Responsabilità di soci e liquidatori in caso di mancato pagamento delle imposte della società

Giovambattista Palumbo
06 Luglio 2021

La responsabilità dei liquidatori, degli amministratori e dei soci di società in liquidazione, in presenza dell'integrazione delle distinte fattispecie previste dall'art. 36 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, per l'ipotesi di mancato pagamento delle imposte sul reddito delle persone giuridiche, è una responsabilità per obbligazione propria, "ex lege", per gli organi, in base agli artt. 1176 e 1218 c.c., e per i soci di natura sussidiaria, avente natura civilistica e non tributaria.
Massima

La responsabilità dei liquidatori, degli amministratori e dei soci di società in liquidazione, in presenza dell'integrazione delle distinte fattispecie previste dall'art. 36 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, per l'ipotesi di mancato pagamento delle imposte sul reddito delle persone giuridiche, è una responsabilità per obbligazione propria, "ex lege", per gli organi, in base agli artt. 1176 e 1218 c.c., e per i soci di natura sussidiaria, avente natura civilistica e non tributaria. Tuttavia, nei confronti dell'ex socio, sono fatte salve le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile, rinviandosi quindi all'art. 2495 c.c., il quale stabilisce una responsabilità di tipo successorio. Nell'ipotesi di cancellazione della società di capitali dal registro delle imprese, l'Amministrazione finanziaria può quindi agire in via sussidiaria nei confronti del socio, sino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione.

Il caso

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza in commento, ha chiarito quali sono (e a che titolo) i profili di responsabilità per soci e liquidatori in caso di mancato pagamento delle imposte della società.

Nel caso di specie, i ricorrenti, nell'ambito di una controversia avente ad oggetto l'impugnazione di un avviso di accertamento e recupero, con cui l'Amministrazione Finanziaria aveva contestato responsabilità ex art. 36, comma 1 e 3, d.P.R. n. 602/1973, proponevano ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, che ne aveva rigettato l'appello, accogliendo invece, parzialmente, quello dell'Ufficio.

In particolare, rilevavano i ricorrenti, la Commissione Tributaria Regionale aveva confermato la pretesa fiscale nei confronti della società, quale ex socio (unico) di altra società cancellata e nei confronti dell'amministratore della stessa società cancellata e non invece, per quanto riguardava quest'ultimo, quale liquidatore della stessa, come invece contestato nell'avviso di accertamento, nel quale si faceva riferimento all'art. 36,comma 1, d.P.R. n. 602/1973.

La CTR aveva dunque ritenuto fondata la contestazione in relazione al comma 4 dell'art. 36, essendo a suo avviso indiscutibile che nei due anni precedenti la liquidazione l'amministratore della società poi cancellata aveva “... occultato attività sociali anche mediante omissioni nelle scritture contabili”.

Secondo i ricorrenti, come detto, nell'avviso di accertamento veniva però affermata la responsabilità in qualità di liquidatore, con esplicito riferimento al primo comma dell'art. 36 cit., e non, dunque, in qualità di amministratore, come invece (erroneamente) ritenuto dai giudici di appello, incorrendo così nel vizio di ultrapetizione.

La CTR, condividendo l'assunto della Commissione Tributaria Provinciale, secondo cui, al momento della redazione del bilancio di liquidazione e del relativo piano di riparto, non risultava alcun debito nei confronti dell'erario e, di conseguenza, non poteva ipotizzarsi alcuna responsabilità del liquidatore, aveva tuttavia affermato la responsabilità del destinatario dell'avviso quale amministratore della società, ritenendo che, nonostante il riferimento espresso al solo primo comma dell'art.36, contenuto nell'avviso di accertamento, la corretta qualificazione giuridica della fattispecie spettasse al giudice.

I giudici di appello, inoltre, secondo i ricorrenti, avevano comunque omesso di accertare se vi fossero sufficienti indizi a dimostrazione del fatto che, in qualità di amministratore, lo stesso, come previsto dal quarto comma dell'art.36 citato, avesse davvero occultato attività sociali nei due anni precedenti la liquidazione, mediante omissioni nelle scritture contabili.

Le questioni

L'avviso di accertamento, nell'intestazione e nella parte dispositiva, non faceva riferimento al quarto comma dell'art. 36 d.P.R.n.602/1973, relativo alla responsabilità degli amministratori, che, negli ultimi due periodi di imposta precedenti la liquidazione, abbiano compiuto operazioni di liquidazione, o abbiano occultato attività sociali, anche mediante omissioni nelle scritture contabili.

