Gravi rischi per la salute: le sostanze PFA

22 Luglio 2021

Le sostanze note sotto la sigla PFA sono tipi di materie plastiche presenti in una vastissima quantità di prodotti di uso comune. Si tratta di materiali molto difficili da eliminare, che si disperdono nell'acqua e finiscono con l'accumularsi nell'organismo di tutti gli esseri viventi, causando malattie anche molto gravi. I profili di responsabilità sono diversi e toccano le imprese produttrici o distributrici di manufatti che contengono PFA, la pubblica amministrazione che eroga i servizi idrici, i professionisti che si occupano di analisi e progettazione e un gran numero di altri soggetti.
Introduzione: cosa sono le sostanze note sotto la sigla PFA

La sigla PFA indica le sostanze perfluoro alchiliche, ovvero acidi perfluoroacrilici o catene alchiliche idrofobiche fluorurate.

Si tratta di una famiglia di composti chimici organici o fluorocarburi polimerici, costituiti da una catena di atomi di carbonio, in cui questo elemento, invece che all'idrogeno (come accade negli idrocarburi), si lega al fluoro.

In pratica, le sostanze note sotto questa sigla costituiscono un tipo di materia plastica dotata di caratteristiche speciali, perché resistente a quasi tutti i prodotti chimici ed alle alte temperature (è ignifuga) e con un basso coefficiente di attrito.

Ne esistono oltre 4.500 tipi: le classi di PFA più diffuse sono il PFOA (acido perfluoro-ottanoico) e il PFOS (perfluoro-ottano-sulfonato), usato nelle schiume antincendio.

Sia i PFOA che i PFOS (caratterizzati da 8 atomi di carbonio, e quindi definiti a catena lunga) hanno un'elevata persistenza nell'ambiente e vivono praticamente in eterno, mentre altri tipi di PFA, definiti a catena corta (con 4-6 atomi di carbonio) hanno una persistenza relativamente ridotta.

Sviluppati originariamente durante gli anni '40, questi materiali sono stati progettati per resistere all'acqua, agli olii, alle macchie e impedire al cibo di attaccarsi ai tegami.

Il più noto prodotto di questa categoria è forse il Teflon®, che tutti noi adoperiamo nelle nostre cucine, ma questi composti sono anche usati nella filiera di concia delle pelli, nel trattamento dei tappeti, nella produzione di carta e del cartone per uso alimentare (come i cartoni per trasportare la pizza) e nell'abbigliamento tecnico, proprio per le loro caratteristiche oleo e idrorepellenti.

Vengono anche utilizzati per la costruzione di tubi e raccordi per veicolare prodotti chimici aggressivi e, per la loro resistenza alla corrosione, anche nella costruzione di impianti chimici.

Insomma, i campi di utilizzo sono praticamente infiniti e questi composti alimentano un mercato enorme: già nel 2013, secondo Fluoro Council (una branca dell'American Chemistry Council che si occupa esclusivamente del settore PFA), le vendite hanno toccato i 13,9 miliardi di dollari solo negli Stati Uniti.

Ormai i PFA sono parte della nostra quotidianità, perché presenti non solo negli imballaggi, ma anche negli utensili per la cucina, nei cosmetici, nei vestiti, in molti rivestimenti, etc. etc.

Perché si tratta di sostanze nocive

Essendo praticamente impossibili da distruggere, se smaltiti impropriamente nell'ambiente, i PFA penetrano facilmente nelle falde acquifere e, attraverso l'acqua, raggiungono i campi e i prodotti agricoli, e perciò gli alimenti. Sono dunque presenti nelle risorse idriche di ogni paese e gli scienziati sono impegnati a studiare quali livelli di concentrazione di queste sostanze siano accettabili e quali siano i loro reali effetti sulla salute umana.

Oltre alla tendenza ad accumularsi nell'ambiente, questi composti persistono a lungo negli organismi viventi, dove risultano essere tossici ad alte concentrazioni. La loro presenza risulterebbe infatti bioamplificata, man mano che si sale lungo la catena alimentare, nella quale queste sostanze penetrano attraverso il suolo, la vegetazione, le coltivazioni e gli animali: la bioamplificazione si verifica quando gli organismi ai vertici della piramide alimentare ingeriscono quantità di inquinanti superiori a quelle diffuse nell'ambiente.

