Animali in condominio: soluzioni e contrasti giurisprudenziali dopo la riforma

Maurizio Tarantino
12 Luglio 2021

La l. 11 dicembre 2012, n. 220 (recante "Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici") ha introdotto nel nostro ordinamento una norma di indubbio interesse per gli amanti degli animali. In particolare, la nuova formulazione dell'art. 1138 c.c. prevede che le norme del regolamento condominiale non possono vietare di possedere o detenere animali domestici. Si è discusso in dottrina e in giurisprudenza se la modifica del precetto da ultimo richiamato abbia inciso anche sui regolamenti esistenti, facendo cadere le limitazioni o i divieti. Nonostante la diversità di posizioni, soluzioni e contrasti in materia, gli animali continuano a rivestire un aspetto importante nella vita dei condomini. Difatti, il divieto di detenere animali domestici nel proprio appartamento significa menomare un preciso diritto del condomino di disporre come crede del proprio bene.
Il quadro normativo

La l. n. 220/2012 di riforma della materia condominiale ha introdotto nell'art. 1138 c.c. un ultimo comma, secondo cui: “Le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”.

La norma impone un vero e proprio “divieto” della previsione regolamentare di limitazioni a carico del singolo condomino sulla detenzione di tali animali. Secondo una prima lettura, per la sua collocazione sistematica dopo il comma 4 dell'art. 1138 c.c., il divieto vietare di tenere animali domestici sembra da intendere come un'ulteriore materia che il legislatore ha inteso sottrarre in modo assoluto all'autonomia privata dei condomini esercitabile in sede di approvazione del regolamento. Del resto, la l. n. 220/2012 faceva seguito alla l. n. 201/2010 di ratifica della Convenzione Europea per la protezione degli animali da compagnia, approvata a Strasburgo il 13 novembre 1987, il cui art. 2, comma 1, lett. a), che impegna ciascuna parte aderente a prendere i necessari provvedimenti per conferire effetto alle disposizioni della Convenzione per quanto riguarda gli animali da compagnia tenuti da una persona in qualsiasi alloggio domestico. Considerato che le norme circa l'uso delle cose comuni costituiscono uno dei contenuti tipici del regolamento di condominio, la previsione che “le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”, per la sua genericità, non può che essere spiegata come inerente sia all'uso delle cose comuni che delle unità immobiliari di proprietà esclusiva.

In argomento, inoltre, ai fini di una corretta interpretazione della norma, è importante precisare che nella stesura finale del nuovo testo dell'art. 1138 c.c., il termine animali “da compagnia” è stato sostituito con quello di animali “domestici” dai confini più incerti sotto il profilo del relativo inquadramento, al fine di estenderne la definizione ad un più ampio genus di animale “di affezione”. Infatti, sebbene la legge non definisca la nozione di animale domestico, in mancanza di una precisazione normativa, ai fini dell'applicazione della nuova norma, per animale domestico va inteso l'animale che ragionevolmente e per consuetudine è tenuto in appartamento per ragioni affettive.

Premesso ciò, a questo punto, resta da chiedersi se l'attuale previsione normativa sia da intendersi riferita al solo regolamento “assembleare” o anche al regolamento “contrattuale”.

Su tale argomento, sappiamo che i limiti posti al regolamento “assembleare”, il quale non può in nessun caso derogare alle disposizioni degli artt. 1118, comma 2, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137 c.c., si applicano, secondo l'opinione prevalente in dottrina e giurisprudenza, anche al regolamento “contrattuale”. In questo senso, è stato osservato che la norma in commento, nell'attuale formulazione, ha carattere perentorio, nel senso che una clausola in tal senso, limitatrice cioè della facoltà di tenere animali domestici, deve ritenersi come “non apposta” tanto nei vecchi che nei nuovi regolamenti, anche se adottati all'unanimità, trattandosi di un diritto non rinunciabile: sarebbe, secondo tale impostazione, come dire che nella unità immobiliare non si possono ospitare persone anziane o bambini o cittadini non italiani (Lazzaro).

