Compenso fisso o variabile e dimissioni del liquidatore di società

14 Luglio 2021

Nel caso in cui l'assemblea di una società per azioni ridetermini al ribasso il compenso spettante al liquidatore, questi non è obbligato ad accettare il nuovo compenso inferiore e può dimettersi, pretendendo di ottenere il pagamento integrale delle proprie spettanze...
Massima

Nel caso in cui l'assemblea di una società per azioni ridetermini al ribasso il compenso spettante al liquidatore, questi non è obbligato ad accettare il nuovo compenso inferiore e può dimettersi pretendendo di ottenere il pagamento integrale delle proprie spettanze fino al momento dell'efficacia delle sue dimissioni.

Il caso

Il caso affrontato dal Tribunale di Roma, oggetto del presente commento, può essere riassunto come segue. Un signore viene nominato dall'assemblea dei soci, nel dicembre 2011, liquidatore di una società per azioni. Si tratta di un liquidatore unico, onerato dunque – da solo – di tutta la gestione della fase liquidatoria della società. L'assemblea determina di anno in anno il compenso spettante al liquidatore, che viene fissato sempre nella cifra fissa di € 120.000 all'anno. Il liquidatore percepisce, dunque, regolarmente, negli anni da 2012 a 2017, detto significativo compenso annuale.

Il 13 marzo 2018 l'assemblea determina nuovamente il compenso del liquidatore, rivedendolo tuttavia al ribasso, nella misura di € 60.000 all'anno, cui si può aggiungere un eventuale ulteriore importo di € 60.000 a titolo di success fee erogabile al raggiungimento di determinati risultati. Rispetto agli anni precedenti, l'importo fisso viene dimezzato, anche se il liquidatore potrebbe – conseguendo determinati risultati – raggiungere una remunerazione complessiva uguale a quella precedente.

Il liquidatore ritiene il nuovo compenso fisso troppo basso e, con messaggio PEC del 14 marzo 2018, dà le dimissioni dall'incarico. Il 22 marzo 2018 viene nominato il nuovo liquidatore, che accetta l'incarico il successivo 23 marzo 2018. Per l'anno 2018, dunque, il vecchio liquidatore è stato in carica dal 1° gennaio al 22 marzo 2018 e, al momento del subentro del nuovo liquidatore aveva già percepito € 20.000. Pur essendo difatti stato pattuito un compenso fisso di € 60.000 all'anno (corrispondente a € 5.000 al mese), di fatto il liquidatore riceveva € 10.000 al mese, in vista della possibilità che gli venisse corrisposta quella success fee cui si accennava sopra.

Cambiato il liquidatore, la società in liquidazione agisce in giudizio contro il vecchio liquidatore, sostenendo che – essendo egli stato in carica dal 1° gennaio al 22 marzo 2018 - gli spettasse un compenso di soli circa € 13.350 (ossia, € 5.000 al mese per poco più di due mesi e mezzo), inferiore a quello già percepito. La società chiedeva dunque che il liquidatore restituisse circa € 6.650 già percepiti.

La questione

Il problema preliminare trattato nella sentenza in commento è se spetti il compenso al liquidatore. Più precisamente, la questione è se - in caso di dimissioni del liquidatore - questi abbia diritto al compenso, e come esso debba essere commisurato. Può l'assemblea di una società rideterminare al ribasso il compenso del liquidatore e costringere il liquidatore ad accettare detto compenso inferiore?

Il Tribunale di Roma rigetta la domanda della società attrice volta a ottenere la restituzione dei compensi asseritamente pagati in eccesso, e anzi condanna la medesima società a pagare al liquidatore un compenso aggiuntivo rispetto a quello già percepito. Ritenendo difatti che il vecchio liquidatore abbia diritto a un compenso mensile di € 10.000 (quello originariamente pattuito), ed essendo il liquidatore stato in carica per poco più di due mesi e mezzo, oltre agli € 20.000 già percepiti (per i mesi di gennaio e febbraio 2018), gli spetta il compenso per i giorni di marzo in cui è stato in carica. Il Tribunale di Roma condanna dunque la società a pagare al liquidatore l'importo di € 7.561,64.

Osservazioni

Le questioni trattate nella sentenza in commento attengono al diritto del liquidatore di società al compenso. Nel caso affrontato dal Tribunale di Roma si trattava di una società per azioni, ma i termini del problema non muterebbero se si trattasse di una società a responsabilità limitata, tipo più diffuso nel nostro ordinamento. Come è difatti noto, la procedura di liquidazione delle società è comune per le società di capitali (artt. 2484-2496 c.c.).

La tematica del compenso del liquidatore di società è poco trattata sia in giurisprudenza sia in dottrina (fra i pochi contributi editi cfr. G. Cucinella, Il diritto del liquidatore al compenso, in questo portale. Si veda anche L. Boggio, Il compenso del liquidatore e dell'amministratore della società nel concordato preventivo e nel fallimento consecutivo, in Riv. dir. impr., 2009, 667, quest'ultimo contributo in riferimento peraltro all'ambito delle procedure concorsuali). Probabilmente, una delle ragioni di questa lacunosità risiede nel fatto che non vi è una disposizione espressa che regolamenti il diritto del liquidatore alla remunerazione, circostanza che potrebbe perfino far dubitare che un liquidatore di società abbia diritto a un compenso.

