Revoca giudiziale dell'amministratore in prorogatio: contrapposti orientamenti di un problema sempre più attuale

Maurizio Tarantino
11 Agosto 2021

L'amministratore di condominio, dal punto di vista esterno, è il rappresentante dei condomini (art. 1131 c.c.) mentre, dal punto di vista interno, è un mero esecutore atteso che, suo compito principale, è di eseguire le delibere assembleari e curare il rispetto del regolamento di condominio (art. 1130, comma 1, c.c.). L'obbligo giuridico dell'amministratore di condominio postula che, in mancanza di nomina o in presenza di conferma avvenuta con maggioranza insufficiente, l'amministratore rimanga in carica con tutti i poteri. Tale situazione si protrae fino ad una nuova nomina che può avvenire sia ad opera dell'assemblea, sia ad opera del Tribunale su ricorso anche di un solo condomino o, secondo la nuova normativa sul condominio, anche su ricorso dello stesso amministratore. Durante il regime di prorogatio, però, si è posto il problema della possibile revoca giudiziale. Nonostante gli orientamenti contrapposti, ogni condomino può rivolgersi all'Autorità giudiziaria per la nomina di un nuovo amministratore; in questo caso, il regime di prorogatio viene a terminare a seguito di accettazione dell'incarico da parte del nuovo rappresentante nominato dall'Autorità giudiziaria.
Il quadro normativo

La durata annuale del rapporto che lega l'amministratore ai condomini non cessa automaticamente alla scadenza della gestione e ciò per diverse ragioni: innanzitutto, allo scadere del periodo, inizia la redazione del rendiconto di gestione che è obbligatorio ed il cui termine per la presentazione in assemblea è di centottanta giorni, secondo la nuova normativa per cui, in assenza di intervenuta ed anticipata revoca, per tutto il periodo l'amministratore continua a gestire, nonostante la scadenza del rapporto, fino all'assemblea ordinaria, ove viene confermato o sostituito; secondariamente, la necessità della carica impone il regime della prorogatio imperii per cui, pur decaduto e non riconfermato con le dovute maggioranze, l'amministratore rimane in carica fino a che non sia sostituito; da ultimo, con la riforma, è intervenuto l'istituto del rinnovo automatico. Il rapporto, pertanto, ancorché scaduto, a fine gestione non si interrompe, ma rimane in uno stato provvisorio, per cui la durata annuale del rapporto, anche in relazione alla circostanza che la revoca può essere disposta dall'assemblea, in qualsiasi momento, assume una connotazione piuttosto particolare.

Difatti, fondamentale per lo scritto in esame è stabilire se sia o meno revocabile giudizialmente l'amministratore di condominio in prorogatio, questione ancora oggi dibattuta sia in ambito dottrinale che giurisprudenziale e che non ha trovato esplicita soluzione nella recente riforma introdotta dalla l. n. 220/2012.

La durata dell'incarico e l'istituto della prorogatio imperii

Prima di entrare nel dettaglio è bene rammentare che l'amministratore del condominio raffigura un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza: con la conseguente applicazione, nei rapporti tra l'amministratore e ciascuno dei condomini, delle disposizioni sul mandato (così, tra le tante, Cass. civ., sez. un., 8 aprile 2008, n. 9148). La definizione giurisprudenziale della disciplina applicabile al rapporto amministratore-condominio è stata, poi, recepita nell'art. 1129, comma 15, c.c.

Quanto alla durata del contratto, a tal proposito, sappiamo l'art. 1129, comma 10, c.c. stabilisce che "L'incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato per eguale durata. L'assemblea convocata per la revoca o le dimissioni delibera in ordine alla nomina del nuovo amministratore".

Secondo alcuni autori, l'incarico, dopo la riforma, va considerato un incarico annuale con rinnovo per un solo altro periodo di uguale durata, una sorta d'incarico 1+1. Per altri autori nulla è cambiato: il sistema normativo delineato dall'art. 1129, comma 10, c.c. unito a quanto disposto dall'art. 1135 c.c. non fa venire meno la necessità di discutere in assemblea, anno per anno, sulla conferma dell'amministratore. Altri, infine, hanno ritenuto che la norma ha introdotto una conferma sine die dell'amministratore, salvo evidentemente il diritto di revoca assembleare in qualunque momento.

A prescindere dalla posizione dottrinale, restano fermi i principi in base al quale l'assemblea può revocare l'amministratore in qualsiasi momento. Oltre che in via ordinaria, da parte dell'assemblea, l'amministratore può essere revocato dall'Autorità giudiziaria in presenza di gravi irregolarità; tale fattispecie, prima era priva di una regolamentazione dettagliata, mentre ora, le violazioni che possono implicare la revoca, sono previste in maniera più dettagliata.

