Integra il reato di maltrattamenti la somministrazione all'animale di vaccini non verificati dall'autorità pubblica

23 Luglio 2021

La somministrazione ad un animale di sostanze dopanti o vietate, ivi compresa l'inoculazione di un vaccino vietato al di fuori del quadro di controlli dell'autorità, integra il reato di maltrattamento agli animali punito dall'art. 544-ter c.p...
Massima

La somministrazione ad un animale di sostanze dopanti o vietate, ivi compresa l'inoculazione di un vaccino vietato al di fuori del quadro di controlli dell'autorità, integra il reato di maltrattamento agli animali punito dall'art. 544-ter c.p.

Il caso

Con sentenza del 9 dicembre 2019 la Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza del 5 marzo 2018 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che condannava i ricorrenti per il reato di cui all'art. 544 ter, comma 2, c.p., avendo i medesimi somministrato il vaccino contro la brucellosi (Rb51) ai bovini dell'allevamento dei ricorrenti stessi.

I giudici del merito ritenevano la penale responsabilità degli imputati sul presupposto che il reato di maltrattamenti costituisca una conseguenza diretta della somministrazione di sostante dopanti o vietate all'animale, che costringevano l'animale stesso a subire sofferenze inutili e, comunque, tali da minare il suo benessere fisico.

Gli imputati impugnavano la sentenza di secondo grado, presentando un ricorso articolato in tre motivi di impugnazione.

Con il primo motivo di doglianza, gli imputati osservavano che, perché sia integrato il reato di cui all'art. 544-ter, comma 2,c.p., oltre alla condotta attiva consistita nella somministrazione di sostante vietate o dopanti, è necessario un “quid pluris”, costituito dalla coscienza e volontà di arrecare all'animale sofferenze, nonché dall'accettazione di dette sofferenze. Al riguardo, i ricorrenti affermavano che nel loro caso il reato non era configurabile, avendo essi agito non per creare sofferenze agli animali, ma per proteggerli dalla brucellosi.

Con il secondo motivo di ricorso, gli imputati lamentavano il travisamento delle prove acquisite al fascicolo del dibattimento e nello specifico di due testimonianze, a cui doveva essere attribuita una valenza idonea a dimostrare la non colpevolezza degli imputati stessi, tenuto conto anche del fatto che il loro allevamento, nel triennio 2011- 2014, era stato oggetto del piano sanitario della Regione Campania per la vaccinazione obbligatoria contro la brucellosi, in quanto ricompreso nella provincia di Caserta, inclusa dalla Regione Campania nelle zone ad alto rischio di diffusione di detta malattia. Deducono gli esponenti che, invero, un testimone aveva affermato che la positività alla patologia poteva manifestarsi anche dopo diversi anni dall'inoculazione del vaccino; ed evidenziano che un altro testimone aveva affermato che l'inoculazione del vaccino poteva essere anche avvenuta negli anni passati.

Con il terzo motivo di ricorso, uno degli imputati osservava che il precedente penale ritenuto ostativo alla concessione della sospensione condizionale della pena era riferito alla sua attività professionale casearia e non a quella di allevatore bufalino.

Il procuratore generale richiedeva il rigetto del ricorso.

La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione dichiarava i ricorsi infondati.

La questione

La questione di preminente importanza è quella dedotta dai ricorrenti con il primo motivo di ricorso, ed involge l'elemento psicologico del reato di maltrattamenti come disciplinato dall'art. 544-ter, comma 2, c.p.: si pone in particolare il quesito se il reato de quo sia integrato esclusivamente dalla somministrazione di sostanze dopanti o vietate che inducono nell'animale sofferenze inutili, minandone il benessere fisico o se – come sostenuto dai ricorrenti - sia necessario un “quid pluris” costituito dalla coscienza e volontà di arrecare sofferenza all'animale e dall'accettazione di dette sofferenze. Le domande a cui occorre rispondere sono due: in primo luogo, a quale categoria di dolo è ascrivibile l'elemento psicologico di cui all'art. 544-ter, comma 2, c.p.? In secondo luogo, nella nozione di dolo applicabile nella specie deve essere ricompresa anche la volontà o l'accettazione delle sofferenze conseguenti?