È stato dimostrato che PFOA e PFOS sono in grado di causare un'ampia gamma di effetti avversi alla salute degli esseri viventi e ciò desta molta preoccupazione, specialmente per la loro proprietà di accumularsi nell'organismo.

Si ritiene che la lunga esposizione a queste sostanze possa causare l'insorgenza di tumori a reni e testicoli, lo sviluppo di malattie tiroidee, ipertensione gravidica e coliti ulcerose. Alcuni studi, inoltre, hanno ipotizzato una relazione tra le patologie fetali e gestazionali e la contaminazione da PFA.

Non è certo una novità che l'inquinamento causato dalla plastica sia ormai un fenomeno assai diffuso e che i particolati microplastici e nanoplastici si formino attraverso la frammentazione e la disintegrazione di queste sostanze. La plastica, purtroppo, non si decompone mai completamente.

Si definiscono microplastiche le particelle di dimensioni tra 0,1 e 5000 micrometri, in forma di granuli o microsfere, che, in base alla loro origine, possono essere suddivise in due categorie principali:

  • le microplastiche primarie, che vengono rilasciate direttamente nell'ambiente, come quelle che derivano dall'abrasione degli pneumatici sulle strade o vengono aggiunte intenzionalmente nei prodotti per la cura del corpo (come le micro-particelle dello scrub facciale);
  • le microplastiche secondarie, che vengono prodotte dalla degradazione degli oggetti di plastica più grandi (buste di plastica, bottiglie, oggetti, reti da pesca, etc.), che costituiscono quasi il 70% delle microplastiche presenti negli oceani.

A causa delle loro piccole dimensioni, questi particolati si diffondono facilmente nell'atmosfera e possono essere inalati o ingeriti dagli esseri viventi. Inoltre, essi sono in grado di traslocare attraverso le cellule polmonari agli organi secondari, compresa la placenta.

Alcuni report medici suggeriscono che queste sostanze siano in grado di attraversare anche la membrana che protegge il cervello, veicolate dal flusso sanguigno. Altri affermano che esse rilascino elementi chimici dannosi, in grado di interferire con il sistema ormonale, riducendo la fertilità negli esseri umani.

Secondo uno studio australiano, ogni persona ingerirebbe 5 grammi di plastica alla settimana e circa 70.000 particelle di microplastica all'anno.

Per le loro caratteristiche di lunga durata e straordinaria diffusione, i PFA risvegliano ora antiche e mai sopite paure, agitando lo spettro dell'amianto, che dopo aver rappresentato la soluzione a tante esigenze si rivelò essere letale: un killer silenzioso che uccide ancora migliaia di persone ogni anno.

È pur vero che molti effetti negativi dei PFA sulla salute sono ancora da verificare e non dobbiamo dimenticare che molti di questi composti sono stati introdotti nel mercato, proprio per sopperire all'uso di altri composti, dei quali era stata provata la tossicità.

I produttori di queste sostanze negano i loro effetti più pericolosi e, considerato il peso finanziario di questo settore in tutto il mondo e il fatto che tanti ritengano questi prodotti insostituibili, è ovvio che il contenzioso si stia già diffondendo ovunque.

Ma sono proprio questi elementi che ci ricordano la tragica storia dell'amianto, anche perché con i PFA sono a rischio le falde acquifere e, a cascata, tutto ciò che facciamo con l'acqua: per gli esseri viventi, insomma, non ci sarebbe davvero scampo.

Evoluzione degli studi e contenzioso

Come si è accennato, nel mondo ha già cominciato a diffondersi un certo contenzioso.

All'inizio, si è trattato di azioni collettive di risarcimento contro i produttori di PFA e contro le società riconosciute come responsabili della contaminazione delle acque, soprattutto negli Stati Uniti.

Ne sono seguiti diversi processi, ma il risultato è rimasto contenuto in risarcimenti economici di piccolo importo e al rimborso dei costi di difesa.

La notizia del giorno, però, riguarda un mega risarcimento di 11 milioni e 900 mila dollari, che è stato riconosciuto negli Stati Uniti, a causa della presenza di livelli pericolosi di queste sostanze nel sistema idrico municipale di Parchment, una città del Michigan. Nell'acqua potabile della città, infatti, sono stati rilevati livelli di PFA 20 volte superiori al limite che l'Environmental Protection Agency ha dichiarato sicuro per la salute umana.

L'accordo raggiunto prevede che il risarcimento sia posto in un fondo e pagato ai residenti che hanno aderito alla richiesta (sembrerebbe che si tratti di una class action su base opt-in). Non è chiaro quanto effettivamente potrà ottenere ciascuno dei reclamanti, perché le dinamiche delle azioni collettive di risarcimento in USA prevedono spesso che la maggior parte dei capitali finisca con l'essere incassata dai grandi studi legali che le promuovono.

Comunque, sembra che una buona parte del risarcimento verrà utilizzata per pagare il monitoraggio dello stato di salute e le cure degli abitanti della città, giacché è stato possibile dimostrare che le persone con alti livelli di PFA nel sangue sviluppino gravi problemi al sistema immunitario ed una maggiore possibilità di contrarre malattie della tiroide e diversi tipi di cancro.

Ma non parliamo di un problema tanto lontano da noi.

Dopo un'inchiesta della popolare trasmissione televisiva Report (risalente al 2016) e le successive indagini commissionate al CNR, nel 2018 il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato di emergenza per la presenza di PFA nelle acque potabili del Veneto e nominato un commissario ad hoc.

Sono state quindi rilevate concentrazioni particolarmente alte di queste sostanze nel sangue della popolazione di alcuni comuni del vicentino, il che ha alzato notevolmente la soglia di attenzione delle autorità sulla questione.

Già nel 2007 uno studio pubblicato sulla rivista Analytical and Bioanalytical Chemistry aveva rilevato l'elevata presenza di PFA nel nord Italia.

Nel 2013, uno studio del CNR aveva individuato nei comuni compresi tra Padova, Vicenza e Verona elevate concentrazioni di queste sostanze, il che ha provocato l'intervento della Giunta regionale veneta e del Ministero della Salute.

Ai circa duemila cittadini residenti nella zona a più elevata concentrazione, fu quindi proposto di sottoporsi ad un trattamento di lavaggio del sangue: la plasmaferesi. È questa una tecnica che permette di separare la componente liquida del sangue (il plasma), dalla componente cellulare e di rimuoverne quindi le sostanze dannose.

Nel 2017 i medici dell'ISDE, firmatari di una lettera pubblicata su Epidemiologia & Prevenzione, si sono chiesti addirittura se non si trattasse di un nuovo “caso Seveso”.

Da allora la vicenda si è fatta sempre più calda, culminando in un vero e proprio scontro istituzionale tra la Regione Veneto, che chiedeva alle autorità competenti di introdurre valori limite di PFA nelle acque potabili su tutto il territorio nazionale, e il Ministero della salute, che negava la presenza di “significative criticità” nelle altre zone d'Italia.

Il rapporto dell'IRSA-CNR “Distribuzione dei PFAS nelle acque italiane: i risultati del progetto” ha tuttavia evidenziato come livelli preoccupanti di queste sostanze sarebbero presenti in molte altre zone del nostro paese.

Alla fine, la Regione Veneto ha deciso di stabilire dei “propri” limiti: meno di 90 ng/l (nanogrammo per litro) per la somma di PFOA e PFOS, i composti più pericolosi, (con un limite massimo di 30 ng/l per il solo PFOS) e meno di 300 ng/l per la somma di tutti gli altri PFAS.

Nel dicembre 2019 un briefing dell'EEA (European Environmental Agency), intitolato "Rischi chimici emergenti in Europa - PFAS", ha presentato una panoramica dei rischi noti e potenziali rappresentati da queste sostanze in Europa, sottolineando le qualità di persistenza di questi composti ed il fatto che gli stessi siano ormai utilizzati in una varietà di prodotti di consumo e applicazioni industriali.

Le attività di monitoraggio nazionale hanno quindi rilevato come la produzione e l'uso di queste sostanze abbiano già provocato la contaminazione delle forniture di acqua potabile in molti paesi. Il biomonitoraggio sugli umani ha infine riscontrato la presenza di queste sostanze nel sangue dei cittadini dell'Unione.

Questi ultimi risulterebbero esposti ai PFA principalmente attraverso l'acqua potabile, gli alimenti ed i loro imballaggi, creme e cosmetici, tessuti rivestiti con questi prodotti, altri prodotti di consumo assai comuni e perfino attraverso la polvere.

Il briefing dell'Agenzia Europea avverte che, a causa dell'elevato numero di questo tipo di composti ormai presente ovunque, valutare e gestire individualmente i rischi da essi determinati è un compito difficile, lungo e dispendioso e ciò favorisce il pericolo di un inquinamento diffuso e irreversibile.

I costi per la società, dovuti ai danni alla salute umana e alla bonifica in tutta Europa sono stati stimati in decine di miliardi di euro. L'adozione di misure per limitare gli usi non essenziali e la promozione dell'uso di sostanze chimiche più sicure potrebbe contribuire a limitare l'inquinamento futuro, ma la situazione è certamente grave.

Neanche a dirlo, anche la pandemia sta ritardando gli sforzi per frenare l'uso di queste materie, perché il confinamento ha incrementato l'uso delle spedizioni e degli imballaggi, le industrie produttrici hanno ottenuto di definire i propri servizi come "essenziali" e la finanza internazionale continua ad investire su di esse ingenti capitali.

Secondo il report Bankrolling Plastics di Portfolio Earth, tra il 2015 e la fine del 2019, le più importanti banche mondiali hanno fornito prestiti e sottoscrizioni per oltre 1,7 trilioni di dollari alle maggiori aziende operanti nel settore dei polimeri e degli imballaggi in plastica per i beni di largo consumo, nonostante molti governi stiano riscrivendo le regole della finanza internazionale, facendo sì che le banche siano in qualche modo responsabili per i danni causati dalle aziende cui fanno credito.

In pratica, vi è la necessità di riscrivere le regole della finanza verso un'economia più sostenibile e, allo stesso tempo, quelle della responsabilità civile da inquinamento.

La difficoltà di individuare le sorgenti e allocare la responsabilità

L'estrema diffusione di queste sostanze, paradossalmente, determina una grande difficoltà a individuare le fonti dell'inquinamento e ad allocarne la responsabilità.

È un po' quello che succede con l'inquinamento diffuso presente nell'aria delle grandi città: è quasi impossibile appurare quale sia la sorgente da perseguire ed è molto difficile determinare quale entità possa essere riconosciuta come responsabile.

Insomma, se escludiamo le aziende pubbliche e private che distribuiscono l'acqua potabile e poche altre eccezioni, sono rarissimi i casi in cui è stato individuato un responsabile e si è potuta indirizzare una richiesta di risarcimento ad una società precisa ed al suo eventuale assicuratore.

Secondo uno studio dell'EEA, i costi derivanti dall'esposizione ai PFA per la società europea si aggirerebbero tra i 50 e gli 80 miliardi di euro, solo per quanto attiene a quelli relativi alla salvaguardia della salute dei cittadini. Ma poi ci sono da considerare i costi per la bonifica del suolo e dell'acqua, che sono ancora assai difficili da valutare, proprio per l'ampiezza del fenomeno.

La stessa EEA ha comunque valutato nell'ordine delle 100 mila unità, il numero dei siti in grado di produrre inquinamento da PFA in Europa ed uno studio dell'OMS ha documentato la contaminazione causata da queste sostanze nell'acqua potabile di 21 comuni del Veneto, in un'area che conta oltre 120.000 abitanti. Successivamente, un monitoraggio condotto dalle autorità della regione ha rilevato la presenza di PFA in oltre il 60% dei siti censiti.

Infine, questi materiali sono inclusi nella lista dei materiali pericolosi alla salute dalla EU Water Framework Directive (la direttiva quadro sull'acqua potabile) del 2017.

Con tutte queste premesse, è poco probabile che non si arrivi, prima o poi, ad un'esplosione di richieste di risarcimento per recuperare almeno parte dei danni.

Come sappiamo, la direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale (la ELD già citata), impone a chi ha inquinato di riparare il torto (purché tale soggetto sia identificabile, ben inteso), ma questa normativa ha evidenziato problemi di interpretazione e di uniformità, attraverso gli Stati membri, nell'applicazione di alcuni concetti fondamentali.

Ciò che conta in questo contesto è definire con precisione come provare il nesso di causalità fra il danno ambientale e l'attività svolta, per riuscire ad inchiodare alla loro responsabilità i soggetti coinvolti, in particolare nel caso di una sorgente così straordinariamente diffusa.

