Accertamento dell'obbligo del terzo: onere della prova del credito e suoi rapporti con l'opposizione all'esecuzione

Giulio Cicalese
01 Luglio 2021

La Suprema Corte analizza alcuni interessanti profili del giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo di cui all'art. 549 c.p.c. dapprima indagando i suoi rapporti con l'opposizione all'esecuzione, con la quale si è negata ogni possibile riunione in sede di legittimità e, poi, esaminando il contenuto dei documenti idonei a provare l'entità del saldo complessivo del credito vantato dal debitore esecutato.
Massima

Nel giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo, che, nel regime anteriore alla novella del 2013 (di cui alla l. 228/2012, art. 1, comma 20), è un ordinario giudizio di cognizione, incombe al creditore attore l'onere di provare l'entità del saldo complessivo del credito del debitore esecutato verso il suo creditore nel suo complessivo ammontare; pertanto, è insufficiente a tal fine un documento relativo ad una sola delle componenti del detto saldo, quale, nel rapporto di tesoreria tra un Comune ed il suo tesoriere, l'estratto del conto di transito, sia pure con saldo originario attivo presso la Banca d'Italia.

Qualora, nell'ambito della stessa procedura esecutiva (o di procedure esecutive connesse), fosse mossa anche un'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., i due procedimenti non potrebbero essere riuniti nel corso del giudizio di Cassazione poiché tra di essi non sussiste l'identità oggettiva necessaria per l'applicazione degli artt. 274, comma 2 e - in via analogica - 335 c.p.c., ma mera connessione soggettiva e parzialmente oggettiva, inidonea a fondare la riunione nel giudizio di legittimità.

Il caso

Il creditore procedente, sulla base di un'ordinanza di assegnazione di somme pronunciata ex art. 553 c.p.c. contro il terzo pignorato, intraprendeva, nei confronti di quest'ultimo resosi inadempiente, una seconda procedura esecutiva.

Tale successiva procedura esecutiva, si svolgeva anch'essa con le modalità dell'esecuzione presso terzi; in essa il creditore contestava il contenuto della dichiarazione negativa di capienza resa dal terzo pignorato, mentre il nuovo debitore esecutato (già terzo pignorato) eccepiva l'impignorabilità delle somme depositate presso quest'ultimo, in uno con la sussistenza del credito originariamente azionato: le contestazioni del primo genere davano luogo a un giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo, svoltosi nella modalità a cognizione piena prevista dal codice ante novella del 2012, mentre quelle attinenti all'esistenza del credito vantato in executivis, invece, erano oggetto di un autonomo giudizio di opposizione all'esecuzione.

Il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo pignorato si concludeva, sia in primo che in secondo grado, con una sentenza di accoglimento, che statuiva per l'effettiva sussistenza di un credito vantato dal debitore esecutato nei confronti del terzo; l'opposizione all'esecuzione, invece, veniva rigettata sia in primo grado che in appello.

Contro entrambe le sentenze di seconde cure il debitore esecutato infine promuoveva due autonomi ricorsi per Cassazione.

La questione

Nella sentenza in commento, pronunciata nell'ambito del procedimento di accertamento dell'obbligo del terzo pignorato, la Corte esamina in via preliminare la possibilità, nel corso del giudizio di Cassazione, di riunire ex artt. 274, comma 2 e 335 c.p.c. il ricorso esaminato con quello proposto avverso la sentenza sull'opposizione all'esecuzione.

La Cassazione ha poi esaminato la distinta questione, attinente all'idoneità di un documento, (precisamente l'estratto conto di transito col saldo originale attivo presso la Banca d'Italia) prodotto nell'ambito del giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo, a provare l'entità del saldo complessivo del credito del debitore esecutato verso il suo creditore nel suo complessivo ammontare.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha anzitutto disatteso ogni sollecitazione alla riunione dei due autonomi ricorsi proposti dal debitore esecutato, ritenendo inapplicabili sia l'art. 274, comma 2, che l'art. 335 c.p.c.: secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente a cui la Corte ha aderito, perché vi possa essere riunione occorre che tra i procedimenti pendenti in sede di legittimità sussista identità soggettiva ed anche oggettiva, mentre quest'ultimo requisito non era invece ravvisabile nel caso di specie.