Le soluzioni giuridiche

L'art. 544-ter, comma 2, c.p., come si è avuto modo di vedere, ascrive alla fattispecie delittuosa del maltrattamento di animali anche la condotta che consiste nella somministrazione di sostanze stupefacenti o vietate”.

Come si può evincere dalla lettura dell'art. 544-terc.p., sia la fattispecie di maltrattamento d'animali descritta al primo comma, sia quelle descritte al secondo comma – che ha ad oggetto, fra l'altro, la somministrazione delle sostanze in questione - sono punite a titolo di dolo.

Va peraltro segnalato che la dottrina distingue, nel secondo comma, due fattispecie diverse: quella di cui alla prima parte del secondo comma dell'art. 544-ter c.p. (che è poi quella che qui interessa) viene qualificata come reato di pericolo, di talché, per integrare il reato, è sufficiente la “somministrazione delle sostanze stupefacenti o vietate”; mentre secondo l'opinione prevalente sembra che da tale fattispecie debba distinguersi quella, sempre prevista dal secondo comma dell'art. 544-ter c.p., che punisce chi sottopone gli animali “a trattamenti che comportino una sofferenza per gli animali”: ipotesi, quest'ultima, che invece è qualificabile come reato di danno, atteso che l'evento è qui da individuarsi proprio nella sofferenza degli animali eziologicamente causata dal trattamento cui gli stessi siano stati sottoposti.

Anche l'orientamento giurisprudenziale, che trova conferma nella sentenza in commento, qualifica sostanzialmente il reato de quo come di pura condotta, escludendo la necessità di un evento (naturalistico o anche giuridico) quale conseguenza della somministrazione delle sostanze stupefacenti o vietate (i termini della questione sono illustrati ad esempio al § 9.1 di Cass. pen., Sez. III, n. 40648/2015); conseguentemente, la Suprema Corte non ritiene necessaria, nella fattispecie in esame, la coscienza e la volontà di arrecare una sofferenza agli animali (prevista invece per l'ipotesi di cui alla seconda parte del comma 2), richiedendo che il dolo del reato copra unicamente il mero atto di somministrare sostanze dopanti o vietate affinché il reato possa ritenersi integrato.

L'elemento soggettivo, nella fattispecie de qua, è comunque costituito dal dolo generico, anche se pare problematica – o comunque relegata ad ipotesi affatto particolari - la configurazione del medesimo come dolo eventuale, in quanto il reato si perfeziona con la somministrazione delle sostanze stupefacenti o vietate: somministrazione che evidentemente, di regola, il soggetto attivo si rappresenta e vuole direttamente.

Quanto poi al fatto che le sostanze siano “stupefacenti” o comunque “vietate”, sembra potersi affermare che l'ignoranza di tale elemento, comunque integrativo della fattispecie, sia qualificabile come errore sul precetto, come tale inescusabile. Del resto, è di tutta evidenza che il riferimento a “sostanze stupefacenti o vietate”, la cui somministrazione agli animali è sanzionata penalmente, muove dalla considerazione che in tutti i casi si tratta di sostanze nocive, quanto meno potenzialmente, per gli animali, anche laddove l'uso di esse sia, a certe condizioni, consentito all'uomo, magari per finalità terapeutiche.

Osservazioni

Sono di particolare rilievo alcune argomentazioni sottese alla decisione della Terza Sezione Penale della Cassazione.

Si è visto che il primo motivo di ricorso è stato respinto dal giudice di legittimità in quanto gli imputati avevano somministrato sostanze vietate agli animali del loro allevamento e, in particolare, il vaccino contro la brucellosi dei bovini, la cui commercializzazione e somministrazione è stata vietato su tutto il territorio nazionale dall'art. 25 D.M. n. 651/1994.

Il legislatore, però, al fine di fare fronte a particolari situazioni epidemiologiche, ha previsto la possibilità – al secondo comma del citato art. 25 – di derogare a detto divieto al fine di fronteggiare particolari situazioni epidemiologiche in presenza di autorizzazioni rilasciate dall'autorità regionale, previo parere conforme della Direzione generale dei servizi veterinari del Ministero della sanità.

La “ratio” del divieto di cui al D.M. n. 651/1994 è quella di evitare che, attraverso un uso non regolamentato della somministrazione dei vaccini, possano crearsi delle situazioni di contagio di animali sani mediante il contatto con animali che siano stati oggetto dell'inoculazione del vaccino contro la brucellosi, che non è un ceppo attenuato del batterio.

In particolare, il divieto sopra descritto mira a proteggere non solo i singoli animali, e in particolare le femmine in età pubere, ma anche l'uomo che potrebbe assumere latte infetto e quindi pericoloso.

Al fine di evitare tali conseguenze, le somministrazioni dei vaccini possono essere eseguite esclusivamente sulla base di piani disposti dall'Autorità che prevedano tempi e luoghi necessari a consentire una verifica pubblica da effettuarsi con l'apporto di veterinari pubblici o liberi professionisti convenzionati.

Da tali osservazioni appare chiara la natura di reato di pericolo che viene attribuita all'ipotesi di reato di che trattasi: ipotesi che anticipa la soglia di perseguibilità penale alla mera somministrazione di sostanze che possono produrre effetti dannosi (anche per l'uomo, in via indiretta), senza attendere che tali effetti vengano a concretizzarsi.

In coerenza con quanto precede, la Suprema Corte, nel respingere il primo motivo di ricorso, ha ritenuto - come già precedentemente affermato dalla giurisprudenza – che, affinché risulti integrato il reato di cui al secondo comma dell'art. 544-ter, comma 2, c.p., sia sufficiente la somministrazione delle sostanze stupefacenti o vietate, con la conseguenza che l'elemento psicologico del reato, qualificato come come dolo generico, sia rivolto in via esclusiva alla tenuta della condotta (la somministrazione delle predette sostanze) da parte del soggetto attivo, trattandosi come detto di fattispecie di reato di pura condotta.

È chiaro che in tale quadro alcun rilievo poteva assumere la lagnanza dei ricorrenti, tesa a eccepire la mancanza di volontà ed anche di accettazione di un danno agli animali quale conseguenza della condotta di somministrazione del vaccino: lagnanza che, in coerenza con il pacifico indirizzo della giurisprudenza di legittimità, gli ermellini hanno respinto.

Per il resto, è appena il caso di osservare che la Terza Sezione ha respinto sia il secondo che il terzo motivo di ricorso, sulla scorta dei consolidati principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità sia in ordine alla nozione di “travisamento della prova” a seguito di “doppia conforme”, sia in ordine alla concessione o al diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena.

Quanto al secondo motivo, la Suprema Corte ha escluso la configurabilità del travisamento probatorio lamentato dai ricorrenti, vizio che può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", in ipotesi alquanto circoscritte, ossia nel caso in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, oppure quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (da ultimo, Cass. pen.,sez. IV, n. 35963/2020).

Quanto al terzo motivo di ricorso, la Corte di legittimità, richiamando anche in questo caso la propria pacifica giurisprudenza, ha chiarito che il giudice, nell'effettuare la valutazione prognostica necessaria ai fini della concessione del beneficio della sospensione della pena, non è tenuto ad esaminare tutti gli elementi contenuti nell'art. 133 c.p. ma può limitarsi ad indicare quelli ritenuti prevalenti (da ultimo si veda, in termini, Cass. pen.,sez. V, n. 17953/2020). Nel caso di specie è stato reputato immune da censure il giudizio prognostico negativo fondato su una precedente condanna riportata per un reato commesso nell'esercizio di un'attività imprenditoriale, seppure appartenente ad altro settore (quello caseario).

Guida all'approfondimento

DE SANCTIS, Art. 544-ter, in Codice penale commentato, a cura di M. Ronco e B. Romano, Torino, 2012;

MAZZA, I reati contro il sentimento per gli animali, in Dir. giur. agraria e ambientale, 2004.

GATTA, Commento del Titolo IX-bis del codice penale, in Commentario Dolcini Marinucci, Milano, 2011;

NATALINI, Stop ai maltrattamenti sugli animali: i nuovi reati introdotti dalla riforma, in Diritto e Giustizia, 2004;

MUTTINI – PAVICH, La tutela penale degli animali, Milano, 2016.

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