È arrivato il venticello della controriforma? Così è, se vi pare

Danilo Galletti
27 Luglio 2021

I ventilati propositi di differire lungamente nel tempo l'entrata in vigore delle misure di allerta, accompagnati dalla proposta di sostituirvi, medio tempore, un procedimento di “mediazione concorsuale” assistito da un “facilitatore”, insieme con la prospettata esigenza di rinviare anche l'entrata in vigore delle parti residue del Codice della crisi al fine di attuare la Direttiva comunitaria, parrebbero poter celare la volontà, neanche troppo recondita, di attuare una vera e propria “controriforma”, senz'altro “favorita” anche dagli effetti dell'evento pandemico.

Una recente intervista rilasciata dalla Presidente della Commissione ministeriale che ha studiato le misure da assumere al fine dell'entrata in vigore del c.d. Codice della Crisi (“CCI”), invero abbastanza criptica, ha nuovamente movimentato il dibattito sulla ormai eterna riforma “organica” del diritto concorsuale, che si articola (o meglio, si disarticola) già da quasi sette anni (e per di più a breve distanza di tempo da altra riforma, anch'essa ritenuta “organica”).

L'analisi del complesso delle “proposte”, tuttavia, solleva più di qualche perplessità, soprattutto se lette alla luce di un sano pessimismo, che anche la loro natura “sibillina” sembra alimentare.

Le misure di allerta di certo non sono mai state avvertite come “amiche” dal mondo delle imprese italiano, sempre propenso a considerare qualsiasi strumento di controllo in termini di puro costo, e mai come investimento ed opportunità per migliorare.

Eppure sembrava che gli orientamenti più recenti di Confindustria testimoniassero una volontà di superamento di quella mentalità, una volta acquisita l'idea che l'attenzione deve essere proiettata sulla tutela non già soltanto degli associati che si trovino in crisi, bensì anche (e direi soprattutto) di quelli in bonis, che dei primi sono creditori, e che proprio per effetto dei ritardati od omessi pagamenti possono divenire ineluttabilmente anch'essi a loro volta debitori in crisi/insolventi.

E proprio al fine di “arare” preventivamente un terreno che ben si sapeva essere assai brullo, era stata disposta l'immediata entrata in vigore dell'art. 2086, comma 2, c.c., con il suo “propedeutico” obbligo di introduzione di assetti organizzativi adeguati anche all'obiettivo, primario, della emersione tempestiva, nonché della stessa “prevenzione” della crisi.

L'obbligo di istituire tali assetti non costituisce in sé e per sé una delle misure di allerta; ciononostante esso converge con queste ultime in vista del perseguimento del già visto, comune, obiettivo.

Ma l'arrivo dell'evento pandemico non poteva certo non fornire comodi alibi; persino il Covid, in fondo, “ha fatto anche cose buone”.

Due sembrano essere principalmente le linee direttrici di questa nuova spinta (contro)riformatrice: da un lato, l'ennesimo differimento dell'entrata in vigore del CCI, motivato soprattutto con l'esigenza di tenere conto dell'attuazione della Direttiva comunitaria “Insolvency” del 2019; dall'altro, il differimento anche più prolungato della disciplina delle misure di allerta, accompagnato dall'idea di introdurre (quasi) subito un procedimento di “mediazione concorsuale” ad uso e consumo degli imprenditori che vogliano spontaneamente farvi ricorso, mediazione assistita da un “facilitatore professionale”.

La libertà individuale, come si sa, è una categoria molto amata dalla politica dei giorni nostri, anche se è ovvio che il ricorso sistematico ad essa mascheri una endemica debolezza, id est l'incapacità di assumere decisioni che privilegino un interesse (anche pubblico) sugli altri. Ma quando assai ridotta è la possibilità per talune categorie di “autotutelarsi” rispetto all'esercizio altrui di tali ambiti facoltizzati, l'appello alla “libertà” cela in realtà la scelta di un interesse a discapito degli altri, scelta tuttavia “occulta”.

Iniziamo dai “facilitatori”, che in realtà tanto assomigliano ad un'altra figura che non ha tuttavia dato gran prova di sé, quella dei “navigators”: a me pare che sia abbastanza difficile immaginare che tale curioso procedimento di “amministrazione di sostegno”, very light, possa costituire adesso una soluzione efficiente ai problemi che si pongono all'orizzonte.

Qualcosa di simile avrebbe forse potuto costituire una buona risposta all'emergenza pandemica nelle sue immediatezze, risposta pur sempre accompagnata anche da strumenti più strutturati “e solidi” alternativamente disponibili.

Ma in ogni caso mi sembra tangibile la prospettiva per cui tali “stanze di compensazione” possano diventare un comodo paravento per giustificare il non intervento dello Stato nella crisi delle imprese, qualcosa di simile ai tavoli ministeriali e regionali per la crisi occupazionale che tutti conosciamo.

Allora, più che ai navigators, potremmo apparentare i “facilitatori” ai maestri d'asilo, ove i bambini vengono collocati e sorvegliati, al fine di evitare che si facciano male, mentre i genitori sono occupati al lavoro o con le loro faccende; occasionalmente, chissà, potrebbero anche imparare qualcosa.

In attesa però non già che la mamma torni dal lavoro, ma che passi la buriana del Covid; per allora, tanto, all'allerta, almeno come strumento azionabile anche per iniziativa esterna, nessuno di certo penserà più, e quella dilazione dell'entrata in vigore potrà tranquillamente trasformarsi in abrogazione definitiva. Binario morto dunque, come è già stato per le norme sull'amministrazione straordinaria, per la liquidazione coatta amministrativa, etc.

Ma allora, anche a causa della parallela e ripetuta “anticipazione” di ampie parti del testo, di “organico” nella riforma e nel CCI sarà rimasto davvero molto poco.

Anche perché il sistema di allerta è tutt'altro che agevolmente “estrapolabile” dalla struttura complessiva del CCI, dove essa avrebbe dovuto costituire una vera e propria “fase preliminare” del processo di regolazione della crisi, non equiparabile ad una procedura concorsuale di certo nella natura, ma senz'altro nella funzione.

Per questo i termini per la redazione del “nuovo” concordato preventivo sono divenuti così brevi: si presuppone che prima di entrare nella procedura di concordato (o di accordo di ristrutturazione) il debitore abbia già potuto “arare il terreno” grazie all'allerta.

E si presuppone anche che la tempestività dell'accesso all'allerta (l'obiettivo primario della riforma, ed anche della pluricitata Direttiva che, è come sappiamo, addirittura la prevenzione della crisi, o quantomeno la sua regolazione “precoce”) sia garantita dal fatto che l'impulso spetta anche a soggetti che sono obbligati a provocare tale effetto, e che agiscono a tutela di interessi altrui, non propri.

Per lo stesso motivo anche il ruolo del Pubblico Ministero risulta così accresciuto nelle pieghe del CCI.

Ora, tuttavia, grazie alle modifiche ipotizzate, l'allerta sembra quasi rifluire sull'archetipo del modello francese, ove il debitore indossa la giacca buona, si presenta al Presidente del Tribunal de Commerce, ed in un'atmosfera compassata, sobria, ma anche distesa, racconta la sua “storia”; poi ci si riunirà ancora, per vedere se le cose siano migliorate; magari facendo tesoro di qualche buon “consiglio” dispensato dal navigator di turno.

E' chiaro tuttavia che tutto ciò comporterebbe la necessità di intervenire, ed in modo nient'affatto “leggero”, sulle altre parti del CCI: e qua infatti sopravviene l'idea dell'attuazione della Direttiva.

Due sembrano le alternative: o si torna in buona misura alle soluzioni del passato, ove l'allerta non c'era, magari con qualche spruzzata di “semplificazione” (che al mondo dell'impresa italiana suona sempre bene), maledicendo la stessa idea che per fare ciò si debba ristrutturare tutta la numerazione delle norme faticosamente negli anni memorizzata; oppure si crea qualcosa di veramente “nuovo”, di quasi geniale, che attribuisca al sistema anche nuovi “significati” e “valori”.

Ma allora, nel primo caso si va “contro” il CCI, nel secondo, e nella migliore delle ipotesi, “oltre” il CCI.

Poiché difficilmente ciò sarebbe stato possibile avvalendosi semplicemente delle norme sull'emanazione dei “decreti correttivi”, i quali non possono che restare nell'alveo della Legge Delega, ecco che si presta alla bisogna la “bandiera” dell'attuazione della Direttiva.

Ma la Legge delega ed il CCI ignoravano forse i principi sottostanti alla Direttiva?

A mio sommesso avviso assolutamente no: i principi ispiratori confluiti in quel testo traggono fondamento già dalla Raccomandazione del 2014, che fu tenuta esplicitamente in considerazione dagli estensori della Legge Delega, e poi la Proposta di Direttiva dell'autunno del 2016 si pose alla base del CCI; la Direttiva fu infine emanata, nel giugno del 2019, con poche differenze rilevanti rispetto a quel progetto preliminare, differenze in gran parte costituite dall'introduzione di facoltà di scelta per i Legislatori nazionali su argomenti ben determinati; scelte che il CCI potrebbe a buon diritto ritenersi aver fatto, anche implicitamente; ma forse qualcuno non condivide tale ultima valutazione.

Ecco allora che l'attuazione della Direttiva diventa l'occasione per introdurre delle modifiche al CCI che si pongano anche in antitesi con la Legge Delega: lo strumento è bell'e trovato.

“Bisogna che tutto cambi perché tutto resti com'è”? Può darsi, come si diceva poc'anzi.

Ma può darsi addirittura che il “nuovo” viri verso un'impostazione ancora più “liberal”, asseritamente più “semplificata”.

Mentre la Legge Delega ed il CCI obiettivamente non brillavano per l'idea di attenuare il controllo pubblico sulla regolazione della crisi, e di delegare realmente compiti importanti e “strategici” al variegato mondo delle professioni.

Di certo le misure di allerta sembrano porsi come il perfetto agnello sacrificale.

Ma temo che possa non essere stato colto un altro dato importante: le misure di allerta in realtà ci sono già, e sono penetrate nel sistema proprio attraverso l'art. 2086, comma 2, c.c.; norma che vive già da due anni nel sistema, che ha plasmato il sistema, e così la “formante” giurisprudenziale.

In questo periodo la giurisprudenza dei tribunali delle imprese ha mostrato di aver già recepito e metabolizzato tali principi, e non basterà ormai nemmeno la (ipotetica) abrogazione dell'allerta per far retrocedere il sistema allo stadio precedente.

I doveri tipici della disciplina dell'allerta sono già oggetto degli obblighi che incombono sugli attori della crisi; addirittura sembrano quasi esservi sempre stati … con la sostanziale differenza per cui tali obblighi, mediati da norme generali e non dettagliate, come appunto l'art. 2086 c.c., dettano regole di comportamento assai meno precise e definite di quelle che sono contenute nella normativa codicistica sull'allerta; e ciò con gli intuibili deficit di “previsionalità” per i professionisti del settore.

Non si vede d'altro canto, senza scontare un enorme debito di ipocrisia, come sia possibile ipotizzare che gli imprenditori italiani siano in grado di risultare compliant rispetto all'art. 2086, comma 2, c.c., e come sia invece per essi “inesigibile” il rispetto delle norme in tema di allerta.

La stessa concreta individuazione degli “indici” di cui all'art. 14 CCI, da parte del CNDCEC, avvenuta nell'autunno del 2019 nel contesto di un documento di cui poi si sono smarrite le tracce, non è certo tale da far pensare che l'entrata in vigore delle misure di allerta potesse provocare una “ondata” inarrestabile ed incontrollabile di istanze rivolte agli OCRI.

E poi norme come l'art. 13, comma 1, come l'art. 14 CCI, oggi, parrebbero quasi essere state vigenti da sempre.

Di certo uno degli aspetti più singolari del CCI, come della stessa Legge Delega, infatti, è di aver orientato fortemente l'interpretazione del sistema esistente sin da prima della loro entrata in vigore, ed anche a prescindere da ciò.

Questo processo è ormai irreversibile.

Come è inevitabile che il diritto generale, in presenza di istanze “vere” provenienti da un settore speciale, cui il Legislatore non intenda dare risposta, si espanda in modo da “coprire” quelle esigenze; in modo magari non perfetto, sicuramente anche meno prevedibile.

Ed i recenti esempi del diritto civile, con la nullità dei contratti di finanziamento, e la responsabilità delle banche per “abusiva” concessione di credito, ad annullare le spinte lobbistiche che avevano inertizzato od indebolito taluni fondamentali strumenti di ripartizione del rischio di insolvenza, confermano ed anzi rinforzano tale conclusione.

L'allerta dunque mi sembra tutt'altro che pronta ad andare in soffitta.

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