Mediazione e rito sommario nei giudizi di malpractice: incertezze applicative e riflessi processuali

Diego Modesti
29 Luglio 2021

L'art. 8 della l. 8 marzo 2017, n. 24, com'è ben noto, impone a chi intenda esercitare un'azione relativa al risarcimento del danno derivante da responsabilità medica due alternative: il ricorso ex art. 696-bis c.p.c. ovvero il procedimento di mediazione ex art. 5, comma 1 bis, del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28...
Le condizioni di procedibilità previste dalla Legge Gelli

L'art. 8 della l. 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. Legge Gelli), com'è ben noto, impone a chi intenda esercitare un'azione relativa al risarcimento del danno derivante da responsabilità medica due alternative condizione di procedibilità: il ricorso ex art. 696 bis c.p.c. ovvero il procedimento di mediazione ex art. 5, comma 1 bis, del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28.

La norma in esame, peraltro, disciplina unicamente il rapporto tra Accertamento Tecnico Preventivo, quale condizione di procedibilità, e successivo rito sommario di cognizione. La mediazione, non essendo disciplinata in funzione del successivo procedimento ex art. 702 bis, parrebbe non trovare cittadinanza nell'opzione legislativa.

Ed infatti, l'art. 8 della legge Gelli non disciplina affatto i rapporti tra processo dichiarativo e mediazione, dedicandosi esclusivamente alla disciplina dei rapporti tra rito sommario e consulenza tecnica preventiva. E ciò costituirebbe un indizio sul fatto che la preferenza del legislatore, quanto alla scelta della condizione di procedibilità, sia caduta sull'ATP (NOTA: preferenza giustificata dalla casistica tribunalizia. Secondo S. Tassone, Responsabilità della struttura sanitaria per il paziente deceduto "con il Covid-19": la prima pronuncia del Tribunale di Torino, in RI.DA.RE «l'esperienza della IV Sezione Civile del Tribunale di Torino, ad ormai quattro anni dall'entrata in vigore della l. 24/2017, vede una netta preferenza delle parti per il ricorso alla consulenza preventiva in funzione conciliativa. Questo trend si spiega perché con la consulenza tecnica il prospettato danno alla salute viene accertato da un Collegio Peritale nominato secondo quanto prescritto dall'art. 15, 1 comma, l. 24/2017». In senso opposto, tuttavia, si veda V. Amirante, Le condizioni di procedibilità ex art. 8 della legge n. 24/2017 nella prospettiva del tribunale di Roma. Note a margine delle Linee Guida in materia di Accertamento Tecnico Preventivo ai sensi dell'art. 8 l. 24/2017 pubblicate il 13.2.2020, 15 febbraio 2021: «Quanto all'esperienza più recente le rilevazioni delle iscrizioni a ruolo degli ultimi mesi presso il Tribunale di Roma mostrano una rilevante sterzata verso l'assolvimento della condizione di procedibilità attuato con la mediaconciliazione. Tale dato se confermato nei prossimi mesi del 2020 potrebbe essere probabilmente spiegato con le enormi difficoltà che lo svolgimento dell'ATP conciliativo ha presentato durante i mesi di lockdown e che ancora determinano significativi rallentamenti nella conclusione della procedura»).

Tale sospetto diviene certezza passando ad esaminare il secondo ed il terzo comma del citato art. 8. Più precisamente, il secondo comma afferma che, qualora la condizione non sia stata assolta prima del processo, il giudice – accogliendo l'eccezione di improcedibilità – assegna un termine di quindici giorni per l'istanza di cui all'art. 696 bis c.p.c.

Il terzo comma prende, invece, in esame l'avvenuta introduzione dell'ATP, stabilendo che “ove la conciliazione non riesca o il procedimento non si concluda entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso, la domanda diviene procedibile e gli effetti della domanda sono salvi se, entro novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio, è depositato (…) il ricorso di cui all'art. 702-bis c.p.c.”.
Il legislatore non opera, dunque, alcun richiamo alla disciplina dettata in materia di mediazione in proiezione del rito sommario.

