Licenziamento disciplinare per giusta causa inesistente in assenza di contestazione al dipendente
07 Luglio 2021
Il caso
Il tribunale di Roma accoglie il ricorso di un dipendente licenziato per giusta causa da una società cooperativa e condanna il datore di lavoro a reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro.
Il datore di lavoro comunicava con lettera al ricorrente il licenziamento per giusta causa per il comportamento tenuto sul luogo di lavoro in violazione di ogni obbligo di diligenza, correttezza e doveri imposti al lavoratore che avrebbe assunto comportamenti di insubordinazione non attenendosi alle direttive aziendali impartite nonché “atteggiamenti aggressivi” irrispettosi e poco consoni in un luogo di lavoro. Tali episodi hanno fatto venir meno la fiducia nei confronti del dipendente.
Il dipendente impugnava il licenziamento presso il Tribunale di Roma sez. Lavoro chiedendo la nullità e/o la illegittimità del licenziamento intimato e ordinando di reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro ex.art. 3 comma 2 D.Lgs. n. 23/2015 con condanna al pagamento dell'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di fatto dovuta oltre ad interessi onché in subordine al pagamento di somme risarcitorie in misura ritenuta di giustizia.
Per il Tribunale: «Nel licenziamento disciplinare a carico del lavoratore, l'essenziale elemento di garanzia in suo favore è dato dalla contestazione dell'addebito, mentre la successiva comunicazione del recesso ben può limitarsi a richiamare quanto in precedenza contestato non essendo tenuto il datore di lavoro a descrivere nuovamente i fatti in contestazione per rendere puntualmente esplicitate le motivazioni del recesso […] La violazione delle disposizioni dell'art.7 della Legge n. 300 del 1970 integra un vizio formale che ai sensi dell'art. 4 del D.Lgs. n. 23 del 2015, non intaccato né dal D.L. 87 del 2018 né dalla sentenza della Corte costituzionale n. 194 del 2018, determina l'applicazione di una indennità risarcitoria variabile sulla base dell'anzianità di servizio da un minimo di 2 ad un massimo di 12 mensilità. Tuttavia l'art. 3 comma 2 della stessa norma consente di applicare la tutela reintegratoria nella ipotesi in cui il licenziamento disciplinare sia intimato per fatti contestati in realtà risultati insussistenti». La questione
La questione in esame è la seguente: la valutazione del fatto costituisce motivo di licenziamento è determinato nella contestazione disciplinare. La mancanza della comunicazione con cui si contesta una sanzione disciplinare integra un mero vizio formale ovvero può essere equiparata all'ipotesi di insussistenza del fatto? Le soluzioni giuridiche
La Suprema corte ha avallato l'interpretazione secondo la quale un fatto disciplinarmente rilevante non contestato deve essere considerato, ai fini disciplinari, insussistente. Il difetto di contestazione dell'infrazione determina l'inesistenza dell'intero procedimento di licenziamento e non solo l'inosservanza delle norme che lo disciplinano (Cass. 14 dicembre 2016, n. 25745), con conseguente applicazione della reintegrazione sul posto di lavoro a norma del comma 4 dell'articolo 18 della L. n. 300 del 1970, come modificato dalla L. n. 92 del 2012. Il comma 6 dell'articolo 18 della Legge 300 (Statuto dei lavoratori) sopra citata prevede che in caso di difetto assoluto di giustificazione del provvedimento di licenziamento si adotti la disciplina del reintegro del dipendente sul posto di lavoro. L'articolo 3 comma 2 del D.Lgs. n. 23 del 2015 prevede sostanzialmente la medesima sanzione di quella prevista dal quarto comma dell'art.18 L:300/70 e consequenzialmente si ritiene di poter estendere i principi di cui alla sentenza della Corte di cassazione n. 25745 del 14 dicembre 2016 anche a questa fattispecie, consolidando quindi il principio secondo il quale il licenziamento per giusta causa in assenza di alcuna contestazione di addebito precedente integra il vizio del provvedimento per insussistenza del fatto contestato. Osservazioni
Il licenziamento per giusta causa ha natura disciplinare, per cui il datore di lavoro deve, prima dell'intimazione, esperire la procedura prevista per le sanzioni disciplinari di cui all' art. 7 della L. 300/70, nonché rispettare le eventuali e ulteriori prescrizioni sul procedimento disciplinare dettate dal Contratto collettivo applicato.
La giurisprudenza ha poi chiarito che il licenziamento intimato senza contestazione disciplinare è ingiustificato, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria limitata di cui all' art. 18 comma 4 della L. 300/70 (in tal senso anche Cassazione n. 4879 del 2020).
Fatta eccezione per le ipotesi in cui la legge riconosce il potere di irrogare il licenziamento (L. 15 luglio 1966, n. 604), il datore non può adottare sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro (art. 7 comma 4 della L. 20 maggio 1970, n. 300).
Dall'art. 7 comma 4 della L. 300/70 si deducono quali sanzioni conservative:
Tali sanzioni coincidono con quelle indicate nei Contratti collettivi e nei regolamenti disciplinari aziendali, che possono stabilire anche una diversa misura delle stesse.
Il lavoratore può impugnare la sanzione disciplinare con ricorso al giudice del lavoro, con instaurazione di un processo.
In sede di giudizio, il datore di lavoro deve provare:
Pertanto il procedimento di cui all'art. 7 della L. 300/70 risulta essere elemento essenziale per la validità del licenziamento. Nel procedimento a carico del lavoratore, è elemento di garanzia in suo favore, la contestazione dell'addebito. Di fatto in sede di comunicazione di recesso il datore di lavoro potrebbe anche non descrivere nuovamente i fatti bensì richiamare il precedente provvedimento di contestazione di addebito, per rendere puntualmente esplicitate le motivazioni del recesso.
Il parametro per valutare la sussistenza di un fatto che costituisce motivo di licenziamento è dato dalla contestazione disciplinare per cui la totale mancanza di questa non può integrare un mero vizio formale ma in quanto preclude la possibilità di valutare se il fatto è sussistente di per sé può essere equiparata all'ipotesi di insussistenza del fatto. Pertanto un fatto determinante una sanzione disciplinare espulsiva” non contestato deve essere considerato ai fini disciplinari insussistente. |