Premesso ciò, i poteri dell'amministratore dovrebbero terminare alla fine del mandato, tuttavia, allo scopo di garantire comunque la gestione dell'immobile in condominio e pertanto di sopperire alla momentanea mancanza di un amministratore, la giurisprudenza ha da tempo elaborato l'istituto della prorogatio imperii, in virtù del quale l'amministratore cessato dall'incarico continua a esercitare i propri poteri fino alla nomina, da parte dell'assemblea, del nuovo amministratore.

In altri termini, i compiti dell'amministratore cessato dalla carica, e pertanto in regime di prorogatio, debbono limitarsi a quelli che, secondo il criterio del “buon padre di famiglia”, appaiono indifferibili e tanto allo scopo di evitare il possibile, anche se non certo, nocumento (Cass. civ., sez. II, 12 giugno 2014, n. 13418; Cass. civ., sez. VI, 19 marzo 2012, n. 4330).

Difatti, proprio in relazione ai ridefiniti e ridotti poteri dell'amministratore in prorogatio, è stato acutamente osservato in dottrina come “l'obbligo gestorio dell'amministratore uscente non sembra più abbracciare tutti i poteri previsti dall'art. 1130 c.c., espressione della cura ordinaria del condominio, ma viene contenuto con riguardo a quelle sole attività che, valutate secondo il criterio del bonus pater familias, rivelino il carattere dell'urgenza ai fini della conservazione delle cose comuni, ovvero la necessità di essere eseguite senza ritardo e senza attendere la nomina, da parte dell'assemblea o dell'autorità giudiziaria, del nuovo amministratore, allo scopo di evitare un possibile, anche se non certo, nocumento dei beni condominiali”.

In tale senso, deporrebbe anche la volontà del legislatore, specie alla luce dei lavori preparatori che hanno portato all'attuale formulazione dell'art. 1129 c.c.

La revoca dell'amministratore in prorogatio: orientamento contrario

La revoca dell'amministratore, oltre che dall'assemblea, può essere disposta anche dall'autorità giudiziaria su ricorso di ciascun condomino nei casi tassativamente previsti dalla legge. La revoca può essere chiesta al giudice se l'amministratore non rende conto della gestione ed in caso di gravi irregolarità in virtù di quanto sancito dal nuovo testo dell'art. 1129, comma 11, c.c.

Ebbene, alla luce di quanto già detto in tema di durata e prorogatio, occorre soffermarsi sulla questione della revoca dell'amministratore in prorogatio. Per una maggiore chiarezza dell'argomento, sono stati di seguito esposti i principali orientamenti della “tesi contraria alla revoca”.

a) Mancanza di un'accettazione espressa o tacita del rinnovo dell'incarico da parte dell'amministratore uscente (App. Palermo 6 maggio 2019).

Nella vicenda in esame, i reclamanti avevano dedotto l'erroneità del decreto del Tribunale di Palermo nella parte in cui aveva escluso la revocabilità dell'amministratore sul rilievo che, essendo l'incarico di quest'ultimo venuto a naturale scadenza, la permanenza nella gestione del condominio si configurerebbe come mera prorogatio e non comporterebbe, pertanto, in capo al medesimo, alcun obbligo di ripartire spese, incassare contributi e più in generale mantenere il governo dei beni e servizi comuni, essendo egli esclusivamente tenuto all'esecuzione delle eventuali attività urgenti funzionali ad evitare pregiudizi agli interessi comuni senza peraltro diritto ad ulteriori compensi.

A tal proposito, però, in sede di reclamo, la Corte d'Appello ha criticato la lettura del Tribunale; anzi, secondo i giudici d'appello, tale tesi “non è convincente né sul piano dell'interpretazione testuale della legge, né con riguardo alla ratio della disposizione, né alla stregua di criteri di ordine sistematico”. Difatti, secondo la Corte siciliana, la limitazione dei compiti dell'amministratore cessato dall'incarico alle sole attività urgenti, ai sensi dell'art. 1129, comma 8, c.c., non implica logicamente l'esclusione della reiterabilità del rinnovo tacito annuale dell'incarico, ben potendo riferirsi ai casi di cessazione dall'incarico per revoca, dimissioni, scadenza seguita da presa d'atto assembleare o da omessa accettazione del rinnovo da parte dell'amministratore. Tra l'altro, stante l'art. 1129, comma 14, c.c., affinché si perfezioni la fattispecie del rinnovo tacito, avente, al pari dell'iniziale conferimento, carattere di negozio bilaterale, occorre che l'amministratore accetti, anche per fatti concludenti, la conferma del suo incarico e specifichi analiticamente l'importo preteso a titolo di compenso. In assenza di ciò, il posto deve considerarsi vacante e dovrà, di conseguenza, procedersi alla nomina di un nuovo amministratore a cura dell'assemblea condominiale o dal giudice su istanza di uno o più condomini.

