Una nuova pronuncia del Giudice di Pace “sull'inidoneità” dell'inosservanza del DPCM 8 marzo 2020 ad integrare il reato ex art. 650 c.p.
26 Luglio 2021
Massima
In merito al reato contestato si ritengono sussistenti i presupposti per la pronuncia di assoluzione nella formula più ampia e favorevole al reo, perché il fatto non sussiste e non nella formula richiesta dal PM perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, con trasmissione degli atti al Prefetto, in quanto non si reputa il DPCM 08/03/2020 costituente provvedimento legalmente dato dall'Autorità, come per conto richiesto dall'art. 650 c.p. Il caso
I fatti oggetto della pronuncia del GOT pisano risalgono 19 marzo 2020, quando vigeva il divieto di circolazione per emergenza SARS-CoV2, per effetto del DPCM dell'8 marzo 2020. Due soggetti a bordo di uno scooter venivano sottoposti a controllo da una pattuglia di carabinieri, ma, nonostante l'intimazione dell'alt da parte dei militari, il conducente del mezzo, fatto scendere il passeggero, ripartiva dopo aver spintonato lo sportello della volante da dove uno dei due militari stava scendendo, costringendolo a far forza con le braccia per non essere schiacciato. Il conducente dello scooter, che era stato abbandonato non distante dal punto di fuga, veniva successivamente individuato e condotto presso la locale Stazione dei CC, dove era già stato portato per l'identificazione il passeggero del veicolo. I due soggetti venivano tratti a giudizio davanti al Giudice di Pace di Pisa, per rispondere, il primo, del delitto di resistenza a un pubblico ufficiale (ex art. 337 c.p.), ed entrambi della contravvenzione di inosservanza del provvedimento dell'Autorità (ex art. 650 c.p.). Con riguardo al primo capo d'imputazione, il GOT riteneva pienamente integrati l'elemento oggettivo della fattispecie contestata, oltre all'elemento soggettivo, essendo evidente come l'imputato si fosse opposto con violenza al P.U. allo scopo di impedire il compimento di operazioni di controllo per poi darsi alla fuga, nella consapevolezza di trovarsi di fronte a due pubblici ufficiali nello svolgimento delle loro funzioni. In relazione al secondo capo d'imputazione (a carico di entrambi gli imputati), invece, il GOT riteneva sussistenti i presupposti per la pronuncia di assoluzione nella formula più ampia e favorevole al reo, “perché il fatto non sussiste” e non nella formula richiesta dal PM “perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato”, con trasmissione degli atti al Prefetto, poiché il citato DPCM 8 marzo 2020 non era suscettibile di costituire il provvedimento legalmente dato dall'Autorità, come per contro richiesto ex art. 650 c.p. La questione
La questione attiene alla tematica generale se un atto amministrativo, privo di natura normativa, come un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) sia in grado di incidere sulla fondamentale libertà personale consacrata dall'art. 13 della Costituzione. Si tratta di una questione diventata attuale all'epoca di SARS-CoV-2, considerato che l'emergenza sanitaria ha comportato la dichiarazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale avvenuta con Delibera del Consiglio dei Ministri (DCM) del 31 gennaio 2020, che ne aveva individuato anche il termine di efficacia al 31 luglio 2020, in seguito prorogato di ulteriori 12 mesi. Lo stato di emergenza sanitaria, sembrerebbe, prima facie, evocare lo stato di eccezione al quale, secondo il famoso costituzionalista tedesco Carl Schmitt, corrisponderebbe uno stato di sospensione dell'intero ordinamento, perché “la decisione si rende libera da ogni vincolo normativo e diventa assoluta in senso proprio” (Scoditti). Questa presunta “analogia” tra stato di emergenza e stato di eccezione si rivela fallace ad uno sguardo più attento, perché, come è stato evidenziato da un orientamento dottrinale, “a differenza degli atti di eccezione del sovrano schmittiano, nello stato di emergenza [sanitaria] l'autorità politica ha bisogno di diritto per creare diritto”, per cui “l'eccezione è ciò che è fuori della regola, l'emergenza presuppone invece una