Secondo altri autori, invece, “l'essere la norma inserita nell'art. 1138 c.c. autorizza a ritenere che la preclusione operi soltanto per il regolamento deciso in assemblea; quindi la liberalizzazione sancita dal Parlamento continua a poter essere resa vana da regolamenti allegati ai titoli di acquisto delle unità immobiliari che includano quel divieto con il consenso di tutti i condomini” (Basile).

Ancora oggi, nonostante le diverse posizioni, il testo della norma è solo in apparenza chiaro se si considera che ancora nelle sedute di poco precedenti all'approvazione della legge di riforma, i componenti della Commissione dibattevano sull'esatta portata del divieto introdotto.

L'interpretazione giurisprudenziale ante riforma

Prima della riforma del condominio, però, i condomini che non amavano gli animali potevano acquistare gli immobili in condominio dotati di regolamenti di natura esterna (cioè predisposti dal costruttore) contenenti clausole di natura contrattuale che vietavano di detenere animali nelle proprietà esclusive.

Si è ritenuto, infatti, che i limiti di uso, di destinazione o relativi al potere di tenere animali nell'abitazione, se contrattualmente assunti, siano vincolanti per i singoli condomini: hanno infatti natura negoziale quelle disposizioni che, comportando limiti negli usi o destinazioni delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, incidono nella sfera dei diritti soggettivi dei condomini medesimi (Cass. civ., sez. II, 13 settembre 1991, n. 9591: nel caso di specie, l'assemblea del condominio aveva deliberato di “allontanare i cani dallo stabile”, la cui presenza nei locali comuni e non comuni del condominio costituiva “serio nocumento sia igienico che di molestia” e perché la presenza di detti animali era espressamente vietata dal regolamento di condominio). Diversamente, secondo altro provvedimento, la delibera assembleare di approvazione del regolamento condominiale presa a maggioranza è invalida nella parte in cui vieta ai condomini la possibilità di detenere animali anche nelle logge e nei terrazzi perché limitativa dei diritti e dei poteri dei singoli condomini sulle loro proprietà individuali (Trib. Messina 8 aprile 1981, n. 743).

Quindi, il possesso di animali all'interno di un condominio poteva essere vietato solo se il proprietario dell'immobile si fosse contrattualmente obbligato a non detenere animali nel proprio appartamento, avendo accettato, con la sottoscrizione del rogito, contestualmente anche il regolamento condominiale ad esso allegato, mentre un regolamento condominiale, di natura non contrattuale, quand'anche approvato a maggioranza, non poteva essere vincolante in quanto le disposizioni che vietavano e limitavano un godimento particolare delle cose di proprietà esclusiva erano prive di efficacia nei confronti di coloro che non le avevano espressamente ed anticipatamente accettate. Allo stesso modo, altri giudici hanno precisato che il divieto di detenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati a maggioranza: in difetto di un'approvazione unanime le disposizioni anzidette sono inefficaci anche con riguardo a quei condomini che abbiano concorso con il loro voto favorevole alla relativa approvazione, giacché le manifestazioni di voto in esame, non essendo confluite in un atto collettivo valido ed efficace, costituiscono atti unilaterali atipici, di per sé inidonei, ai sensi dell'art. 1987 c.c., a vincolare i loro autori nella mancanza di una specifica disposizione legislativa che ne preveda l'obbligatorietà (Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 1993, n. 12028: in tale vicenda, il condominio aveva chiesto l'allontanamento del cane sia per la presenza del regolamento che, soprattutto, per il disturbo e le esalazioni maleodoranti dovute alle urine lasciate sul terrazzo).

A questo punto, appare chiaro che secondo l'orientamento sin qui delineato, le clausole di natura contrattuali non richiedono il disturbo effettivo, la molestia, l'immissione intollerabile, poiché il divieto di tenere animali ha valore assoluto. Difatti, anche quando non si verifichi e non venga in concreto provato un disturbo effettivo ai condomini, tale divieto è vincolante in quanto è inserito in un atto avente natura contrattuale: in altre parole diventa una limitazione reale, una servitù, con la quale il condomino accetta espressamente una limitazione della sua proprietà nei confronti di determinate altre persone (Trib. Lecco 9 febbraio 2012).

