La convivenza coniugale quale situazione ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio
13 Luglio 2021
Il Tribunale ecclesiastico interdiocesano salernitano-lucano dichiarava la nullità del matrimonio concordatario contratto tra A.S. e M.L.N., per incapacità dell'uomo ad assumere gli oneri matrimoniali per causa psichica. Tale sentenza veniva confermata dalla Rota Romana e resa esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura apostolica.
A.S. conveniva in giudizio M.L.N. per sentir dichiarare efficace nell'ordinamento italiano la sentenzadel Tribunale ecclesiastico. Si costituiva M.L.N., eccependo, per quanto di interesse, che la convivenza con il ricorrente si era protratta per oltre vent'anni dopo il matrimonio. La Corte d'appello di Roma rigettava la domanda di delibazione della sentenza del Tribunale ecclesiastico.
Avverso la predetta sentenza A.S. proponeva ricorso per cassazione, articolato in diversi motivi, ritenuti infondati dalla Corte.
Con il primo motivo, in particolare, il ricorrente denunciava la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 384, 1 e 2 comma, c.p.c., in relazione al principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite n. 16379/2014, per avere la Corte d'appello ritenuto che la convivenza triennale fosse stata ritualmente eccepita dalla resistente, nonostante l'inadempimento dell'onere di allegazione posto a suo carico. In merito, la Corte ha evidenziato che nessuna violazione del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite poteva riscontrarsi, atteso che «il giudizio in esame è stato instaurato in epoca anteriore all'enunciazione del predetto principio, il quale ha determinato un significativo mutamento nella giurisprudenza di legittimità, in precedenza orientata verso l'irrilevanza della convivenza (Cass. civ., n. 8926/2021), venendosi pertanto a configurare come un vero e proprio overruling, idoneo a giustificare la rimessione in termini del convenuto che, in virtù dell'incolpevole affidamento nel precedente orientamento, non abbia tempestivamente sollevato l'eccezione in esame».
Con il secondo motivo, il ricorrente insisteva sulla nullità della sentenza per difetto di motivazione sostenendo che, nel ritenere sussistente la convivenza triennale, la pronuncia impugnata non ha tenuto conto delle risultanze della sentenza ecclesiastica, da cui non emergeva una piena ed effettiva accettazione del rapporto matrimoniale. A riguardo, i giudici hanno evidenziato che «ai fini dell'accertamento della convivenza triennale come coniugi, quale situazione ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, la pronuncia impugnata si è conformata alla sentenza delle Sezioni Unite cit., secondo cui tale convivenza deve intendersi conformemente alla Costituzione, alle Carte Europee dei diritti e al codice civile, quale elemento essenziale del «matrimonio/rapporto», che si manifesta come consuetudine di vita coniugale comune, stabile e continua nel tempo ed esteriormente riconoscibile. E' dunque corretta la statuizione della Corte territoriale che ha posto in risalto come dalle sentenze ecclesiastiche emergesse la «durata ultraventennale della convivenza», caratterizzata, oltre dalla coabitazione nella casa familiare, dalla condivisione della vita quotidiana e di periodi di vacanza, dalla collaborazione della moglie all'attività professionale del marito, dal perseguimento del comune progetto di avere dei figli, nonché dall'esteriorizzazione del rapporto nella sfera sociale, lavorativa, amicale e parentale dei coniugi, per effetto della quale gli stessi erano percepiti dai terzi come marito e moglie.
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