Covid-19, dal green pass alla vaccinazione obbligatoria di massa: spunti per una riflessione

Vito Amendolagine
05 Agosto 2021

Il presente elaborato si propone di illustrare l'introduzione anche in Italia del green pass sul modello europeo, e la sua possibile estensione alla quasi totalità delle attività quotidiane, scrutinandone l'effettiva utilità ed impatto nella lotta al virus. Tutto ciò, alla luce delle problematiche strettamente connesse alle ragioni che possono avere indotto il legislatore a non introdurre sino ad oggi la vaccinazione obbligatoria anti covid-19.
Premessa

In questi giorni, i singoli Stati discutono a livello governativo, come affrontare la nuova variante denominata “Delta” del Coronavirus, l'ultima in ordine cronologico fra quelle che hanno contraddistinto la continua mutazione del virus.

La discussione in corso nei vari paesi europei, riguarda l'individuazione della soluzione più corretta per fronteggiare la nuova mutazione del Covid-19, nell'ottica volta a perseguire una duplice finalità: da un lato, la tutela della salute pubblica e, dall'altro, la tutela dell'economia nazionale di ciascuno Stato, basata sull'assioma secondo cui la preservazione della seconda non sarebbe possibile senza un'efficace salvaguardia della prima.

Nei successivi paragrafi, muovendo dalla risposta che con ogni probabilità ciascuno Stato europeo adotterà in quello che sembra potersi definire come il secondo atto della battaglia contro il Covid-19, si cercherà di individuare pregi e difetti dell'adozione del green pass, ed in particolare, l'impatto con le possibili conseguenze non soltanto sui diritti e libertà individuali, ma soprattutto per quanto attiene alla stessa concreta possibilità di incidere nell'azione di contrasto al virus.

Alla radice del problema: la prevenzione della diffusione del virus

Fin dalla nascita della pandemia, la prima rilevante questione che ha interessato gli Stati, ha riguardato la delineazione di un idoneo perimetro normativo di misure volte a prevenire la diffusione del covid-19 principalmente riassumibili nel distanziamento tra persone, in modo da evitarne l'assembramento, accompagnate dall'utilizzo in ambienti chiusi - e nei momenti di massima allerta anche all'aperto – dall'utilizzo di dispositivi personali (mascherine di tipo sanitario) per contenere al minimo ogni possibilità di contagio interpersonale.

Le pur stringenti misure di prevenzione, che hanno interessato anche intere aree territoriali locali e finanche nazionali con l'istituzione di zone colorate (rosse, arancioni, gialle, bianche), non essendo risolutive del problema, hanno avuto unicamente il pregio di limitare al massimo la capacità di diffusione del virus riservando all'individuazione di una soluzione di tipo farmacologico (vaccino) la misura ritenuta più idonea per raggiungere l'immunità di gregge.

Dalla prevenzione alla possibile soluzione nell'azione di contrasto al coronavirus: il vaccino

La messa in commercio del vaccino, frutto degli studi e ricerche intraprese in un brevissimo arco temporale dalla comunità scientifica internazionale, ed elaborati dalle case farmaceutiche, ha rappresentato il passo successivo alla prevenzione, costituente la vera risposta di attacco al virus.

Trattasi tuttavia, di un rimedio rivelatosi idoneo ma non in senso assoluto nel senso di garantire il “rischio zero”, perché la relativa copertura in nessun caso raggiunge il 100% della protezione contro il virus, il quale a sua volta muta in continuazione, con la conseguenza che anche i soggetti vaccinati che hanno già preso la seconda dose, devono comunque prestare la massima attenzione nei rapporti interpersonali. Infatti, non è esclusa anche per loro la possibilità di potere contrarre il virus, anche se (presumibilmente) con minori lesioni o danni alla persona.

In realtà, sotto tale aspetto, occorre altresì considerare l'ulteriore questione della capacità anche per i vaccinati di essere loro stessi dei possibili veicoli di trasmissione per altre persone, vaccinate e non, le cui conseguenze variano sensibilmente a seconda delle condizioni di salute della singola persona.

Un vaccinato fragile se contrae il virus da altro soggetto vaccinato o non vaccinato, può indubbiamente riportare conseguenze dannose per la propria salute sicuramente maggiori rispetto a quelle di un soggetto vaccinato o non vaccinato (asintomatico) in perfetta salute, che non abbia pregresse patologie o che non sia un soggetto immunodepresso.