Segue: la preferenza del legislatore per l'ATP

Di certo vi sono innegabili ragioni che militano per la preferenza del legislatore verso l'ATP quale condizione di procedibilità.

La questione oggetto di consulenza, innanzitutto, viene affidata ad un Collegio Peritale, a mente dell'art. 15, comma 1, l. n. 24/2017, “composto da un medico specializzato in medicina legale e da uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento”.

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NOTA: Anche se, per vero, in alcuni Tribunali persiste ancora un trend di arroccamento su posizioni oltranziste che predilige l'affidamento dell'incarico al solo CTU medico-legale.
Sul punto, si veda P. Macrì, M. Hazan, Responsabilità professionale. L'articolo 15 della legge Gelli sotto la lente di Consulta e Cassazione, 27 maggio 2021, secondo i quali, successivamente alla legge Gelli, «le consulenze e le perizie continuavano, in larga parte, ad essere affidate ad un unico professionista, in evidente inosservanza (e in alcuni casi, in patente dispregio) del divieto di consulenza o perizia monocratica», tant'è che il CSM è dovuto intervenire, con una raccomandazione del 25 ottobre 2017, per sensibilizzare al rispetto della nuova normativa (ibidem).
La tassonomia giudiziaria va, inoltre, integrata con la «linea ibrida», ossia l'ipotesi che prevede la commistione tra il prima ed il dopo legge Gelli: il Tribunale affida l'incarico al solo CTU medico legale, il quale è ipso facto investito dell'autorità di scegliere lo Specialista (prassi segnalata altresì da C. Nuzzo, Responsabilità medica: i 6 problemi processuali irrisolti della Legge Gelli Bianco, in Giuricivile, 5, 2018).
Per un esempio recente si veda Trib. Vicenza, ordinanza dd. 8 giugno 2021: «il Giudice (…) nomina C.T.U. il Dott. (…); nel caso non detenga la specializzazione ritenuta necessaria, individui il professionista, non medico-legale, avente tale specializzazione, che sia, ove possibile, iscritto all'albo dei consulenti tecnici d'ufficio, altresì riferendo se, a suo parere, sia necessario l'affiancamento di più professionisti aventi diverse specializzazioni mediche». In senso conforme, Trib. Trieste, decreto dd. 25 maggio 2021: «il Giudice (…) nomina c.t.u. il Dott. (…) con riserva di nominare specialista, ove necessario (ed eventualmente su indicazione dello stesso c.t.u.)».
Similmente, Trib. Trieste, ordinanza dd. 9 giugno 2021: «Il giudice invita il CTU a suggerire il secondo componente del collegio, specialista nella disciplina oggetto del procedimento».
Al di là della patente violazione di legge, non sfuggirà di certo che, in tali casi, l'Ausiliario chiamato a comporre il Collegio (di regola) non presta giuramento.
In merito a questa refrattarietà all'applicazione della legge Gelli è, peraltro, significativamente intervenuta di recente la Cassazione con un perentorio obiter dictum, stabilendo che l'art. 15, l. n. 24/2017 «precisa -al comma 4°- che, «nei casi di cui al comma 1, l'incarico è conferito al collegio» (con ciò stabilendo l'obbligatorietà della perizia o consulenza collegiale nei giudizi di responsabilità sanitaria, alla quale il giudice non può derogare)». E, quasi a non voler lasciare dubbi ermeneutici, l'estensore (Sestini) ha cura di precisare che l'art. 15, l. n. 24/2017, introduce un obbligo dalla cui violazione può farsi discendere la nullità della consulenza (Cass. civ., Sez. III, 12 maggio 2021, n. 12593).

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Si potrebbe sostenere, in realtà, che anche in sede di mediazione è possibile che le parti concordino per lo svolgimento della consulenza tecnica e che l'elaborato peritale, in caso di mancata conciliazione, potrebbe essere acquisito al successivo giudizio di merito con l'assenso di tutte le parti coinvolte.

La soluzione, tuttavia, non sembra essere appagante, e non solo a livello pratico.