In definitiva, alla luce dell'orientamento ante riforma, la detenzione di animali in un condominio, costituendo esplicazione del diritto dominicale, può essere vietata solo se il proprietario dell'immobile si sia contrattualmente obbligato a non detenere animali nel proprio appartamento.

L'interpretazione giurisprudenziale post riforma a favore degli animali in presenza di regolamento

Come osservato in precedenza, nella stesura finale del nuovo testo dell'art. 1138 c.c., il termine animali “da compagnia” è stato sostituito con quello di animali “domestici” dai confini più incerti sotto il profilo del relativo inquadramento, al fine di estenderne la definizione ad un più ampio genus di animale “di affezione”.

In particolare, il Ministro della Salute in una nota del 18 marzo 2011 esplicativa sull'applicazione della l. n. 201/2010, che ha ratificato la Convenzione di Strasburgo ed è in vigore dal 4 dicembre 2010, precisa che si intende per animale da compagnia ogni animale tenuto, o destinato ad essere tenuto dall'uomo, in particolare presso il suo alloggio domestico, per suo diletto e compagnia.

Il legislatore ha, quindi, inteso recepire con una disposizione ad hoc inserita nel codice civile il mutato sentimento dell'essere umano verso gli animali d'affezione, cui ha fatto seguito un'interpretazione evolutiva ed orientata delle norme vigenti, la quale, impone di ritenere che l'animale non possa essere più collocato nell'area semantica concettuale delle “cose”, ma debba essere riconosciuto come “essere senziente”, e in tale ottica esprimendo la contrarietà per quelle norme del regolamento condominiale che dovessero prevedere il divieto per il singolo condomino di possedere o detenere animali domestici. Detto ciò, si analizzano di seguito le prime risposte a favore degli animali in condominio in presenza di regolamento contrattuale.

  • La nullità sopravvenuta delle disposizioni regolamentari: Trib. Cagliari 22 luglio 2016

La vicenda in esame riguardava un condomino che aveva proposto ricorso ex art. 702 c.p.c. affinché fosse dichiarato privo di efficacia l'articolo del regolamento condominiale che vietava l'accesso al condominio agli animali domestici. Il Tribunale adito ha ritenuto viziata da nullità sopravvenuta la disposizione del regolamento del condominio impugnato in quanto, con la l. n. 220/2012, è stato introdotto il principio applicabile a tutte le disposizioni contenute sia nei regolamenti di tipo contrattuale che assembleare, precedenti o successivi alla riforma del 2012. Inoltre, secondo il ragionamento seguito dal citato Tribunale, il regolamento condominiale che si discosti da tale disposizione è affetto da nullità anche perché contrario ai principi di ordine pubblico, individuabili nella necessità di valorizzare il rapporto uomo-animale e nell'affermazione di quest'ultimo principio anche a livello europeo.

Per meglio dire, secondo tale posizione, occorre considerare un'altra interpretazione della norma, poiché il divieto indicato nell'art. 1138 c.c. rappresenta l'espressione dei principi di ordine pubblico, dalla cui violazione consegue la nullità insanabile della statuizione ad esso contraria. In effetti, le disposizioni contenute nei commi precedenti dell'art. 1138 c.c. stabiliscono regole circa l'adozione obbligatoria del regolamento ed al quorum necessario per la sua approvazione, facendo riferimento al c.d. regolamento assembleare; tuttavia, nessuna indicazione in merito alla natura del regolamento è indicata nella norma, in cui si parla genericamente di “regolamento di condominio”, e neppure nel comma contenente il divieto, in cui viene citato il “regolamento” senza altra specificazione. Dall'esame dell'art. 1138 c.c. e della norma contenente il divieto, non è possibile individuare a quale tipo di regolamento si faccia riferimento, per cui appare riduttivo applicare tale divieto al solo regolamento di tipo c.d. assembleare.