Per qualche incomprensibile ragione (verosimilmente per ragioni di sinteticità), il nostro codice civile – nel disciplinare la figura dei liquidatori di società – si sofferma sì su alcuni aspetti, ma omette qualsiasi riferimento al loro compenso. L'art. 2487 c.c. stabilisce che spetta all'assemblea nominare i liquidatori, ma nulla dice con riguardo al loro compenso. Sotto questo profilo, la disposizione si differenzia dall'art. 2364 c.c. in tema di poteri dell'assemblea nell'ambito della nomina degli amministratori: quest'ultima norma, difatti, oltre a stabilire che spetta all'assemblea nominare gli amministratori, specifica che l'assemblea “determina il compenso degli amministratori e dei sindaci”.

Come deve essere interpretato il silenzio della legge con riguardo ai liquidatori? Fondandosi sul dato normativo (o meglio: sull'assenza del dato normativo), si potrebbe sostenere la tesi che i liquidatori non abbiano diritto al compenso. Tuttavia questa tesi non può trovare accoglimento, per plurime ragioni:

  1. in primo luogo, dal punto di vista normativo, bisogna ricordare che l'art. 2488 c.c. prevede che “le disposizioni sulle decisioni dei soci, sulle assemblee e sugli organi amministrativi e di controllo si applicano, in quanto compatibili, anche durante la liquidazione”. E poiché l'art. 2389 c.c. riconosce espressamente agli amministratori il diritto al compenso, è difficile negarlo ai liquidatori per l'equiparazione che fa l'art. 2488 c.c. fra organi sociali durante la vita ordinaria della società e durante la fase della liquidazione;
  2. in secondo luogo, il liquidatore (come, del resto, l'amministratore) può essere equiparato a un mandatario della società, e il mandato si presume oneroso (art. 1709 c.c.);
  3. in terzo luogo, l'attività di liquidazione di una società può essere così complessa che è insensato ritenere che possa essere svolta a titolo gratuito. Proprio nel caso affrontato dal Tribunale di Roma in commento, la liquidazione investiva una società in forma di società per azioni di considerevoli dimensioni;
  4. in quarto luogo, in assenza di un compenso, sarebbe difficile trovare qualcuno disponibile a svolgere il ruolo di liquidatore di una società, a maggior ragione se si tratta di un professionista esterno alla società (nel senso che non è né socio né amministratore), come potrebbe essere un commercialista;
  5. in quinto luogo, l'art. 2489 comma 2 c.c. prevede il requisito della “professionalità” dei liquidatori e disciplina la loro responsabilità: non può essere ragionevolmente sostenuto che un lavoro per cui è richiesta professionalità e che può implicare responsabilità debba essere svolto a titolo gratuito.

Sulla base delle osservazioni svolte, può affermarsi che il liquidatore di società abbia diritto al compenso (salvo, ovviamente, vi rinunci per qualche ragione).

Tanto premesso sull'esistenza di un diritto del liquidatore al compenso, bisogna comprendere a chi spetti determinarlo. Anche qui l'unica soluzione plausibile è quella che il potere di fissare il compenso del liquidatore spetti all'assemblea dei soci. Se difatti l'assemblea nomina i liquidatori (art. 2487 comma 1 c.c.), detto organo deve avere anche la contestuale possibilità di determinare il loro compenso. Del resto si è appena visto che si tratta della soluzione prevista dall'art. 2364 c.c. per gli amministratori di società. Più in generale può affermarsi che i soci, quali persone che hanno effettuato gli investimenti in società, siano i soggetti preposti a determinare il compenso di chi amministra la società. La società è amministrata dagli amministratori nella sua fase fisiologica, ed è “amministrata” dai liquidatori nella sua fase appunto liquidatoria.

La sentenza in commento dà però per scontati i due aspetti che abbiamo appena analizzato (ossia che al liquidatore spetti un compenso e che detto compenso debba essere deliberato dall'assemblea). Il Tribunale di Roma si sofferma su un aspetto di maggiore dettaglio: la sorte del compenso in caso di dimissioni del liquidatore. La risposta che dà il Tribunale di Roma, nella sentenza in commento, è che il compenso spetti anche in caso di dimissioni del liquidatore. Tuttavia, non spetterà il compenso per tutto il periodo originariamente previsto, bensì per il solo periodo in cui il liquidatore è stato in carica.

Questa soluzione, peraltro, non è poi così scontata come si potrebbe assumere. Le dimissioni difatti potrebbero intralciare il procedimento di liquidazione e generare un danno. Nel caso affrontato dal Tribunale di Roma, alle dimissioni del primo liquidatore fanno seguito – nel giro di pochi giorni – la nomina e l'accettazione del secondo liquidatore. In condizioni del genere non è neppure ipotizzabile un danno alla liquidazione, considerato che è stata assicurata la continuità fra vecchio e nuovo liquidatore in un ambito temporale ristrettissimo. Più in generale deve osservarsi che un danno non è di certo conseguenza automatica di dimissioni, ma richiede una prova specifica da parte della società che intenda chiedere i danni al liquidatore che si è dimesso.

