Aspetti dell'organizzazione dell'orario del lavoro
30 Giugno 2021
Massima
Qualora un lavoratore abbia stipulato con un medesimo datore di lavoro più contratti di lavoro, il periodo minimo di riposo giornaliero, previsto dall'articolo 3 della direttiva 2003/88/CE, si applica a tali contratti considerati nel loro insieme e non a ciascuno di detti contratti considerato separatamente. Il caso
La domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, è stata presentata nell'ambito di una controversia tra l'Accademia degli Studi Economici di Bucarest, Romania (ASE) e l'Organismo Intermedio per il Programma Operativo Capitale Umano – Ministero dell'Istruzione Nazionale, Romania) (OI POCU MEN) in merito a una rettifica finanziaria effettuata da quest'ultimo, nell'ambito di un programma di finanziamento, per mancato rispetto da parte dell'ASE del numero massimo di ore di lavoro al giorno per persona.
Nel caso a quo si era si era verificata l'illegittimità dei costi sostenuti dall'Ente ASE per la retribuzione di taluni esperti lavoratori che risultavano aver superato il limite massimo dell'orario di lavoro con la copertura di 13 ore giornaliere, ma nell'ambito di plurime contrattualizzazioni. Infatti, risultava che in forza di una pluralità di contratti di lavoro avrebbero cumulato, in determinati giorni, le 8 ore dell'orario di base con quelle lavorate nell'ambito del progetto e nell'ambito di altri progetti o attività. La questione
La questione in esame è la seguente: l'interpretazione dell'art. 2, punto 1, e l'art. 3 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, nel senso che, qualora un lavoratore abbia stipulato con un medesimo datore di lavoro più contratti di lavoro, il periodo minimo di riposo giornaliero, previsto da tale articolo 3, si applica a tali contratti considerati nel loro insieme ovvero considerati separatamente. Le soluzioni giuridiche
La Corte ha ribadito che il diritto di ciascun lavoratore ad una limitazione della durata massima del lavoro ed a periodi di riposo, in particolare giornaliero (vedi art. 3, Direttiva 2003/88/CE, concernente taluni aspetti dell'organizzazione del lavoro), costituisce un principio particolarmente importante del diritto sociale dell'Unione, espressamente sancito dall'art. 31, par. 2, Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea), la cui attuazione deve avvenire entro i limiti previsti dalla normativa comunitaria (CGUE 14 maggio 2019, C-55/18 e giurisprudenza ivi citata).
In particolare, gli artt. 3 e 6 della citata Direttiva prevedono che, al fine di garantire una migliore protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, gli Stati membri sono tenuti ad adottare misure necessarie affinché “ogni lavoratore” possa beneficiare nel corso di ogni periodo di 24 ore, di un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive (vedi, in tal senso, sentenza del 14 maggio 2019, CCOO, C‑55/18, EU:C:2019:402, punto 38). In tale sentenza la Corte di Giustizia Ue ha ritenuto che solo l'istituzione di un sistema che consenta la misurazione della durata dell'orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore, evidentemente tracciando con precisione l'ora di inizio e l'ora di fine della singola prestazione lavorativa, può in concreto assicurare il rispetto effettivo della durata massima settimanale del lavoro e dei periodi minimi di riposo giornaliero e settimanale.
Nell'ipotesi in cui il lavoratore abbia stipulato più contratti di impiego con lo stesso imprenditore, il requisito del tempo minimo giornaliero destinato al recupero delle energie psicofisiche “non può essere soddisfatto” se i periodi di riposo sono esaminati separatamente per ogni rapporto. In tal caso, infatti, “le ore che si considerano costituire periodi di riposo nell'ambito di un contratto sarebbero (come illustrato dalla controversia principale) atte a costituire orario di lavoro nell'ambito di un altro contratto”, sebbene uno stesso intervallo di tempo non possa essere contemporaneamente qualificato come orario di lavoro e di riposo (ai sensi dell'art. 2, punti 1 e 2, Dir. cit.) e la normativa comunitaria non preveda una categoria intermedia tra tali periodi (CGUE 10 settembre 2015, C-266/14). Osservazioni
Non è ammissibile che uno stesso periodo possa essere qualificato, allo stesso tempo, come orario di lavoro e come periodo di riposo. I principi richiamati nella sentenza della Corte, si applicano ai lavoratori che, in forza di un contratto d'impiego, s'impegnano a fornire “per un certo periodo di tempo”, a favore e sotto la direzione dell'imprenditore, le proprie prestazioni in cambio della retribuzione (CGUE 11 aprile 2019, C-603/17; CGUE 20 novembre 2018, C-147/17), e possono essere derogati solo quando strettamente necessario alla tutela di interessi egualmente rilevanti (CGUE 21 febbraio 2018, C-518/15).
In particolare, ai sensi dell'art. 17, par. 1 della Direttiva citata, un'eccezione al periodo minimo di riposo giornaliero è giustificata nelle circostanze in cui “la durata dell'orario di lavoro, a causa delle caratteristiche dell'attività esercitata, non è misurata e/o predeterminata”, ma può essere definita dai lavoratori stessi (CGUE 26 luglio 2017, C-175/16).
Peraltro, se i contratti di impiego non fossero esaminanti congiuntamente, il lavoratore, in quanto parte debole del rapporto, sarebbe esposto alle pressioni da parte dell'imprenditore al fine di suddividere il suo orario di lavoro in più contratti, rendendo, di fatto, impossibile al dipendente l'esercizio del suo diritto al riposo minimo giornaliero.
Giova ricordare che, il nostro ordinamento (D.lgs. n. 66/2003) attualmente non prevede alcun obbligo di tracciare in modo analitico la durata della prestazione lavorativa. L'art. 39 comma 2 del D.L. n. 112/2008 prescrive l'indicazione nel Libro Unico del Lavoro del calendario delle presenze, da cui risulti, per ogni giorno, il numero di ore di lavoro effettuate da ciascun lavoratore subordinato, nonché delle ore di straordinario, delle eventuali assenze dal lavoro, anche non retribuite, delle ferie e dei riposi, senza obbligo di riportare l'ora di inizio e di fine di ogni giornata di lavoro.
Infine, occorre tenere in considerazione che ai sensi dell'art. 9, co.1 del citato D.lgs. n. 66/2003, il lavoratore ha diritto ad un periodo di riposo ogni sette giorni, di regola nella giornata di domenica, da fruire consecutivamente al riposo giornaliero. Dunque, l'ammontare totale delle ore di riposo consecutive risulta pari a 35, che corrispondono a 24 ore ininterrotte di riposo settimanale, da cumulare con le 11 ore di riposo giornaliero. La mancata concessione del cumulo con il riposo giornaliero determina, a carico del datore di lavoro, l'applicazione di sanzioni (circ. Min. Lavoro n. 8/2005 e Cass. n.24/2018).
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