regola che la definisca” (Scoditti). Vero ciò, occorre piuttosto interrogarsi se il diritto dello stato di emergenza sanitaria, sub specie del citato DPCM dell'8 marzo 2020, a fronte della DCM del 31 gennaio 2020, sia davvero idoneo ad incidere sulla libertà personale, fino a determinare conseguenze penali, in caso di inosservanza. In altri termini, per esemplificare la complessa problematica, potrebbe lo stato di emergenza sanitaria giustificare, a tutela della salute pubblica (ex art. 32 Cost.), la compressione della libertà personale dei cittadini, mediante un atto amministrativo privo di forza di legge? Le soluzioni giuridiche
Di fronte ad un simile quesito, il GOT di Pisa, con la pronuncia in commento, fornisce una soluzione negativa, suffragata da un esame delle disposizioni emanate all'epoca della pandemia indotta da SARS-CoV-2. Innanzitutto, il Giudice di pace pisano evidenzia la natura non normativa della citata DCM del 31 gennaio 2020, come si evince dall'art 3, l. n. 20/1994, il quale annovera i provvedimenti emanati a seguito della DCM tra gli atti non aventi forza di legge, sui quali si esercita il controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti. In secondo luogo, non sarebbe possibile valorizzare gli artt. 24 e 25 d.lgs. n. 1/2018 (Codice della protezione civile), dal momento che simili disposizioni disciplinano, rispettivamente, la procedura della dichiarazione dello stato di emergenza, e dei relativi provvedimenti attuativi degli interventi necessari e da effettuare, non avendo nulla a che vedere con situazioni di rischio sanitario, derivato da SARS-CoV-2. Ove si volge lo sguardo alla Carta Costituzionale, non è riscontrabile una disposizione che conferisca particolari poteri al Governo, eccetto la deliberazione dello stato di guerra che comporta il conferimento all'Esecutivo di “poteri speciali” (ex art. 78 Cost.). Dall'analisi delle citate disposizioni emerge, dunque, ad avviso del GOT pisano, l'illegittimità della DCM, con la conseguente illegittimità di tutti i successivi provvedimenti emessi per il contenimento e la gestione della pandemia (come ad es. il dl. n. 6/2020 che, con delega generica, conferisce al Presidente del Consiglio “ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all'evolversi della situazione epidemiologica”). Da ciò discende, inoltre, l'illegittimità del DPCM dell'8 marzo del 2020 (come pure di quelli successivi emanati dal Presidente del Consiglio dei Ministri), ove viene stabilito all'art. 1 che, allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 nella regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell'Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia, sono adottate le seguenti misure: a) evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché all'interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute. È consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza;" e ove, all'art. 4, rubricato Monitoraggio delle misure, il mancato rispetto degli obblighi di cui al DPCM de quo viene punito ai sensi dell'art. 650 c.p. La citata disposizione è stata poi estesa a tutto il territorio nazionale, per effetto del DPCM 9 marzo 2020 recante misure urgenti di contenimento del contagio sull'intero territorio nazionale. Con tale provvedimento, di natura meramente amministrativa, si sarebbe stabilito, secondo il GOT di Pisa, un divieto generale e assoluto di spostamento, salvo alcune eccezioni, divieto che configurerebbe «un vero e proprio «obbligo di permanenza domiciliare e come tale limitativo del diritto di libertà». In particolare, sarebbe violata la fondamentale libertà personale (ex art. 13 Cost.) che è inviolabile e presidiata (cfr. Corte cost., sent. n. 11/1956) da tre garanzie: la riserva di legge assoluta, per cui solo il legislatore può intervenire in materia e porre dei limiti; la riserva di giurisdizione, da cui discende che solo l'autorità giudiziaria è legittimata ad emettere provvedimenti restrittivi della libertà personale; ed infine l'obbligo di motivazioneche impone di esplicitare le ragioni alla base dei provvedimenti restrittivi. In