Francesco Brandi
30 Giugno 2021

Deducibili fiscalmente gli accantonamenti effettuati a titolo di indennità suppletiva agenti, non potendosi sostenere la tesi opposta in base alla natura aleatoria di detta indennità, la quale dunque non assume la qualifica di componente negativo del reddito di impresa solo al momento della sua concreta corresponsione. L'estensione del diritto alla deduzione dell'accantonamento per tale indennità risulta coerente con l'interesse del legislatore di favorire il comportamento previdente del preponente e, al tempo stesso, tutelare l'agente, quale soggetto contrattualmente più debole e di uniformare - in tema di reddito d'impresa, e specificamente di accantonamenti - i diversi criteri contabili imposti dalle norme civilistiche o specificamente stabiliti da quelle tributarie. Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con l'ordinanza n. 18360 del 28 giugno 2021, ha accolto il ricorso di una società.

Indennità suppletiva di clientela e criteri di deducibilità: modifiche normative e orientamenti giurisprudenziali. La Cassazione ha ricordato il nuovo orientamento della Cassazione formatosi a seguito della modifica civilistica dell'indennità di fini mandato corrisposta all'agente. Secondo tale orientamento in tema di deducibilità fiscale degli accantonamenti per le indennità di fine rapporto, l'art. 70 (ora 105 TUIR, secondo cui «Gli accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto e ai fondi di previdenza del personale dipendente istituiti ai sensi dell'art. 2117 c.c., se costituiti in conti individuali dei singoli dipendenti, sono deducibili nei limiti delle quote maturate nell'esercizio in conformità alle disposizioni legislative e contrattuali che regolano il rapporto di lavoro dei dipendenti stessi») del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, trova applicazione anche all'indennità suppletiva di clientela spettante agli agenti, dovendo quest'ultima ritenersi compresa tra le "indennità per la cessazione di rapporti di agenzia", cui fa riferimento l'art. 16, primo comma, lettera d), del medesimo d.P.R., richiamato dal quarto comma dell'art. 105 cit..

Detta locuzione va infatti riferita a tutta la materia regolata dall'art. 1751 c.c., il quale contiene ormai l'intera disciplina dell'indennità di fine rapporto dell'agente di commercio, essendo venuta meno, per effetto dell'art. 4 del d.lgs. 10 settembre 1991, n. 303, di esecuzione della direttiva 86/653/CEE, ogni distinzione fra "indennità di scioglimento del contratto" (obbligatoria perchè di origine codicistica) ed "indennità suppletiva di clientela" (derivante dalla contrattazione collettiva e fruibile solo a determinate condizioni), e non potendosi escludere la deducibilità dei relativi accantonamenti in virtù del carattere aleatorio dell'indennità in parola (cfr. Cass. 29529/2018 e 20946/2019).

Sul punto si ricorda che la deducibilità degli accantonamenti delle quote di indennità per cessazione del rapporto di agenzia (ai sensi dell'attuale art. 105, comma 4, TUIR) è influenzata dalla disciplina civilistica di tale indennità, contenuta nell'art. 1751 c.c., come modificato con decorrenza dal 1° gennaio 1993.

Fino al 31 dicembre 1992, infatti, la misura dell'indennità era stabilita dagli accordi collettivi, i quali suddividevano l'indennità di cessazione del rapporto di agenzia in tre distinti emolumenti: “indennità di risoluzione del rapporto”; “indennità suppletiva di clientela” e “indennità meritocratica”; in particolare l'indennità suppletiva di clientela veniva corrisposta all'agente soltanto a determinate condizioni, ossia «se il contratto a tempo indeterminato si scioglie ad iniziativa della casa mandante per fatto non imputabile all'agente o rappresentante».

Con la nuova formulazione l'art. 1751 disciplina in modo compiuto l'indennità (prevedendone le condizioni di erogazione), senza più rinviare alle previsioni del contratto collettivo di categoria; inoltre ora è prevista una nozione unitaria dell'indennità, non essendo stata riproposta la precedente tripartizione.

Sotto la vigenza del precedente art. 1751 la Cassazione, dopo essersi pronunciata per la deducibilità degli accantonamenti per indennità suppletiva di clientela (cfr. Cass. n. 9179 e n. 10221 del 2003 secondo le quali il rinvio operato dall'art. 70 del TUIR all'art. 16, come vigenti ratione temporis, doveva intendersi all'indennità di cessazione nel suo complesso; il fatto che i contratti collettivi subordinassero la corresponsione di una quota parte della stessa a determinate condizioni non ostava alla deducibilità immediata dell'accantonamento ma, eventualmente, legittimava gli Uffici a determinare il quantum deducibile sulla base di criteri statistici, che tenessero conto delle probabilità di cessazione del rapporto di agenzia per fatto imputabile all'agente), ha successivamente mutato orientamento, ritenendo indeducibili detti accantonamenti.