Secondariamente, i giudici della Corte di cassazione hanno ritenuto fondate le doglianze espresse dal debitore contro la sentenza di accertamento dell'obbligo del terzo, chiarendo che il giudizio ad essa relativo - sia nella sua forma attuale, sia in quella precedente alla riforma del 2012 - si svolge col sol fine di identificare il preciso ammontare delle somme depositate presso il terzo pignorato, non essendo quindi idoneo a tale scopo qualsiasi altro documento che non contenga indicazione del saldo attuale di tesoreria: l'estratto conto di transito col saldo originale attivo presso la Banca d'Italia, viceversa, segnala esclusivamente le giacenze apparenti presso un soggetto estraneo al rapporto di debito oggetto di esecuzione.

Osservazioni

Quanto al primo profilo, quello attinente alla riunione di procedimenti connessi e pendenti dinanzi alla Corte di cassazione, può osservarsi che dai suoi più risalenti precedenti non è possibile ricavare un orientamento univoco intorno all'applicazione dell'art. 274 c.p.c. al giudizio di legittimità (cfr., in senso negativo, Cass. civ., n. 3670/1980; contra Cass. civ., nn. 781/1978 e 781/1979), sebbene in epoca più recente si sia optato (cfr. ex pluris Cass. civ., nn. 2922/1997, 19978/2005, 28227/2005, 1237/2007, 14607/2007) per ammettere la riunione di ricorsi per cassazione proposti avverso due diverse sentenze. Il consolidamento del nuovo orientamento, volto a superare il dato immediatamente ricavabile dalla collocazione dell'art. 274 all'interno del Titolo I («dei procedimenti davanti al Tribunale») del Libro I del c.p.c., è stato dettato da un preciso intento di valorizzazione della ratio della norma e cioè garantire, da un lato, il rispetto del principio di economia processuale e, dall'altro, valorizzare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione.

La casistica della Suprema Corte sull'applicazione dell'art. 274 c.p.c. al giudizio di legittimità si è così sviluppata intorno a fattispecie in cui, tra i vari ricorsi separatamente proposti contro diverse sentenze, esisteva una connessione (anche solo parzialmente) soggettiva e, soprattutto, una sovrapposizione totale dal punto di vista oggettivo (cfr., ad es., Cass. civ., n. 19978/2005): solo in casi di tal foggia si manifesterebbe dunque l'esigenza di garantire l'uniforme applicazione delle norme di diritto nell'ordinamento, la quale non verrebbe tutelata qualora due o più cause, caratterizzate dai medesimi petita e causae petendi, fossero decise in maniera contrastante per non essersi instaurato il simultaneus processus.

Analoghe considerazioni possono esser fatte sull'art. 335 c.p.c., il cui dato letterale prescrive la riunione di «tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza»: anche in questo caso, per prevenire soluzioni giurisprudenziali contrastanti, nel rispetto del principio di economia processuale, la Suprema Corte ha ammesso l'applicazione della norma, in via analogica, anche ai casi in cui ad essere impugnate siano due sentenze diverse (cfr. ex multis Cass. civ., n. 10933/1997, Cass. civ., nn. 6391/2004, 19470/2014).

Nel caso di specie, tra il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo pignorato e quello di opposizione all'esecuzione sussiste un rapporto di pregiudizialità logica: difatti, la necessità per il creditore procedente di accertare i crediti che il debitore vanta verso il terzo o le cose del debitore che sono in possesso altrui nasce nell'ambito di una procedura esecutiva, per cui viene meno qualora l'intera esecuzione venga caducata. Per la Suprema Corte, tuttavia, questa connessione non è sufficiente a giustificare la riunione dei procedimenti in sede di legittimità: in effetti, il rischio di giudicati contrastanti non sussiste, poiché ben potrebbe esser accertato il credito vantato dal debitore nei confronti del terzo e, successivamente, venir dichiarata l'insussistenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata da parte del creditore.

