'Collezionista' di opere d'arte e 'mercante' di opere d'arte, quali differenze?

30 Giugno 2021

Quali sono le conseguenze, ai fini impositivi, della vendita di oggetti d'arte?

Quali sono le conseguenze, ai fini impositivi, della vendita di oggetti d'arte?

Il precedente Testo Unico conteneva una norma, l'art. 76, 1° comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, secondo cui erano considerate “speculative” le plusvalenze derivanti dalla vendita di oggetti d'arte, qualora il periodo di tempo intercorrente tra l'acquisto e la vendita fosse non superiore ai due anni.

Tale disposizione non figura più nell'attuale TUIR, sicchè in assenza di tale vuoto normativo occorre affidarsi ai chiarimenti resi dall'Agenzia delle Entrate ed alle decisioni rese dalla giurisprudenza.

Indicativamente possono delinearsi due “figure” in relazione alla vendita di opere d'arte:

  • il collezionista, per il quale l'acquisto di opere d'arte non è preordinato alla successiva rivendita sul mercato, assumendo una destinazione meramente privata. Il collezionista non esercita, quindi, un'attività professionale di intermediazione nella vendita di opere d'arte. Sul punto la CTR Torino, sez. III, sent. n. 1412 del 18 settembre 2012, ha affermato che “È infatti meramente normale che un collezionista acquisti e venda opere d'arte allo scopo di arricchire la propria collezione. Ma la dedizione nel tempo alla creazione e al mantenimento della propria collezione e l'esperienza via via accumulata in materia artistica, non integrano la ripetizione di atti di commercio tipica dell'esercente professionale di un'attività imprenditoriale”. In tal caso non emerge alcun reddito imponibile ai fini delle imposte dirette;
  • il mercante d'arte, vale a dire colui che in maniera regolare, sistematica e ripetitiva, realizza atti economici finalizzati alla rivendita delle opere. In tal caso emerge un reddito di impresa imponibile ai fini delle imposte dirette ai sensi dell'art. 55 del TUIR.

Interessanti sono le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza, la quale ha tracciato i confini di cui all'art. 55 TUIR.

La giurisprudenza (Cass., sent. n. 27211 del 20 dicembre 2006) ha ritenuto che un'attività economica, per essere inquadrata dal punto di vista fiscale tra quelle in grado di produrre reddito di impresa, deve essere caratterizzata, anzitutto, dalla professionalità e dall'abitualità.

Inoltre, come si ricava dall'incipit dell'art. 55 citato, si deve trattare pur sempre di un'impresa commerciale, mentre irrilevanti sono l'esercizio in forma di impresa e l'approntamento di una organizzazione di risorse umane, mezzi, beni ecc..

La giurisprudenza ha, altresì, rilevato che seppur le nozioni civilistica e fiscale di impresa commerciale divergano e non coincidano, tuttavia è altrettanto evidente, pena uno svuotamento del significato di impresa commerciale, che la stessa ai fini fiscali, nonostante non debba essere caratterizzata da una certa organizzazione, debba pur sempre essere programmata, preordinata fin dall'inizio, per il conseguimento di corrispettivi. Se si intendesse elidere dalla nozione fiscale di impresa commerciale anche tale caratteristica intrinseca e strutturale di ogni impresa commerciale, significherebbe giungere ad una definizione di impresa commerciale del tutto indistinta rispetto ad altri tipi di attività.

Né si può ragionevolmente sostenere che i confini della nozione di impresa commerciale a fini fiscali siano unicamente quelli tracciati dalla seconda parte del primo comma dell'art. 55 citato, laddove il legislatore ha precisato che per impresa commerciale si intende l'esercizio di un'attività in forma professionale ed abituale. Non vi è, in altre parole, una piena ed esaustiva coincidenza tra professione abituale ed impresa commerciale. Ed infatti, lo stesso art. 55 TUIR aggiunge che si deve trattare dello svolgimento professionale ed abituale di una delle attività di cui all'art. 2195 c.c., le quali, tutte, implicano una nozione di impresa commerciale che richiama la necessità, quanto meno, di una sorta di programmazione per l'acquisizione di corrispettivi. Dal punto di vista fiscale, per essere impresa commerciale non sarà necessario approntare una organizzazione, ma occorrerà, quanto meno, svolgere una attività stabilmente preordinata e programmata per conseguire corrispettivi.

E dunque, è vero che l'elemento organizzativo è irrilevante, è vero che l'elemento della durata nel tempo (abitualità) è assai importante, ma non può essere trascurato l'elemento della natura commerciale, inteso come predisposizione dell'attività al conseguimento di corrispettivi. E tale predisposizione deve pur emergere da elementi fattuali dotati di un qualche grado di certezza.

Con ciò non si vuole di certo affermare che sia necessario il conseguimento in concreto di utili, in quanto, all'evidenza, un'impresa commerciale può esistere anche in perdita a seguito della vendita di beni sotto costo. Si intende solamente affermare che l'impresa commerciale, rilevante ai fini fiscali, deve pur sempre possedere un assetto, una struttura (anche se non squisitamente di tipo organizzativo), delle evidenze che conducano a presumere una programmazione al conseguimento di corrispettivi. Se non emergono elementi di fatto in grado condurre a tale presunzione, se al contrario risultano elementi che depongono per una attività iniziata e continuata per effettuare cessioni di beni per ragioni diverse dal conseguimento stabile nel tempo di corrispettivi, allora si è al di fuori di imprese commerciali a fini fiscali.

