Riflessioni sulle proposte formulate dalla Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria

Andrea Carinci
05 Agosto 2021

Nonostante il poco tempo a disposizione, la Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria ha, infatti, portato a termine il compito che le era stato assegnato, ossia formulare proposte per la riforma della giustizia tributaria. In realtà, è andata addirittura oltre, posto che di proposte ne ha presentate due.
Le soluzioni della Commissione: dualismo o debolezza?

Alla fine, la Commissione è riuscita nel suo intento.

Nonostante il poco tempo a disposizione, la Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria ha, infatti, portato a termine il compito che le era stato assegnato, ossia formulare proposte per la riforma della giustizia tributaria. In realtà, è andata addirittura oltre, posto che di proposte ne ha presentate due. E qui sta la prima perplessità.

Incaricata di elaborare una soluzione in grado di rispondere agli oramai annosi problemi della giustizia tributaria (che la Commissione puntualmente ripercorre, con piena consapevolezza), uno per tutti la professionalizzazione (i giudici tributari sono infatti ancora giudici onorari), la Commissione non è riuscita a trovare una sintesi; si è vista così costretta a prospettare ben due soluzioni: una condivisa dalla maggioranza dei componenti ed una dalla minoranza.

Il problema è che si tratta di due soluzioni tra loro inconciliabili: la prima, della maggioranza, ipotizza una professionalizzazione forte del giudice tributario, da reclutare per concorso ed in modo da coprire tutto il perimetro della giustizia tributaria, dal merito alla Cassazione. La seconda proposta, invece, mira ad assicurare la professionalizzazione solo nel grado di appello e, comunque, solo per priorità di impegno: non si richiede infatti alcun concorso ma si prevede una scrematura per titolo per accedere ai ruoli ed una dedizione in modo “esclusivo o prevalente” delle funzioni di giudice tributario.

Due proposte, insomma, difficilmente unificabili. Senza volere entrare nel merito delle due proposte, ampiamente discusse e commentate, si vuole qui solamente osservare come questo dualismo rischi di trasformarsi in una debolezza per la prospettiva di riforma della giustizia tributaria che, difatti, non sembra al momento ricevere le medesime attenzioni riservate agli altri e concorrenti progetti di riforma. Probabilmente, dal punto di vista anche tattico, sarebbe stato preferibile imporre ‘democraticamente' la sola soluzione della maggioranza, pur corredata della dissenting opinion della minoranza.

Le altre proposte specifiche del processo tributario

Ma vi sono però altri aspetti che meritano una considerazione nel lavoro della Commissione.

Il lavoro della Commissione è un lavoro ampio e colto, con tante idee, dove però è chiaramente mancato il tempo per dare adeguata compiutezza a quelle idee. Accanto alla proposta principale avente ad oggetto la riforma dei giudici tributari sono state avanzate, da parte della Commissione, altre proposte su taluni specifici del processo tributario, che tuttavia appaiono assai eterogenee per collocazione, funzione ed obiettivi.

Ma andiamo con ordine.

Da un lato, lascia un po' l'amaro in bocca la scelta di non intervenire sulla mediazione di cui all'art. 17-bis del d.Lgs. n. 546/1992. Pur comprensibili le ragioni della Commissione, a sommesso avviso di chi scrive sono forse stati sottovalutati i possibili benefici di una riforma che andasse nel senso di ampliarne l'operatività (superando l'attuale soglia di € 50.000) affidandone il funzionamento ad un organo effettivamente terzo ed imparziale. Se la mediazione, così com'è, ha avuto successo - come riferito – una sua riformulazione nel senso indicato avrebbe certamente potuto dare un contributo importante alla deflazione del processo tributario, ancora marcatamente schiacciato su controversie di valore modesto. È infatti l'assenza di vera imparzialità – particolarmente grave nell'ambito della fiscalità locale - il principale difetto che viene lamentato nella mediazione: non a caso, una soluzione in questo senso era diffusamente auspicata. Peraltro, anche dal punto di vista pratico, nella mediazione trova più agevole giustificazione una funzione onoraria, perché nella mediazione – che si sostanzia nella ricerca di una soluzione concordata - resta possibile pronunciare secondo equità e non necessariamente secondo diritto.

Piuttosto, è apprezzabile la proposta volta a potenziare la conciliazione, prevedendo un aggravio nelle spese processuali a carico della parte che non vi aderisca; semmai, sorprende che la Commissione non si sia preoccupata di prevedere l'estensione della conciliazione nel grado di legittimità, che è invece una mancanza molto sentita nella pratica.

