Il concorso omissivo dei sindaci nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale
19 Luglio 2021
Massima
In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, i sindaci di una società cooperativa sottoposta a liquidazione coatta e quindi dichiarata in stato di insolvenza rispondono di concorso nel reato di cui all'art. 216, comma 1, n. 1) l. fall. per avere omesso di attivarsi ed esercitare i propri poteri di impulso e controllo all'emersione di segnali di allarme loro percepiti tali da significare l'esistenza di condotte di natura distrattiva da parte degli amministratori, dovendo poi il giudice di merito verificare, mediante un giudizio controfattuale, se, qualora fossero state poste in essere le attività di impulso e controllo omesse, sarebbe stato evitato l'evento costituito dal reato altrui.
Fonte: www.ilsocietario.it Il caso
La vicenda giudiziaria sottoposta all'attenzione della Suprema Corte origina dai ricorsi presentati dagli imputati avverso una sentenza della Corte di Appello di Napoli che aveva confermato la loro condanna, quali sindaci di una società cooperativa sottoposta a commissariamento governativo, quindi a liquidazione coatta ed infine dichiarata in stato di insolvenza, per avere omesso di esercitare, pur a fronte della presenza di fattori di allarme indicatori di dissesto, i loro poteri di vigilanza, non impedendo così la commissione di azioni distrattive da parte degli amministratori. Tra le censure mosse alla sentenza di appello merita ricordare come le difese evidenziassero l'assenza di adeguata motivazione circa la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta omissiva e l'evento contestati, neppure precisandosi come gli imputati avrebbero potuto in concreto impedirlo, nonché circa la sussistenza del dolo. Le argomentazioni difensive così in estrema sintesi riassunte erano ritenute fondate dalla Corte di Cassazione, la quale, in considerazione della non manifesta infondatezza dei motivi di ricorso, idonei al contrario ad instaurare il rapporto di impugnazione, dichiarava estinto per prescrizione il reato contestato ed annullava con rinvio la sentenza impugnata agli effetti civili. La questione
Il tema in causa concerne dunque, in ragione dei motivi dedotti dai ricorrenti, l'analisi degli elementi costitutivi del concorso per omissione da parte dei membri del collegio sindacale, ai sensi degli artt. 110 e 40 cpv. c.p., nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale commesso dagli amministratori. Le soluzioni giuridiche
Il concorso per omissione da parte dei sindaci nel reato di bancarotta fraudolenta resta fattispecie delittuosa di grande interesse, anche per la sua rilevante incidenza statistica, la Suprema Corte tornandosene ad occupare ed una volta di più riassumendo i consolidati principi in argomento, i quali possono sintetizzarsi come segue. Il collegio sindacale è il tipico organo di controllo chiamato a vigilare sull'amministrazione della società, nell'interesse dei soci e dei creditori sociali, con il compito di garantire l'osservanza della legge ed il rispetto dell'atto costitutivo nonché di accertare che la contabilità sia tenuta in modo regolare. L'obbligo di vigilanza non è però limitato al mero controllo contabile, ma deve estendersi anche al contenuto della gestione (ai sensi dell'art. 2403 bis c.c.), cosicché il controllo sindacale, pur non potendo investire in forma diretta le scelte imprenditoriali, neppure si risolve in una mera verifica contabile limitata alla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, ma deve comprendere anche il riscontro tra la realtà effettiva e la sua rappresentazione contabile. In tale cornice di principio la responsabilità dei sindaci a titolo di concorso omissivo nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale può configurarsi, più in particolare, solo qualora emergano puntuali elementi sintomatici, dotati del necessario spessore indiziario, in forza dei quali l'omissione dell'esercizio dei poteri di controllo -e pertanto l'inadempimento dei poteri e doveri di vigilanza il cui esercizio sarebbe valso ad impedire la condotte distrattive degli amministratori- esorbiti dalla dimensione meramente colposa per assurgere al rango di elemento dimostrativo di dolosa partecipazione, sia pure nella forma del dolo eventuale, per consapevole volontà di agire (rectius di “non agire”) anche a costo di far derivare dall'omesso controllo la commissione di illiceità da parte degli amministratori. In proposito la Corte richiama alcuni indicatori tipici, delineati dalla stessa giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., 5 marzo 2014, n. 26399, in CED Rv. 260215-01), della “volontà dolosa” di concorre nel reato, quali il fatto che i sindaci siano espressione del gruppo di controllo della società, la circostanza che sia provata una loro rilevante competenza e l'omissione, malgrado la situazione critica della società, di ogni minimo controllo. Muovendo dagli assunti fin qui evidenziati, la Corte prosegue osservando come, nel caso sottoposto alla sua attenzione, l'affermazione della sussistenza di responsabilità cui giungeva la Corte di appello trovasse fondamento su una motivazione incompleta, essendo emerso in primo luogo che gli indicatori di dissesto, quali nella sostanza segnali di allarme, sarebbero risultati evidenti soltanto successivamente al commissariamento governativo ed alla liquidazione coatta amministrativa, né essendosi operata in modo adeguato la verifica di natura controfattuale circa l'individuazione di quali concrete azioni, invece asseritamente omesse, avrebbero potuto essere poste in essere dagli imputati sì da impedire l'evento costituito dai fatti di distrazione. Tali valutazioni sono a maggior ragione risultate carenti in virtù del fatto che le distrazioni avevano ad oggetto lo spostamento di somme da conti correnti, per cui costituivano azioni non immediatamente percepibili dall'organo di controllo, ed era stato accertato che gli imputati, in riferimento ai citati indicatori tipici di “concorso doloso”, non avessero significative competenze. Osservazioni
Le conclusioni cui è giunta la Suprema Corte riassumono gli elementi costitutivi della complessa fattispecie del concorso omissivo nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale da parte dei membri del collegio sindacale, titolari di un obbligo di garanzia rilevante ai sensi dell'art. 40 cpv.c.p. nella specifica forma dell'obbligo di impedimento della commissione del reato altrui. La posizione di controllo del collegio sindacale, in ultimo, è ulteriormente delineata dal Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), il quale all'art. 14, rubricato “Obbligo di segnalazione degli organi di controllo societari”, prevede a carico dei sindaci, tra gli altri soggetti, l'obbligo di verificare che l'organo amministrativo valuti costantemente, assumendo le conseguenti idonee iniziative, se l'assetto organizzativo dell'impresa sia adeguato, se sussista l'equilibrio economico finanziario e quale sia il prevedibile andamento della gestione, nonché l'obbligo di segnalare immediatamente allo stesso organo amministrativo l'esistenza di fondati indizi della crisi ed ancora, in caso di omessa o inadeguata risposta ovvero di mancata adozione nei successivi sessanta giorni delle misure ritenute necessarie per superare lo stato di crisi, l'obbligo di informare senza indugio l'Organismo di Composizione della Crisi d'Impresa (OCRI). Si comprende invero come la mancata tempestiva emersione della crisi d'impresa sia gravemente dannosa ed anche criminogena, per cui ai sindaci è fatto preciso obbligo di verificare, senza limitarsi a recepire passivamente quanto comunicato dagli amministratori, gli elementi di fatto indicati nella norma appena citata al fine di scongiurare codesta mancata tempestiva emersione della crisi, così risultando arricchito di specifici contenuti, e complessivamente rafforzato, il loro obbligo di garanzia. La struttura obiettiva del concorso omissivo improprio per “obbligo di impedimento” postula una inerzia del titolare di tale obbligo legata eziologicamente al reato altrui, il quale costituisce l'evento che si deve impedire; in proposito il riferimento è alla causalità c.d. “ipotetica”, dovendo verificarsi se, supponendo mentalmente realizzata l'azione doverosa omessa, l'evento lesivo sarebbe venuto meno con criterio di certezza o comunque di probabilità logica. E' nota in argomento la difficoltà di valutare quali iniziative possano essere assunte dall'organo di controllo al fine di evitare il verificarsi dell'evento, ed esse si identificano nel complesso dei poteri, certamente significativi, previsti dagli artt. 2403, 2403 bis, 2405, 2406 e 2409 c.c., ancorché la valutazione circa la loro effettiva capacità impeditiva non può che assumere rilievo casistico. D'altra parte la giurisprudenza di legittimità valorizza, in argomento, non soltanto i poteri direttamente impeditivi del sindaco ma anche quelli indirettamente impeditivi, quali quelli di ricognizione e segnalazione, anche in vista della sostituzione dell'amministratore, che stimolano la reattività dei soggetti legittimati ad agire per la tutela del patrimonio sociale, ovvero i soci ed i creditori (cfr. Cass., 11 maggio 2018, n. 44107, in CED Rv. 274014-01), in un piano ricostruttivo che non eccettua la tipicità del fatto, e quindi la rilevanza penale della condotta, in presenza di un contributo agevolatore del reato altrui. La responsabilità del sindaco per fatto proprio colpevole, e più in particolare doloso, presuppone poi, pur non richiedendosi la prova di un preventivo accordo con l'amministratore o comunque col soggetto agente, la sua conoscenza dei tratti essenziali e significativi del reato che si ha obbligo di impedire, i quali debbono essere sufficientemente determinati e che nel caso di specie erano costituiti, per l'appunto quali presupposti dell'agire che si assume omesso anche a seguito della emersione di segnali di allarme, dalla distrazione di significative somme di denaro dai conti correnti della società decotta. Il riferimento ai “segnali di allarme” (o anche c.d. red flags) rinvia all'omonima teoria secondo cui essi sono costituiti da segnali d'allerta cui, ove conosciuti e nel loro complesso, possa attribuirsi, con accertamento casistico, una capacità rappresentativa del reale altrimenti ignoto. Qualora il concorso per omissione concerna un reato punibile soltanto a titolo di dolo, così come nel caso di specie, la conoscenza, da qualsiasi fonte tratta, di una pluralità di elementi indicativi della sussistenza di esso può giungere a significare, a carico del sindaco inerte, l'“accettazione del rischio” dell'evento, ovvero della effettiva verificazione di quel reato, nei termini del dolo eventuale, non dubitandosi che anche l'omissione possa essere naturalisticamente animata da dolo. Quanto fin qui detto impone dunque, al fine di ritenere fondata una imputazione di concorso per omissione a carico del sindaco nel reato doloso altrui, che essa sia fondata su solide basi probatorie, così come non accaduto nel caso che ha dato luogo alla sentenza qui annotata ove i giudici di merito si sono limitati, nella sostanza, ad una corretta esposizione teorica dei principi che regolano la materia senza tuttavia calarli adeguatamente nel caso concreto e finendo di fatto per ritenere assorbente la sola posizione di garanzia ricoperta dagli imputati. Al contrario devesi superare ogni prospettiva basata sul solo ruolo di vigilanza del sindaco, certo rifiutandosi ogni responsabilità per “mera posizione” ed anche per mera colpa, anche grave (che pure sembra caratterizzare le condotte degli imputati nel caso al vaglio, apparendo delinearsi quantomeno una colpa per assunzione per avere accettato di svolgere le funzioni di sindaco senza avere adeguate competenze), la quale rimane invece rilevante allorché si discuta del concorso in reati puniti per l'appunto anche a titolo di colpa, quali molte fattispecie di bancarotta semplice, e sul piano civile in tema di azione di responsabilità ai sensi dell'art. 2407 c.c. |