aggiunta alla libertà personale, secondo il GOT pisano, il citato provvedimento sarebbe lesivo anche della libertà di circolazione (ex art. 16 Cost.) che, nel far salve le “limitazioni che la legge stabilisce in via generale” a tale libertà pone dei limiti alla discrezionalità del legislatore, mediante la predeterminazione di alcuni contenuti che la legge deve avere (c.d. principio di riserva di legge rinforzata), nel senso che dette “limitazioni” devono essere applicabili alla generalità dei cittadini, non a singole categorie (cfr. Corte cost., sent. n. 2/1956), e per motivi di sanità e sicurezza, principio che comunque impedisce restrizioni stabilite sulla base di atti aventi natura diversa dalla legge statale (come, per l'appunto, i DPCM). Le medesime criticità sono rinvenibili – ad avviso del giudicante – anche nei successivi DPCM attuativi del dl. n. 6/2020, “Misure urgenti per evitare la diffusione del COVID-19” convertito, con modifiche, dalla l. 5 marzo n. 13, dal momento che né in sede di conversione del decreto, né con altra fonte primaria è dato rinvenire alcuna estensione delle citate misure, dalle c.d. zone "rosse" all'intero territorio nazionale. Alla luce del tratteggiato percorso argomentativo, valutata inoltre la carenza motivazionale dei DPCM emanati per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2, con rinvio per relationem ai verbali del Comitato Tecnico Scientifico (CTS), resi noti dopo lungo tempo, o addirittura in prossimità della scadenza di efficacia dei DPCM (con conseguente invalidità amministrativa, per effetto del combinato disposto ex artt. 3 e 21 septies, l. n. 241/90), il Giudice di pace pisano disapplica ex art. 5,l. n. 2248/1865, All.E, il DPCM dell'8 marzo 2020 ritenuto illegittimo per violazione di legge, e propende per la soluzione di proscioglimento degli imputati con formula piena (“perché il fatto non sussiste”), anziché con la formula meno favorevole, richiesta dal Pm, “perché il fatto non costituisce reato”, la quale avrebbe comportato la trasmissione degli atti al Prefetto per la comminazione della sanzione amministrativa con pregiudizio per gli imputati, “stante la palese illegittimità del D.P.C.M. del 8 marzo 2020”. La ratio decidendi del GOT di Pisa appare conforme alla decisione del GOT di Frosinone che con sentenza n. 516, depositata il 29 luglio 2020, aveva ritenuto illegittimo la più volte citata DCM del 31 gennaio 2020 e dei conseguenti DPCM emanati l'8 ed il 9 marzo 2020, i quali avrebbero dato ingresso nell'ordinamento ad un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare, “misura che può essere irrogata soltanto da un giudice e non dall'autorità in forza di un provvedimento amministrativo qual è il singolo DPCM”(Amendolaggine). Al riguardo, nella sentenza del giudice di pace di Frosinone si legge che “la libertà di circolazione non può essere confusa con la libertà personale: i limiti della libertà di circolazione attengono a luoghi specifici il cui accesso può essere precluso, perché ad esempio pericolosi; quando invece il divieto di spostamento non riguarda i luoghi, ma le persone allora la limitazione si configura come limitazione della libertà personale” (Amendolaggine). In ordine a tale punto, il giudicante conclude affermando che “certamente quando il divieto di spostamento è assoluto, come nella specie, in cui si prevede che il cittadino non può recarsi in nessun luogo al di fuori della propria abitazione è indiscutibile che si versi in chiara e illegittima limitazione della libertà personale, perché, nell'ordinamento giuridico italiano, l'ordine di rimanere nella propria abitazione non può essere imposto dal legislatore, ma solo dall'Autorità giudiziaria con atto motivato” (Amendolaggine). La soluzione giuridica fornita dal Giudice di Frosinone è consistita nella sostanziale disapplicazione dell'atto amministrativo - il DPCM - ritenuto contra legem, ai sensi del citato art. 5 della l. n. 2248/1865 all.E. L'illegittimità dei DPCM dell'8 e del 9 marzo 2020, che avrebbe introdotto un vero e proprio “obbligo di permanenza domiciliare”, è stata rilevata anche