Le S.U. assegnano al giudice fallimentare lo scrutinio sull'impugnazione del diniego alla transazione fiscale e contributiva da parte degli Enti pubblici

Enrico Stasi
20 Luglio 2021

Con l'ordinanza in commento, le Sezioni Unite hanno sancito il principio secondo il quale appartiene alla giurisdizione del tribunale fallimentare il contenzioso nascente dalla impugnazione del diniego dell'Agenzia delle entrate alla proposta di transazione fiscale presentata dal debitore nell'ambito di un accordo di ristrutturazione o di concordato preventivo, risolvendo in tal guisa un altro dei molteplici problemi interpretativi posti dall'art. 182-ter l. fall. e degli aspetti più controversi dell'istituto.
Massima

Con l'ordinanza in commento, le Sezioni Unite della Corte Cassazione hanno sancito il principio secondo il quale appartiene alla giurisdizione del tribunale fallimentare il contenzioso nascente dalla impugnazione del diniego dell'Agenzia delle entrate alla proposta di transazione fiscale presentata dal debitore nell'ambito di un accordo di ristrutturazione o di concordato preventivo, risolvendo in tal guisa un altro dei molteplici problemi interpretativi posti dall'art. 182-ter l.fall. e degli aspetti più controversi dell'istituto.

Il caso e le questioni giuridiche

Come si legge nella pronunzia in esame, una società di capitali, in data 27 luglio 2018, aveva presentato istanza ex art. 182-bis e ter l.fall., nell'ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti.

La proposta di trattamento dei crediti tributari veniva rigettata dall'Agenzia delle entrate e tale mancata adesione veniva impugnata dalla società debitrice innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli sulla base del rilievo che, stante la natura - oggettivamente - tributaria della vertenza, l'atto impugnato doveva analogicamente ricondursi alla fattispecie normativa astratta di cui all'art. 19, comma 1, lett. h), D.Lgs. n. 546/1992 (sub specie: diniego di agevolazione ovvero rigetto di domanda di definizione agevolata di un rapporto tributario).

Costituitasi in giudizio, l'Amministrazione finanziaria proponeva ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, negando quella del giudice tributario speciale adito ed affermando quella dell'Autorità ordinaria, in particolare del tribunale fallimentare.

La questione giuridica risolta dalle Sezioni Unite della Cassazione riguarda pertanto l'individuazione del giudice competente a scrutinare la legittimità della mancata adesione da parte dell'Amministrazione finanziaria alla proposta di transazione fiscale presentata dal debitore nell'ambito del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione, ma con positive ricadute anche sulla soluzione di un'altra questione vivamente dibattuta nell'attuale contesto normativo, vale a dire quella del perimetro di applicazione del cram down fiscale da parte del tribunale fallimentare ai sensi dei novellati artt. 180 e 182-bis nei casi di mancata adesione degli Enti pubblici alla proposta transattiva formulata dal debitore.

Dico subito che si tratta di un provvedimento di elevata qualità, che si lascia notevolmente apprezzare per il rigore e la completezza dell'inquadramento storico-sistematico dell'istituto della transazione fiscale e della sua evoluzione normativa.

Prima di esaminare il ragionamento sviluppato dalle Sezioni Unite, può essere tuttavia opportuno accennare brevemente alle opinioni espresse in dottrina e in giurisprudenza sul tema che qui interessa prima dell'intervento della Cassazione.

Secondo una prima corrente di pensiero, condivisa dalla maggior parte della seppur esigua giurisprudenza più recente, il diniego dell'Amministrazione finanziaria sarebbe stato impugnabile innanzi alle commissioni tributarie, trattandosi di un atto assimilabile a quello di rigetto della domanda di definizione agevolata del rapporto tributario di cui al comma 1, lett. h), dell'art. 19 D.Lgs. n. 546/1992, ovvero a quello di diniego di autotutela (v., tra i tanti, R. Bogoni-E. Artuso, Spunti e osservazioni sull'impugnabilità del diniego alla proposta di “transazione fiscale” ex art. 182-ter L.F., in Riv. dir. trib., 2019; L. Del Federico, Profili evolutivi della transazione fiscale, in Jorio-Fabiani (diretto da), Il nuovo diritto fallimentare, Commentario sistematico, Torino, 2010, 1224 ss.; De Bonis, Tutela giurisdizionale del contribuente avverso i provvedimenti della transazione fiscale in ambito fallimentare, Boll. trib. inf., 2013, 1541. Per la giurisprudenza, v. Cons. Stato, sez. IV, 28 settembre 2016, n. 4021; Comm. trib. prov. di Milano, 10 dicembre 2019, n. 5429, in Dir. prat. trib., 2020, 2257 ss.; Comm. trib. prov. di Roma, 1° dicembre 2017, n. 26135, in Bigsuite IPSOA; Comm. trib. prov. di Milano, 14 febbraio 2014, n. 1541, in Fall., 2014, 1222 ss.).

Altra dottrina (L. Magnani, La transazione fiscale, in G. Schiano Di Pepe (a cura di), Padova, 2007, 689) ed altra giurisprudenza (TAR Calabria, Catanzaro, ord. 27 luglio 2012, n. 424; Comm. trib. Roma, 27 aprile 2010, n. 138, in Giur. merito, 2010, 2317) erano invece dell'avviso che tale scrutinio rientrasse nelle prerogative del giudice amministrativo in quanto il debitore sarebbe stato titolare di un interesse legittimo all'accoglimento della richiesta. Altri ancora, sulla base di una diversificata serie di argomentazioni, erano dell'idea che la giurisdizione appartenesse al giudice ordinario (E. A. Apicella, Diniego di transazione fiscale e giurisdizione amministrativa, in judicium.it, 4).

Chi scrive, in un breve contributo del 2014 (E. Stasi, La transazione fiscale dal punto di vista del giudice tributario, in Fall., 2014, 1224 ss.), quando la transazione fiscale rivestiva ancora carattere facoltativo (e cioè prima della riscrittura dell'istituto ad opera dell'art. 1, comma 81, L. n. 232/2016, che ha reso obbligatorio il procedimento di cui all'art. 182-ter l. fall. e ha ridenominato la rubrica della disposizione “trattamento dei crediti tributari e contributivi”), aveva prospettato una soluzione più articolata, predicando la necessità di tener conto delle ragioni sottese al rifiuto opposto dagli enti gestori del tributo alla proposta di transazione fiscale presentata dal debitore, ponendo in luce che, qualora la richiesta fosse stata respinta per motivi attinenti alle singole pretese fiscali e/o alle modalità del loro soddisfacimento, la competenza a pronunciarsi sul provvedimento di diniego sarebbe spettata alle Commissioni tributarie; mentre, se le ragioni del rifiuto fossero state di ordine diverso (quali, ad esempio l'infattibilità del concordato o la mancanza di convenienza dello stesso), l'atto con cui detta volontà veniva manifestata non avrebbe potuto formare oggetto di impugnazione non potendosi predicare in capo al debitore l'esistenza di un interesse legittimo necessario per l'accesso alla giurisdizione nei confronti degli atti discrezionali, essendo egli titolare di un mero interesse di fatto afferente il merito dell'attività amministrativa.

Opinare diversamente – avevamo osservato - avrebbe significato riconoscere al debitore il potere di impugnare il diniego dell'Amministrazione finanziaria alla proposta di concordato o di accordo con falcidia dei crediti erariali anche quando egli non avesse attivato il procedimento delineato dall'art. 182-ter l. fall., giacché anche in questa situazione l'Amministrazione finanziaria (come del resto ogni altra pubblica amministrazione) deve ritenersi tenuta ad assumere le proprie determinazioni ponderando gli interessi pubblici di cui essa è portatrice; ma – avevamo aggiunto – una tesi di questo tipo non avrebbe trovato alcun seguito, implicando un sindacato sul merito della scelta operata dagli uffici finanziari non previsto da alcuna norma di legge in allora vigente.

Venendo, alla luce di questa premessa, alla decisione in commento, i giudici di legittimità, assodata la sostanziale continuità tra la vecchia e la nuova disciplina dell'istituto contenuta nel CCI e nelle disposizioni anticipatrici introdotte con il D.L. n. 125/2020, hanno ritenuto, in estrema sintesi, che la modifica legislativa che ha reso obbligatoria l'attivazione del sub-procedimento di cui all'art. 182-ter l. fall. abbia rafforzato la ratio concorsuale dell'istituto rendendola prevalente rispetto a quella fiscale, perlomeno sotto il profilo funzionale: nel senso che questo “incidente tributario” è – essenzialmente - finalizzato alla definizione concordataria o di ristrutturazione debitoria della crisi di impresa, secondo le regole procedurali dettate per tali procedure concorsuali.

L'obbligatorietà della transazione fiscale ubbidisce, appunto, all'esigenza di contemperare questi due interessi, sicché l'ampia discrezionalità riconosciuta all'Amministrazione finanziaria nello stipulare accordi transattivi concorsuali in un'ottica di miglior soddisfacimento dell'interesse erariale deve trovare un bilanciamento nel sindacato giudiziale sul diniego di accettazione della proposta transattiva che la normativa attualmente vigente (ossia i novellati artt. 180, comma 4, ult. parte, e 182-bis, comma 3, seconda parte, l.fall., che riproducono il testo della omologa previsione di cui all'art. 48, comma 5, CCI) assegna plasticamente al giudice ordinario fallimentare in coerenza con la logica del sistema concorsuale.

Indefettibile corollario di questa condivisibile impostazione è che, laddove la contestazione verta sui profili eminentemente concorsuali del trattamento dei crediti tributari nel concordato preventivo e nell'accordo di ristrutturazione (come è a dirsi, ad esempio, nei casi in cui si controverta sulla convenienza economica della proposta del debitore e/o sulla fattibilità del piano), la competenza apparterrà al giudice fallimentare; laddove, invece, il contenzioso abbia ad oggetto l'an e il quantum dei debiti fiscali la giurisdizione sull'impugnazione spetterà al giudice speciale dell'obbligazione tributaria, con conseguente necessità dell'accantonamento previsto dall'art. 90 d.P.R. n. 602/1973 (in argomento, ci sia consentito rinviare a E. Stasi, La transazione fiscale, in Ilfallimentarista, 2019, 38).

Naturalmente, analoghe conclusioni valgono anche per le impugnazioni del diniego alla proposta di transazione contributiva da parte degli Enti previdenziali, la cui cognizione spetterà in via esclusiva al giudice fallimentare.

Conclusioni

Dalla soluzione prescelta dalle Sezioni Unite, che assicura una immediata ed efficace tutela giurisdizionale al debitore, discendono, a mio modo di vedere, ulteriori implicazioni. La prima è l'irrilevanza delle valutazioni riguardanti la “meritevolezza fiscale” del debitore di cui alla circolare n. 34/E/2020, trattandosi di requisito non previsto dalle norme vigenti e neppure dal nuovo CCI; la seconda è il potere del tribunale fallimentare di disporre l'omologazione coattiva del concordato o dell'accordo di ristrutturazione tanto nel caso di silenzio, quanto nel caso di dissenso espresso, da parte degli Enti pubblici sulla proposta del debitore ai sensi dei novellati artt. 180 e 182-bis l.fall. quando la loro adesione è decisiva ai fini del raggiungimento delle maggioranze di legge.

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