Così, se da un lato il contenzioso continua ad evolversi e sono sempre più frequenti le chiamate in causa di chi produce e diffonde queste sostanze nell'ambiente, dall'altro si è reso necessario l'intervento della Commissione UE, che il 7 aprile scorso ha pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Europea nuove linee guida,che hanno chiarito alcuni punti oscuri sull'interpretazione del concetto di danno ambientale, come definito dalla direttiva stessa.

Grazie ad esse, sarà ora più facile individuare i casi in cui sia rilevabile una responsabilità a carico delle imprese e degli operatori coinvolti.

Aumentano, inoltre, gli strumenti a disposizione dei cittadini vittime degli effetti di queste sostanze, dal momento che forme di azioni collettive di risarcimento si stanno ormai diffondendo anche in Europa e in Italia ed è forse questo il contesto di danno diffuso, in cui una class action potrebbe esprimere il meglio di sé.

La minaccia assicurativa

Sul piano assicurativo sono ancora tanti gli interrogativi che riguardano l'operatività delle clausole presenti nelle polizze di responsabilità ambientale.

Ci si chiede se i wording tradizionali siano in grado di coprire l'inquinamento da PFA e le sue eventuali conseguenze sul corpo umano, perché le materie plastiche non sono sempre definite come elemento inquinante o contaminante.

Inoltre, stante la lungolatenza degli effetti causati da questi materiali, non è chiaro in quali termini possa effettivamente scattare la validità della copertura prestata dagli assicuratori e se le coperture da attivare, ad esempio, riguardino la responsabilità da prodotto difettoso o il richiamo dei prodotti contaminati, come quelli ittici, ad esempio, o la responsabilità della pubblica amministrazione per l'erogazione dell'acqua potabile.

Appare evidente come le problematiche sollevate dalla diffusione di queste sostanze possano determinare nuove opportunità per le compagnie assicurative, ma anche gravi minacce, trattandosi di una tipologia di rischio assai comune, che fino ad ora non è stata interamente percepita dalle vittime e dagli operatori.

Questi ultimi avrebbero buone ragioni per impegnarsi in una più attenta analisi ed un più adeguato risk management, procurandosi protezioni e coperture specifiche, ma non è dato di sapere se le stesse saranno ancora disponibili, dopo che assicuratori e riassicuratori avranno compreso la portata catastrofale di questa minaccia.

Conclusioni

Il tema dell'inquinamento da PFA è di grande rilevanza, perché estremamente diffuso, in tutto il globo.

Le straordinarie caratteristiche di durevolezza di queste sostanze e i danni che si ritiene causino alla salute umana ed all'ambiente, riportano alla memoria il drammatico contenzioso a suo tempo causato dall'amianto, risvegliando antichi timori.

I profili di responsabilità sono molteplici ed abbracciano i soggetti più diversi. Il contenzioso, d'altro canto, non ha tardato a svilupparsi e cominciano ad essere riconosciuti risarcimenti per somme cospicue, in vari paesi.

L'affermazione dei diversi tipi di azioni collettive di risarcimento (che un tempo si pensava fossero relegate al territorio americano, ma che si stanno rapidamente diffondendo anche in Europa) rappresenta una grande occasione per consentire alle vittime di questo tipo di inquinamento di ottenere ragione, nei confronti di soggetti che nuove e più precise norme consentono ora di inchiodare alle loro responsabilità, quali sorgenti e causa della contaminazione.

Guida all'approfondimento
  • Exponent:Facing Liability for PFAS Contamination? Chemical forensics could provide answers - MAY 13, 2021
  • European Environment Agency: Emerging chemical risks in Europe, PFAS - Briefing no. 12/2019
  • Stefano Polesello: Distribuzione dei PFAS nelle acque italiane: i risultati del progetto – IRSA/CNR
  • Epidemiologia & Prevenzione: Inquinamento da PFAS in Veneto. Dopo gli USA tocca all'Italia – Settembre-Dicembre 2017
  • United States Environmental Protection Agency: PFOA, PFOS and Other PFAS - April 6, 2021
  • Portfolio Earth: Bankrolling Plastics – 2021/01
  • Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea: Linee guida per un'interpretazione comune del termine «danno ambientale» di cui all'articolo 2 della direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale - (2021/C 118/01).

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