dal Gip di Reggio Emilia, con sentenza del 27 gennaio 2021, il quale, dopo aver espresso “un giudizio negativo sul ruolo centrale assunto dai DPCM nel sistema delle fonti del diritto pandemico, ha prosciolto ex art. 129 c.p.p. due soggetti imputati del delitto di cui all'art. 483 c.p. in relazione alle false dichiarazioni riportate nell'autocertificazione richiesta al fine di giustificare i propri spostamenti durante il primo lockdown dello scorso anno” (Penco). La soluzione giuridica del Gip di Reggio Emilia (al pari di una successiva sentenza del GIP di Milano, sent. 12 marzo 2021, giud. Del Corvo), è stata di “rigettare la richiesta di emissione del decreto penale di condanna formulata dalla Procura in relazione alla fattispecie di falso ideologico del privato in atto pubblico, sulla base di una motivazione che non prende in considerazione il tema della (problematica) configurabilità dei reati di falso in relazione alle autodichiarazioni richieste nell'attuale contesto di emergenza sanitaria, ma che si incentra piuttosto sulla ritenuta illegittimità del ricorso allo strumento del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri al fine di introdurre limitazioni alla possibilità di spostamento nell'ottica di contenimento del contagio” (Penco). Osservazioni
La decisione in commento del GOT pisano si inserisce nell'ambito di quel rapporto di forte tensione tra la costituzione dei poteri e la costituzione dei diritti, per effetto della situazione emergenziale da SARS-CoV-2. Come è stato evidenziato nella dottrina pubblicistica, “la prima – vale a dire l'insieme delle norme sull'organizzazione dei poteri pubblici – fa registrare una inaudita concentrazione di poteri nelle mani del Governo e in particolare del Presidente del Consiglio, ben evidenziata dall'uso di un atto provvisto di basi normative assai fragili come il decreto del presidente del Consiglio dei ministri, che diventato il principale strumento di regolazione dell'emergenza; la seconda – il sistema dei diritti fondamentali – profondamente messa in questione, a fronte della più grande limitazione delle libertà fondamentali della storia repubblicana, e forse della storia nazionale tout court” (Olivetti). Un rapporto di tensione “aggravato” dall'assenza di una procedura costituzionale per le situazioni emergenziali (si pensi, ad esempio, alla Costituzione spagnola, che prevede varie possibili forme di restrizione o di sospensione dei diritti fondamentali: lo stato di allarme e lo stato di assedio, oltre allo stato di guerra), e che finisce per rendere privo di un fondamento costituzionale l'intero regime emergenziale fondato su procedimenti previsti da leggi ordinarie (anzitutto quelle sulla sanità e sulla protezione civile) (Olivetti). In un simile contesto, il decreto legge è l'unico strumento previsto dalla Costituzione per interventi in casi eccezionali di necessità e di urgenza: il citato dl. n. 6/2020 (convertito in l. n. 13/2020) ha previsto, con norma peraltro non tassativa, misure limitative delle libertà individuali per contenere l'emergenza sanitaria da SARS-CoV-2, disponendo che esse dovessero essere adottate con DPCM (Olivetti). Sicché le misure di contenimento dei DPCM – segnatamente dell'8, 9, 11 e 22 marzo – hanno trovato fondamento negli artt. 1, 2, e 3 dl. n. 6/2020 (PIVA). Occorre comunque evidenziare che il citato dl. n. 6/2020 (successivamente abrogato dal dl. n. 19/2020, ad eccezione degli artt. 3, commi 6-bis e 4) non si muoveva nell'ottica di una riserva assoluta al DPCM della facoltà di adottare misure di contenimento, ma faceva riferimento alle “autorità competenti”: su questa base, “alle misure limitative disposte con DPCM o con decreti ministeriali (ad es. del ministro della Salute) si sono sovrapposte varie misure, talora territorialmente delimitate o più restrittive, previste da parte di presidenti di giunte regionali e talora di sindaci, in base ai poteri di ordinanza loro riconosciute dalla legge, ma collocabili nell'ordinamento ad un livello sub legislativo” (Olivetti). Sul piano penalistico, il dl. n. 6/2020, nella misura in cui attribuiva a varie autorità competenti (tra le quali Presidenti di Regione e Sindaci, tramite ordinanze contingibili e urgenti) il potere di adottare “misure ulteriori” di contenimento del rischio sanitario, la cui violazione integrava il reato previsto dall'art. 3, comma 4, del citato decreto, appariva in contrasto con l'art. 25 Cost., “non in ragione della natura non statale dell'integrazione regionale o comunale, ma in considerazione dell'assenza di limiti a tale intervento locale” (Ruga Riva). Il diritto ai tempi del Covid-19, è stato giustamente evidenziato nella dottrina penalistica, “non ha da subito piegato sul diritto penale, ma non ha tardato a chiamarlo in causa, proponendone i lati peggiori attraverso la penalizzazione delle violazioni delle misure di contenimento della pandemia che hanno fatto parte nel periodo del lockdown del grande pacchetto mediatico “io resto a casa”: la fattispecie contravvenzionale ex art. 650 c.p., fondata sulla violazione delle prescrizioni dei DPCM, previsti dall'art. 3, comma 1, dl. n. 6/2020, entrava in contrasto con il principio di legalità, sub specie di riserva di legge e di determinatezza” (Pelissero). In sintesi, il dl. n. 6/2020 poneva problemi di legittimità proprio perché “non soltanto indeterminato, ma anche perché attribuiva al DPCM il potere di individuare il comportamento incriminato: non è un caso che si sia parlato di decreto legge “fuori dal diritto”; in particolare, si può osservare come nella sostanza il rapporto tra le fonti si fosse ridotto a due, a una questione cioè tra il fatto tipico che rinviava interamente al DPCM, con la conseguenza che si è trattata di una ipotesi in cui il diritto penale è stato addirittura direttamente previsto da una fonte secondaria” (Bartoli). Sul piano applicativo, era stato prospettato da un orientamento dottrinale la possibilità che il giudice penale ritenesse illegittimo il provvedimento adottato con DPCM, la cui inosservanza si contestava all'imputato (ex art. 650 c.p.) e, di conseguenza, disapplicarlo e pronunciare un'assoluzione (Gatta). Un vulnus di legalità che è stato in parte sanato, dal successivo dl. n. 19/2020, che ha cercato di realizzare un'opera di riordino del caos normativo e sanzionatorio determinatosi nella situazione emergenziale (Gatta) attraverso due correttivi: in primo luogo, la “depenalizzazione” della contravvenzione di violazione delle prescrizioni, “trasformata in illecito amministrativo”, con un'inedita espressa indicazione dell'inapplicabilità dell'art. 650c.p. e di ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità; in secondo luogo, la tipizzazione delle misure adottabili su tutto o parte del territorio nazionale, per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 luglio 2020 (oggi prorogato fino al 31 luglio 2021), e con possibilità di modificarne l'applicazione in ragione dell'andamento epidemiologico, sebbene le misure continuino ad essere individuate dal DPCM, pur nell'ambito del lungo elenco previsto dal citato decreto legge.(Pelissero). Appare plausibile ritenere che la svalutazione della garanzia della riserva di legge conseguente sia alla predetta trasformazione dell'illecito penale in illecito amministrativo, sia al fatto che la gran parte dell'elenco delle misure di contenimento del dl. n. 19/2020 (sensibilmente ampliato rispetto al dl. n. 6/2020), come incidenti sulla libertà di circolazione e non sulla libertà personale (Pelissero), abbia comunque comportato un sostanziale svuotamento dei diritti fondamentali (Olivetti). Orbene, la decisione in commento del Giudice di pace pisano sembra consapevole, su di un piano generale, del citato rapporto di tensione esistente tra la Costituzione dei poteri e la Costituzione dei diritti, conseguente all'impatto della descritta situazione sanitaria emergenziale, e dei segnalati aspetti problematici sul versante penalistico. Vero ciò, è dato rilevare un profilo di perplessità nella ratio decidendi della predetta sentenza che sembra “accomunarla” alle altre summenzionate decisioni della giurisprudenza di merito in materia. Ci si riferisce all'assunto secondo