A tal proposito è utile una precisazione: com'è noto, a seguito della riforma attuata con la l. 228/2012, il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo pignorato ha acquisito un carattere meramente endoesecutivo, non essendo quindi idoneo a far stato tra il debitore ed il terzo in merito al rapporto di credito tra di loro intercorrente; nella sua previgente formulazione, invece, tale giudizio (che si svolgeva nelle modalità di un ordinario giudizio di cognizione) era caratterizzato - secondo la giurisprudenza prevalente – da un duplice oggetto: da un lato, infatti, esso aveva rilevanza meramente processuale, nella parte in cui era funzionale ad individuare i crediti o i beni in possesso del debitore ai fini esecutivi ma, dall'altro, consentiva di accertare, con efficacia di giudicato, i rapporti sostanziali intercorrenti tra il debitore ed il terzo (cfr. SU Cass. nn. 25037/2018 e 3773/2014).

Per le ragioni sopra esposte, quindi, la soluzione offerta dalla Suprema Corte nella sentenza in commento può considerarsi certamente valida, soprattutto se rapportata alla fattispecie processuale di cui si è occupata, e cioè il giudizio a cognizione piena previsto dall'art. 549 c.p.c. ante l. 228/2012. Tale procedimento, infatti, esisteva e si concludeva a prescindere della procedura esecutiva in cui era sorto, mentre l'attuale disciplina, secondo cui «l'ordinanza produce effetti ai fini del procedimento in corso», comporta che il legame con quest'ultimo sia indissolubile: se a venir meno è l'intera esecuzione, si rivela inutile ogni accertamento preventivamente esperito al fine di individuare i crediti o i beni da espropriare; l'attività svolta dal giudice dell'esecuzione potrebbe quindi rivelarsi vanamente dispendiosa, in dispregio di quel principio di economia processuale che aveva spinto la Suprema Corte ad applicare gli artt. 274 e 335 c.p.c. anche al giudizio di legittimità.

Apertis verbis, la disciplina del giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo pignorato successiva alla novella di cui alla l. 228/2012 potrebbe suggerire, per ragioni di opportunità, una riunione di giudizi anche in sede di legittimità, pur difettando il requisito dell'identità oggettiva costantemente richiesto dalla Corte. Sennonché, la Cassazione non sembra intenzionata ad aprire spiragli in tal senso: l'applicazione degli artt. 274 e 335 c.p.c., facoltativa per il giudice che ravvisi la sussistenza delle esigenze supra descritte (cfr. Cass. civ., n. 1521/2013), deve continuare ad operare nel corso delle sole fasi di merito in presenza di una connessione parzialmente oggettiva.

Quanto al secondo profilo affrontato dalla sentenza che qui si annota, relativo al contenuto dei documenti idonei a fondare il giudizio di accertamento previsto dall'art. 549 c.p.c., la Corte osserva, sulla premessa di considerare detto giudizio quale procedimento volto ad accertare la consistenza dei crediti vantati dal debitore nei confronti del terzo fino al momento della sua conclusione, che solo un documento che contenga il saldo attivo delle somme disponibili presso l'istituto bancario titolare del rapporto di conto corrente può considerarsi idoneo ad identificare con precisione l'ammontare dei crediti che il debitore esecutato vanta nei confronti di quest'ultimo. L'estratto conto di transito col saldo originale attivo presso la Banca d'Italia non può assurgere a tale scopo: esso non contiene indicazione dell'ammontare dei crediti e, soprattutto, come compiutamente spiegato in motivazione, attiene ad un rapporto sostanziale diverso rispetto a quello tra il debitore esecutato ed il terzo debitore.