Stante tale interpretazione del dato fiscale, la giurisprudenza si è così espressa con riferimento alle attività di acquisto e vendita di operare d'arte:

  • la CTR Veneto, sez. XXIX, sent. n. 279 del 22 febbraio 2016 ha escluso la qualifica di “mercante d'arte” in capo a colui che aveva concentrato la vendita di opere d'arte nell'arco di due anni, coincidenti con un periodo di crisi societaria ed a prezzi inferiori a quelli di mercato. In tal caso, ha osservato la Commissione, “Se il sig. avesse inteso svolgere attività di impresa commerciale lo avrebbe fatto per più tempo, e non solamente nel periodo necessario a ripianare i debiti, o lo avrebbe fatto ricercando, per quanto possibile, il conseguimento di prezzi almeno pari a quelli di mercato. Al contrario le vendite si sono concentrate nel documentato periodo di crisi societaria e sono state realizzate a prezzi inferiori a quelli di mercato”. La Commissione ha evidenziato, inoltre, l'irrilevanza dell'ingente valore complessivo delle opere oggetto di spoglio, in quanto “l'elemento valore, in sede di accertamento induttivo e basato su presunzioni, soprattutto in un'ipotesi come quella in esame di totale assenza di un'impresa formale e pubblicizzata, finisce per rappresentare un elemento di giudizio di segno neutro in quanto tutto dipende dal tipo di bene messo in vendita”;
  • la Commissione Tributaria I grado Trentino-Alto Adige, sez. II, sent. n. 191 del 27 novembre 2017, ha ritenuto non configurarsi, nella specifica fattispecie, il presupposto della “commercialità” dell'operazione di vendita di dipinti di De Chirico, in quanto realizzata “al solo fine di "consegnare" agli eredi una quota di eredità non altrimenti divisibile (proprio in ragione della sua specifica ed indivisibile entità)”. In specie, secondo i Giudici, le modalità di cessione (ad una casa d'aste) si giustificavano per l'originalità e la particolarità dell'operazione, in quanto “un quadro di tale rilevanza non può certo essere affidato a "mani inesperte" né si può pensare si possa facilmente cedere tra privati, non essendo verosimile avere conoscenza di soggetti "qualificate" cui poterlo offrire. La scelta di affidare la vendita ad una casa d'aste si giustifica dunque ampiamente sia per la ricerca dell'acquirente sia per la ricerca del maggior ricavo possibile, cosa del tutto legittima anche in presenza di una operazione che, più che occasionale, può definirsi "unica"”;
  • la CTP Piemonte, sez. III, sent. n. 351 del 19 aprile 2018, ha affermato che “Non costituisce operazione commerciale la vendita, da parte di una società semplice avente come oggetto sociale la gestione del patrimonio immobiliare, di una collezione di autovetture di notevole pregio, anche storico, creata e curata per pura passione dal fondatore, in seguito al decesso del medesimo ed al fine di evitare gravi costi di manutenzione e custodia. In tal senso rileva, altresì, la vendita della collezione ad un'unica società acquirente con inevitabile contenimento dei prezzi stabiliti per ciascuna delle vetture, rispetto a quelli che potevano essere conseguiti con una vendita parcellizzata, di talché non può attribuirsi contraria rilevanza al fatto che l'operazione abbia avuto una certa rilevanza economica, avuto riguardo all'ammontare complessivo delle somme incassate”;
  • la CTR Piemonte, sez. IV, sent. n. 637 del 14 maggio 2019, ha qualificato come “reddito diverso” ai sensi dell'art. 67, comma 1, lett. i), Tuir, i proventi derivanti dalla vendita di autovetture d'epoca e da collezione posta in essere da una società semplice costituita allo scopo di custodire i beni di famiglia e tenerli separati da quelli personali dei soci e delle altre attività imprenditoriali dei medesimi.

In specie, i Giudici hanno ritenuto carenti i caratteri di sistematicità, professionalità ed abitualità propri dell'esercizio di una attività commerciale.

Da quanto delineato, si può affermare come non sia semplice la distinzione tra “mercante d'arte” e “collezionista”; per tal ragione assuma notevole rilevanza l'analisi degli elementi concreti al fine di appurare se si sia al cospetto di un “mercante d'arte”, oppure di un “collezionista”.

In particolare, tra le circostanze da tenere in considerazione al fine di qualificare un contribuente come “mercante d'arte” (e, quindi, al fine di predicare la sussistenza di un reddito d'impresa derivante dall'attività di intermediazione nell'acquisto e nella vendita delle opere) vi sono (esemplificativamente ma non esaustivamente):

  1. continui e molteplici rapporti con i terzi sia al fine di organizzare i fattori produttivi (l'acquisto) sia al fine di scambiare i prodotti o servigi creati (la vendita);
  2. la presenza di un'alimentazione finanziaria creditizia esterna anche temporanea, che costituisca supporto non disgiunto dalla professionalità necessitata;
  3. il riscontro di inserzioni di vendita;
  4. il riscontro di trattative serrate di vendita;
  5. la partecipazione ad eventi fieristici promozionali volti ad acquisire l'interesse di una platea di acquirenti;
  6. l'elevato numero delle transazioni di opere d'arte effettuate durante l'anno;
  7. l'incasso di importi elevati nelle transazioni in oggetto;
  8. la tipologia di soggetti con cui si sono intrattenuti i rapporti (case d'aste; altri mercanti d'arte, ecc…).

Da rilevare, inoltre, che accanto alle predette categorie si colloca anche quella del “venditore occasionale”, vale a dire di colui che non svolge come attività commerciale di tipo abituale quella di compravendita di opere d'arte (come accade, invece, per il “mercante d'arte”), ma compie in maniera solo saltuaria tali operazioni.

In tal caso i redditi derivanti dalle attività di acquisto e vendita di opere d'arte sono qualificabili quali “redditi diversi” ai sensi dell'art. 67, comma 1, lett. i), TUIR.

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