Risoluzione del concordato preventivo e fallimento “omisso medio”: la parola alle Sezioni Unite

01 Luglio 2021

Con l'ordinanza interlocutoria in esame queste le questioni di particolare importanza da sottoporre al vaglio delle Sezioni Unite: a) se sia ammissibile l'istanza di fallimento nei confronti di impresa già ammessa al concordato preventivo poi omologato, a prescindere dall'intervenuta risoluzione del concordato; b) se il fallimento debba essere dichiarato solo per insolvenza nuova rispetto al momento dell'omologazione del concordato ovvero anche per inadempimento alle obbligazioni discendenti dall'esecuzione dello stesso concordato omologato e, in caso di ammissibilità del fallimento in tali ipotesi se sia possibile un eventuale fallimento dell'impresa ammessa al concordato omologato, anche prima dello spirare del termine annuale di cui all'art. 186 L.F.
Il caso

L'ordinanza interlocutoria che si annota apre una (esplicita) breccia in un fronte giurisprudenziale che si è mostrato, negli ultimi anni, apparentemente coeso.

Le questioni di massima di particolare importanza da sottoporre al vaglio delle Sezioni Unite sono sintetizzate nei termini che seguono:

- se sia ammissibile “l'istanza di fallimento ex artt. 6 e 7 l. fall. nei confronti di impresa già ammessa al concordato preventivo poi omologato, a prescindere dall'intervenuta risoluzione del concordato”;

- se il fallimento debba essere dichiarato “solo per un'insolvenza nuova rispetto al momento dell'omologazione del concordato ovvero anche per l'inadempimento alle obbligazioni discendenti dall'esecuzione dello stesso concordato omologato e, in caso di ammissibilità del fallimento in tali ipotesi” se sia possibile “un eventuale fallimento dell'impresa ammessa al concordato omologato, anche prima dello spirare del termine annuale di cui al terzo comma dell'art. 186 l. fall.”.

La Sezione rimettente precisa preliminarmente che sulla questione dell'ammissibilità della dichiarazione di fallimento c.d. “omisso medio non esiste un vero contrasto giurisprudenziale. Tuttavia, il caso che si descrive sembra rappresentare l'occasione per stimolare una pronuncia, sugellata per la prima volta dall'intervento delle Sezioni Unite, su una querelle che vede contrapposte la giurisprudenza, specialmente di legittimità – maggiormente favorevole alla possibilità di una dichiarazione di fallimento “omisso medio” – e la dottrina – che si è espressa in senso quasi unanimemente contrario. Ciò in un momento, è bene ricordarlo, in cui il “tramonto” della legge fallimentare tarda ad arrivare e fatica a sorgere il nuovo Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza.

La Corte d'appello di Campobasso aveva accolto l'appello proposto da una società avverso la sentenza dichiarativa del fallimento della stessa, sulla scorta della mancata previa risoluzione, ex art. 186 l. fall., del concordato preventivo cui la società era stata ammessa. Nel revocare la dichiarazione di fallimento, la sentenza precisava che a diversa decisione si sarebbe potuti giungere qualora gli organi del fallimento avessero fornito la prova della dichiarazione, da parte del giudice delegato, della impossibilità di eseguire regolarmente il concordato. Il fallimento ha proposto ricorso per cassazione, lamentando la violazione degli artt. 5, 185 e 186 l. fall., sia relativamente al profilo della necessaria previa risoluzione del concordato rispetto alla dichiarazione di fallimento, fondata su un'insolvenza sopravvenuta all'omologazione del piano, sia relativamente alla asserita necessità di una pronuncia di impossibilità della regolare esecuzione del concordato per instaurare la successiva procedura fallimentare.

Le questioni giuridiche

È auspicabile che il Supremo consesso chiarisca alcuni profili, per così dire, ancillari, ma non meno privi di risvolti applicativi e, soprattutto, sistematici, che sono stati prospettati dalla Prima Sezione nella motivazione dell'ordinanza.