In definitiva, il Tribunale adito ha concluso sostenendo che la norma in esame non è strettamente connessa alle sole ipotesi di regolamento assembleare, ma costituisce un principio generale, valido per qualsiasi regolamento, per cui ha accolto la domanda proposta, dichiarando nullo l'articolo del regolamento del condominio.

  • Nuovo diritto che tutela il “rapporto uomo-animale”: Trib. Piacenza 22 novembre 2016, n. 527

In tale vicenda, l'amministratore di condominio aveva convenuto in giudizio la condomina rilevando che la stessa aveva violato il regolamento condominiale di natura contrattuale laddove vietava di tenere animali di sorta nell'immobile condominiale. Instava, quindi,per la condanna della convenuta a desistere dalla detenzione e all'allontanamento dell'animale. Premesso quanto esposto, secondo il giudice adito, la nuova norma è destinata ad operare non solo per i regolamenti futuri, ma anche per quelli attualmente in uso, facendo caducate tutti i divieti e le limitazioni vigenti. Di conseguenza, è evidente che non sia ammissibile la tesi della presunta derogabilità del divieto di cui all'art. 1138, ultimo comma, c.c., da parte dell'assemblea dei condomini che decida con l'unanimità dei consensi. Tuttavia, precisa il giudice, la nuova norma non si traduce in una licenza a fare ciò che si vuole, ma, al contrario, lascia invariate tutte le forme di tutela civile e penale che l'ordinamento già prevede a favore dei terzi che, concretamente, subiscano un danno dall'animale. In ambito civilistico, non viene meno il principio generale del neminem leadere di cui all'art. 2043 c.c. e dunque, in caso di oggettive e certificate molestie da parte degli animali, i vicini condomini conservano la piena facoltà di agire in giudizio per il risarcimento del danno. Dunque, in base alle considerazioni svolte, è evidente che l'approvazione della normativa qui in esame (art. 1138, comma 5, c.c.) svolge l'importante ruolo di consolidamento di imperativi giuridici già presenti nel nostro ordinamento, specificandone i contenuti ed integrando il regime giuridico positivo.

In definitiva, a parere del Tribunale, la valenza costituzionale del nuovo testo comporterà non solo la sua immediata applicazione anche ai regolamenti condominiali vigenti, con la conseguente risoluzione delle liti condominiali in corso in favore degli animali, ma anche - e soprattutto - il riconoscimento espresso in un “diritto all'animale domestico”, inderogabile anche dai regolamenti contrattuali approvati all'unanimità. Un diritto di portata costituzionale che trova conferma “a livello europeo e nazionale” e che informa di sé il riformulato art. 1138 c.c., al punto da far prevalere il divieto che ci occupa su eventuali disposizioni contrarie contenute in regolamenti vigenti e futuri, assembleari e contrattuali. In conclusione, la domanda dell'amministratore è stata rigettata.

4. L'interpretazione giurisprudenziale post riforma contraria agli animali in presenza di regolamento

Secondo altro orientamento, la nuova disposizione, quindi, recependo totalmente la posizione già espressa dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, ribadisce che il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere contenuto nei regolamenti condominiali approvati a maggioranza, non potendo detti regolamenti importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva. Di conseguenza, secondo tale posizione, la nuova previsione del comma 5 dell'art. 1138 c.c. non muta nulla rispetto al passato, dal momento che vale con ogni evidenza solo per i regolamenti di tipo assembleare esattamente come è sempre stato, mentre permane la legittimità del divieto nel caso di clausola del regolamento di tipo contrattuale (approvata all'unanimità in assemblea o contenuta in un regolamento predisposto dal costruttore ed accettato da tutti negli atti di acquisto) che sono le uniche che possono imporre un divieto o una limitazione alle proprietà esclusive e alle facoltà connesse.

