Decreto errato di trasferimento nell’espropriazione forzata e mezzi di impugnazione

Francesco Bartolini
20 Luglio 2021

In materia di esecuzione forzata, il decreto ex art. 586 c.p.c., ancorchè abbia avuto a oggetto un bene in tutto o in parte diverso da quello pignorato, non è inesistente ma solo affetto da invalidità, da far valere con il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi nei termini di cui all'art. 617 c.p.c. e ciò anche nell'ipotesi in cui risulti controversa l'identificazione del bene oggetto del decreto con riferimento alla sua estensione.
Massima

In materia di esecuzione forzata, il decreto ex art. 586 c.p.c., ancorchè abbia avuto a oggetto un bene in tutto o in parte diverso da quello pignorato, non è inesistente ma solo affetto da invalidità, da far valere con il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi nei termini di cui all'art. 617 c.p.c. e ciò anche nell'ipotesi in cui risulti controversa l'identificazione del bene oggetto del decreto con riferimento alla sua estensione.

I beni trasferiti a conclusione di una espropriazione immobiliare sono quelli di cui alle indicazioni del decreto di trasferimento emesso ex art. 586 c.p.c., cui vanno aggiunti quei beni ai quali gli effetti del pignoramento si estendono automaticamente, ai sensi dell'art. 2912 c.c., come accessori, pertinenze, frutti, miglioramenti ed addizioni, e quei beni che, pur non espressamente menzionati nel predetto decreto, siano uniti fisicamente alla cosa principale, sì da costituirne parte integrante, come le accessioni propriamente dette, donde il trasferimento di un terreno all'esito di procedura esecutiva comporta, in difetto di espressa previsione contraria, il trasferimento del fabbricato insistente su di esso.

Il caso

Parte attrice agì in giudizio deducendo di avere acquisito il diritto di proprietà su una porzione di terreno, oggetto di espropriazione forzata, a seguito del decreto di trasferimento, ex art. 586 c.p.c., del giudice dell'esecuzione, nel corso di una complessa procedura esecutiva. L'azione esercitata era rivolta a far accertare, premesso il riconoscimento del suo titolo, e a far dichiarare che nell'immobile trasferitole era compreso un mappale su cui insisteva un fabbricato; e a fare accertare e dichiarare infondata la pretesa della parte convenuta (che a tale scopo evocava nel processo) di ritenersi proprietaria del detto mappale, con relativo edificio, in forza di un successivo decreto di aggiudicazione pronunciato nella medesima procedura espropriativa. Controparte si costituì nel giudizio e con domanda riconvenzionale chiese le fosse formalmente riconosciuta la proprietà di quel mappale e del fabbricato, quale effetto del decreto di trasferimento emesso a suo favore poco tempo dopo quello ottenuto dall'attrice.

I giudici di merito hanno ritenuto esser loro compito di procedere all'interpretazione dei due provvedimenti di trasferimento, tra loro contrastanti, allo scopo di superarne il conflitto e di determinare il preciso contenuto delle rispettive attribuzioni riferibili alle parti. Con concordi decisioni essi hanno parzialmente accolto la pretesa attrice, per quanto riguardava la questione concernente il riconoscimento del diritto acquistato con il decreto di trasferimento, con esclusione, tuttavia, della superfice di cui al mappale con il fabbricato; ed hanno accolto la domanda riconvenzionale avente ad oggetto la proprietà della convenuta sul detto mappale e sul fabbricato. Come conseguenza della definizione per tal modo raggiunta dei beni da dichiarare acquistati dall'una e dall'altra delle parti, quanto alla loro identificazione e reciproca estensione, è stata ordinata la rettifica dei due decreti di trasferimento e delle relative trascrizioni.

La questione

I primi giudici hanno risolto la controversia tra le parti per il tramite di una ricostruzione in fatto consistita nel porre a confronto le descrizioni degli immobili venduti nella procedura esecutiva all'attrice e alla convenuta; e nel riferirle ai singoli lotti a suo tempo individuati e formati dal consulente tecnico d'ufficio. Il ricorso ha posto alla Corte il quesito concernente la ritualità di siffatto modo di procedere, nel vigente assetto giuridico che regola con la predisposizione di strumenti specifici le contestazioni avverso i decreti di trasferimento dei beni espropriati pronunciati dal giudice dell'esecuzione. Con l'impugnata sentenza d'appello, si assume, che anche la Corte territoriale non si era limitata ad interpretare il decreto di assegnazione a favore dell'attrice ma ne aveva illegittimamente rideterminato il contenuto. Essa non avrebbe dovuto affermare che il decreto conteneva errori che era consentito correggere ma avrebbe dovuto dare atto dell'avvenuto trasferimento a favore dell'attrice appellante della proprietà sull'intera porzione immobiliare come descritta nel provvedimento, in essa compresa il mappale con fabbricato rivendicato dalla convenuta.

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha ritenuto corretta la denuncia in diritto effettuata dall'originaria attrice con il suo ricorso, secondo cui la Corte d'appello, a conferma della sentenza di primo grado, non si era limitata ad una mera interpretazione del titolo petitorio formatosi a favore della ricorrente, costituito dal decreto di trasferimento del giudice dell'esecuzione, e non aveva considerato che per effetto di quel provvedimento si era prodotto in favore dell'aggiudicataria il trasferimento della proprietà sull'intero immobile descritto nel medesimo provvedimento. La sentenza impugnata aveva condiviso la modifica sostanziale già operata con la pronuncia di primo grado e aveva ritenuto di poter estendere i principi in tema di ermeneutica contrattuale al titolo giudiziale costituito da un decreto di trasferimento emesso ai sensi dell'art. 586 c.p.c.

A tal proposito doveva per contro essere rimarcato che, secondo l'univoca giurisprudenza della Corte, eventuali difformità nelle risultanze e nella consistenza del bene come individuate nel decreto di trasferimento rispetto a quelle reali, devono essere fatte valere all'interno del processo esecutivo con gli appropriati rimedi oppositivi. Per evitare il consolidamento degli effetti conseguenti all'emissione del decreto di trasferimento in favore della ricorrente (originaria attrice), la convenuta avrebbe dovuto, ai sensi dell'art. 617 c.p.c., in alternativa:

- opporsi al decreto di trasferimento adottato in favore di controparte, per dedurre che a costei era stata erroneamente trasferita un'area da ritenersi non ricompresa nel lotto assegnatole, perché asseritamente pervenuta in proprietà della stessa opponente;

- oppure, opporsi avverso il successivo decreto di trasferimento emesso a suo favore, per far risultare che il bene trasferitole era difforme da quello descritto nel lotto acquistato, perché considerato privo di un'area con soprastante fabbricato che erroneamente veniva considerata oggetto del precedente decreto di trasferimento emanato a beneficio dell'attrice.

Era, infatti, l'opposizione ex art. 617 c.p.c. il rimedio idoneo ad impugnare l'uno o l'altro decreto di trasferimento (quali atti interni del procedimento esecutivo, né decisori né definitivi) che si riteneva avessero avuto ad oggetto un bene in tutto o in parte diverso da quello pignorato. Ed è proprio per il tramite di siffatta opposizione che, sul piano generale, il decreto di trasferimento viene assoggettato sia al controllo diretto di regolarità che al controllo indiretto di legalità con la sentenza che chiude il giudizio di opposizione.

Osservazioni

La pronuncia della Corte di cassazione non ha un rilevante contenuto di innovazione, nel contesto delle acquisizioni interpretative raggiunte a proposito dell'impugnazione del decreto di trasferimento contenente errori riguardanti l'individuazione e l'estensione dei beni immobiliari che ne sono oggetto. Essa tuttavia è significativa a dimostrare con quale inerzia sono ricevuti nella pratica difensiva i principi che pur ripetutamente il giudice di legittimità enuncia nell'adempimento del suo ruolo di indirizzo unificante dell'interpretazione delle norme giuridiche. La controversia risolta con la pronuncia che si annota non avrebbe dovuto essere posta nei termini processuali scelti da parte attrice e la circostanza doveva ritenersi facilmente accertabile in base (se non altro) ad un esame della giurisprudenza. E' vero che le decisioni della Corte non costituiscono un precedente vincolante, nel nostro ordinamento. Ma esse segnano un percorso logico utile alla comprensione della portata dei precetti giuridici che, se ribadito e reso costante, richiede, a chi se ne discosti, la proposizione di argomenti idonei a suggerire una alternativa valida e convincente.

Che il decreto di trasferimento ai sensi dell'art. 586 c.p.c possa essere interpretato in sede di gravame costituisce regola di intuibile concretezza, tra l'altro esplicitamente affermata ad es., da Cass. civ., n. 26841/2011 e Cass. civ., n. 14481/2018, che ne hanno riservata l'effettuazione al giudice di merito e l'hanno dichiarata oggetto di sindacato in sede di legittimità unicamente per vizio di motivazione. Il fatto che tale interpretazione non possa espandersi sino alla rideterminazione del contenuto del decreto di trasferimento è in re ipsa e consegue a queste considerazioni: l'interprete si trasformerebbe, altrimenti, nell'organo che trasferisce il bene, in sostituzione del giudice dell'esecuzione, il cui provvedimento verrebbe (in tutto o) in parte modificato da chi, per contro, deve limitarsi a leggerlo e comprenderlo; il decreto di trasferimento produce ex lege il trasferimento della proprietà all'aggiudicatario e all'assegnatario non appena si completa la fattispecie costituita dall'aggiudicazione o assegnazione, dal versamento del prezzo e dal deposito in cancelleria della pronuncia del giudice dell'esecuzione (Cass. civ., sez. III, n. 23709/2008), sì che ogni modifica successiva verrebbe a riguardare una situazione ormai consolidata. Ciò non significa che non possano sussistere strumenti processuali atti a porre rimedio ad errori e a mancanze ravvisabili nel decreto di trasferimento: l'esigenza di una difesa avverso i provvedimenti “ingiusti” è tutelata anche con riferimento alle insufficienze di questo particolare provvedimento giudiziale. Lo ha riconosciuto espressamente la giurisprudenza, quando ha affermato che il decreto di trasferimento di cui all'art. 586 c.p.c. avente ad oggetto un bene in tutto o in parte diverso da quello pignorato, non è inesistente, ma è affetto da una invalidità da far valere con il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi nei termini di cui all'art. 617 c.p.c. (ferma restando la possibilità per i terzi che siano stati lesi da tale errore nella loro sfera giuridica, di avvalersi, nel rispetto delle regole previste dall'art. 2929 cod. civ. a tutela dell'acquirente o assegnatario, dei rimedi, diversi dall'opposizione agli atti esecutivi, endoesecutivi o esterni al processo esecutivo loro riservati: Cass. civ., n. 5796/2014). L'accoglimento dell'opposizione, in questo caso, comporta la dichiarazione di nullità del decreto di trasferimento e fa venir meno il trasferimento coattivo, con la ripresa del processo esecutivo (Cass. civ., sez. III, n. 13824/2010).

Due sono, in realtà, i quesiti che si pongono all'interprete. Il primo concerne la tipologia del mezzo esperibile per ottenere una pronuncia di ripristino della legittimità dell'atto conclusivo dell'espropriazione. Come già risulta dall'esposizione, lo strumento cui far capo è unicamente l'opposizione avverso gli atti esecutivi, ex art. 617 c.p.c. Il secondo quesito è strettamente connesso e riguarda l'individuazione delle ragioni che possono essere addotte per ottenere una verifica in senso favorevole del provvedimento del giudice dell'esecuzione. Tali ragioni possono consistere in irritualità formali, come è regola generale per gli atti del procedimento esecutivo; e in errori che viziano l'identificazione del bene venduto, nei suoi dati catastali, nella sua estensione, nella sua consistenza. Non v'è dubbio che le irregolarità formali sono deducibili come motivi di opposizione ai sensi dell'art. 617 c.p.c., per essere il decreto di trasferimento null'altro che uno degli atti dell'esecuzione avverso i quali è esperibile il rimedio predisposto dalla norma citata (Cass. civ., sez. un., n. 7289/1993). Ma con lo stesso mezzo debbono essere fatti valere gli errori concernenti il bene venduto. In tema di processo esecutivo, ogni questione relativa alla validità ed efficacia dell'aggiudicazione e della vendita forzata deve essere fatta valere, tanto dalle parti della procedura quanto dall'aggiudicatario, nell'ambito del processo stesso e attraverso i rimedi impugnatori ad esso connaturali e, quindi, principalmente, mediante l'opposizione agli atti esecutivi (Cass. civ., n. 22854/2020, che ha dichiarato inammissibile un'autonoma azione di ripetizione, anche solo parziale, del prezzo di aggiudicazione; e Cass. civ., sez. III, n. 7708/2014). In particolare, la predisposizione dello specifico strumento di opposizione rende non consentito il ricorso straordinario per cassazione (Cass. civ., sez. III, n. 371/2007; Cass. civ., sez. I, n. 11430/1998).

A questo punto è definitivamente chiarito il quadro delle regole che si offre alla parte intenzionata ad opporsi al decreto di trasferimento per asseriti errori riguardanti il bene immobile venduto coattivamente. Il decreto può essere soltanto interpretato; esso trasferisce la proprietà con effetto direttamente collegato all'ultimazione degli adempimenti di cancelleria; il bene immobile trasferito è descritto nel decreto stesso e sulla relativa individuazione non possono essere addotti elementi che non siano compresi o comunque riferibili al contenuto descrittivo del provvedimento. Il principio che ne deriva è stato così sintetizzato dalla giurisprudenza, ormai da tempo: l'identificazione dei beni trasferiti a conclusione di un'espropriazione immobiliare deve essere compiuta in base alle indicazioni del decreto di trasferimento di cui all'art. 586 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, n. 22854/2020; Cass. civ., n. 5796/2014; Cass. civ.,sez. II, n. 26841/2011; Cass. civ., n. 12430/2008; Cass. civ., n. 7522/1987; Cass. civ., sez. III, n. 2693/1987; Cass. civ. sez. III, n. 3453/1982). Esiste un caso in cui è possibile estendere il contenuto di una siffatta descrizione, e questo caso è previsto (e imposto) dalla legge. Al bene risultante dalla descrizione stesa nel decreto di trasferimento vanno aggiunti quei beni, non espressamente menzionati nel decreto, ai quali gli effetti del pignoramento si estendono automaticamente, ai sensi dell'art. 2912 c.c., come accessori, pertinenze, frutti ed anche i miglioramenti o le addizioni e quanto è unito fisicamente alla cosa principale sì da costituirne parte integrante, come le accessioni propriamente dette. E Cass. civ., sez. III, n. 17041/2018 aveva in questo senso già risolto il caso di un terreno venduto senza menzione di un fabbricato insistente su di esso, identico a quello che si è presentato per la decisione in commento: il trasferimento di un terreno all'esito della procedura esecutiva comporta, in difetto di una espressa previsione contraria, il trasferimento del fabbricato costruito su di esso (anche se abusivo).

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