Bisogna, infatti, verificare se l'ammissibilità di un'istanza di fallimento “omisso medio” possa agevolare l'elusione degli stringenti limiti cui la legge fallimentare subordina la risoluzione del concordato omologato: legittimazione riconosciuta unicamente ai creditori e non anche al P.M. e al debitore, inadempimento di non scarsa importanza, termine annuale di decadenza, decorrente dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto dal concordato.

Inoltre, potrebbe essere contraddittorio, da un lato, subordinare la possibilità di dichiarare il fallimento “in consecuzione”, durante la pendenza di una – ancora precaria negli effetti – procedura di concordato, al verificarsi dei presupposti di cui agli artt. 162, 173, 179 e 180 l. fall., dall'altro, ammettere sic et simpliciter l'instaurazione di un autonomo fallimento, successivamente all'omologazione definitiva del concordato e indipendentemente dalla sua risoluzione, con evidente sovversione del principio di «doverosa preferenza per le procedure concorsuali volontarie» [G. Costantino], ribadito nella L. delega n. 155/2017 (art. 2, comma 1, lett. g) e nell'art. 7, comma 2, CCI.

Invero, meriterebbe maggiore garanzia di stabilità un concordato che sia già stato omologato dal giudice piuttosto che un concordato in fieri.

Devono, infine, considerarsi le conseguenze che l'accoglimento della tesi favorevole alla dichiarazione di fallimento “omisso medio” potrebbe avere sulla obbligatorietà del concordato omologato per tutti i creditori aventi titolo anteriore alla presentazione del ricorso, ai sensi dell'art. 184 l. fall.

La dettagliata esposizione dei dubbi sistematici derivanti dall'ammissibilità della dichiarazione di fallimento senza previa risoluzione del concordato lascia intravedere una velata presa di posizione, da parte del Collegio rimettente, contraria alla tesi in esame.

Le soluzioni giuridiche favorevoli alla dichiarazione di fallimento “omisso medio”

Cass., Sez. VI-1, 17 luglio 2017,n. 17703 e 11 dicembre 2017, n. 29632. A sostegno della proponibilità, da parte del creditore, dell'istanza di fallimento a prescindere dalla risoluzione del concordato omologato, il primo dei provvedimenti or ora citati richiama la modifica dell'art. 186 l. fall. ad opera del D.Lgs. n. 169/2007. La novella ha eliminato l'automatismo tra la risoluzione o l'annullamento del concordato e la dichiarazione officiosa di fallimento del debitore da parte del tribunale. Automatismo che, lo si ricorda, sussiste ancora in caso di risoluzione o annullamento del concordato fallimentare, ai sensi degli artt. 137 e 138 l. fall., che dispongono la ri-apertura della procedura concorsuale.

Il creditore ha, pertanto, due alternative: agire esclusivamente in base all'art. 6 l. fall., per fare accertare i presupposti di cui agli artt. 1 e 5 l. fall. (nonché l'assenza delle cause ostative di cui all'art. 10 l. fall.), qualora egli intenda fare valere il proprio credito nella misura ristrutturata dal concordato omologato; agire per la risoluzione del concordato, indipendentemente o contestualmente all'istanza di fallimento, nel caso in cui pretenda il soddisfacimento del credito originario, ante falcidia concordataria.

Due precisazioni: nella massima ufficiale dell'ordinanza si fa riferimento all'“inadempimento di debiti concorsuali”, i quali concorrono, nella misura ristrutturata, al calcolo delle soglie rilevanti per l'accertamento dell'insolvenza; nel corpo motivazionale si afferma per incidens che lo stato di insolvenza ex art. 5 l. fall. deve accertarsi alla data della decisione sollecitata dal creditore, ossia la dichiarazione di fallimento. Dunque, in un momento successivo all'apertura della procedura concordataria, non essendo rilevante – sembra – che l'insolvenza esistesse già al momento della presentazione del ricorso ex artt. 160 e 161 l. fall. Dal momento che il presupposto oggettivo del concordato preventivo, vale a dire il più ampio stato di crisi, non necessariamente coincide con lo stato di insolvenza, è necessario verificare l'attualità di quest'ultima.