  • I limiti all'uso delle parti comuni: Trib. Monza 28 marzo 2017

Nella vicenda in esame, una coppia di condomini aveva impugnato per nullità una clausola del regolamento (contrattuale) del supercondominio che impediva ai singoli proprietari di usare l'ascensore coi propri cani, prevedendo sanzioni in tal caso. Secondo gli attori, l'invalidità della clausola derivava direttamente dalla legge (art.1138, comma 5, c.c.). Costituendosi in giudizio, il supercondominio (convenuto) replicava che la previsione del regolamento non impediva di detenere animali domestici ma solo di usare un bene comune (ascensore) per il loro trasporto. Detto ciò, secondo il giudice adito, la clausola limitativa (uso delle parti comuni) era legittima in quanto il regolamento contrattuale può prevedere limitazioni all'uso di parti comuni da parte di determinati condomini. Quanto alle eccezioni di nullità in merito al divieto dell'uso dell'ascensore, esposte dagli attori con riferimento esplicito al provvedimento del Tribunale di Cagliari del 22 luglio 2016, il giudice di Monza ha precisato che la lettura offerta da molti interpreti in merito all'art. 1138, comma 5, c.c. tende a trascendere la materia condominiale in quanto muove dall'idea del diritto alla detenzione dell'animale domestico come diritto della persona, svincolato dal contesto del diritto condominiale; un contesto legato alla dialettica tra parti in proprietà comune e in proprietà singola. Pertanto, ad avviso del giudicante, sarebbe preferibile una seconda interpretazione della norma: l'art. 1138, comma 5 c.c. resta comunque inserito nel contesto del diritto di proprietà, ma la norma dovrebbe essere letta come rivolta a fissare i limiti della potestà regolamentare sulla proprietà singola; pertanto, il regolamento di condominio non può spingersi fino al punto da vietare un certo uso della proprietà singola, ovvero quello di detenere animali domestici.

Fatta questa precisazione, il giudicante ha ritenuto che “altro discorso” è quello della disciplina delle parti comuni che resta fuori dall'art. 1138, comma, 5 c.c.

In conclusione, secondo questa impostazione, gli attori potranno comunque mantenere integro il diritto di possedere o detenere i loro cani, come li rassicura l'art. 1138, comma 5, c.c., ma dovranno servirsi delle scale per spostarsi in compagnia degli animali. Diverso sarebbe stato il caso in cui s'impedisse l'uso coi cani del vialetto d'accesso o del corsello dei box (in questo, il proprietario non potrebbe mai accedere alla propria abitazione con l'animale).

  • Il rispetto dell'autonomia contrattuale dei condomini: Trib. Piacenza 28 febbraio 2020, n. 142

La fattispecie in esame riguarda la presenza in condominio di due cani di grossa taglia. Una clausola di natura contrattuale però vietava in modo assoluto e tassativo di tenere cani e gatti negli appartamenti o in qualsiasi altro locale dell'edificio privato o comune. Pe tali motivi, gli altri condomini si rivolgevano al Tribunale, chiedendo l'allontanamento degli animali dall'edificio condominiale.

In tal vicenda, il giudicante (in totale contrasto con la pronuncia del medesimo Tribunale del 22 novembre 2016, n. 527) evidenzia che la collocazione sistematica del “divieto di vietare” (art. 1138, comma 5, c.c.) nella norma che disciplina il regolamento condominiale di natura assembleare ne determina e limita l'operatività in relazione a tale tipologia di atto, tenuto anche conto che tale comma non contiene l'inciso “in nessun caso” presente invece nella previsione del precedente comma 4 e tale da escludere la possibilità di deroga per qualunque tipo di regolamento. Ed ancora, secondo il Tribunale piacentino, tale conclusione se, da un lato, è confermata dai chiarimenti resi dalla Seconda Commissione permanente del Senato in sede di discussione del disegno di legge poi sfociato nel provvedimento di riforma del 2012, dall'altro consente di dare attuazione alla volontà espressa dai redattori del regolamento vigente nel condominio attore ed accettato dai condomini acquirenti di unità immobiliari nello stesso ubicate i quali, con l'acquisto e l'accettazione del regolamento, hanno assunto l'impegno a rispettarlo. Ciò detto, aggiunge il giudice, le normative succedutesi, negli anni più recenti, sia in sede nazionale che sovranazionale e dirette alla tutela degli animali, in particolare di quelli di affezione, pur condivise alla finalità di salvaguardia dalle stesse perseguito, tuttavia non appaiono conferenti alla presente fattispecie la quale verte, in ultima analisi, sulla rilevanza dell'autonomia contrattuale quale espressasi nel regolamento contestato in causa e sulla efficacia di prescrizioni - volute dai contraenti ed accettate dai loro aventi causa - le quali costituiscono, per ciascun condomino, vincolo - imponendo l'osservanza - e, nel contempo, diritto - a verificarne il rispetto. In altri termini, la disapplicazione della norma regolamentare richiesta dal convenuto si tradurrebbe di fatto nella lesione del diritto degli altri condomini all'osservanza del regolamento che, oltre ad essere stata voluta dagli originari redattori, può aver costituito riferimento per coloro - i successivi acquirenti - che non vogliono o non possono convivere o comunque avere contatti con gli animali. Per i motivi esposti, il giudicante ha disposto l'allontanamento degli animali contestati dal condomino.

La tutela degli animali negli atti di compravendita

In linea generale, si può dire che il nuovo proprietario di un appartamento è tenuto a rispettare il regolamento di condominio, sia che quest'ultimo fosse stato, a suo tempo, approvato all'unanimità (in assemblea o con approvazione individuale, al momento del rogito, da parte dei singoli proprietari) o con la semplice maggioranza. Anzi, la giurisprudenza sembra propensa a riconoscere la natura “reale” (e non meramente obbligatoria) degli stessi e la loro efficacia erga omnes e, in particolare, l'opponibilità ai terzi acquirenti, purché risultino trascritti nei registri immobiliari o comunque accettati da chi subentra nella proprietà dell'unità immobiliare dell'edificio in condominio. Nonostante ciò, alcune questioni in tema di animali possono sorgere anche durante la trattativa della compravendita.

A tal proposito, la Corte territoriale di Palermo si è occupata di una vicenda particolare. Una signora, quale promissaria acquirente di un bene in virtù di contratto preliminare, adiva il Tribunale per ottenere la dichiarazione di risoluzione del suddetto contratto perché era emerso che l'oggetto, costituente il frutto dell'accordo raggiunto, involgeva anche una porzione di proprietà del contiguo cortile condominiale, e, quindi, appartenente a terzi (condominio). In particolare, l'attrice sosteneva che l'utilizzo di tale porzione immobiliare di terzi era stato dalla stessa valutato come necessario - all'atto della stipula del preliminare (e la relativa esigenza era stata anche manifestata al promittente venditore) - perché, siccome collocata all'esterno dell'appartamento promesso in vendita, avrebbe dovuto destinarla al ricovero del proprio cane, quale animale di affezione.

Nel giudizio di primo grado, il giudice accoglieva la domanda e dichiarava, perciò, risolto il dedotto contratto preliminare di compravendita, condannando il medesimo convenuto alla restituzione della somma versata a titolo di caparra confirmatoria e al pagamento di adeguato importo imputato a penale.

A seguito di appello, nel giudizio di secondo grado, la Corte territoriale confermava il provvedimento impugnato. In particolare, la Corte rilevava che era stata accertata la circostanza che la corte esterna promessa in vendita non poteva essere oggetto di trasferimento da parte del promittente venditore, in quanto spazio condominiale non oggetto di proprietà esclusiva e che, dunque, la fattispecie era regolamentata dall'art. 1480 c.c. secondo cui, ai fini della risoluzione per inadempimento, occorre accertare la buona fede dell'acquirente sull'altruità del cespite e che il medesimo non avrebbe proceduto all'acquisto del bene senza quella parte ritenuta essenziale.