In particolare, nella sentenza 16 maggio 2003 n. 7690 (non a caso richiamata dalla pronuncia in commento) la Corte ha rilevato che «l'indennità suppletiva di clientela (…) è caratterizzata dalla mera eventualità dell'obbligo del preponente alla sua corresponsione, condizionata … alla ricorrenza della ipotesi che il contratto di agenzia si sciolga "ad iniziativa della casa mandante per fatto non imputabile all'agente”: e ciò, a differenza dell'indennità di cui all'art. 1751 c.c. … alla cui corresponsione il preponente è, in ogni caso, obbligato per legge» (cfr., in senso conforme, Cass. n. 24448/05, n. 24973/06 e n. 1910/07).

Più di recente i Giudici di legittimità (con le sentenze nn. 13506, 13507 e 13508/09) hanno riconosciuto la deducibilità dell'accantonamento alla luce del mutato contesto normativo: ferma restando la validità del precedente orientamento, i giudici hanno evidenziato che «poiché l'art. 1751 c.c. contiene ormai l'intera disciplina dell'indennità di fine rapporto dell'agente di commercio- essendo caduta, per effetto della modifica normativa suddetta, la distinzione fra "indennità di scioglimento del contratto", obbligatoria perché di origine codicistica, e “indennità suppletiva di clientela”, sorgente da contrattazione collettiva e fruibile solo a determinate condizioni (fra le tante, Cass. nn. 2126/2001, 4586/1991) -, l'espressione “indennità per la cessazione di rapporti di agenzia”, contenuta nell'art. 16, comma 1, lett. d), TUIR, (ora art. 17, comma 1, lett. d del Tuir) ha portata estesa, senza ulteriori distinzioni, alla materia regolata dalla citata norma del codice. Né l'interprete può escludere - anche se la norma sia di stretta e rigorosa interpretazione - ciò che il legislatore non ha inteso esplicitamente escludere». Sulla base delle predette considerazioni i Giudici hanno infine affermato che «a fronte della chiara lettera normativa, e della conseguita unitarietà del trattamento di fine rapporto dell'agente di commercio, l'esclusione della deducibilità dell'accantonamento, fondata sul carattere aleatorio dell'indennità in parola, non convince: anche i fondi di previdenza del personale, cui si riferisce l'art. 70, comma 1, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (ora art. 105 del Tuir) e, in genere, tutti gli accantonamenti per rischi, … , contemplano spese di carattere aleatorio senza che, per questo, se ne possa desumere, contra legem, l'indeducibiltà». Questa interpretazione è stata successivamente confermata con le pronunce n. 8134/11 e n. 8288/13.

Rebus sic stantibus, la deducibilità degli accantonamenti non può più essere negata in relazione “al carattere aleatorio dell'indennità”; né appare possibile fondare l'indeducibilità sull'insussistenza dei requisiti di certezza e determinabilità fissati dall'art. 109 TUIR.

Il caso concreto.

Ribaltato l'esito della CTR Lombardia secondo cui l'indennità suppletiva di clientela risultava indefinita sia nell'importo e sia nell'anno di verificazione, non potendo essere dedotta, ai sensi dell'art. 70 del d.P.R. n. 916/1986 (ora 105 TUIR), nell'anno 2005, ma soltanto nell'anno in cui fosse venuta ad esistenza.

Col proprio ricorso in Cassazione la società denunciava violazione di legge ritenendo che gli accantonamenti per le indennità di cessazione dei rapporti di Agenzia, ivi inclusa l'indennità suppletiva di clientela, sono deducibili per competenza nell'esercizio di imputazione al conto economico.

La Cassazione ha accolto il ricorso enunciando il seguente principio di diritto: «in tema di determinazione del reddito di impresa, l'art. 105 del d.P.R. n. 917/1986, il quale disciplina la deducibilità fiscale degli accantonamenti per le indennità di fine rapporto, si applica anche all'indennità suppletiva di clientela spettante agli agenti, da reputarsi inclusa tra le “indennità per la cessazione di rapporti di agenzia”, cui fa riferimento l'art. 17, primo comma, lett. d, del medesimo d.P.R., richiamato dal quarto comma dell'art. 105, dovendosi intendere tale locuzione come riferita a tutta la materia regolata dall'art. 1751 c.c., il quale, a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 303/1991, contiene, a decorrere dal 1° gennaio 1993, l'intera disciplina dell'indennità di fine rapporto dell'agente di commercio, essendo venuta meno ogni distinzione fra “indennità di scioglimento del contratto” (obbligatoria perché di origine codicistica) ed “indennità suppletiva di clientela” (derivante dalla contrattazione collettiva e fruibile solo a determinate condizioni), e non potendosi più escludere la deducibilità dei relativi accantonamenti in virtù del carattere aleatorio dell'indennità».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it