Inoltre, l'ordinanza, al pari della successiva dell' 11 dicembre 2017, n. 29632, dello stesso tenore, assume una nozione di “novità” dell'insolvenza particolarmente ampia, essendo tale non solo quella derivante da obbligazioni sorte successivamente all'apertura della procedura concordataria, ma anche quella determinata dall'inadempimento delle obbligazioni concordatarie, le quali, rispetto ai crediti originari, sarebbero il risultato di una transazione novativa [G. Giurdanella]; contrariamente a quanto affermato da parte della dottrina e della giurisprudenza di merito (App. Firenze, 16 maggio 2019) secondo cui la falcidia concordataria non intaccherebbe il titolo – dunque la causa – del credito che accede al concordato, ma atterrebbe unicamente alla sua quantificazione, essendo invece necessario che l'insolvenza sia frutto dell'inadempimento di obbligazioni sopravvenute all'apertura del concordato.

Sempre con riferimento al profilo della nuova insolvenza, la Corte costituzionale (Corte cost., 2 aprile 2004, n. 106) ha precisato che, dal disposto della legge fallimentare , non potrebbe desumersi l'irrilevanza dei debiti esistenti al momento di apertura del concordato, ai fini dell'integrazione del presupposto di cui all'art. 5 l. fall.: in particolare, non può predicarsi una sorta di cancellazione della precedente insolvenza a seguito dell'omologazione del concordato. In questo senso, è ricorrente in entrambi gli orientamenti l'affermazione secondo cui l'effetto esdebitatorio presuppone che il concordato, una volta omologato, venga eseguito regolarmente affinché il debitore ritorni in bonis.

Le pronunce di Cass, Sez. I, 17 ottobre 2018, n. 26002 e Sez. VI-I, 22 giugno 2020, n. 12085. In merito al momento in cui è possibile proporre istanza di fallimento “omisso medio”, i giudici della Corte di Cassazione si sono recentemente espressi a favore della presentazione della domanda in pendenza del termine annuale per chiedere la risoluzione del concordato. Dando per presupposta l'ammissibilità della dichiarazione di fallimento senza previa risoluzione del concordato, i provvedimenti citati affermano che il fallimento, in quanto evento sopravvenuto incompatibile con l'esecuzione del piano concordatario, rende irrealizzabile l'attuazione dello stesso, facendo venire meno gli effetti esdebitatori e definitivi discendenti dall'omologazione ai sensi dell'art. 184 l. fall.

Se si afferma expressis verbis che la dichiarazione di fallimento prima della scadenza del termine ex art. 186 l. fall. produce una risoluzione implicita del concordato, ne consegue logicamente che la vera cristallizzazione del piano concordatario non deriva dall'omologazione, bensì dallo scadere infruttuoso del termine di decadenza annuale. Con la conseguenza che il creditore sarà ammesso al passivo del fallimento nella misura originaria del credito, dal momento che sarebbe incoerente imporre al creditore una falcidia, che si giustificava solo nell'ottica di una celere attuazione del concordato, e che lo stesso non ha potuto “rimuovere” esercitando l'azione di risoluzione.

In questo modo potrebbe, in effetti, ravvisarsi la paventata, da parte dell'ordinanza interlocutoria, elusione dei limiti posti dall'art. 186 l. fall., ottenendosi lo stesso effetto della risoluzione – reviviscenza del credito originario – senza proporre la relativa domanda. Tuttavia, è bene precisare che, nel caso esaminato dalla Corte, il fallimento era stato richiesto dal P.M. che, così facendo, ha di fatto impedito al creditore di far rivivere il proprio credito originario con l'azione di risoluzione. Non è insensato, dunque, ritenere che, qualora sia lo stesso creditore ad agire per la dichiarazione di fallimento, pur in pendenza del termine di risoluzione del concordato, il suo credito dovrebbe scontare la “penalità” della falcidia concordataria, dal momento che l'ordinamento ha messo a sua disposizione uno strumento per neutralizzarla, di cui egli non si è avvalso.