Quanto alla condizione dell'acquisto, i giudici, contrariamente alla difesa di parte appellante, hanno evidenziano che non può ritenersi che la necessità di disporre di uno spazio esterno per le esigenze dell'animale domestico, secondo le aspettative dell'acquirente, possa ritenersi caratteristica “non essenziale” del bene promesso in vendita. Difatti, alla luce del diritto europeo, la tutela del benessere degli animali (anche quelli da compagnia) rappresenta un principio assodato, o meglio, sulla base della giurisprudenza della Corte Europea (Corte Giust. EU, sez. V, 23 aprile 2015, Zuchtvieh-Export c. Stadt Kempten, causa C-424/13.15), un interesse con il quale il legislatore, gli amministratori ed i giudici sono oggi chiamati a confrontarsi e che può essere sacrificato solo per comprovate esigenze di tutela di altri interessi costituzionali (es. la salute umana). In proposito, si legge in sentenza, anche il legislatore nazionale, con l'art. 1 della l. n. 281/1991 (Legge-quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo), ha previsto che: “lo Stato ha l'obbligo di promuovere e disciplinare la tutela degli animali di affezione (...)” riconoscendo come “interesse pubblico preminente di rilievo statale” la promozione del benessere e la tutela degli animali d'affezione.

In conclusione, secondo questo ragionamento, nell'evoluzione del diritto vivente, dunque, anche l'utilizzo di un cespite con un'area esterna, non solo per le esigenze familiari ma per quelle dell'animale domestico, può avere rilevanza per valutare le caratteristiche ritenute “essenziali” di un immobile.

Conclusioni

La materia in esame non è di poco conto, soprattutto, alla luce del fatto che finalmente esiste una regolamentazione in ambito condominiale. Però, come visto in precedenza, vi sono diverse correnti di pensiero: l'una difforme dall'altra. Nonostante ciò, a parere di chi scrive, la tesi restrittiva non sarebbe condivisibile, in quanto non tiene in dovuto conto l'evoluzione del diritto vivente e la nuova valorizzazione del rapporto uomo-animale, già affermatasi a livello europeo e nazionale (confermata da ultimo dal citato provvedimento della Corte territoriale palermitana dell'11 settembre 2020). Non si può, pertanto, leggere il nuovo art. 1138 c.c. prescindendo dal rilievo costituzionale assunto dalla tutela del rapporto uomo-animale.

Approvando il nuovo testo dell'art. 1138 c.c., il Legislatore si è dimostrato sensibile all'evoluzione della coscienza sociale, riconoscendo l'esistenza di un nuovo diritto (come sostenuto dal Tribunale di Piacenza del 22 novembre 2016, n. 527) che si estrinseca anche nel diritto alla coabitazione. È inevitabile, allora, che la nuova norma vada ad incidere anche sui regolamenti condominiali vigenti, determinando l'immediata caducazione delle clausole che vietano o limitano la detenzione degli animali domestici.

In definitiva, il nuovo art. 1138 c.c. deve essere letto in base al criterio ermeneutico della ratio legis, ossia individuando oggettivamente il fondamento, lo scopo e la funzione che hanno indotto il Legislatore alla sua approvazione. In altre parole, appare corretta la precisazione di autorevole dottrina (Celeste - Scarpa), secondo cui dopo le modifiche del legislatore del 2012, gli ultimi due capoversi dell'art. 1138 c.c., si dovrebbero leggere nel senso che tutti i regolamenti, anche quelli non assembleari, non possono menomare, non possono derogare, e comunque non possono vietare di possedere o detenere animali domestici.

Il risultato è dunque che la nuova norma di cui all'art. 1138, comma 5, c.c. è destinata ad operare non solo per i regolamenti futuri, ma anche per quelli attualmente in uso, travolgendo tutti i divieti e le limitazioni vigenti.

Riferimenti

Carrato, Sì alla risoluzione del preliminare se manca uno spazio per tenere il proprio cane, in Quotidianogiuridico.it, 21 dicembre 2020;

Tarantino, Animali in condominio. Tutele e responsabilità, Monopoli, 2019, 38;

Amendolagine, Animali in condominio, in Condominioelocazione.it, 28 giugno 2018;

Celeste - Scarpa, Il regolamento, le tabelle e le spese, Milano, 2014, 103;

Lazzaro, Il condominio dopo la riforma, Milano, 2013, 208;

Basile, Le modifiche al regime condominiale (legge 220/2012), in Riv. dir. civ., 2013, 628.

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