cui i DPCM dell'8 e del 9 marzo 2020 avrebbero configurato un vero e proprio “obbligo di permanenza domiciliare”, incompatibile con la libertà personale ex art. 13 Cost. A ben considerare, l'unica misura che, nel contesto emergenziale, impone al destinatario restrizioni simili alla detenzione domiciliare è la misura della quarantena che comporta, per l'effetto, il divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone risultate positive al virus (lett. e), dl. n. 6/2020). In particolare, la violazione della quarantena obbligatoria è costruita come reato contravvenzionale di pericolo astratto, punito ai sensi dell'art. 260 T.U. leggi sanitarie (R.D. 27 luglio 1934, n. 1265), la cui sanzione è stata aumentata dal dl. n. 19/2020 (arresto da tre mesi a diciotto mesi e ammenda da euro 500 a 5000). Come è stato evidenziato da un orientamento della dottrina penalistica, sarebbe auspicabile una puntuale disciplina della quarantena, seguendo l'esempio di Paesi, come l'Inghilterra, che si sono preoccupati di disciplinare le misure di contenimento dell'epidemia in modo da rispettare anche l'art. 5,comma 1, lett. e), Cedu, che contempla l'ipotesi della detenzione regolare di una persona suscettibile di propagare una malattia contagiosa (Gatta). Per quanto siano state attualmente allentate le misure di contenimento, non solo permane la natura formalmente penale della trasgressione della quarantena obbligatoria, ma la disciplina a monte entra in conflitto con la garanzia costituzionale della libertà personale ex art. 13 Cost., sia sul piano della riserva assoluta di legge, sia sul piano della riserva di giurisdizione(Pelissero). Quanto alla riserva di legge, la disciplina sui presupposti e sulla procedura di applicazione della misura in discorso è piuttosto deficitaria, anche alla luce del più recente dl. n. 33/2020, che dispone il divieto di mobilità dalla propria abitazione o dimora alle persone stabilite della quarantena per provvedimento dell'autorità sanitaria in quanto risultate positive al virus Covid-19 fino all'accertamento della guarigione o al ricovero in una struttura sanitaria o altra struttura allo scopo destinata. Quanto alla riserva di giurisdizione, non è previsto alcun intervento dell'autorità giudiziaria, né in forma di convalida del provvedimento dell'autorità giudiziaria, né in forma di convalida del provvedimento dell'autorità sanitaria (peraltro non indicata dal dl. n. 33/2020) né su ricorso del destinatario della misura (Pelissero). AMENDOLAGGINE, Emergenza Coronavirus. Nulla la multa per violazione del lockdown, in Quotid. Giur., 7 settembre 2020; BARTOLI, Il diritto penale dell'emergenza “a contrasto del coronavirus”: problematiche e prospettive, in www.sistemapenale.it, 24 aprile 2020; GATTA, Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, in www.sistemapenale.it, 16 marzo 2020; GATTA, I diritti fondamentali alla prova del coronavirus. Perché è necessaria una legge sulla quarantena, in www.sistemapenale.it, 2 aprile 2020; GATTA, Un rinnovato assetto del diritto dell'emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, in www.sistemapenale.it, 26 marzo 2020; OLIVETTI, Contenimento Coronavirus. Le misure di contenimento del Coronavirus tra Stato e Regioni, in Quotid. Giur., 10 aprile 2020; PELISSERO, Covid-19 e diritto penale pandemico: delitti contro la fede pubblica, epidemia e delitti contro la persona alla prova dell'emergenza sanitaria, in Riv. It. dir. pen. proc. pen., 2, 2020, 513 ss.; PENCO, Ancora un proscioglimento per falso in autodichiarazione COVID-19: il G.I.P. di Reggio Emilia rileva la “indiscutibile illegittimità” dei DPCM in quanto fonti di misure limitative della libertà personale, in www.sistemapenale.it, 24 marzo 2021; PIVA, Il diritto penale ai tempi del coronavirus: troppo su inosservanza e poco su carcere, in AP (web), 1, 2020; RUGA RIVA, La violazione delle ordinanze regionali e sindacali in materia di coronavirus: profili penali, in SP, 3, 2020, 231 ss. SCODITTI, Il diritto iperbolico dello stato di emergenza, in QG, 2, 2020.
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