Lo stesso ragionamento vale ovviamente anche nell'ipotesi inversa, in cui è lo stesso vaccinato che potrebbe trovarsi nella condizione di trasmettere inconsapevolmente il virus precedentemente contratto in una qualsiasi occasione o modalità ad un altro soggetto, che benché a sua volta vaccinato, complice una propria pregressa condizione di fragilità potrebbe ricevere il virus, con un grado d'incidenza negativo sulla salute probabilmente maggiore rispetto ad un vaccinato in perfette condizioni fisiche.

Dalle pur brevi considerazioni che precedono, emerge dunque una verità difficilmente controvertibile: il vaccino è sicuramente un rimedio idoneo a prevenire l'insorgenza della malattia ovvero a mitigarne gli effetti negativi, ma di per sé non risolve alla radice il problema.

Il green pass può segnare il passo d'addio verso la fine dello stato d'emergenza da covid-19?

Il green pass è un passaporto sanitario attestante l'avvenuta vaccinazione ovvero la guarigione di una persona dal covid 19 laddove in passato già contagiata, certificandone l'immunità relativa entro un certo periodo, di fatto, coincidente con quello di durata della copertura vaccinale o della presenza degli anticorpi del virus se contratto in precedenza dalla stessa persona.

Va subito chiarito che il possesso di tale status, di per sé, non vale ad escludere la possibilità di incorrere in provvedimenti di quarantena, sia in Italia sia in particolare, all'estero emessi dalle competenti autorità sanitarie degli Stati in cui ci si reca per motivi di soggiorno, lavoro o magari solo per semplice turismo.

Infatti, come dimostra la più recente esperienza, è sufficiente il semplice contatto di un vaccinato (dotato di green pass) con altro soggetto (non importa se a sua volta vaccinato o meno) positivo al covid-19, per dovere sottostare alle locali norme vigenti sulla quarantena.

Il Ministero degli Esteri italiano ha recentemente diramato una comunicazione nella quale si fa presente ai cittadini italiani che si recano all'estero per qualsiasi motivo di mettere nel conto anche la possibilità di incorrere in tale eventualità, per sopperire alla quale, potrebbe quindi essere opportuno sottoscrivere una polizza assicurativa sanitaria anti covi-19 che copra tutte le relative spese di soggiorno forzato (vitto, alloggio, spese sanitarie anche solo per i tamponi e le analisi) fino all'accertata negatività al virus.

Ciò premesso, la ratio della vaccinazione di massa poggia sulla necessità di raggiungere quanto prima la “immunità di gregge”, ritenuta uno dei presupposti per evitare un passo indietro nella lotta al virus, ovvero l'imposizione da parte delle competenti autorità di nuove chiusure e restrizioni alla libera circolazione delle persone, dentro e fuori il territorio nazionale, ed al suo stesso interno, con specifico riferimento a circoscritti ambiti territoriali locali.

In tale ottica, il vero problema, è quindi, da un lato, l'effettivo valore certificativo del green pass come lasciapassare e, dall'altro, la possibilità di estenderlo ope legis indiscriminatamente a tutta la popolazione residente - e sempre per ragioni di sicurezza e prevenzione nella lotta al virus, anche a tutti coloro che a qualsiasi titolo si trovano a soggiornare sul territorio nazionale (basti pensare ai migranti e ai turisti) - rendendolo cioè obbligatorio per accedere ad una serie di prestazioni e/o di servizi, magari anche di carattere essenziale per la persona, pur in assenza di una correlata obbligatorietà alla vaccinazione di massa dal covid-19.

Quanto all'effettivo valore certificativo non occorre spendere molte parole, poiché si è già ricordato quanto sta avvenendo in altri Stati nell'estendere la quarantena anche ai possessori del green pass, sulla cui scorta appare evidente che alla cd. “patente di immunizzazione” al virus covid-19 non sembra potersi riconoscere un valore certificativo “assoluto”, in grado di consentire all'intestatario di circolare “sempre e comunque” liberamente, soprattutto all'estero, nel caso in cui abbia avuto inconsapevolmente un contatto con uno o più soggetti che siano risultati positivi al virus.

L'attenzione, inevitabilmente si sposta quindi sulle condizioni che dovrebbero consentire di rendere obbligatorio il green pass per potere accedere non solo a tutta una serie di eventi a rischio di grandi assembramenti (stadi, teatri, cinema, sale ricevimenti, convegni, etc.) ma anche in tutti quei locali al “chiuso”, in cui è possibile il verificarsi di una analoga situazione, benché in misura ridotta, sia se trattasi di locali in cui non è indispensabile recarsi (bar, ristoranti, sale giochi, etc.), sia in luoghi in cui invece per la persona non vaccinata è necessario recarsi per sopperire ad esigenze primarie (si pensi alla necessità di spostarsi in aereo od in treno, od in ambito urbano con i mezzi di trasporto pubblici), od ancora, in luoghi riguardanti la stessa tutela della salute (come gli ospedali, gli ambulatori medici, i centri di analisi cliniche) od in cui lo stesso individuo è costretto a recarsi per non sottrarsi ad un espresso obbligo di legge (ad esempio per rendere una testimonianza od un interrogatorio in un processo civile o penale), o per ragioni anche solo squisitamente professionali (basti pensare ad un avvocato chiamato d'urgenza a difendere anche d'ufficio un imputato in un processo penale per direttissima o con giudizio immediato per la convalida di un fermo o ad un magistrato per recarsi in tribunale a celebrare l'udienza; od ancora ad un professionista precedentemente chiamato a ricoprire l'ufficio di consulente tecnico del giudice; ad un conducente di taxi chiamato per eseguire il trasporto d'urgenza di un privato, etc. anche in queste ed altre ipotesi sarà necessario avere il green pass, considerato che trattasi anche in questi casi di luoghi al chiuso ed a rischio assembramenti, anche se almeno per quanto concerne gli ambienti giudiziari in misura minima per effetto dei vari protocolli già esistenti all'interno degli stessi uffici).

Al riguardo, va quindi precisato che in presenza di una pandemia - tutt'ora in atto, giacché il nemico pubblico numero uno non può certo dirsi sconfitto - se è certamente lecita la compressione di determinati diritti della persona, anche di rango costituzionale, al fine di preservare la salute pubblica, la stessa non può però spingersi fino al punto di eliderli completamente, soprattutto se il rimedio che dovrebbe contenerla (vaccino) non è reso obbligatorio per tutti coloro che a qualsiasi titolo e per una qualunque ragione anche solo contingente, si trovano a soggiornare sul territorio nazionale.

È quindi evidente come nell'attuale contesto storico, il green pass non sembra avere i requisiti per potere segnare la fine dell'emergenza da covid-19, mancando in radice il presupposto fondativo che dovrebbe renderne legittima l'obbligatorietà, a maggiore ragione laddove estesa ad una serie indefinita di eventi ed attività della vita quotidiana riguardanti la singola persona.

Appare infatti un controsenso affermare che il vaccino anti covid-19 non è obbligatorio ma lo è invece il possesso del green pass per avere la possibilità di accedere in ospedale od in un qualunque ufficio giudiziario, ovvero anche solo per andare al bar o dal barbiere, od ancora per recarsi in un supermercato a fare la spesa di generi alimentari di prima necessità.

In tale ottica, andrebbe allora scrutinata la ragione per la quale almeno sino ad oggi, il vaccino anti covid-19 non è stato reso obbligatorio per tutti - come invece è accaduto per altri vaccini necessari per sconfiggere gravi malattie, si pensi al vaiolo ed alla poliomielite, o come quelli presenti nella l. 31 luglio 2017, n.119 - atteso che la Costituzione italiana ammette i trattamenti sanitari obbligatori disposti ex lege se adeguatamente giustificati e nel rispetto della persona.

L'obbligatorietà del vaccino anti covi-19 ed i possibili danni collaterali alla salute individuale

E' evidente che rendere obbligatorio il vaccino anti covid-19 qualora dovesse produrre ad un soggetto effetti collaterali dannosi per la propria salute, potrebbe significare esporre lo Stato alle conseguenti azioni indennitarie e risarcitorie di chi ha subito un danno, e che conseguentemente, pretenderebbe di essere indennizzato/risarcito, essendo stato costretto a sottoporsi a tale tipologia di trattamento in forza di un espresso e specifico obbligo di legge, dunque da una situazione equiparabile (in negativo) ad una sorta di factum principis, come tale, indipendente dalla volontà di autodeterminazione del singolo individuo.

Non è certo un caso se attualmente, in assenza di una previsione sull'obbligatorietà del vaccino anti covid-19 ciascun soggetto che si sottopone al relativo trattamento lo fa a proprio rischio e pericolo, sottoscrivendo prima dell'inoculazione un apposito “modulo di consenso” al fine di esonerare non solo chi materialmente esegue la vaccinazione ma anche l'autorità amministrativa competente da eventuali azioni, eventualmente anche di natura penale.

Infatti, in detto modulo, il vaccinando oltre ad esprimere il consenso informato, a tale fine, dichiarando di essere stato correttamente informato con parole chiare al medesimo vaccinando, e di avere compreso i benefici ed i rischi della vaccinazione, si prevede espressamente che il vaccino può causare una serie di reazioni avverse molto comuni ed altre non comuni, oltre a quelle rare per lo più di tipo allergico (le cui conseguenze non sono prevedibili), con l'ulteriore precisazione che l'elenco delle possibili reazioni avverse esposto nell'anzidetto modulo non è esaustivo di tutti i possibili effetti indesiderati che potrebbero manifestarsi nella singola persona, ed in ogni caso che non è possibile al momento prevedere danni a lunga distanza (i cd. danni lungolatenti).

Conseguentemente, in assenza di un'obbligatorietà alla vaccinazione di massa da covid-19, è il singolo vaccinando a dovere acconsentire ed autorizzare la somministrazione del vaccino sulla propria persona, in tale modo assumendosene in toto ogni conseguenziale rischio.

Il possibile verificarsi di incidenti collaterali anche gravi per la salute del vaccinando (sebbene attualmente in una misura casistica estremamente contenuta rispetto alla totalità delle somministrazioni, la quale, potrebbe comunque rappresentare un costo tutt'altro che indifferente in caso di lesioni estremamente gravi ed irreparabili) non può non essere stato opportunamente considerato dal legislatore; si tenga conto che già in sede di acquisizione dei vaccini da parte delle aziende farmaceutiche, per una qualche ragione, si è deciso di elidere la possibile configurazione di una responsabilità di queste ultime per effetto dell'insorgenza di possibili agenti patogeni collaterali causati direttamente od indirettamente dall'inoculazione del vaccino di cui si discute.

La ragione per cui il Governo sino ad oggi ha scelto di percorrere la strada della “moral suasion” concepita per indurre il cittadino “spontaneamente” alla vaccinazione, può ravvisarsi principalmente nella l. 25 febbraio 1992, n. 210, laddove si prevede a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, che lo Stato si faccia carico di indennizzare coloro che alleghino e provino di avere riportato tale tipologia di lesioni per effetto dell'inoculazione di un vaccino obbligatorio - trattandosi pur sempre di un rischio che viene imposto a ciascuno per il bene della collettività, ed in quanto tale, deve quindi essere indennizzato.

Le tutele indennitaria e risarcitoria sono autonomamente invocabili anche in presenza di una “raccomandazione” alla vaccinazione al SARS-CoV-2?

La Corte costituzionale con pronuncia del 23 giugno 2020, n. 118, ha affermato che, in presenza di un'effettiva campagna a favore di un determinato trattamento vaccinale, è naturale che si sviluppi negli individui un affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorità sanitarie.
Ciò di per sé rende la scelta individuale di aderire alla “raccomandazione” obiettivamente votata alla salvaguardia anche dell'interesse collettivo, al di là delle particolari motivazioni che muovono i singoli, ragione per cui la Corte ha ricordato come la giurisprudenza costituzionale ha conseguentemente riconosciuto che, in virtù degli artt. 2, 3 e 32 Cost., è necessaria la traslazione in capo alla collettività, favorita dalle scelte individuali, degli effetti dannosi che da queste eventualmente conseguano.

Pertanto, la ragione che fonda il diritto all'indennizzo del singolo vaccinato che abbia ricevuto una lesione riconducibile all'assunzione del vaccino, non risiede nel fatto che questi si sia sottoposto ad un trattamento obbligatorio, ma sul necessario adempimento, che si impone alla collettività, di un dovere di solidarietà, laddove le conseguenze negative per l'integrità psico-fisica derivino da un trattamento sanitario - obbligatorio od anche solo “raccomandato” - effettuato nell'interesse della collettività stessa, oltre che in quello individuale.

Ciò consente di ritenere che la mancata previsione del diritto all'indennizzo, in caso di patologie irreversibili derivanti da determinate vaccinazioni anche solo “raccomandate”, in realtà si risolve in una lesione degli artt. 2, 3 e 32 Cost. perché sono le esigenze di solidarietà costituzionalmente previste, oltre che la tutela del diritto alla salute del singolo, a richiedere che sia la collettività ad accollarsi l'onere del pregiudizio da questi subìto, mentre sarebbe ingiusto consentire che l'individuo danneggiato sopporti da solo il costo del beneficio anche collettivo (Corte Cost., 14 dicembre 2017, n.268; Corte cost., 26 aprile 2012, n. 107).

Analoga questione potrebbe dunque porsi anche con riferimento all'eventualità in cui il danneggiato decida di incardinare un giudizio di responsabilità al fine di ottenere l'integrale riparazione del danno, nel caso in cui ricorrano gli estremi di una responsabilità per colpa, in quanto la citata l. 25 febbraio 1992, n.210, modificata dalla l. 25 luglio 1997, n.238, non esclude la possibile ricorrenza di una responsabilità aquiliana, sia sotto il profilo dell'an che del quantum debeatur.

In conclusione

La salute è tutelata dall'art. 32 della Costituzione: “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”, sulla cui scorta è possibile affermare che in quest'ordine esiste un preciso diritto dell'individuo ed un generico interesse della collettività alla salvaguardia del bene “salute”.

In tale ottica, la precisazione contenuta nell'art. 32, c.2, Cost. rappresenta il corollario di quanto esposto nel comma uno, laddove afferma che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Ciò significa da un lato che la salute pubblica muove dalla concezione primaria della tutela della salute individuale, e, dall'altro, che la salute non è soltanto un diritto fondamentale dell'individuo, ma è anche interesse della collettività, in un'ottica chiaramente volta a valorizzare il noto principio per cui il proprio diritto trova limite nel reciproco riconoscimento e nell'eguale protezione del diritto degli altri (Corte cost., n.218/1994).

Conseguentemente, la vaccinazione obbligatoria è sicuramente ammessa dalla Costituzione, ma nel rispetto del doppio limite che i trattamenti siano imposti per legge e non comportino conseguenze negative per la salute di chi vi è assoggettato, salvo il limite delle conseguenze tollerabili in ragione della loro “temporaneità e scarsa entità” (Corte cost., n. 309/1990) e salvo l'eventuale indennizzo/risarcimento; si tenga altresì presente che la compressione della libertà di autodeterminazione della singola persona sulla propria salute al fine di tutelare l'interesse collettivo, deve poggiare sul rispetto di un rapporto di proporzionalità che si risolva in un adeguato giudizio di bilanciamento tra diversi valori di rango costituzionale, anche rispetto a forme di obiezione di coscienza.

Tale impostazione appare quindi destinata a complicarsi nel caso in cui il vaccino anti covid-19 impedisca al vaccinato di contagiarsi o di contrarre la patologia in forma grave, ma non anche di contagiare, perché in tale ipotesi, l'obbligatorietà della vaccinazione sarebbe diretta esclusivamente a migliorare o preservare la salute del danneggiato ma non avrebbe effetti positivi ricadenti sulla tutela della salute della collettività.

Le varie problematiche che necessariamente entrano in gioco in sede di elaborazione di una soluzione che preveda l'obbligo indistintamente per tutti di sottoporsi alla vaccinazione obbligatoria anti covid-19, fa allora comprendere perché sino ad oggi sia stata evitata, tentando la strada che porta a conseguire spontaneamente lo stesso risultato attraverso una serie di misure che gradatamente vanno: dalla cd. moral suasion espressa in forma di raccomandazione pubblica fatta in ambito istituzionale, fino alla più drastica previsione dell'obbligatorietà del green pass per accedere praticamente in ogni luogo chiuso aperto al pubblico, il che equivale nella sostanza a rendere di fatto obbligatorio il vaccino anti covid-19 essendo l'unica condizione richiesta ex lege per ottenere il suddetto lasciapassare sanitario.