La posizione contraria della dottrina maggioritaria… Nei provvedimenti favorevoli alla dichiarazione di fallimento “omisso medio” si ritrova spesso l'argomento della inammissibilità di una situazione in cui il concordato omologato rimanga ineseguito, ma non possa più essere risolto, per decorrenza del termine annuale, dai creditori. I quali, impossibilitati a richiedere il fallimento, verrebbero privati di ogni tutela giudiziale del proprio credito, in attesa di uno spontaneo adempimento da parte del debitore.

Da questo punto di vista, le posizioni che respingono il fallimento “omisso medio” sostengono – oltre all'assenza di una norma che autorizzi a richiedere il fallimento in pendenza del concordato, al di là delle ipotesi legalmente tipiche – che i creditori insoddisfatti possono decidere se: esercitare un'azione di cognizione ordinaria, al fine di ottenere l'esatto adempimento; agire in via esecutiva, facendo valere il credito falcidiato, con facoltà per il debitore di opporre la c.d. eccezione di concordato rispetto alla porzione già riscossa in esecuzione del piano.

Tuttavia, non può concludersi che, in questo modo, il creditore ottenga una tutela equivalente a quella assicurata dal fallimento “omisso medio”: oltre a subire la falcidia concordataria, infatti, egli dovrebbe sostenere le sicure spese di un giudizio individuale, ordinario o di esecuzione, dagli esiti incerti, condotto senza le garanzie del concorso e del rispetto delle cause legittime di prelazione.

La dottrina in esame fa leva sulla lettera dell'art. 168 l. fall. che fa coincidere la cessazione dell'effetto protettivo del debitore da azioni esecutive e cautelari individuali con il momento di omologazione del concordato, ferma restando la obbligatorietà del piano approvato dalla maggioranza dei creditori.

…e della giurisprudenza minoritaria. Nella giurisprudenza di merito contraria alla dichiarazione di fallimento senza previa risoluzione del concordato omologato si nota una certa gradualità nelle soluzioni adottate: dal riconoscimento del fallimento “omisso medio” solo nel caso di infruttuosa scadenza del termine per chiedere la risoluzione del concordato ineseguito (Trib. Padova, 30 marzo 2017 e Trib. Rovigo, 7 dicembre 2017) si arriva a negare, in ogni caso, la possibilità di agire ex art. 6 l. fall. in mancanza di risoluzione (Trib. Pistoia, 21 dicembre 2017 e App. Firenze, 16 maggio 2019).

Serve poi menzionare il decreto di Trib. Ancona 25 febbraio 2015, il cui orientamento è stato richiamato dalla sentenza della Corte d'Appello di Campobasso e censurato con il secondo motivo di ricorso: una volta chiusa la procedura concordataria, le uniche pronunce costitutive che il giudice può adottare, idonee a demolire la “uguale e contraria” efficacia costitutiva del concordato omologato, sono quelle di risoluzione o di annullamento. In presenza di una conclamata impossibilità di adempiere regolarmente il piano, il tribunale, quale organo dotato di poteri di supervisione nella fase esecutiva, può soltanto accertare, con un provvedimento dichiarativo, l'ineseguibilità dell'accordo, consentendo così ai creditori di agire con gli ordinari strumenti di tutela esecutiva del credito.

Nel caso che si annota, la dichiarazione di impossibile esecuzione del piano viene presentata come presupposto indefettibile per proporre istanza di fallimento indipendentemente dalla risoluzione del concordato: ricorrendo al giudice, si dà la possibilità al debitore di opporre la circostanza che il concordato è in corso di esecuzione secondo le scadenze fissate e che le obbligazioni, il cui inadempimento dovrebbe concretizzare l'insolvenza, non sono ancora esigibili.

Cass. Civ., Sez. I, 22 maggio 2019, n. 13850. Infine, un cenno alla pronuncia di Cass. Civ., Sez. I, 22 maggio 2019, n. 13850, che rappresenta un caso piuttosto isolato nel panorama della giurisprudenza di legittimità. Pur pronunciandosi in materia di fallimento di un'impresa che abbia ottenuto l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, la Corte ha precisato le differenze che intercorrono con l'ipotesi di concordato preventivo: nel primo caso, si riconosce la legittimazione a presentare istanza di fallimento ad un terzo estraneo all'accordo, anche senza previa risoluzione dello stesso; nel secondo caso, viene negata l'ammissibilità del fallimento “omisso medio”. L'argomento principale è rappresentato dalla obbligatorietà del concordato omologato, ai sensi dell'art. 184 l. fall., per tutti i creditori, anche se non favorevoli al piano approvato dalla maggioranza. Obbligatorietà che costituisce una proiezione del principio civilistico di cui all'art. 1372 c.c. e che può essere superata esclusivamente nel rispetto dei limiti stabiliti dall'art. 186 l. fall.