Queste conclusioni, a cui la Corte di cassazione è giunta all'esito di un procedimento di accertamento a cognizione piena, sono valide anche se riferite al nuovo e deformalizzato giudizio introdotto dalla l. 228/2012: da una parte è vero che l'istruttoria debba ora svolgersi secondo le modalità che il giudice dell'esecuzione ritiene più opportune - con la sola garanzia del contraddittorio tra il creditore (che agisce iure proprio) ed il debitor debitoris (cfr. Corte cost., n. 172/2019 per la legittimità costituzionale della norma), unitamente, secondo dottrina prevalente, al rispetto dei tradizionali principî in tema di ripartizione dell'onere probatorio -, ma, dall'altra, ciò non ha sicuramente comportato variazioni sulla funzione e l'oggetto del procedimento disciplinato dall'art. 549 c.p.c.

Da ultimo, merita di essere segnalato come la decisione in commento si inserisca in quel filone giurisprudenziale ormai consolidato, secondo cui l'ordinanza di assegnazione dei crediti è idonea a costituire titolo esecutivo per un nuovo procedimento esecutivo (anche nelle forme dell'esecuzione presso terzi) nei confronti dell'originario terzo debitore qualora quest'ultimo si renda inadempiente; prima della novella del 2012, infatti, in mancanza di una precisa indicazione di legge, era discusso se l'ordinanza di assegnazione pronunciata ex art. 553 c.p.c. fosse ascrivibile al rango dei titoli esecutivi elencati dall'art. 474, comma 2, c.p.c.: in senso contrario deponeva il tenore letterale del n. 1), secondo il quale rientrano in detta categoria «i provvedimenti […] ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva», ma la dottrina e la giurisprudenza più attente (cfr. Cass. civ., n. 3976/2003 e Cons. St., Ad. plen., n. 2/2012 per la possibilità di avviare un giudizio di ottemperanza contro la P.A. inadempiente) avevano sottolineato che esigenze logico-sistematiche di opportunità e coerenza dell'ordinamento imponevano di individuare nell'ordinanza di assegnazione di crediti uno strumento immediatamente eseguibile nei confronti del terzo debitore assegnato. Sul punto merita di essere segnalato che di recente il legislatore, con la novella del 2012, è infine opportunamente intervenuto a sciogliere ogni possibile dubbio interpretativo: l'art. 549 c.p.c. nella sua versione attuale discorre esplicitamente dell'«esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione», fornendo quindi al creditore quel supporto letterale richiesto dall'art. 474, comma 2, n. 1) c.p.c.

Riferimenti
  • Colesanti, L'infelice situazione del terzo debitore (anche dopo le recenti riforme), in Riv. dir. proc., 2015, 6, pp. 1345 e ss.;
  • Crivelli, L'accertamento dell'obbligo del terzo, in Riv. esec. forz., 2016, 2, pp. 177 e ss.;
  • Delle Donne, L'ordinanza di assegnazione del credito ex art. 553 c.p.c. è suscettibile di ottemperanza: l'Adunanza plenaria risolve il contrasto di giurisprudenza ma non dimostra l'equiparabilità dell'assegnazione alla sentenza passata in giudicato, in www.judicium.it;
  • Giordano, Considerazioni sul procedimento di accertamento dell'obbligo del terzo, in Riv. esec. forz., 2016, 4, pp. 636 e ss.;
  • Saletti, Le novità dell'espropriazione presso terzi, in www.judicium.it;
  • Stasio, La costituzionalità del nuovo “accertamento” dell'obbligo del terzo, ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la ragionevole durata del processo, in Riv. esec. forz., 2019, 4, pp. 859 e ss.;
  • Tiscini, Considerazioni intorno a natura, effetti e regime dell'ordinanza di assegnazione del credito ex art. 553 c.p.c., in www.judicium.it.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.