Nel procedimento che sfocia con la sentenza del Tribunale di Roma in commento, la società esercita un'azione di ripetizione dell'indebito. La competenza per le controversie fra società e amministratore con riferimento al compenso è della sezione specializzata in materia di impresa. Per questa ragione la società si rivolge alla sezione specializzata presso il Tribunale di Roma, chiedendo la condanna del liquidatore alla restituzione del compenso che – secondo la società – era stato percepito in eccedenza rispetto a quanto dovuto.

Più precisamente, nei primi due mesi del 2018, il liquidatore aveva percepito il medesimo compenso (€ 10.000 al mese) dell'anno precedente. Essendo tuttavia il compenso stato rideterminato dall'assemblea del marzo 2018 in un importo più basso (€ 5.000 al mese invece di € 10.000, come pattuito per gli anni precedenti), il liquidatore – secondo la prospettazione della società - avrebbe percepito più di quanto dovuto e dovrebbe restituire l'eccedenza. Il vecchio liquidatore si difende sostenendo che la delibera del marzo 2018 non può avere effetto retroattivo, ossia non può riguardare i primi mesi del 2018.

Il Tribunale di Roma accoglie la tesi del liquidatore. L'argomento principale dell'autorità giudiziaria romana è che la delibera sul compenso deve essere accettata dal liquidatore. In tema di compensi di liquidatori (e, ancor prima, di amministratori) vi è difatti un equivoco di fondo. Il nostro legislatore si limita a stabilire che l'assemblea determina il compenso di liquidatori (e amministratori). Ma il passaggio logico che manca è che nessun compenso può essere imposto unilateralmente dalla società. Il compenso deve essere accettato dal liquidatore (o dall'amministratore).

Esprimendo il concetto con parole diverse, è utile riflettere sul fatto che il rapporto fra società e amministratore prima (e liquidatore dopo) è un rapporto contrattuale. Proprio la natura contrattuale del rapporto implica che vi debbano essere due dichiarazioni di volontà:

  1. una dichiarazione di volontà della società di nominare Tizio liquidatore;
  2. una dichiarazione di volontà di Tizio di accettare l'incarico di liquidatore (e il relativo compenso).

L'accettazione del compenso statuito dall'assemblea può essere implicita, ma non può certamente essere imposta al liquidatore contro la sua volontà. Il liquidatore può insomma opporsi a un compenso che reputa insufficiente. Si tratta esattamente di quanto avvenuto nel caso affrontato dal Tribunale di Roma nella sentenza in commento, con la specificazione che il rifiuto del liquidatore è stato immediato: come si ricorderà, a fronte di un'assemblea del 13 marzo che rivedeva al ribasso il compenso, il liquidatore ha rassegnato le dimissioni il 14 marzo, ossia il giorno dopo.

Poiché deve assumersi che il liquidatore abbia diritto al compenso, se l'assemblea non ha deliberato in merito, il liquidatore può rivolgersi al giudice per ottenere una pronuncia che statuisca il suo diritto al compenso e, soprattutto, che lo liquidi. In questa prospettiva, il tema del compenso del liquidatore (e, prima, dell'amministratore) può essere legato al tema della sua responsabilità. Non si tratta di questioni trattate nella sentenza del Tribunale di Roma. Tuttavia ben può capitare che, a fronte di una richiesta del liquidatore di un compenso, la società vi opponga (asseriti) inadempimenti per sottrarsi all'obbligo di pagamento. Nei casi più gravi, vi potrà essere la revoca del liquidatore, con la richiesta di restituzione dei compensi già percepiti (una fattispecie simile è stata affrontata da Tribunale di Roma, 4 febbraio 2015, in ilcaso.it).

Punto ancora più di dettaglio trattato nella sentenza in commento è se l'assemblea della società possa ridurre unilateralmente il compenso del liquidatore. La risposta, corretta, che formula il Tribunale di Roma è in senso negativo: una volta deliberato un certo compenso (e se detto compenso è stato accettato dal liquidatore), la società non può ridurre il compenso, senza che il liquidatore presti il proprio consenso.

Conclusioni

Prendendo spunto dalla sentenza del Tribunale di Roma oggetto di questo breve commento, si possono enucleare i seguenti principi in tema di compenso del liquidatore:

  1. il liquidatore di società ha diritto al compenso;
  2. spetta all'assemblea dei soci determinare l'ammontare del compenso del liquidatore;
  3. il liquidatore deve accettare, in modo esplicito o implicito, il compenso determinato dall'assemblea;
  4. anche il liquidatore dimissionario ha diritto al compenso;
  5. una delibera assembleare che riducesse il compenso del liquidatore non sarebbe a questi opponibile, senza il suo consenso;
  6. la delibera assembleare di riduzione del compenso del liquidatore non può avere efficacia retroattiva, in quanto inciderebbe su diritti quesiti del liquidatore.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.