L’appropriazione di pregi altrui…ivi incluso il carnet di clienti
15 Luglio 2021
Con l'ordinanza in oggetto, la Suprema Corte ha ampliato il perimetro delle qualità imprenditoriali suscettibili di essere qualificate come pregi ai fini dell'integrazione della concorrenza sleale per appropriazione, giustappunto, di pregi altrui, ex art. 2598, n. 2, c.c., includendovi il carnet di clienti di un'impresa concorrente. Il caso. La vicenda trae origine dalla pubblicazione sul sito internet dell'agenzia pubblicitaria S. s.n.c. (di seguito “S.”) dei nomi di numerosi clienti che erano invece dell'impresa rivale C. s.r.l. (di seguito “C.”). La società C. ha citato in giudizio la società S. al fine di ottenere la condanna alla cessazione dell'attività di concorrenza sleale c.d. appropriativa o per sottrazione, unitamente al connesso risarcimento del danno. Entrambi i giudici di merito hanno escluso che il portafoglio clienti di un'impresa possa rappresentare un pregio della medesima utile per l'integrazione di un atto unfair, riducendolo ad un mero elenco storico del livello imprenditoriale raggiunto. Peraltro, entrambi i giudici territoriali hanno valorizzato la circostanza che la società attrice avesse operato in origine come M. s.n.c. e che tale società si fosse trasformata nella C. s.r.l. a seguito dell'uscita del Sig. F., al quale aveva accordato il diritto di inserire nelle proprie referenze i nomi dei clienti seguiti in passato. Sicché, ad avviso dei giudicanti, l'instaurazione successiva del rapporto di collaborazione con la S. s.n.c. avrebbe reso veritiere e legittime le informazioni indicate sul sito internet di quest'ultima. Sintesi dei motivi di ricorso per cassazione. La società C. ha quindi presentato un ricorso per cassazione articolato su cinque motivi, tra i quali rileva primariamente la violazione e falsa applicazione dell'art. 2598, n. 2, c.c., atteso che un agente pubblicitario viene qualificato in relazione ai propri clienti, quale tipico avviamento che assicura una garanzia del livello qualitativo della sua impresa, nonché la violazione e falsa applicazione dell'art. 1372, comma 2, c.c., posto che l'autorizzazione alla pubblicazione della lista clienti era stata riconosciuta in favore del Sig. F. e non invece della società S., la quale restava estranea alla pattuizioni tra loro incorse in virtù del principio di relatività del contratto. La ratio decidendi. La Suprema Corte ha in limine puntualizzato che la condotta di concorrenza sleale per appropriazione di pregi altrui comprende qualità imprenditoriali eterogenee, tra cui ad esempio medaglie, riconoscimenti, indicazioni di qualità, successi lavorativi, virtù ed ogni altro elemento idoneo ad influenzare la libera scelta dei consumatori, in conformità ad una corrente giurisprudenziale ormai consolidata (ex multis, Cass. civ., 12 ottobre 2018, n. 25607; Cass. civ., 7 gennaio 2016, n. 100; Cass. civ., 19 novembre 1994, n. 9387). L'apertura di tale catalogo è stata avallata dalla dottrina, la quale ha lucidamente osservato che rientrino nella nozione di pregi «tutti i fatti riguardanti i caratteri dell'impresa, i risultati da essa conseguiti o le qualità dei prodotti o dei servizi che per il pubblico rappresentino o possano rappresentare motivi di apprezzamento positivo e quindi di preferenza dell'impresa e delle sue prestazioni rispetto ad altre imprese» (P. AUTERI, La concorrenza sleale, in Trattato di diritto privato, diretto da P. RESCIGNO, Torino, 1983). La ratio del carattere esemplificativo e non esaustivo delle qualità costituenti pregi imprenditoriali va rintracciata nella mutaforme natura delle informazioni che possono sensibilmente orientare le scelte dei consumatori al fine di intercettare – per poi condannare – ogni comunicazione decettiva nel più ampio interesse del mercato al corretto svolgimento dei traffici commerciali. In tale contesto assiologico, l'esibizione di un carnet di clienti con i quali un imprenditore non abbia in passato intrattenuto alcun rapporto professionale, per contro in essere con un altro imprenditore, appare senza dubbio idoneo ad integrare un'appropriazione di pregi altrui. Il Giudice di legittimità ha inoltre precisato che il siffatto agganciamento parassitario non può nemmeno trovare una valida giustificazione nel dato fattuale che il Sig. F. si fosse occupato di quei clienti all'epoca in cui svolgeva la propria attività lavorativa presso la M. s.n.c., né nella autorizzazione da parte di quest'ultima a citarli come referenze. Invero, l'autorizzazione era stata concessa alla persona fisica e non alla società presso la quale egli ha successivamente avviato una collaborazione. Quest'ultima avrebbe dovuto specificare che la lista clienti pubblicata sul proprio sito aziendale riguardava incarichi passati (e non più attuali) del proprio collaboratore. Di converso, la semplice indicazione di una lista clienti indurrebbe qualunque consumatore medio a presupporre un'attività esercitata senza soluzione di continuità in favore di tali soggetti. Il principio di diritto. Pertanto, la Corte di Cassazione, allargando le maglie della nozione di pregio insuscettibile di appropriazione altrui, ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d'appello fiorentina enunciando un principio di diritto da salutare con favore: «la condotta di appropriazione di pregi, contemplata dall'art. 2598, n. 2, c.c., è integrata dal vanto operato da un imprenditore circa le caratteristiche della propria impresa mutuate da quelle di un altro imprenditore, tutte le volte in cui detto vanto abbia l'attitudine di fare indebitamente acquisire al primo meriti non posseduti, realizzando una concorrenza sleale per cd. agganciamento, quale atto illecito di mero pericolo: tale situazione si verifica allorché un'agenzia pubblicitaria, con la quale pur abbia iniziato a collaborare un soggetto che aveva realizzato campagne pubblicitarie per un'altra impresa, vanti sul proprio sito internet il carnet di clienti di quest'ultima, lasciando intendere di aver curato essa stessa le precedenti campagne pubblicitarie».
(Fonte: DirittoeGiustizia.it)
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