Osservazioni

«Con il consolidarsi dell'orientamento espresso dalla Suprema Corte [favorevole alla dichiarazione di fallimento “omisso medio”] il complesso intreccio tra concordato preventivo, risoluzione e fallimento parrebbe ormai ampiamente ridotto a sistema» [G.P. Macagno]. Il condizionale è d'obbligo, alla luce del complesso quadro emerso fino a questo punto. A chiusura del lavoro, si vorrebbero offrire alcuni spunti di riflessione, in attesa che si pronuncino le Sezioni Unite.

L'asimmetria che sussiste, dal punto di vista della legittimazione, tra istanza di fallimento (art. 6 l. fall. – art. 37, comma 2, Nuovo Codice) e azione di risoluzione del concordato (art. 186 l. fall. – art. 119 Nuovo Codice) potrebbe leggersi come traduzione dei diversi interessi al centro di ciascuna fase della procedura concorsuale: fino a quando il concordato non sia stato omologato, il procedimento ha una spiccata, anche se non assoluta, connotazione pubblicistica, potendo imboccare la via della dichiarazione di fallimento, in presenza di eventi particolari e su richiesta del P.M., rappresentante dell'interesse generale. Una volta che sia intervenuta l'omologazione giudiziale, a sugello di un raggiunto accordo tra debitore e creditori, riemergono e diventano più forti gli interessi contrattual-privatistici alla corretta esecuzione del piano e la possibilità di intervento da parte dell'autorità giudiziaria si giustifica in un'ottica di supervisione della procedura.

Il problema dell'ammissibilità del fallimento “omisso medio” potrebbe dunque essere risolto proprio dal punto di vista della legittimazione ad attivare la procedura, limitandola ai soli creditori e valorizzando quella specialità dell'art. 186 l. fall., rispetto all'art. 6 l. fall., che costituisce uno degli argomenti utilizzati dalla dottrina contraria.

Un breve cenno va fatto all'ipotesi di concordato con cessione dei beni ai creditori: qui, le percentuali di realizzo della vendita dei beni debitorii sono meramente indicative, non costituendo una promessa di pagamento da parte del debitore. Il loro mancato raggiungimento, pertanto, non configura necessariamente quell'inadempimento di non scarsa importanza richiesto ai fini della risoluzione del concordato omologato, potendosi, per altro verso, accertare la sopravvenuta insolvenza del debitore che giustificherebbe una dichiarazione di fallimento, necessariamente “omisso medio”.

Infine, deve ricordarsi che la versione originaria del nuovo codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, nonostante le aspettative, non ha innovato la disciplina della risoluzione del concordato preventivo omologato e dei suoi rapporti con il successivo fallimento. È stata unicamente prevista la legittimazione del commissario giudiziale, su richiesta del ceto creditorio, la quale potrebbe valere ad incentivare le istanze di risoluzione di concordati “senza speranza”, a discapito della dichiarazione di fallimento.

Parte della dottrina ha ravvisato un'adesione implicita del legislatore alla tesi del fallimento “omisso medio” nel disposto dell'art. 114, comma 5, Nuovo Codice, nella parte in cui dispone il dovere, per il commissario giudiziale, di trasmettere la relazione del liquidatore giudiziale al P.M., per consentirgli, in ipotesi, di instare per il fallimento.