In realtà, riflettendo bene, si tratta di una soluzione che non ha la stessa copertura costituzionale del vaccino obbligatorio, proprio perché non è equiparabile a quest'ultimo, e fatta salva la verifica della sua legittimità sul piano discriminatorio, laddove ad esempio, escluda coloro che non possono vaccinarsi perché hanno sviluppato gli anticorpi Igg, o chi ha avuto o potrebbe avere reazioni negative importanti di vario tipo, suscettibili di creare anche danni irreversibili alla salute
Inoltre rischia di non essere compresa e, quindi, condivisa dai potenziali destinatari della misura, attesa, in primo luogo, la mancanza a monte di un'obbligatorietà ope legis del vaccino anti covid-19, ragione per cui appare evidente che l'obbligatorietà del green pass si risolve null'altro se non in un chiaro escamotage la cui finalità è quella di sostituire l'obbligo diretto alla vaccinazione con quello indiretto, sanzionato per chi non lo possiede, dall'impossibilità di partecipare alla quasi totalità delle normali attività quotidiane;
In secondo luogo, per le presumibili difficoltà che inevitabilmente sembrano destinate ad accompagnare l'effettiva osservanza di tale obbligo in occasione dei relativi controlli, eseguibili per lo più occasionalmente ed “a campione”, a meno di non presidiare costantemente ed in maniera permanente, con l'ausilio di vigilantes (a spese degli esercenti privati, con un considerevole aumento dei costi di gestione dell'attività economica), forze dell'ordine ed esercito ogni singolo punto vendita od esercizio commerciale al chiuso (negozi di vendita al dettaglio, parrucchieri, tabaccai, farmacie, barbieri, etc.) o destinato ad eventi a rischio di grandi assembramenti (stadi, teatri, sale ricevimento, bar, discoteche, ristoranti, centri commerciali, etc.) presenti sull'intero territorio nazionale.

Ciò non senza considerare l'impatto concreto che potrebbe avere la misura di cui si discorre per quanto attiene la prevenzione del contagio, atteso che potrebbe sempre verificarsi l'ipotesi in cui un non vaccinato potrebbe contagiare un vaccinato in possesso del green pass, il quale a sua volta potrebbe trasmettere l'infezione ad altri in luoghi chiusi a rischio assembramenti in cui ha accesso, e le cui conseguenze sulla singola persona contagiata - derivanti dalle varianti in atto del virus - non sono allo stato scientificamente prevedibili.

Riferimenti
  • C. Bertolino, Certificato verde Covid-19 tra libertà ed eguaglianza, in www.federalismi.it;
  • R. Masoni, Vaccinazione anti-coronavirus, tra libertà, obbligo e responsabilità, in Osservatorio covid-19, in www.covid.giuffrefrancislefebvre.it;
  • A. Cioni, La corsa al vaccino contro il covid-19. Qualche considerazione fra requisiti per l'autorizzazione e regole di responsabilità, in Resp. civ. prev., 2020, 2017 e ss.;
  • L. Bozzi, Vaccino anti covid. Autodeterminazione individuale e interesse (alla salute) della collettività. Prime riflessioni sulla strategia di distribuzione, in www.giustiziacivile.com;
  • L. Principato, La parabola dell'indennizzo, dalla vaccinazione obbligatoria al trattamento sanitario raccomandato, in Giur. cost., 2018, 374 e ss.;
  • M. Cartabia, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, in www.cortecostituzionale.it;
  • R. Chieppa, Ancora una giusta solidarietà, questa volta per i danneggiati da somministrazione di vaccini semplicemente consigliata e promossa, ma nessuna iniziativa dello Stato nei confronti delle imprese farmaceutiche, in Giur. cost., 2012, 1452 e ss.;
  • L. Locatelli, Danno no fault da vaccinazioni obbligatorie e facoltative e diritto all'indennizzo, in Resp. civ. e prev., 2012, 1893 e ss.;
  • R. Chieppa, Ancora una giusta solidarietà, questa volta per i danneggiati da somministrazione di vaccini semplicemente consigliata e promossa, ma nessuna iniziativa dello Stato nei confronti delle imprese farmaceutiche, in Giur. cost., 2012, 1452 e ss..

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario