Lo scambio di messaggi su whatsapp non prova la qualifica di amministratore di fatto della società

La Redazione
06 Luglio 2021

È legittimo il provvedimento con cui il giudice di merito rigetta la richiesta di acquisizione della trascrizione di conversazioni, effettuate via whatsapp e registrate da uno degli interlocutori, poiché la loro utilizzabilità è condizionata «all'acquisizione del supporto telematico o figurativo contenente la relativa registrazione, al fine di verificare l'affidabilità, la provenienza e l'attendibilità del contenuto di dette conversazioni».

È legittimo il provvedimento con cui il giudice di merito rigetta la richiesta di acquisizione della trascrizione di conversazioni, effettuate via whatsapp e registrate da uno degli interlocutori, poiché la loro utilizzabilità è condizionata «all'acquisizione del supporto telematico o figurativo contenente la relativa registrazione, al fine di verificare l'affidabilità, la provenienza e l'attendibilità del contenuto di dette conversazioni».

Il ricorrente, amministratore di fatto di una società, poi dichiarata fallita, ricorre nei confronti dell'Agenzia delle Entrate avverso l'avviso di accertamento emesso ai fini IVA per l'anno di imposta 2016.


La sua qualità di amministratore di fatto sarebbe comprovata da alcuni “I message”, scambiati con gli uffici amministrativi della società e con i clienti per definire modalità di consegna e di pagamento delle forniture. Ma, sostiene il ricorrente, che tali messaggi non avrebbero concreta fondatezza probatoria, non essendo confortati da attestazione di conformità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale, agli originali, presenti sul supporto informatico di provenienza.

L'inutilizzabilità degli “I message”.

Appare fondata l'eccezione di inutilizzabilità degli “I message”, in virtù del principio secondo cui è legittimo il provvedimento con cui il giudice di merito rigetta la richiesta di acquisizione della trascrizione di conversazioni, effettuate via whatsapp e registrate da uno degli interlocutori, poiché la loro utilizzabilità è condizionata «all'acquisizione del supporto telematico o figurativo contenente la relativa registrazione, al fine di verificare l'affidabilità, la provenienza e l'attendibilità del contenuto di dette conversazioni».

Sulla scorta di tale principio, consegue la loro inutilizzabilità nel caso di specie, in carenza di una loro verificata e dimostrata genuinità. Inoltre, i suddetti “I message”, anche se dovessero essere considerati genuini, l'unica cosa che potrebbero provare è l'esistenza di un rapporto di procacciatore di affari tra il ricorrente e la società, e non certo un'influenza completa e dominante nella sua gestione. E anche se fosse provata la qualifica del ricorrente come amministratore di fatto della società comunque non potrebbe conseguire a ciò alcuna responsabilità solidale in capo a lui per le sanzioni accertate in capo alla società, proprio perché le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di una società o comunque di un ente avente personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica.


La Commissione Tributaria Provinciale sulla base dei principi giurisprudenziali sopra richiamato, accoglie il ricorso.

Fonte: Dirittoegiustizia.it

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