Soltanto il c.d. Decreto correttivo n. 147/2020, inserendo un comma 7 all'art. 119, da un lato, ha subordinato la dichiarazione di liquidazione giudiziale alla previa risoluzione del concordato, dall'altro, ha previsto un'eccezione nel caso in cui lo stato di insolvenza derivi da debiti sorti successivamente al deposito della domanda di apertura della procedura. Come hanno precisato le Sezioni Unite (sentenza 24 giugno 2020, n. 12476), evocando la dottrina tedesca della frühe Wirkung, la riforma legislativa non ancora entrata in vigore costituisce un utile strumento ermeneutico per colmare le lacune del sistema normativo vigente, a patto che si ravvisi una continuità tra gli istituti.

Chiaramente, se si aderisse alla tesi giurisprudenziale che ravvisa nel credito come ristrutturato dal concordato omologato una nuova obbligazione, la riforma avrebbe fallito nel suo obiettivo di «riformulare le disposizioni che hanno originato contrasti interpretativi, al fine di favorirne il superamento» (art. 2, comma 1, lett. m), L. n. 155/2017).

Guida all'approfondimento

Giurisprudenza citata: Cass., Sez. VI-I, 11 dicembre 2017, n. 29632, cfr. A. Pezzano - M. Ratti, L'irrealizzabile esecuzione del concordato preventivo: il fallimento senza risoluzione, in Fallimento, 2018, 731 ss.; App. Firenze, 16 maggio 2019, cfr. M. Spadaro, Concordato preventivo inadempiuto e dichiarazione di fallimento omisso medio, in Fallimento, 2019, 977 ss.; Corte cost., 2 aprile 2004, n. 106, cfr. A. Coppola, Il creditore pretermesso può richiedere il fallimento anche se il concordato non è stato annullato, in Dir. fall., 2004, 679 ss.; Cass., Sez. I, 17 ottobre 2018, n. 26002, cfr. G.P. Macagno, Effetti esdebitatori del concordato preventivo in pendenza del termine di risoluzione e sopravvenuta dichiarazione di fallimento, in Fallimento, 2019, 337 ss.; Trib. Padova, 30 marzo 2017 - Trib. Rovigo, 7 dicembre 2017 - Trib. Pistoia, 21 dicembre 2017, cfr. F. Rasile, Concordato inadempiuto ma non risolto e successivo fallimento omisso medio, in IlFallimentarista.it; Trib. Ancona, 25 febbraio 2015, cfr. G. Giurdanella, Inadempimento del concordato preventivo e mancata richiesta infrannuale di risoluzione, in Fallimento, 2016, 222 ss.; Cass. Civ., Sez. I, 22 maggio 2019, n. 13850, cfr. F. Bonato, La variabile temporale nei rapporti tra istanza di fallimento e ricorso per l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione, in Fallimento, 2019, 882 ss.; sulla possibilità di dichiarare il fallimento di un'impresa in assenza di risoluzione del precedente accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, cfr. Trib. Roma, 23 luglio 2019, con nota di G. Bua, Sull'inadempimento degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Giur. comm., 2020, 1415 ss.

Sulle modifiche apportate dal Correttivo al CCI, cfr. 12. F. Lamanna, D. Galletti, Dall'emergenza Covid al Correttivo del Codice della crisi d'impresa. Commento alla legislazione concorsuale nell'emergenza pandemica e al D.Lgs. n. 147/2020 con tavole sinottiche, Milano, 2021, 256 ss.

Per la dottrina sul principio di “doverosa preferenza per procedure concorsuali volontarie”, cfr. G. Costantino, Note sui rapporti tra concordato preventivo e fallimento nel disegno di delega per riforma delle procedure concorsuali, in Fallimento, 2017, 626 ss. Per la dottrina sull'adesione implicita del legislatore del nuovo codice alla tesi dell'ammissibilità fallimento “omisso medio”, cfr. A. Picardi, L'esecuzione del concordato preventivo alla luce del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Giust. civ., 27 maggio 2019. Per la dottrina contraria alla tesi dell'ammissibilità del fallimento “omisso medio”, cfr. F. Lamanna, Fallimento dell'impresa in concordato senza previa risoluzione: un problema ancora aperto, in ilFallimentarista, 5 Maggio 2017; M. Spadaro, Concordato preventivo e azioni esecutive post omologazione, in Fallimento, 2017, 66 ss.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario