Decorrenza del termine per la riattivazione del processo interrotto per fallimento di una delle parti

08 Luglio 2021

Le Sezioni Unite sul contrasto interpretativo circa il momento in cui inizia a decorrere il termine per la riattivazione del processo a seguito del fallimento di una delle due parti processuali hanno affermato che "in caso di apertura del fallimento, ferma l'automatica interruzione del processo (con oggetto i rapporti di diritto patrimoniale) che ne deriva ai sensi dell'art. 43, comma 3, L.F., il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione - per evitare gli effetti di estinzione di cui all'art. 305 c.p.c. e al di fuori delle ipotesi di improcedibilità ex artt. 52 e 93 L.F. per le domande di credito - decorre da quando la dichiarazione giudiziale dell'interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte".
Massima

In caso di apertura del fallimento, ferma l'automatica interruzione del processo che ne deriva ai sensi dell'art. 43, comma 3, l.fall., il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione, per evitare gli effetti di estinzione di cui all'art. 305 c.p.c. e al di fuori delle ipotesi di improcedibilità ai sensi degli artt. 52 e 93 l.fall. per le domande di credito, decorre da quanto la dichiarazione giudiziale dell'interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte; tale dichiarazione, ove già non conosciuta nei casi di pronuncia in udienza ai sensi dell'art. 176, comma 2, c.p.c., va direttamente notificata alle parti o al curatore da ogni altro interessato ovvero comunicata – ai fini predetti – anche dall'ufficio giudiziario, potendo inoltre il giudice pronunciarla altresì d'ufficio, allorché gli risulti, in qualunque modo, l'avvenuta dichiarazione di fallimento medesima.

Il caso

Una società convenuta in appello veniva dichiarata fallita il 16 aprile 2014 e all'udienza del 9 dicembre 2014 veniva dichiarata l'interruzione del processo giunto in grado di appello.

La Corte di appello presso cui il processo era stato riassunto pronunciava in data 24 marzo 2016 sentenza con cui dichiarava estinto il giudizio, osservando che al giudizio doveva applicarsi la disciplina dell'interruzione "automatica" introdotta col D.Lgs. n. 5 del 2006: avendo avuto la controparte della società fallita conoscenza legale del fallimento attraverso l'avviso ricevuto ex art. 92 l. fall. già in data 3 maggio 2014 ed essendosi poi insinuata al passivo il 10 giugno 2014, il ricorso in riassunzione del 29 aprile 2015 doveva giudicarsi tardivo, essendo decorso il termine di sei mesi previsto dall'art. 305 c.p.c.

Le questioni giuridiche

La questione affrontata dall'arresto è quella relativa al momento di decorrenza del termine (oggi di tre mesi, ma all'epoca di sei mesi) previsto dall'art. 305 c.p.c., ritenuto comunemente applicabile anche in quest'ipotesi, per la riassunzione o prosecuzione del processo a seguito dell'interruzione automatica dello stesso, verificatasi per il fallimento di una delle due parti ai sensi dell'art. 43, comma 3, l.fall.

Il problema interpretativo risiedeva nella necessità di fissare un termine di decorrenza per la riattivazione del giudizio che non mortificasse l'automaticità della causa di interruzione per il fallimento di una delle parti, voluta dal legislatore della riforma di tale ultimo articolo apportata dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5: una interruzione che si verifica dunque indipendentemente dalla dichiarazione in giudizio o dalla notificazione dell'intervenuto fallimento, con conseguente nullità di tutti gli atti compiuti successivamente a quest'ultimo.

Al tempo stesso, tuttavia, si trattava di dare seguito al principio (più volte espresso dalla Corte costituzionale nelle sentenze 139/1967 e 159/1971 per salvare l'art. 305 c.p.c. da una dichiarazione di illegittimità costituzionale) secondo cui, negli altri casi di interruzione automatica, il termine di decorrenza per la riassunzione del giudizio – pena la estinzione dello stesso – dovesse decorrere non dall'evento interruttivo in sé, ma dal momento in cui le parti ne avessero avuto conoscenza. Pacifico dunque che il termine per la riassunzione del giudizio in casi di fallimento di una delle parti dovesse iniziare a decorrere dal momento della conoscenza legale dell'evento interruttivo, il problema specifico risiedeva nel dubbio se quest'ultima potesse dirsi acquisita in capo alla controparte per effetto dell'avviso ad essa rivolto – in qualità di creditrice del fallito – dal curatore ai sensi dell'art. 92 l.fall., cui era peraltro seguita la relativa insinuazione al passivo. Il motivo della rimessione alle Sezioni Unite era in particolare dovuto alla molteplicità di orientamenti formatisi sul punto dalle Sezioni semplici, tendenti a valorizzare una molteplicità di dati empirici tra cui, in primo luogo, la solo apparente simmetria tra la posizione della parte non colpita dall'evento interruttivo e quella del curatore fallimentare, “poiché la prima necessita di sapere […] che una delle parti del giudizio è stata dichiarata fallita, mentre il secondo ha bisogno di sapere quali siano i giudizi di cui è parte il soggetto fallito”.