Innanzitutto, in sede di mediazione l'espletamento della consulenza tecnica medico-legale costituisce una mera eventualità (V. G. Raiti, Sulle condizioni di procedibilità dell'azione risarcitoria per responsabilità sanitaria, 2020, p. 219: «Se guardiamo alla disciplina sulla mediazione, ci accorgiamo che in essa comprensibilmente, data la natura estremamente varia del contenzioso chiamata a comporre) la presenza di un consulente tecnico costituisce una mera eventualità, prevista solo in via subordinata»).

Sicché, a differenza dell'ATP (che viene scelto con questa precipua finalità), potrebbe accadere (e di fatto accade) che – nell'ipotesi di mancata conciliazione – le parti non affidino alcun incarico consulenziale, “accontentandosi” del “verbale negativo”, ossia del raggiungimento della condizione di procedibilità (NOTA: Né può sottacersi la difficoltà della valutazione di convenienza che le parti devono compiere sul costo complessivo dell'operazione che andrà tra di loro suddiviso (ed in gioco entreranno le seguenti poste: costo di ingresso nella fase di trattazione della mediazione; costo del CTU e degli eventuali Ausiliari Specialisti; costo dei Consulenti di parte e degli eventuali Ausiliari; spese legali relativi alla fase della mediazione) ed il risultato, poiché, all'esito, la Consulenza potrà scontentare (almeno) una parte che, quindi, difficilmente acconsentirà alla successiva acquisizione dell'elaborato nel giudizio di merito. Insomma, una spesa ingente che potrebbe rivelarsi inutile. Analogamente, G. Raiti, ibidem: «Sono le parti (…) a dover subirne i costi, solidalmente, ed a vagliarne la strumentalità al raggiungimento di un accordo che, elaborato in un ambiente non necessariamente caratterizzato dalla logica valutativa, potrebbe prescinderne del tutto»).

Il secondo punctum dolens riguarda l'efficacia della consulenza svolta in mediazione nel successivo giudizio di merito.

Il principio di riservatezza che ammanta la procedura investirebbe, naturalmente, anche la consulenza. Ma qui, com'è stato appena detto, l'accordo delle parti potrebbe risolvere d'emblée il problema, facendo transitare l'elaborato nel successivo giudizio.

Quid iuris, in tal caso, in merito all'efficacia della perizia?

È, infatti, pacifico che, non costituendo la CT in mediazione un'attività giudiziario-istruttoria quale quella ex art. 696 bis, l'efficacia del mezzo non potrebbe equipararsi a quella di una relazione peritale a seguito di CTU. Potrà, tutt'al più, assumere la qualità di prova atipica, come tale inidonea a sorreggere da sola il convincimento del giudice (V. G. Raiti, op. cit., p. 3, il quale richiama alcune pronunce di merito che hanno, claris verbis, «affermato la non equiparabilità della relazione peritale in mediazione a quella del c.t.u. Solo quest'ultima infatti (…) rientra «tra gli strumenti apprestati dal codice di rito per l'acquisizione, formazione e valutazione della prova, perché disposta, controllata e diretta dal giudice, e perché il tecnico nominato - dopo aver giurato - è ausiliario del giudice (per tutti gli effetti connessi) e ha possibilità accertative ben diverse da quelle di un esperto che operi su mandato di privati e nell'ambito - negoziale e non processuale - di un percorso conciliativo»).

A ciò deve aggiungersi che, poiché priva dei vincoli propri della procedura ex art. 696 bis, la perizia disposta in mediazione in tema di malpractice sanitaria si atteggerebbe quale strumento elusivo delle garanzie che l'ordinamento conferisce alla funzione peritale (Cfr. G. Raiti, ibidem).

Un ulteriore motivo che lascia chiaramente trasparire la propensione del legislatore verso l'ATP in funzione di condizione di procedibilità è indicato al quinto comma dell'art. 696 bis c.c., laddove è previsto che, qualora la conciliazione in sede di operazioni peritali non riesca, la parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente venga acquisita agli atti del successivo giudizio di merito. E, in questo caso, com'è noto, l'elaborato può costituire l'unico elemento che il Tribunale utilizzerà ai fini dell'ordinanza decisoria di cui al terzo comma dell'art. 702 ter c.p.c.

Mediazione e 702 bis c.p.c.

Fin qui si è esaminata, in sintesi, la predilezione legislativa per l'ATP quale condizione di procedibilità nei giudizi di malpractice.

Si tratta ora di capire se e in che modo tale preferenza si riverberi sulle opzioni processuali delle parti e – ai fini che qui interessano – se la scelta della mediazione quale condizione di procedibilità possa, in qualche modo, precludere successivamente alle parti di accedere al rito sommario.

Con uno sguardo retrospettivo ai lavori preparatori, sembra che, almeno inizialmente, la consulenza tecnica preventiva in funzione di conciliazione della lite fosse l'unica condizione di procedibilità prevista proprio in virtù dell'appropriatezza dell'istituto ad occuparsi di questioni spiccatamente tecniche.

Il legislatore del 2017, piuttosto sbrigativamente, ha invece inserito la mediazione quale alternativa al ricorso ex art. 696 bis c.p.c. Tuttavia, come ribadito supra, ha disciplinato solo i rapporti tra ATP e rito sommario, lasciando all'interpretazione curiale l'integrazione del rapporto tra mediazione e 702 bis c.p.c. (si veda C. Consolo, P. Bertollini, A. Buonafede, Il “tentativo obbligatorio di conciliazione” nelle forme di cui all'art. 696 bis c.p.c. e il successivo favor per il rito semplificato, in Corr. giur., 6, 2017, p. 766: «La poco meditata (meglio: aggrovigliata) formulazione della legge in esame - che mostra (arg. ex art.8) di avere di mira l'assoggettamento delle controversie in materia di responsabilità sanitaria al procedimento sommario di cognizione, senza però dirlo espressamente e chiaramente - fa sì che si possano concretamente avere degli sviluppi procedimentali non immaginati dal legislatore»).

Partendo proprio dalla prassi, accade di sovente che la parte che ha ottenuto un verbale negativo di mediazione adotti il rito sommario per la fase di merito.

In diversi casi, il Tribunale ha adottato de plano la procedura salvifica di cui al terzo comma dell'art. 702 ter c.p.c., ossia ha ordinato il mutamento di rito e fissato l'udienza ex art. 183 c.p.c.

Tale modus procedendi, tuttavia, non appare corretto sotto plurimi profili.

Innanzitutto, in base alla lettera della legge, l'art. 8 della l.24/2017 non può applicarsi nell'ipotesi in cui la parte interessata, prima dell'inizio del processo di merito, abbia optato per la procedura della mediazione obbligatoria: il legislatore ha previsto il rito sommario quale conseguenza di una mancata conciliazione nella sola procedura disciplinata dall'art. 696 bis c.p.c. E, dunque, ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit: ad un verbale negativo di mediazione non può seguire il rito di cui all'art.702 bis c.p.c., ma solo ed esclusivamente quello ordinario.

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NOTA: Cfr. M. Bove, La nuova responsabilità civile e medica: aspetti sostanziali e processuali, in Struttura formazione decentrata Corte di Cassazione, 9 maggio 2018, p.8: «la disciplina dell'art.8 (…) comunque non può riguardare il caso in cui l'interessato abbia previamente utilizzato il percorso di cui al d.lgs. n. 28/2010. Se prima del processo dichiarativo l'interessati ha scelto la media-conciliazione, invece di utilizzare lo strumento dell'art. 696 -bis c.p.c., per quello che riguarda la protezione del diritto in gioco si applica l'art.5, comma 6, d.lgs. n.28/2010 e non l'art. 8, 3° comma, della l. n. 24/207 come norma speciale i questo settore. Del resto questa norma esordisce ipotizzando che siano decorsi 6 mesi dal deposito del ‘ricorso', per cui sembra riguardare solo l'art. 696-bis c.p.c. (…) il principio interpretativo dovrebbe reggere anche per la scelta del rito del processo dichiarativo, dovendosi, a me sembra, ritenere che questo sarà quello ordinario e non quello sommario (…) Del resto, l'applicazione del rito sommario è stata ipotizzata essenzialmente per il caso che il processo dichiarativo possa partire almeno dalla base di una CTU».

Si veda, ancora, C. Consolo, P. Bertollini, A. Buonafede, op. cit., p. 763: «La possibilità di scegliere strumenti conciliativi alternativi alla consulenza tecnica preventiva è data al preteso danneggiato solo nel caso, che la legge vuole fisiologico, di introduzione della conciliazione ante causam (…). Il danneggiato che intenda far valere una responsabilità medico-sanitaria, quindi, ha l'onere di proporre - è questa l'ipotesi più lineare - ricorso ex art. 696 bis c.p.c., al fine (se la conciliazione sulla base della consulenza tecnica non riesce) quantomeno di preparare la “base istruttoria” del rito sommario semplificato, che si caratterizza appunto per la trattazione/istruzione relativamente deformalizzata, e quindi abbordabile con semplicità di forme e in tempi brevi».
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Secondariamente, consentire all'interessato di procedere con il rito sommario anziché con quello ordinario comporterebbe un'evidente ed irragionevole compressione del diritto di difesa del chiamato in giudizio, il quale non avrebbe il conforto del termine minimo di cui all'art.163 bis c.p.c. di 90 giorni per apprestare le proprie difese. Si troverebbe, invece, a confrontarsi con quello, molto più breve, di (almeno) 30 giorni prima del termine di costituzione, ai sensi del terzo comma dell'art. 702 bis c.p.c.

Peraltro, va soggiunto, a seguito della presentazione del ricorso ex art. 702 bis c.p.c, nella prassi tribunalizia l'udienza viene, per lo più, fissata a distanza di 30 giorni dal termine per la notifica del ricorso e del decreto alla controparte.

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NOTA: Si vedano Trib. Vicenza, 13 aprile 2021: «il Giudice (…) fissa per la comparizione delle parti avanti a sé l'udienza del 24/06/2021 (…) assegna termine per la costituzione del convenuto sino a dieci giorni prima dell'udienza (…) dispone che parte ricorrente notifichi il ricorso e il presente decreto alla controparte entro il 7.5.2021 (quindi, 38 giorni)»; Trib. Vicenza, 19 gennaio 2021: notifica «alla controparte almeno trenta giorni prima della data fissata per la costituzione del convenuto» (anche se in un passato recente la formula del decreto prevedeva la fissazione del termine di notifica, scritto a penna, a distanza di un lasso più adeguato di tempo dal termine di costituzione); Trib. Pordenone, decreto dd. 22 dicembre 2020: «notifica al convenuto del ricorso e del presente decreto almeno 30 giorni prima»; Trib. Venezia, decreto dd. 26 ottobre 2020: «il Giudice (…) fissa per la comparizione delle parti dinanzi a sé l'udienza del 28.1.2021 (…) assegna termine per la notifica del ricorso e del presente decreto fino al 20.12.2020 (quindi 29 giorni)»; Trib. Trieste, decreto 22 giugno 2020: notifica «alla controparte almeno trenta giorni prima della data fissata per la costituzione della stessa»; Trib. Gorizia, decreto dd. 8 maggio 2020: notifica «alla controparte almeno trenta giorni prima della data fissata per la costituzione del convenuto»; Trib. Treviso, decreto 02 luglio 2018: «notifica almeno trenta giorni prima del termine fissato per la sua costituzione».

Va, infine, segnalata la prassi invalsa al Tribunale di Udine di fissare l'udienza di comparizione a distanza piuttosto generosa, ma di non assegnare al ricorrente alcun termine per la notifica del ricorso e del decreto. In tali evenienze, il termine effettivo di costituzione del convenuto è ovviamente rimesso all'arbitrio mero del ricorrente. E qui, per vero, va rimarcato il grande fair play degli Avvocati che, alla fine, consentono a chi deve difendersi di avere a disposizione un adeguato lasso di tempo. Il sistema, in pratica, ha trovato da sé il proprio ubi consistam.
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Inoltre, e com'è noto, costituendosi in un procedimento con rito sommario, il convenuto – a mente del quarto comma dell'art. 702 bis c.p.c. – deve presentare la completa discovery istruttoria, attività che, nel rito ordinario, è differita alla seconda memoria di cui all'art.183, comma 6, c.p.c.

Infine, l'ordinanza da pronunciarsi in base al terzo comma dell'art. 702 ter c.p.c. non appare, in questo caso, applicabile per la specificità che connota il rito sommario di cognizione.

Tale particolarità, come appena ricordato, risiede nell'obbligatorietà per le parti – specie per il ricorrente – di dedurre nell'atto introduttivo tutte le istanze istruttorie, ciò in quanto solo attraverso le concrete allegazioni del thema decidendum e probandum delle parti il giudice può valutare se la causa possa o meno essere decisa con una istruzione sommaria (Cass. civ., n. 24538/2018).

La delibazione giudiziale cha va preliminarmente svolta a livello di ammissibilità deve determinare il rigetto de plano della domanda se il giudice si avvede che, sulla base delle prove dedotte, essa non risulta fondata. La valutazione sulla conversione del rito va sempre svolta in riferimento alla già raggiunta sufficienza probatoria, poiché, diversamente, il giudice – che deve decidere iuxta alligata et probata - si avvarrebbe dei propri poteri istruttori per surrogarsi surrettiziamente alle parti.

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NOTA: Si veda Cass. civ., n. 24538/2018, cit.: «La valutazione in merito alla conversione del rito non può essere, quindi, condotta sulla base dell'insufficienza o dell'inidoneità delle prove dedotte a fondamento della domanda, altrimenti la conversione del rito consentirebbe di rimettere nei termini la parte ricorrente per le allegazioni istruttorie, aprendo ad ipotesi di conversione del rito determinate non dalla natura non sommaria dell'istruttoria da compiere, ma da carenze nelle deduzioni delle prove: ipotesi di conversione del rito non contemplata affatto dall'art. 702 ter c.p.c. Tantomeno può pretendersi che, in applicazione dell'art. 702 ter c.p.c., comma 5, il giudice superi, avvalendosi dei propri poteri istruttori, eventuali carenze od omissioni probatorie. La disposizione non depone affatto per un superamento o un'attenuazione, nell'ambito del procedimento sommario, dell'onere della prova, come del principio di disponibilità delle prove (Cass. 25 novembre 2014, n. 4485). Va considerato che il rito sommario mira a definire la lite con rapidità, in ragione della più o meno manifesta fondatezza o infondatezza della domanda e della dipendenza del relativo accertamento da poche e semplici acquisizioni probatorie. La scelta del giudice di merito di esercitare gli ampi poteri d'iniziativa istruttoria, concessigli dall'art. 702 ter c.p.c., comma 5, esprime una valutazione discrezionale, insindacabile in sede di legittimità».
Nello stesso senso, in dottrina si veda C. Consolo, P. Bertollini, A. Buonafede, Il tentativo obbligatorio di conciliazione” nelle forme di cui all'art. 696 bis c.p.c. e il successivo favor per il rito semplificato, 6, 2017, p. 763: «Il danneggiato che intenda far valere una responsabilità medico-sanitaria, quindi, ha l'onere di proporre - è questa l'ipotesi più lineare - ricorso ex art. 696 bis c.p.c., al fine (se la conciliazione sulla base della consulenza tecnica non riesce) quantomeno di preparare la “base istruttoria” del rito sommario semplificato, che si caratterizza appunto per la trattazione/istruzione relativamente deformalizzata, e quindi abbordabile con semplicità di forme e in tempi brevi»).
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Non a caso, del resto, in giurisprudenza si ritiene appropriato il rito sommario quando le questioni poste dalle parti siano definibili allo stato degli atti ovvero attraverso un'attività istruttoria di mero contorno (nel senso di arricchimento di dati già acquisiti ovvero di dimostrazione di fatti secondari).

Sembra, quindi, escluso che la parte che ha assolto alla procedibilità dell'azione giudiziale mediante un verbale negativo di mediazione possa accedere al rito sommario e ciò in quanto onererebbe il giudice a ricercare, in sua vece, la prova: la CTU, com'è ben noto, nei giudizi di responsabilità medica ha natura percipiente e costituisce essa stessa fonte di prova (Cass. Civ., Sez. VI, 3 luglio 2020, n. 13736).

In una simile tale evenienza, dunque, il giudice dovrebbe ordinare il mutamento del rito proprio per ricercare la prova che avrebbe dovuto essere prodotta dall'istante, cioè la CTU. Ma ciò, come si è esaminato, appare ontologicamente incompatibile con il rito prescelto (Nello stesso senso Trib. Udine (est. Carnimeo), ordinanza ex art. 702 ter, c. 5, c.p.c. dd. 20 ottobre 2020: «trattandosi di procedimento sommario ed in mancanza di istanze probatorie dei ricorrenti, che hanno prospettato una decisione sulla base dei documenti prodotti, costituirebbe violazione delle regole in materia di onere della prova dare sfogo alle istanze istruttorie della convenuta nel caso dai documenti prodotti non fossero desumibili le prove del nesso causale e del danno»).

Conclusioni

Le considerazioni che si sono fin qui svolte portano a ritenere che, in tema di responsabilità medica, il rito sommario di cognizione possa legittimamente introdursi solo quando la condizione di procedibilità è rappresentata dall'ATP (Cfr. V. Amirante, op. cit.: «Al Tribunale di Roma si ritiene che in linea di massima ove la parte abbia assolto la condizione di procedibilità con il procedimento per ATP ex art. 696 bis c.p.c. il giudizio di merito andrà introdotto con ricorso ex art. 702 bis e svolto con il rito sommario, ove invece abbia svolto il tentativo di mediazione il giudizio di merito andrà introdotto con citazione e svolto con il rito ordinario». Nello stesso senso, si veda M. Bove, Responsabilità sanitaria ed esperimento di ADR come condizione di procedibilità: su alcune questioni aperte, in Riv. arb., 3, 1° settembre 2019, p. 587, nota n. 9: «A mio parere il rito “naturale” dovrebbe essere quello ordinario ove la soluzione della lite esiga lo svolgimento di una CTU non compiuta prima della causa, mentre dovrebbe essere il rito sommario ove non vi sia bisogno dell'acquisizione del sapere tecnico»).

Nel caso in cui, diversamente, la parte sia in possesso del verbale negativo di mediazione la causa di merito andrà introdotta solo accedendo al rito ordinario.

Qualora, in questa ipotesi, l'interessato – sbagliando – dovesse, invece, optare per il rito sommario, il giudice dovrà applicare il secondo comma dell'art. 702 ter e dichiarare inammissibile la domanda con ordinanza non impugnabile siccome non rientrante in quelle indicate dall'art. 702 bis, letto in unum con l'art. 8 della Legge Gelli.

L'improcedibilità non potrebbe essere, infatti, pronunciata in quanto la mediazione si è svolta, diversamente dal caso in cui la parte avesse adottato il rito sommario in totale assenza sia della mediazione che dell'ATP: in tale ipotesi, pertanto, il giudice dichiarerà l'improcedibilità e provvederà ai sensi dell'art. 8, l. n. 24/2017 (in senso conforme, si veda M Polizzi, L'accertamento tecnico preventivo obbligatorio nelle controversie per responsabilità sanitaria: note sparse, in diritto.it, 18 febbraio 2020: «Come osservato in letteratura, è possibile affermare che, sulla base del tenore letterale della norma di riferimento, la facoltà di scelta tra l'atp conciliativo e la mediazione è concessa al preteso danneggiato solo nel caso di introduzione della conciliazione ante causam; diversamente, il giudice che si avveda del mancato esperimento della conciliazione concederà il termine perentorio di quindici giorni per la presentazione della sola istanza di atp ex art. 696 bis c.p.c.»).

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