Redazione scientifica
29 Giugno 2021

La terza sezione civile della Corte di cassazione dubita dell'idea di affidare all'art. 294 c.p.c. la regolamentazione delle conseguenze in appello del rilievo della nullità della vocatio in ius e rimette, per l'effetto, la questione alle Sezioni Unite.

La Corte d'appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, dichiarava nulla, nei confronti di D.P., la sentenza emessa dal Tribunale, in ragione del mancato rispetto del termine a comparire previsto nel relativo atto di chiamata in causa. Avverso la sentenza della Corte territoriale proponeva ricorso per cassazione D.P, censurando, per quanto di interesse, la sentenza impugnata per avere il giudice di secondo grado erroneamente omesso di provvedere alla rimessione in termini di D.P., siccome non raggiunto da un valido atto di chiamata in causa, con la conseguente autorizzazione al deposito delle memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c.

La terza sezione della Corte rileva che l'impugnazione proposta dal ricorrente sollecita la risoluzione di una questione di natura processuale in ordine alla quale la giurisprudenza della Corte risulta essersi espressa in modi talora contrastanti e, da ultimo, insoddisfacenti. In particolare - una volta escluso che la vicenda in esame dia luogo ad un'ipotesi di rimessione al primo giudice (non potendo ravvisarsi alcuna delle ipotesi tassativamente previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c.) – ci si è chiesti se il giudice d'appello debba limitarsi a dichiarare la nullità, ovvero debba avere il potere di decidere nel merito. Consolidatosi l'orientamento favorevole alla seconda soluzione (Cass. civ., sez. un.,n. 122/2021) - al quale le Sezioni Unite prestano adesione -, si è inserito il principio statuito da Cass. civ., sez. III, n. 10580/2021 secondo cui «dedotta la nullità della citazione come motivo di appello, gli effetti della sua rilevazione da parte del giudice sono regolati dall'art. 294 c.p.c. equivalendo la proposizione dell'appello a costituzione tardiva nel processo, sicchè il convenuto contumace, pur avendo diritto alla rinnovazione dell'attività di primo grado da parte del giudice di appello, può essere ammesso a compiere le attività colpite dalle preclusioni verificatesi nel giudizio di primo grado solo se dimostri che la nullità della citazione gli abbia impedito di conoscere il processo e, quindi, di difendersi, se non con la proposizione del gravame». La Corte di cassazione dubitando dell'idea di affidare all'art. 294 c.p.c. la regolamentazione delle conseguenze in appello del rilievo della nullità della vocatio in ius rimette, per l'effetto, la questione alle Sezioni Unite.

Tratto da: www.dirittoegiustizia.it

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