Assolutamente condivisibile è poi l'intendimento della Commissione di introdurre l'obbligatorietà del contraddittorio preventivo, in modo da superare la giurisprudenza della Corte di Cassazione che ancora si trincera dietro la mancata previsione positiva di un siffatto obbligo. La proposta, che si compendia nell'introduzione di una norma ad hoc nel corpo dello Statuto del Contribuente, pecca però di eccesso di zelo e di una mancanza pesante. Da un lato, si prevede l'obbligo di contraddittorio anche per gli atti di riscossione; sennonché, se sono realmente tali, non vi sono margini per contraddire: o si è pagato o non si è pagato. Dall'altro, è stata prevista l'obbligatorietà del contraddittorio senza però contemplare altresì l'obbligo per l'ente impositore di replicare alle osservazioni del contribuente, secondo il modello della cd. motivazione rafforzata, che costituisce la vera cifra del contraddittorio nelle ipotesi in cui è previsto (all'art. 10-bis della L. n. 212/2000 e nell'art. 16 del d.Lgs. n. 472/1997). In mancanza di un simile obbligo, infatti, la norma rischia di fare la fine dell'art. 12, co. 7, della L. n. 212/2000, che contiene una norma di improcedibilità all'azione accertativa ma non certo un contraddittorio.

Un'altra perplessità la suscita la proposta avente ad oggetto l'obbligatorietà dell'autotutela. La Commissione propone infatti l'obbligo per l'Amministrazione finanziaria di provvedere in autotutela, anche se in talune specifiche circostanze che dovrebbero cogliere i casi di marcata ingiustizia dell'atto (errore di persona, doppia imposizione, mancata considerazione di pagamenti ecc.). Un obbligo peraltro coartabile, nel senso che viene poi prevista la possibilità di impugnare il rifiuto espresso o tacito all'istanza di autotutela.

Qui i dubbi sono di ordine sistematico, in quanto, pur comprendendo le ragioni della Commissione, si viene ad ipotizzare uno strumento che sovverte le regole del processo tributario. È vero che, oramai, l'idoneità dell'atto a divenire definitivo non costituisce più un requisito di impugnabilità (il riferimento è alla cd. impugnazione facoltativa); a ben vedere, però, dove ciò accade è solo perché si è di fronte ad atti dove manca una previsione espressa di impugnabilità dell'atto, che può creare confusione in capo al contribuente. Di fronte ad atti tipizzati, dove quindi una simile confusione non è invocabile, non si giustifica, in termini sistematici, la possibilità di rimettere in termini il contribuente che, ricevuto un atto, non lo ha impugnato tempestivamente.

Il tema dell'ingiustizia di un atto, come di una sentenza, deve invero trovare un limite nel valore fondamentale della certezza del diritto.

Vi è poi la proposta sull'introduzione della prova testimoniale, che in realtà appare meno eversiva di quanto possa apparire, posto che nelle intenzioni della Commissione la prova sarebbe comunque solo in forma di prova costituita, quindi da predisporre fuori dal giudizio e da produrre per iscritto: in definitiva, viene positivizzato ciò che la giurisprudenza in parte già consente. Lo stesso può ripetersi per i limiti prospettati all'impugnazione dell'estratto di ruolo, dal momento che, a rigore, non è impugnabile l'estratto bensì e solo gli atti che vi sono indicati e di cui si lamenta la mancata notifica.

Non ci sono invece molte proposte con riguardo al giudizio in Cassazione, nonostante che questo costituisse il principale oggetto di intervento per la Commissione. Qui, in particolare, seppur evocata non ha trovato seguito la proposta, formulata in dottrina, di introdurre in Cassazione strumenti già noti nel giudizio amministrativo come, in particolare, la perenzione: di prevedere, cioè, che se le parti non manifestano un interesse attuale al giudizio (cosa che, diversamente da quello che afferma la Commissione, non accade solo in caso di modifica normativa ma, semmai e più spesso, perché il soggetto ricorrente è nel frattempo estinto/cancellato), non vi è ragione per coinvolgere i giudici in una decisione che, verosimilmente, resterà assolutamente inutile. La Commissione, come detto, evoca l'istituto ma senza dare alcun seguito alla proposta; piuttosto, suggerisce l'introduzione anche nel giudizio tributario del cd. rinvio pregiudiziale in Cassazione. Come questo possa deflazionare il giudizio di legittimità, in realtà, non è chiarissimo anche perché è verosimile immaginare contestazioni anche in merito l'applicazione del principio di diritto elaborato in seno al rinvio pregiudiziale (come del resto accade già nei giudizi di riassunzione, che infatti sovente tornano in Cassazione). Nelle intenzioni, poi, dovrebbe prevenire i ricorsi in cassazione, sennonché, pur incidentale e pregiudiziale, resta un giudizio di legittimità che impegnerà la Cassazione.

In conclusione

In conclusione, il lavoro della Commissione offre interessantissimi spunti di dibattito.

Al di là dei possibili rilievi critici, l'auspicio resta comunque che il Legislatore possa dare un seguito alle proposte della Commissione, che, in ogni caso, rappresentano un serio tentativo di andare avanti nell'auspicato processo di riforma della giustizia tributaria.

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