Così la giurisprudenza della Suprema Corte si era variamente pronunciata conferendo diversa rilevanza alle modalità di partecipazione della notizia (richiedendosi, in alcuni casi, modalità tali da essere documentabile e rilevante ai fini processuali, cioè una dichiarazione, notificazione o certificazione, non essendo sufficiente la conoscenza aliunde acquisita), al contenuto informativo della notizia (in alcuni casi non ritenendosi sufficiente l'informazione dell'evento interruttivo, ma anche quella dello specifico giudizio sul quale il fallimento dovrebbe operare), ovvero al soggetto la cui conoscenza fosse ritenuta rilevante ai fini della decorrenza del termine di riattivazione del processo (richiedendo alcuni arresti la conoscenza della stessa parte, ovvero di un qualunque patrocinatore della stessa, ovvero – ancora – del procuratore costituito per quello specifico processo interrotto).

Tra tutti gli orientamenti un'attenzione peculiare era dedicata a quello secondo cui l'unico atto idoneo a fornire conoscenza legale dell'evento interruttivo fosse solo l'ordinanza che dichiara l'interruzione del processo, da comunicarsi – eventualmente, se pronunciata fuori udienza – alle parti processuali e – necessariamente, non risultando questi ancora parte del processo – al curatore del fallimento.

La soluzione offerta

Le Sezioni Unite, constatata la difficoltà di ricondurre la conoscenza legale ad una unitaria ed onnicomprensiva formula, ritengono che proprio quest'ultimo orientamento sia quello che meglio assolve alla garanzia del diritto di difesa sottesa ad una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 305 c.p.c., nonché al connotato di legalità ed effettività della conoscenza dell'evento interruttivo idonea a far decorrere il termine per riattivare il processo, peraltro compendiando il contesto processuale in cui l'evento interruttivo opera.

A tale risultato congiura, del resto, la specialità della causa di interruzione ex art. art. 43, comma 3, l.fall. anche rispetto alle altre ipotesi di interruzione automatica previste dal codice di rito, nonché la nuova disposizione dell'art. 143, comma 3, CCI, che – seppur non ancora in vigore – seleziona tale interpretazione tra le diverse sopra riferite, peraltro orientata ad una semplificazione ermeneutica, prescrivendo che “il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre da quando l'interruzione viene dichiarata dal giudice”.

A tale obbligo di rilevazione (d'ufficio), l'arresto in commento fa conseguire la necessità – al fine del decorso del rispettivo termine per la riattivazione del processo – che l'ordinanza dichiarativa dell'interruzione sia comunicata d'ufficio, sia all'altra parte (se pronunciata fuori udienza) che al curatore del fallimento: obbligo di comunicazione ritenuto imposto sia dalla connotazione pubblicistica della procedura concorsuale, sia dall'interesse pubblico alla razionalizzazione della risorsa processuale.

Del resto, gli altri orientamenti rischierebbero di consegnare l'art. 43, comma 3, l.fall. “ad una ricognizione aperta a forme di produzione della conoscenza tanto atipiche come suscettibili di integrarsi in formule combinatorie” il cui limite intrinseco “è proprio la ricchezza delle sue fattispecie, ciascuna delle quali restituisce un segmento che avvicina al risultato effettuale della conoscenza, dividendosi tuttavia nella casistica, continuamente scossa dall'efficacia raggiunta nel singolo caso dalla rappresentazione conseguita in capo alla parte dell'evento-fallimento e del suo collegamento ad un determinato processo”, lasciando sullo sfondo l'automaticità dell'effetto interruttivo, non essendo per esso indispensabile veicolarne la dichiarazione nel processo, come invece avviene nelle fattispecie di interruzione non automatica, di cui all'art. 300, commi 1, 2 e 4.

Osservazioni

L'arresto, con cui le Sezioni Unite tentano di fornire certezza circa il momento in cui inizia a decorrere il termine per la riattivazione del processo a seguito del fallimento di una delle due parti processuali, va senz'altro salutato con favore perché spinto da un anelito di semplificazione alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'istituto dell'art. 305 c.p.c. Il processo risulta interrotto ipso iure del momento della dichiarazione di fallimento (segnatamente dalla data di trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento nel registro delle imprese ex artt. 16, comma 2, e 17, comma 3, l.fall.), tuttavia il termine di tre mesi per la riattivazione del processo, a pena estinzione, decorre dalla conoscenza legale che ne abbiano avuto i soggetti interessati incidentalmente nelle forme processualmente rilevanti: per le parti la pronuncia in udienza dell'ordinanza che dichiara l'interruzione ovvero, per tutti, la sua comunicazione alle parti e al curatore.

La percorribilità dell'opzione ermeneutica prescelta sembra riposare sulla tempestività, da un lato, della rilevazione ufficiosa del fallimento di una delle parti ad opera del giudice del processo e, dall'altro, della comunicazione della relativa ordinanza ad opera dell'ufficio giudiziario ai soggetti interessati alla riattivazione del giudizio.

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