Criticità interpretative medico legali delle recenti Sentenze della Cassazione sul danno morale e danno differenziale

06 Luglio 2021

Le recenti Sentenze della Terze Sezione della Cassazione hanno fornito al Tecnico Specialista autorevoli spunti di discussione in tema di valutazione del danno alla persona, rimanendo, tuttavia, irrisolte alcune criticità interpretative circa il reale valore probatorio dei parametri attualmente utilizzabili in sede valutativa.
Premessa

Le recenti Sentenze della Terze Sezione della Cassazione, pur non rappresentando un “trattato di medicina legale“, hanno sicuramente fornito al Tecnico Specialista della Materia autorevoli spunti di discussione in tema di valutazione del danno alla persona, rimanendo tuttavia irrisolte alcune criticità interpretative circa il reale valore probatorio dei parametri attualmente utilizzabili in sede valutativa, allorché si debbano oggettivamente definire tutte le variabili biologiche delle poste risarcitorie del danno non patrimoniale.
Analoghe criticità tecniche emergono in relazione all'esclusivo inquadramento valutativo del c.d. danno differenziale nel contesto del concetto di danno incrementativo che – talora- può non trovare giustificazione interpretativa medico legale, ai fini dell'applicazione dei successivi parametri risarcitori afferenti alle Tabelle di liquidazione utilizzate di prassi anche in sede extragiudiziale, col rischio di limitare le possibilità conciliative tra le parti.

La sofferenza correlata

Dalla lettura delle recenti Sentenze della terza Sezione Civile della Cassazione emergono alcune sostanziali criticità interpretative tecniche che sembrano derivare dalla parziale conoscenza del Giurista dell'esatto contenuto probatorio del danno biologico, sia in termini di correlazione con gli aspetti di ricaduta sul fare, sia in termini di “correlazione con gli aspetti sul sentire del danneggiato al quale è stato riconosciuto un determinato periodo di inabilità biologica e che si ritrova a convivere con una determinata Invalidità permanente biologica.

Il Giurista , in genere , si trova spesso ad affrontare tematiche liquidative relative ad una casistica estremamente limitata ( in genere macro danni ) o di “ particolare tipologia circostanziale “ rispetto alla enorme mole di danni di medio e medio -lieve entità, che afferiscono alla routinaria casistica professionale dello Specialista medico legale, arrivando a conclusioni “giuridiche” che spesso possono contrastare con l'effettiva “realtà” risarcitoria delle componenti biologiche di danno non patrimoniale accertabili e definibili dal Medico Legale

Ed è proprio l'esperienza quotidiana del Medico Legale , valutatore del danno alla persona, ora inserita nel contesto della complessiva stima del “danno non patrimoniale“, che impone la necessità di una integrazione dei parametri “quantitativi“ (IT e IP) con indicatori di “qualità” della lesione documentata e della menomazione obiettivata in sede “tecnica”, partendo dal presupposto che non esiste alcun automatismo tra disfunzionalità psichica o fisica e sofferenza ad essa correlata , mentre esula dalle stretta competenza del medico legale l'apprezzamento di differenti componenti di “sofferenza” non intrinsecamente correlabili alla lesione temporanee e permanente della integrità psichica o fisica del danneggiato

Questa distinzione non deve trarre in inganno presupponendo che si possa così pervenire sempre ad una duplicazione risarcitoria.

Nel primo caso (sofferenza lesione/menomazione correlata), si tratta di autonomo “parametro distintivo tecnico“, spesso sconnesso dal parametro di “ disfunzionalità”, che non lo ricomprende , ma sempre presente. Questo dovrebbe essere finalizzato ad una auspicabile e equilibrata rimodulazione dei parametri risarcitori automatici della componente di danno morale, quale prevista, pur con differenti prospettive, da tutte le tabelle di Liquidazione Nazionali, nell'ottica di favorire, nella stragrande maggioranza dei casi, le transazioni extragiudiziarie, oltre ad agevolare il Giudice nelle proprie determinazioni liquidative

Le tabelle di Milano hanno di fatto un senso logico applicativo perchè quasi la totalità dei casi di danno biologico ha solo ricadute di natura "dinamico relazionale" (generica o peculiare) sul fare del danneggiato comunque connesse alla disfunzionalità psichica o fisica accertata dal medico legale

In sintesi , ad ogni menomazione si associa sempre una sofferenza personale (più o meno significativa), valutabile in via presuntiva dal medico legale, il quale può intervenire in quanto accertatore della realtà menomativa del danneggiato, fornendo parametri presuntivi di ordine qualitativo, che potrebbero consentire un equilibrato riallineamento del valore del coefficienti di personalizzazione economica del danno base non patrimoniale, attualmente previsti in via automatica dalle attuali tabelle di Liquidazione

L'unica criticità delle Tabelle di Milano, infatti, (ma vale anche per le tabelle Romane o di Venezia) è l'automatismo risarcitorio dei coefficienti di personalizzazione afferenti alla sofferenza morale IP correlata.


Criticità che emerge chiaramente dalla casistica (riportata nel sito della SIMLA nell'articolo pubblicato: “Il danno biologico nel danno non patrimoniale”) che si riferisce ad un esame di circa 2800 CTU espletate presso sedi di tribunale e Giudici di Pace del Triveneto tra il 2010 ed il 2020, ove ogni IP accertata in corso di contraddittorio tecnico d'Ufficio è stata integrata da un parametro qualitativo, definito su differenti parametri presuntivi tecnici condivisi, oggetto dello stesso quesito Istruttorio.

La “sofferenza morale” conseguente alla lesione di differenti diritti della persona (che in genere ricorre solo in particolari fattispecie di eventi illeciti) è – concettualmente e tecnicamente – un altro aspetto del danno non patrimoniale. In sostanza, una sofferenza morale correlata, ovviamente non qualificabile tecnicamente, che può coesistere con la lesione della integrità psicofisica o sussistere autonomamente.

Dette differenti condizioni di sofferenza morale (non biologica) esulano dalle competenze del medico legale e - di fatto non risulterebbero tecnicamente inquadrabili nello stesso ambito liquidativo delle Tabelle di Milano, concettualmente sviluppate solo sulle poste biologica del danno non patrimoniale (disfunzionalità e sofferenza correlata).

Nell'Ordinanza n. 7513/2018 della terza Sezione della Cassazione e successivamente ripreso nella più recente Sentenza n. 25164 del novembre 2020, si afferma che il sentimento di vergogna, disistima, paura, patema d'animo ecc..” non afferisce alle competenze del medico legale, essendo stimabile dal Giudice anche con solo criterio di presunzione.

Ciò è vero solo in parte, cioè quando il dato “soggettivo” non riguarda riferimenti probatori afferenti all'entità della lesione e della menomazione della integrità psichica o fisica: ad esempio la sofferenza morale afferente alle sole modalità circostanziali dell'evento illecito, oppure da violazione di altri diritti della Persona

Al contrario se emozioni quali la “ paura , la disistima di se' stessi dovuta alla percezione del disvalore della propria integrità e identità psicofisica fisica , il patema d'animo ecc..” trovano riferimento nelle conseguenze lesive o menomative dell'integrità psicofisica del danneggiato , il concetto di presunzione deve trovare primariamente “riscontro “ di compatibilità medico legale e quindi secondariamente assurgere a parametro di “ qualificazione presuntiva “ di ordine tecnico” della sofferenza correlata in nesso con l'oggettiva realtà della lesione subita e con il definitivo stato menomativo accertabile in sede medico legale, sempre che il sintomo (paura, vergogna, disistima, patema d'animo…ecc) non costituisca elemento clinico di un disturbo psicopatologico da valutare nel contesto di un possibile ed autonomo danno biologico psichico.

Il problema rimane comunque aperto nei casi di esclusivo danno estetico che non può di certo essere considerato, di per sè, un danno funzionale, trattandosi- nella maggior parte dei casi, di un puro danno al sentire del danneggiato/a, la cui compatibilità comunque, non può prescindere da un coesistente apprezzamento oggettivo di ordine tecnico (secondo Barème) della menomazione, accertabile necessariamente in sede medico legale.

La generalizzazione tecnica del danno incrementativo

Un altro punto critico, che emerge dalla lettura della recente Sentenza n 28986/2019 della terza Sezione Civile della Cassazione , riguarda i presupposti valutativi del c.d. danno differenziale che – secondo l'orientamento della Corte - dovrebbe sempre essere inquadrato dal Medico Legale nel contesto di un danno incrementativo, da tradurre in un calcolo risarcitorio sostanzialmente automatico ( sia quantitativo, sia qualitativo ) del danno non patrimoniale e quindi con applicazione delle Tabelle del Tribunale di Milano o di Roma, a seconda dei distinti Indirizzi.

Secondo la citata Sentenza ”l'accertamento del danno alla salute in presenza di postumi permanenti anteriori all'infortunio, i quali siano in rapporto di concorrenza con i danni permanenti causati da quest'ultimo, richiede al medico-legale di valutare innanzitutto il grado di invalidità permanente obiettivo e complessivo presentato dalla vittima, senza alcuna variazione in aumento od in diminuzione della misura standard suggerita dai baréme medico-legali, e senza applicazione di alcuna formula proporzionale.
Gli richiederà poi di quantificare in punti percentuali, il grado di invalidità permanente della vittima prima dell'infortunio, e fornire al giudice queste due indicazioni”.

Il testo della decisione, poi, precisa che “il danno biologico patito da persona già portatrice di postumi preesistenti consisterà, dunque, in una differenza: per l'esattezza, esso è pari allo scarto tra le conseguenze complessivamente patite dalla vittima dell'infortunio (i postumi complessivi), e le più lievi conseguenze dannose che la vittima avrebbe invece teoricamente dovuto tollerare a causa della sua patologia pregressa, se l'infortunio non si fosse verificato“.

Arrivando infine alle seguenti conclusioni, viene aggiunto che: “la stima del danno alla salute patito da chi fosse portatore di patologie pregresse richiede, innanzitutto, che il medico legale fornisca al giudicante una doppia valutazione: l'una, reale e concreta, indicativa dell'effettivo grado percentuale di invalidità permanente di cui la vittima sia complessivamente portatrice all'esito dell'infortunio, valutato sommando tutti i postumi riscontrati in vivo e non in vitro, di qualunque tipo e da qualunque causa provocati; l'altra, astratta ed ipotetica, pari all'ideale grado di invalidità permanente di cui la vittima era portatrice prima dell'infortunio.

Tale prospettiva – sulla base della nostra comune esperienza casistica – risente di un'eccessiva generalizzazione metodologica che non tiene conto di un preliminare aspetto tecnico fondamentale rappresentato dal “criterio di efficienza lesiva di aggravamento e quindi di idoneità della concausa sopravvenuta nel determinismo di un effettivo aggravamento disfunzionale, rispetto allo stato anteriore patologico del danneggiato, indipendentemente dall' incremento percentualistico del disvalore biologico accertato

Se è pur vero che il “metodo“ di calcolo indicato nelle Sentenza può avere dei corretti presupposti tecnici in molte fattispecie ove l'efficienza causale della lesione sopravvenuta e la conseguente idoneità nell'aggravamento di condizione menomativa preesistente, sono oggettivamente significative e determinabili, esistono, tuttavia, casi in cui il disvalore funzionale accertato a seguito di lesione sopravvenuta, è talora incerto o minimale rispetto allo stato anteriore patologico del danneggiato, con ipotesi di possibili sperequazioni liquidative, allorché il danno sia calcolato con criterio incrementativo

Per fare un esempio: se un soggetto portatore di una grave disfunzionalità vertebrale (ad esempio una grave e plurima discopatia lombare sintomatica, stimabile orientativamente con un disvalore biologico del 15%) subisce, per colpa di terzi, la frattura composta di un paio di processi trasversi lombari, idonei a determinare ( con criterio applicativo analogico del baréme di legge ) una IP non superiore al 5% , risulterebbe oggettivamente “anomalo” riconoscere l'equivalente economico di un danno incrementativo compreso tra il 15 ed il 20% , rispetto alle effettiva entità del disvalore funzionale realizzatosi.

Quindi una lesione, di per sè ascrivibile al contesto delle c.d. micro invalidità, che diventerebbe una macro invalidità, suscettibile, peraltro, di corrispondente anomalia liquidativa anche della inabilità temporanea

È bene ricordare, infine, che talora risulta difficile definire con precisione la percentuale di invalidità relativa al disvalore funzionale preesistente ovvero stabilire l'entità di quello che si sarebbe comunque realizzato senza la concausa sopravvenuta ai fini del calcolo incrementativo.

Una cosa è certa: come giustamente ricordato nella citata Sentenza, lo stato patologico preesistente va distinto da possibili condizioni degenerative parafisiologiche (in genere senili), che rappresentano esclusivamente concause di lesione e non di menomazione, così da decadere qualsiasi ipotesi valutativa inquadrabile nel contesto del danno differenziale.

Altra criticità applicativa, in vero, potrebbe riguardare la richiesta di quantificazione del danno biologico con criterio incrementativo nel caso in cui due eventi lesivi – ascrivibili a differenti responsabili civili - determinino contemporaneamente, stabilizzatasi la malattia, un'unica condizione menomativa, in situazioni in cui non sussiste alcuna preesistenza menomativa.

Per esempio, l'ipotesi di un soggetto sano che in corso di sinistro stradale subisce una frattura diafisaria di femore che – usualmente, ove adeguatamente trattata – guarisce con esiti mediamente inferiori al 9% di IP.

Se però, a seguito di intercorrente errore chirurgico, la frattura si consolida in maniera “peggiore , con lieve procurvazione, maggior rigidità articolare ed eccessivo accorciamento dell'arto così da condizionare un disvalore biologico finale apprezzabile 13 -14%, c'è il fondato rischio che – calcolando il danno col solo criterio incrementativo- il danneggiato ottenga un risarcimento maggiore rispetto a quello che risulterebbe se la valutazione fosse espressa con criterio “ ripartitivo “ rispetto alla specifica efficienza lesiva dei due distinti eventi ( quello traumatico e quello iatrogeno ) nel determinismo della condizione menomativa definitiva.

Il danno incrementativo e la sofferenza correlata

Un'ultima considerazione di ordine specialistico medico legale - assicurativo forense, attinente alla stima della componente sofferenza correlata, riguarda necessariamente anche il recente e già indicato orientamento espresso dalla Suprema Corte di Cassazione nelle citate Sentenze in tema di liquidazione del “danno differenziale”.

La Corte avrebbe sostanzialmente inquadrato tale voce di danno nel contesto tecnico del cosiddetto “danno incrementativo” che calcola la differenza di IP tra condizione menomativa preesistente e condizione menomativa definitiva realizzatasi a seguito di evento lesivo.

La logica applicativa giuridica appare sostanzialmente comprensibile anche sotto il profilo medico legale nei casi in cui sussista un sostanziale “disvalore funzionale” tra lo stato menomativo anteriore del danneggiato e la condizione invalidante accertata in sede medico legale a seguito di sopravvenuta lesione coinvolgente lo stesso organo e/o apparato. Ma risulta, tuttavia, alquanto discutibile sia nei casi di “aggravamento” di organo o funzione già gravemente compromessi (cosiddetti pseudocascami funzionali), ovvero nei casi in cui l'incremento menomativo risulti oggettivamente minimale, derivandone il rischio di palesi sperequazioni liquidative: esempio tipico la perdita dell'alluce in soggetto paraplegico.

Questa, tuttavia, non è una regola valutativa costante: basti ad esempio considerare al sostanziale “danno differenziale” che potrebbe realizzarsi a seguito della perdita bilaterale di un preesistente residuo visivo di 1/20.

Nel primo caso (la perdita dell'alluce in paraplegico) si tratta di un danno anatomico che non ha – sostanzialmente - alcun significato funzionale, coinvolgendo un apparato già autonomamente compromesso.

Nel secondo caso, al contrario, il pur minimo valore disfunzionale aggiuntivo (la perdita del residuo visivo) risulta tale da determinare la completa perdita della capacità visiva, ed è quindi determinante nella stima tecnica (e di conseguenza liquidativa) del danno incrementativo, derivandone la necessita – da parte dello Specialista medico legale – di considerare sempre l'effettiva efficienza causale dell'evento lesivo accertato nel determinismo di un oggettivo peggioramento dello stato anteriore del danneggiato.

Stabilita la sussistenza ed entità della componente incrementativa di ordine “quantitativo” biologico (cioè disfunzionale) il passo tecnico successivo è quello di determinare la componente di “sofferenza correlata” che deve analogamente integrarsi nel contesto delle preesistenti condizioni esistenziali del danneggiato, derivandone la totale assenza di rapporto automatico e proporzionale rispetto all'entità del solo danno incrementativo biologico accertato con applicazione dei Barèmes medico legali

Utilizzando gli stessi esempi precedentemente indicati, cioè la perdita dell'alluce in paraplegico e la perdita del residuo visivo bilaterale di 1/20°

(cui possono corrispondere , secondo Barème, pressochè analoghe entità disfunzionali permanenti, ovvero di IP) appare evidente l'enorme differenza valutativa dei correlati aspetti di “ sofferenza intrinseca “ che ne deriva: nel primo caso esclusivamente una possibile dolorabilità in sede di amputazione, mentre nel secondo caso l'annullamento della preesistente validità dinamico relazionale , con relativa grave ricaduta negli atti della vita quotidiana e conseguente modifica delle abitudini di vita , associate ad una oggettiva percezione di perdita della preessitente, seppur limitata , identità somatica.

Le problematiche accertative medico legali, fondate su principi valutativi tecnici di ordine qualitativo, emergono soprattutto nel danno nell'anziano ove, a parità di incremento disfunzionale, possono sussistere condizioni di sofferenza correlata estremamente variabili in rapporto alla concreta ricaduta negativa dell'accertato incremento disfunzionale rispetto al preesistente fare quotidiano e dinamico relazionale del danneggiato.

Possibili criticità sperequative della liquidazione del danno incrementativo

Sia, infine, consentito segnalare- pur nella relativa competenza del medico legale – che l'individuazione di autonome quote di “danno differenziale incrementativo” potrebbero determinare alcune criticità liquidative allorchè sussistano, in relazione allo stesso fatto illecito, ulteriori componenti di danno biologico connesse a differenti e coesistenti, componenti menomative.

Per fare un esempio: un quarantenne riporta in un sinistro stradale frattura articolare del polso destro e una mobilizzazione traumatica di un preesistente impianto protesico d'anca

La prima lesione guarisce con deformità di polso associata a significativa rigidità articolare elipovalidità prensiale, tale da giustificare una invalidità permanente biologica del 10%

La mobilizzazione traumatica della protesi d'anca (condizione menomativa preesistente definibile con un disvalore biologico del 15%) risulta non emendabile condizionando la rimozione definitiva dell'impianto, da cui una residua anchilosi dell'anca: esito valutabile nella misura del 35%

Ne deriva un “maggior danno disfunzionale deambulatorio collocabile – secondo gli attuali presupposti giuridici – nella fascia compresa tra il 15% ed il 35% di invalidità permanente biologica, pur a fronte di un complessivo stato menomativo- comprensivo delle conseguenze della coesistente lesione fratturativa del polso destro –stimabile, secondo usuale e consolidato criterio riduzionistica- nella misura del 42%

Pare evidente che nel computo risarcitorio del danno risulterebbe inammissibile, concettualmente , doversi riconoscere una quota incrementativa anche per la menomazione coesistente, che non interferisce minimamente sulla disfunzionalità deambulatoria del danneggiato e pertanto la liquidazione andrebbe necessariamente calcolata – con qualsiasi tabella - secondo distinte poste risarcitorie : ipotesi che tuttavia- trattandosi di sinistro stradale – potrebbe porrebbe qualche dubbio anche sulla scelta della stessa tabella di liquidazione ovvero di tabelle differenti.

Conclusioni

Le recenti Sentenze della Terza Sezione della Cassazione parrebbero, dunque, indirizzare verso una eccessiva e non condivisibile generalizzazione delle procedure valutative medico legali, foriera di possibili sperequazioni risarcitorie , ove non si consenta al CTU di modulare entrambe le componenti biologiche del danno non patrimoniale (disfunzionalità e sofferenza correlata).
Idem ove non si possa definire, con adeguata criteriologia medico legale , in caso di “ danno differenziale ,“ l'effettiva “realtà clinico – menomativa conseguente all'incremento di disfunzionalità (e quindi l'effettiva posta risarcitoria) dell'accertato maggior danno, che talora potrebbe difficilmente inquadrarsi – secondo logica interpretativa medico legale - nel contesto di una apprezzabile “ stima incrementativa” .

Elementi probatori tecnici che – in vero – devono poi trovare riscontro risarcitorio all'interno delle attuali Tabelle di Liquidazione, usualmente utilizzate anche in ambito extra-giudiziario, col rischio di ridurre- in tale sede - il margine di conciliabilità tra le Parti

L'avvento del danno non patrimoniale ha comunque consentito allo Specialista Medico legale la possibilità di un intervento tecnico più appropriato ed approfondito per l' individuazione di parametri utilizzabili dal Giudice (o comunque dall'Operatore di Settore)ai fini applicativi del principio di ”equità risarcitoria” del danno alla Persona, in linea coi presupposti applicativi della “lege artis“ della Medicina Legale, ma tale, comunque ,da richiedere attualmente – in analogia con quanto previsto anche dall'art 15 della legge n. 24/2017 – un'effettiva e comprovata “speciale competenza“ in materia , soprattutto nel contesto dell'espletamento di Attività Giudiziaria.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario