbano essere sospese anche le procedure attivate contro il terzo acquirente o datore di ipoteca di cui agli artt. 602 ss. c.p.c. Ulteriori dubbi hanno investito l'ambito oggettivo e temporale della disposizione, dando vita a differenziate soluzioni giurisprudenziali, con conseguente sacrificio del principio di uguaglianza e di paritario trattamento. Analoghi problemi sono sorti per effetto dell'applicazione dell'art. 103, comma 6, il cui raggio di operatività, dapprima esteso a tutti i provvedimenti di rilascio, ivi compresi gli ordini di liberazione di cui all'art. 560 c.p.c., è stato ristretto, in virtù dell'art. 13, comma 13, del d.l. 183/2020, alle sole ipotesi di rilascio derivanti da rapporti di locazione (e neppure a tutte le ipotesi in cui sia entrato in crisi il rapporto locatizio, ma solo a quelle in cui la stessa derivi dalla morosità del conduttore) ed ai provvedimenti di liberazione dell'immobile resi in corso di procedura esecutiva immobiliare che abbiano ad oggetto l'abitazione del debitore esecutato. Investita della questione di legittimità costituzionale dell'art. 54-ter d.l. 18/2020 e successive modifiche, la Consulta ha offerto una soluzione che rappresenta un vero e proprio monito per il legislatore. Partendo dall'ormai indiscutibile vigenza del principio di effettività della tutela giurisdizionale anche in sede esecutiva (v. Corte cost., n. 186/2013), la Corte costituzionale ha attribuito carattere eccezionale alla sospensione delle procedure esecutive, come tale possibile solo in presenza di altri diritti meritevoli di tutela, quale quello fondamentale all'abitazione. Invero, se esista un diritto fondamentale all'abitazione è questione controversa, in quanto la stessa Corte costituzionale non ha mai dato spazio al riconoscimento di un diritto alla casa o all'abitazione come diritto che attribuisca al conduttore pretese nei confronti del proprietario o del locatore (sent. 225/1978); eppure essa ha riconosciuto l'esistenza di «un diritto all'abitazione collocabile fra i diritti inviolabili dell'uomo di cui all'art. 2 della Costituzione» (sent. 404/1988). Insomma, per quanto controverso sia stato il suo riconoscimento, la Corte costituzionale è pervenuta all'individuazione di un diritto all'abitazione. Proprio per tale motivo, la decisione in commento riconosce che la scelta compiuta dal legislatore non è in sé irragionevole, ma che essa è divenuta tale per effetto delle due proroghe, essendo il bilanciamento tra i due diritti (quello del creditore alla tutela giurisdizionale nella forma esecutiva e quello del debitore di conservare il diritto di abitazione) rimasto invariato nei termini inizialmente valutati dal legislatore, senza che quest'ultimo abbia considerato la circostanza della coeva introduzione del blocco delle procedure di rilascio, che, sovrapponendosi con quella prevista dalla norma indubbiata, ha dato luogo ad un eccesso di tutela all'abitazione del debitore. Questa, difatti, risulta già protetta dalla sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili adottati per mancato pagamento del canone e conseguenti all'adozione del decreto di trasferimento di immobili pignorati, sicché l'art. 54-ter, nell'impedire tout court le espropriazioni immobiliari e nel limitare così i diritti dei creditori, perde di razionalità. La declaratoria di incostituzionalità, invero, apre le porte a nuovi dubbi interpretativi (che non spettava certamente alla Consulta risolvere), sorgendo, tra gli altri, il seguente dubbio: terminato il blocco delle esecuzioni, può prospettarsi per le procedure sospese l'applicazione, con i dovuti adattamenti, della previsione di portata generale dell'art. 627 c.p.c. e della necessità di un atto di impulso della parte nel termine perentorio fissato dal giudice di questa ovvero, in mancanza, nel termine di sei mesi decorrente dallo spirare della stasi predeterminata dalla legge, pena l'estinzione del processo? Chi scrive è propenso per la soluzione positiva, ma vi è ad esempio da chiedersi cosa accadrà qualora nella prassi sia stata seguita altra strada e, cioè, quando il giudice dell'esecuzione, nel riscontrare i presupposti per l'applicazione dell'art. 54-ter, abbia provveduto ex officio in ordine all'ulteriore corso del procedimento, fissando senz'altro l'udienza per la sua continuazione oppure impartendo disposizioni ai suoi ausiliari sulle operazioni da svolgere, e questa udienza o queste operazioni ricadano nel lasso temporale delle proroghe di cui ai decreti nn. 137 e 183/2020. Come si vede, dunque, l'improvvida norma emergenziale è destinata ancora per qualche tempo a far discutere gli interpreti. È lecito pertanto chiedersi: cosa accadrà ora? Il 30 giugno è alle porte e la maggior parte del semestre di sospensione dichiarata incostituzionale è ormai decorsa. Una cosa è certa: laddove il Governo decidesse di prorogare ancora una volta l'efficacia della sospensione delle procedure esecutive aventi ad oggetto l'abitazione principale del debitore non potrà non considerare il monito della Consulta e varare una nuova disciplina normativa, in grado di contemperare adeguatamente le esigenze dei creditori ad ottenere il rilascio degli immobili con quelle dei debitori che vi abitano. Riferimenti
Auletta, Proroga della sospensione delle procedure esecutive sulla prima casa e inefficacia dei pignoramenti: qualche riflessione a prima lettura, in questa Rivista, 5 novembre 2020; Auletta, E' costituzionalmente legittima la sospensione delle procedure esecutive riguardanti l'abitazione principale del debitore durante l'emergenza Covid-19?, in questa Rivista, 1 marzo 2021; Cerrato, Considerazioni sulla costituzionalità della legislazione emergenziale in tema di sospensione delle procedure esecutive immobiliari intraprese sull'abitazione principale del debitore, in La nuova procedura civile, 9 marzo 2021; D'Arrigo – Costantino – Fanticini - Saija, Legislazione d'emergenza e processi esecutivi e fallimentari, Roma, 2020; Fanticini-Leuzzi-Rossi-Saija, L'art. 54-ter d.l. n. 18 del 2020 nel sistema dell'esecuzione forzata, in REF, 2020, 3, 794 ss.; Fanticini-Leuzzi-Rossi-Saija, Una postilla all'art. 4, d.l. 28-10-2020, n. 137 (decreto “ristori”), in REF, 2020, 4, 1086 ss.; Nardone, La sospensione dei provvedimenti di rilascio di immobili nel Decreto “Milleproroghe 2020”, in questa Rivista, 5 gennaio 2021. |