La nuova disciplina del contratto a termine dopo la conversione in legge del Decreto Sostegni bisFonte: L. 23 luglio 2021 n. 106
06 Agosto 2021
Premessa
Il c.d. Decreto Dignità (D.L. 12 luglio 2018, n.87, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2018, n. 96) ha, come noto, apportato significative modifiche alla disciplina del contratto di lavoro subordinato a tempo determinato.
In particolare, con l'obiettivo di frenare il ricorso a questa tipologia contrattuale e di favorire il contratto di lavoro a tempo indeterminato, definito dalla legge (art. 1, D.lgs. 81/2015) come forma comune di instaurazione dei rapporti di lavoro, la riforma del 2018 ha reintrodotto le cosiddette “causali” (definite dal legislatore del Decreto Dignità “condizioni”) che devono sussistere, ed essere indicate nell'atto scritto consegnato dal datore di lavoro al lavoratore a termine entro cinque giorni dall'inizio della prestazione lavorativa, in una serie di ipotesi tassativamente indicate dal legislatore.
È opinione comune che le nuove “condizioni” richieste dal legislatore (ad eccezione della esigenza di sostituzione di lavoratori assenti), a causa della formulazione utilizzata, siano scarsamente applicabili e possano dar luogo a contenziosi con il lavoratore.
Proprio per questo, dopo l'entrata in vigore del Decreto Dignità, sono state avanzate da più parti delle proposte di modifica del nuovo assetto regolatorio del lavoro a termine, reso eccessivamente rigido dalla riforma del 2018. Tale esigenza è particolarmente forte oggi in quanto le esigenze di una pronta ripresa dell'economia e della produzione nella fase post-pandemica, unitamente alla necessità di cogliere pienamente le opportunità del PNRR, rendono necessaria una maggiore flessibilità nel reclutamento del personale.
In questo quadro si inserisce la modifica della disciplina del lavoro a termine introdotta dall'art. 41-bis, comma 1, del D.L. 25 maggio 2021, n. 73 (c.d. Decreto Sostegni bis), convertito con modificazioni dalla L. 23 luglio 2021, n. 106 che delega la contrattazione collettiva ad identificare delle “condizioni” ulteriori rispetto a quelle indicate dalla legge. Il ruolo delle “condizioni” di cui all'art. 19, comma 1, D.lgs. 81/2015 come modificato dal Decreto Dignità
Prima di entrare nel dettaglio delle modifiche apportate dalla legge di conversione del Decreto Sostegni bis alla disciplina del contratto a termine appare utile fare il punto sul ruolo svolto dalle “condizioni” di cui all'art. 19, comma 1, D.lgs. 81/2015 introdotte dal Decreto Dignità. Conclusa la stagione di massima liberalizzazione del contratto a termine di cui al Decreto Poletti e di cui alla versione originaria del D.lgs. 81/2015, durante la quale era consentita la stipula di contratti a termine senza la necessità di indicare alcuna causale giustificativa, con il solo limite temporale di durata complessiva del rapporto di 36 mesi, il Decreto Dignità – al ricorrere di determinate condizioni – ha ripristinato l'esigenza di sussistenza e di indicazione scritta delle seguenti condizioni:
a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività; b) esigenze di sostituzione di altri lavoratori; c) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell'attività ordinaria.
In particolare la presenza delle predetti “condizioni” è richiesta dalla legge nei seguenti casi:
(i) apposizione al contratto di lavoro di un termine di durata ab initio superiore a 12 mesi (art. 19, comma 1, D.lgs. 81/2015); (ii) rinnovo del contratto a termine (art. 21, comma 01, D.lgs. 81/2015); (iii) proroga del contratto a termine oltre i dodici mesi (art. 21, comma 01, D.lgs. 81/2015).
Le novità introdotte dall'art. 41bis, comma 1, del D.L. 25 maggio 2021, n. 73 (c.d. Decreto Sostegni bis), convertito con modificazioni dalla L. 23 luglio 2021, n. 106
Durante l'iter di conversione in legge del D.L. 25 maggio 2021, n. 73 (c.d. Decreto Sostegni bis) sono stati approvati due emendamenti volti a modificare la disciplina delle “condizioni” previste dall'art. 19, comma 1, D.lgs. 81/2015. I due emendamenti sono confluiti nell'art. 41bis, comma 1, lett. a) e b), D.L. 25 maggio 2021, n. 73 convertito con modificazioni dalla L. 23 luglio 2021, n. 106.
La prima modifica aggiunge al comma 1 dell'art. 19 del D.lgs. 81/2015 una “condizione” ulteriore a quelle previste dalla legge e indicate supra sub (i), (ii) e (iii). La lettera b-bis) aggiunta alla disposizione, infatti, aggiunge l'ulteriore “condizione” delle “specifiche esigenze previste dai contratti collettivi di cui all'articolo 51”.
La seconda modifica aggiunge dopo il comma 1 dell'art. 19 del D.lgs. 81/2015 il comma 1.1 che recita “Il termine di durata superiore a dodici mesi, ma comunque non eccedente ventiquattro mesi, di cui al comma 1 del presente articolo, può essere apposto ai contratti di lavoro subordinato qualora si verifichino specifiche esigenze previste dai contratti collettivi di lavoro di cui all'articolo 51, ai sensi della lettera b-bis) del medesimo comma 1, fino al 30 settembre 2022”.
Non c'è dubbio che le modifiche introdotte hanno l'effetto di delegare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare ulteriori “condizioni” che legittimano la stipula di un contratto a termine di durata superiore a 12 mesi, la proroga del termine oltre i dodici mesi o il rinnovo del contratto.
Problemi interpretativi sorgono, tuttavia, con riferimento all'introduzione del termine del 30 settembre 2022 di cui al nuovo comma 1.1 dell'art. 19, D.lgs. 81/2015.
Alla luce di una lettura sistematica dell'intera disposizione appare ragionevole ritenere che: - il termine del 30 settembre 2022 opera solo con riferimento all'ipotesi della stipulazione di un contratto a termine di durata ab initio superiore a 12 mesi; - viceversa, tale termine finale non riguarda le ipotesi della proroga del contratto oltre i 12 mesi e del rinnovo.
Ne consegue che è possibile stipulare un contratto a termine di durata ab initio superiore a 12 mesi per soddisfare le specifiche esigenze previste dai contratti collettivi ai sensi dell'art. 19, comma 1, lett. b-bis) solo fino al 30 settembre 2022. Tale termine finale non si riferisce alla data di scadenza del contratto a termine bensì alla data di stipula del contratto con termine finale superiore a dodici mesi.
Diversamente, sarà possibile fare ricorso alle specifiche esigenze previste dai contratti collettivi ai sensi dell'art. 19, comma 1, lett. b-bis) anche oltre il 30 settembre 2022 solo in caso di proroga del termine oltre i 12 mesi e in caso di rinnovo del contratto a termine (cfr. art. 21, comma 01, D.lgs. 81/2015).
Questa interpretazione della modifica normativa non svilisce la portata innovativa della disposizione. È, infatti, evidente che l'effetto prodotto dalla stipula di un contratto a termine di durata ab initio superiore a 12 mesi, anche dopo il 30 settembre 2022, potrà essere ottenuto stipulando un contratto a termine acausale di durata iniziale inferiore a 12 mesi e procedendo, successivamente, alla proroga oltre i 12 mesi oppure al rinnovo facendo leva sulle esigenze individuate dai contratti collettivi ai sensi dell'art. 19, comma 1, lett. b-bis), D.lgs. 81/2015.
La natura della delega alla contrattazione collettiva
La modifica introdotta coinvolge la contrattazione collettiva nell'individuazione delle “condizioni” di cui all'art. 19, comma 1, D.lgs. 81/2015 rompendo il monopolio legale introdotto in questa materia dal Decreto Dignità. Per quanto concerne l'individuazione dei contratti collettivi ai quali si rivolge il rinvio, la norma fa espresso richiamo all'art. 51, D.lgs. 81/2015 in base al quale con la locuzione “contratti collettivi” si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.
La delega conferita dalla legge alla contrattazione collettiva è una delega in bianco. Ne consegue che le parti sociali sono libere di individuare le “condizioni” che andranno ad aggiungersi a quelle tipizzate dal legislatore senza dover rispettare un contenuto minimo vincolato dalla legge. È, tuttavia, evidente che i contratti collettivi non potranno annoverare tra le “condizioni” che legittimano l'apposizione del termine ultra annuale, la proroga o il rinnovo delle esigenze stabili e durevoli di manodopera. Conclusioni
La modifica apportata dalla legge di conversione del Decreto Sostegni bis alla disciplina del lavoro a termine ha il pregio di rompere il monopolio legale nell'individuazione delle “condizioni” che rendono possibile la stipula di un contratto a termine di durata superiore a 12 mesi, la proroga del termine oltre i 12 mesi oppure il rinnovo del contratto. Si tratta di un intervento particolarmente utile a causa della formulazione delle “condizioni” tipizzate dal legislatore che, secondo l'opinione prevalente della dottrina, è tale da renderle sostanzialmente impraticabili con la sola eccezione delle esigenze di sostituzione di altri lavoratori.
Il tentativo di depotenziare la modifica, attraverso l'introduzione del termine del 30 settembre 2022 entro cui è possibile utilizzare le “condizioni” introdotte dai contratti collettivi, deve ritenersi inidoneo a sortire l'effetto sperato da chi ha proposto tale emendamento. Ne consegue che la nuova versione dell'art. 19, comma 1, D.lgs. 81/2015 coinvolge in modo strutturale e non temporaneo la contrattazione collettiva nell'introduzione delle “condizioni”.
La reale portata pratica della modifica dipenderà, in larga misura, dall'attività di recepimento della delega che porranno in essere le parti sociali che dovranno dimostrarsi in grado di individuare, in modo dinamico e puntuale, ulteriori esigenze di legittima apposizione del termine ultra annuale al contratto di lavoro, plasmandole, di settore in settore, di azienda in azienda, sulle peculiarità delle singole realtà economiche e produttive. |