Nella motivazione dell'atto, invece, vi era un generico riferimento al quadro normativo, compreso quindi anche il quarto comma dell'art. 36, che veniva riportato insieme con il primo ed il terzo comma.

Infine, si affermava che “Il sig. …, quale amministratore prima e liquidatore successivamente, della soc. … s.r.l. Unipersonale, è responsabile del danno cagionato all'Erario per aver distribuito in sede di liquidazione l'avanzo di gestione prima di pagare le imposte dovute, come accertato dallo scrivente Ufficio con gli avvisi di accertamento di cui sopra ed iscritte a ruolo (...)”.

Dunque, la condotta contestata era quella di aver distribuito, in qualità di liquidatore, l'avanzo di gestione prima di pagare le imposte dovute, laddove il riferimento, contenuto nell'avviso di accertamento, alla sua precedente attività di amministratore appariva solo funzionale ad evidenziare come lo stesso fosse consapevole, al momento della liquidazione, degli importi dovuti al fisco, per essere stato partecipe di un'attività di frode, basata sulla fatturazione di operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti, per le quali aveva anche subito un procedimento penale (accuse però dalle quali, secondo quanto riportato in ricorso, risultava essere stato assolto in sede penale per insussistenza del fatto).

Quanto poi alla posizione della società, socia della società cancellata, dopo la cancellazione, avvenuta nel 2008, l'ufficio aveva proceduto (segnatamente nel 2010) nei confronti dell'ex socio unico, per le maggiori imposte accertate (e non contestate) a carico della stessa società per gli anni 2003 e 2007, ai sensi dell'art. 36, comma 3, d.P.R. n. 602 del 1973.

In tal caso la questione atteneva alla possibilità per il socio di contestare o meno il merito della fondatezza della pretesa formulata con gli avvisi emessi nei confronti della società cancellata.

Tanto premesso, si evidenza che la responsabilità dei liquidatori, degli amministratori e dei soci di società in liquidazione, in presenza dell'integrazione delle distinte fattispecie previste dall'art. 36 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, per l'ipotesi di mancato pagamento delle imposte sul reddito delle persone giuridiche, è dunque una responsabilità per obbligazione propria, "ex lege" (per gli organi, in base agli artt. 1176 e 1218 c.c., e per i soci di natura sussidiaria), avente natura civilistica e non tributaria.

Tuttavia, nei confronti dell'ex socio, l'art. 36, comma 3, cit., fa salve "le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile", e quindi rinvia all'art. 2495 c.c., il quale stabilisce una responsabilità di tipo successorio, per cui, nell'ipotesi di cancellazione della società di capitali dal registro delle imprese, l'Amministrazione finanziaria può agire in via sussidiaria nei suoi confronti, nei limiti di cui all'art. 2495 c.c., sino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, essendo però tenuta a dimostrare i presupposti della loro responsabilità e, cioè che, in concreto, vi sia stata distribuzione dell'attivo e che una quota di quest'ultimo sia stata riscossa, e non potendo allegare per la prima volta in appello la circostanza, non dedotta in sede di accertamento, della distribuzione occulta di utili extracontabili (cfr., Cass., 23/11/2016, n. 23916).

Le soluzioni giuridiche

Secondo la Suprema Corte il ricorso era fondato.

Evidenziano infatti i giudici di legittimità che, con l'avviso di accertamento, l'Ufficio aveva in effetti contestato la responsabilità per la fattispecie di cui al primo comma dell'art. 36 d.P.R.n.602 del 1973, in qualità di liquidatore.

Se dunque l'atto impositivo non imputava una responsabilità in qualità di amministratore, doveva ritenersi che tale (diversa) contestazione non potesse essere introdotta dall'Agenzia delle Entrate in sede giudiziale, tanto meno per la prima volta nel giudizio di appello, e che il giudice non potesse rilevarla d'ufficio, andando così oltre le contestazioni contenute nell'atto impositivo.

Anche le censure addotte dalla società, socio della società già cancellata, secondo la Cassazione, erano fondate.

Evidenziano a tal proposito i giudici che la socia, quale destinataria dell'avanzo di gestione della società poi cancellata, era tenuta a rispondere della totalità dell'obbligazione tributaria di quest'ultima società e di cui all'atto di accertamento e recupero impugnato, seppure fino a concorrenza dell'avanzo di gestione (pari peraltro, nella specie, a più di due milioni di euro).

La Cassazione ricorda anche che dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci, che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale, discende la presunzione di conoscenza, da parte della società stessa, dell'accertamento societario presupposto, e ciò quanto meno nel momento in cui il socio riceve quello di partecipazione.

E perciò, la sussistenza di utili extracontabili, in sostanza, costituisce il presupposto non della presunzione di distribuzione degli stessi tra i soci, ma dell'accertamento della concreta percezione di una determinata somma, da ciascun socio, in ragione della sua quota di partecipazione agli utili sociali.

La causa relativa all'accertamento dei redditi non dichiarati della società viene quindi a trovarsi in rapporto di pregiudizialità con le cause relative all'accertamento di maggiori redditi da partecipazione dei singoli soci, o al recupero dell'omesso versamento delle ritenute alla fonte sui dividendi derivanti ai soci dalla distribuzione dei suddetti utili extracontabili.

E, in mancanza di una impugnazione dell'accertamento sul reddito societario, tale accertamento non può essere messo in discussione nel giudizio sul reddito di partecipazione, salvo però che si dimostri che il socio non abbia "preso parte" o non sia stato "messo in grado di farlo, al processo instaurato dalla società al fine di impugnazione dell'accertamento (cfr., Cass. 26/11/2014, n. 25115), ovvero dimostri la propria estraneità alla gestione e conduzione della società (cfr., Cass., 18/02/2020, n. 3980).

E, nel caso di specie, la Corte riteneva che sussistesse proprio una delle menzionate clausole di salvezza, dato che la notifica degli avvisi in epoca in cui la società era già da tempo cancellata impediva (in fatto e in diritto) l'impugnazione del reddito societario, la cui "definitività" quindi non precludeva la contestazione in giudizio del merito di tale accertamento, essendo questo presupposto della pretesa fatta valere nei confronti dell'ex socio.

Né la responsabilità della ex socia era stata accertata ai sensi dell'art. 36, comma 5, del d.P.R. 602/1973, il quale prevede che «la responsabilità di cui ai commi precedenti è accertata dall'ufficio delle imposte con atto motivato da notificare ai sensi dell'art. 60 d.P.R., 600/1973» (atto successivamente emesso ed oggetto dell'attuale impugnazione).

Osservazioni

Quanto alla responsabilità dei liquidatori, innanzitutto, prima di entrare nel merito del se e quando tale responsabilità sussiste, relativamente al quantum bisogna anche evidenziare come tale responsabilità, secondo certa parte della giurisprudenza (per tutte vedi Cass., Sentenza n. 141 del 9 gennaio 2004), dovrebbe riguardare soltanto l'Ires (e non, quindi, l'Iva e l'Irap).

L'art. 19 del D.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 specifica infatti che l'art. 36 del d.P.R. n. 602/1973 è applicabile alle sole imposte sui redditi dovute dalle società di capitali, senza possibilità di estensione analogica né ad altri comparti impositivi, né ai liquidatori delle società di persone.

Ove residuino debiti per le suddette imposte, o per altri tributi l'unica norma che, per le società di capitali, consentirebbe di ritenere responsabili i soci e i liquidatori sarebbe allora l'art. 2495 c.c..

D'altra parte, si sottolinea però come, secondo altra tesi, la responsabilità si estende comunque anche alle altre imposte, dato che il d.lgs. 46/1999 prevede l'estensione della disciplina concernente le imposte dirette all'Iva e alle entrate degli enti territoriali. In particolare l'art. 18 estende infatti le disposizioni del Capo II, Titolo I (tra cui figura anche l'art. 36) e del titolo II del d.P.R. n. 602/73 anche alla riscossione delle entrate dello Stato e dunque anche delle imposte diverse da quelle sui redditi.

Quanto alla disciplina dell'art. 36 cit., ai sensi del primo comma, “i liquidatori dei soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all'obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all'assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari ....” (tale comma deve essere poi coordinato con il citato art. 19).

Il terzo comma prevede, poi, che “i soci o associati, che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai soggetti di cui al primo comma nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile. Il valore del denaro e dei beni sociali ricevuti in assegnazione si presume proporzionalmente equivalente alla quota di capitale detenuta dal socio od associato, salva la prova contraria”.

Per effetto del successivo quarto comma: “Le responsabilità previste dai commi precedenti sono estese agli amministratori che hanno compiuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione operazioni di liquidazione ovvero hanno occultato attività sociali anche mediante omissioni nelle scritture contabili”.

Riassumendo, quindi, la norma prevede tre categorie di soggetti che possono essere chiamati in causa dal Fisco:

a) i liquidatori;

b) gli amministratori;

c) i soci.

La responsabilità dei liquidatori e degli amministratori, come conferma anche la pronuncia in commento, non è collegata, peraltro, ad un presupposto d'imposta espressivo di capacità contributiva, bensì ad un comportamento illecito “proprio”, laddove il fondamento di tale responsabilità si rinviene nella inosservanza di una specifica obbligazione degli stessi soggetti nei confronti del fisco.

Per quanto concerne invece la responsabilità dei soci, essa, come detto, trae origine dall'indebito arricchimento dagli stessi, realizzato per effetto delle assegnazioni di denaro e altri beni sociali loro fatte dagli amministratori nel corso degli ultimi due periodi d'imposta precedenti alla messa in liquidazione, ovvero dai liquidatori nella fase della liquidazione.

Tale responsabilità non ha quindi carattere sanzionatorio, ma riguarda direttamente l'obbligazione tributaria della società rimasta inadempiuta nei periodi innanzi indicati e l'indebito arricchimento realizzato dai soci, che trova però un limite quantitativo nel valore dei beni da essi ricevuti.

Quindi, ricapitolando:

- I soci rispondono dell'intero debito tributario della società, ma nei limiti dell'indebito arricchimento, come rilevabile dal bilancio finale di liquidazione (a meno di non contestare la distribuzione occulta di utili e risorse);

- I liquidatori rispondono a titolo di responsabilità propria, non tributaria, solo quantificata in relazione all'originario debito tributario (e comunque con indicazione nell'atto di accertamento della motivazione specifica ex art. 36 citato).

Ma qual è la ratio di tale disciplina?

Secondo il disposto dell'art. 2280 c.c. (statuito per le società di persone, ma applicabile anche alle società di capitali per il richiamo operato dall'art. 2452 c.c.), "i liquidatori non possono ripartire tra i soci, neppure parzialmente, i beni sociali, finché non siano pagati i creditori della società o non siano accantonate le somme necessarie per pagarli".

Come infatti sostenuto dalla Suprema Corte "...il rapporto giuridico in forza del quale il liquidatore è tenuto a rispondere in proprio delle imposte non pagate non è fondato sul dolo o sulla colpa, ma ha la sua fonte in un'obbligazione ex lege, del quale questi è responsabile secondo le norme comuni degli artt. 1176 e 1218 del codice civile, in relazione alla distrazione di attività del patrimonio sociale a fini diversi dal pagamento delle imposte dovute" (così Cass., sent. 10 novembre 1989, n. 4765).

Il liquidatore, come detto, risponde dunque per fatto proprio dell'eventuale inadempienza della società, attraverso un'autonoma e distinta obbligazione fondata sulla semplice esistenza e definitività di quel debito.

Pretesa che, infatti, secondo quanto stabilito anche dalla Cassazione (vedi sentenza del 15 ottobre 2001 n. 12546), può essere esercitata nell'ordinario termine decennale di prescrizione, essendo la stessa riconducibile alle norme degli artt. 1176 e 1218 del codice civile e non qualificabile come coobbligazione nei debiti tributari.

Quanto ai soci, invece, come detto, la relativa responsabilità trae origine dall'indebito arricchimento, laddove provato.

Il dissolversi della struttura organizzativa su cui riposa la soggettività giuridica dell'ente collettivo fa infatti emergere il sostrato personale, che ne è comunque alla base e rende perciò plausibile la responsabilità dei soci, anche considerato il carattere strumentale del soggetto società.

In mancanza di assenza di riparto finale nel bilancio finale di liquidazione, come visto, la stessa normativa esclude comunque la responsabilità dei soci e al tempo stesso anche il liquidatore potrà opporre la propria “non colpevolezza” nel fatto che non c'era attivo da ripartire e dunque non ha creato alcun danno nel riparto tra i creditori.

Se dunque dal bilancio finale di liquidazione emerge ufficialmente che non c'è stato riparto a favore dei soci, il solo modo che ha l'Amministrazione per contestare l'illegittima distrazione a favore dei soci (ed eventualmente la colpevolezza del liquidatore ex art. 36) è quello di contestare che vi sia stata una distribuzione occulta di utili tra i soci, contestando in sostanza quella medesima presunzione che consente, in caso di S.r.l. a ristretta base azionaria familiare, di presumere la distribuzione occulta di dividendi.