Premesso quanto esposto, ritenuto che, nella vicenda, l'inserimento tra i punti all'ordine del giorno dell'assemblea del tema relativo alla “nomina o conferma dell'amministratore” costituivano significativo indice della mancanza di un'accettazione espressa o tacita del rinnovo dell'incarico da parte dell'amministratore uscente, indice da considerarsi prevalente sugli elementi di apparente segno contrario (secondo il giudicante, apparente ma non inequivoco, stante l'incertezza delle coordinate ermeneutiche di cui la pendenza di questo stesso procedimento è, per taluni aspetti, un riflesso) e che in una situazione siffatta, per ovvie ragioni, secondo la Corte non era possibile prendere in considerazione l'eventualità di una revoca giudiziale dell'incarico, in atto privo di titolare. Da ultimo, in tema di spese, quale conferma di quanto detto dagli altri Tribunali, i giudici del reclamo hanno ammesso che l'esistenza delle “perduranti incertezze giurisprudenziali sulle questioni dinanzi esaminate giustificano l'integrale compensazione delle spese del procedimento”.

b) Estinzione ipso iure del mandato alla scadenza del termine (Trib. Roma 26 novembre 2018).

In ordine alla domanda di revoca, il Tribunale romano ha ritenuto che il presupposto perché possa essere proposta è che “l'amministratore sia in carica, ovvero che sia stato previamente nominato dalla assemblea e che il mandato annuale/biennale non sia nelle more scaduto”.

Secondo alcuni autori, l'apposizione della barra obliqua tra le parole annuale e biennale pare semplificare drasticamente le cruenti discussioni sorte sulla interpretazione del comma 10 dell'art. 1129 c.c. (non ancora placate) confluite in tre contrapposte diverse teorie conclusive: proroga legale di un anno; proroga sine die; durata annuale del mandato come nel vecchio art. 1129 c.c. soggetta a conferma della assemblea ordinaria.

Dunque, secondo tale ragionamento, l'espressione lessicale semplificata “annuale/biennale” svela l'allineamento del Tribunale di Roma alla interpretazione data da altre decisioni di merito e, in particolare, da Trib. Brescia 15 aprile 2016, secondo il quale, in tema di durata dell'incarico dell'amministratore, il riformato art. 1129 c.c. va interpretato nel senso che dopo il primo incarico annuale segue ex lege - in assenza di revoca o dimissioni - un solo rinnovo tacito di un anno con pienezza di poteri. Tale è l'interpretazione data anche da Trib. Milano 7 ottobre 2015 e Trib. Cassino 21 gennaio 2016, in sintonia con la tesi dottrinaria della proroga legale di un anno (durata annuale del mandato con rinnovo di un solo anno).

Ricostruita la vicenda, la pronuncia romana è importante anche perché precisa in maniera chiara che “il mandato si estingue ipso jure alla scadenza del termine”, ritenendo pertanto che la carica cessi con lo spirare del termine di scadenza stesso. La conseguenza è che se il mandato di un amministratore è scaduto e cessano i suoi pieni poteri, rimanendo in vita solo quelli limitati alle attività urgenti, egli non è in carica e viene a mancare il presupposto in forza del quale può essere esercitata la domanda di revoca.

c)Violazione del principio della sovranità dell'assemblea (Trib. Teramo 29 giugno 2016).

Nella fattispecie, il ricorso promosso dal condomino per la revoca dell'amministratore in regime di prorogatio imperii si dichiarava inammissibile, considerato che l'amministratore uscente aveva provato non solo di aver compiuto tutti gli atti urgenti nell'interesse del condominio, ma anche di avere convocato più volte l'assemblea per la nomina di un nuovo amministratore, senza ottenere alcun effetto. Invero, era inammissibile il ricorso per la revoca giudiziale ex art. 1129 c.c. rivolto nei confronti di un amministratore condominiale per il quale l'incarico era già scaduto e che aveva continuato a svolgere le proprie funzioni esclusivamente in regime di prorogatio. Il ricorso in questione, secondo il giudicante, violava il principio della sovranità dell'assemblea che ha il potere di decidere sulla revoca sottoponendo la stessa al voto, e quindi all'effettiva manifestazione di volontà, di tutti gli altri condomini. Pertanto, nell'ipotesi di un amministratore condominiale che esercita i suoi poteri ad interim, il singolo condomino può, invece, legittimamente richiedere all'autorità giudiziaria un provvedimento ex art. 1105 c.c. che disponga la nomina di un nuovo amministratore, previa dimostrazione che l'assemblea non abbia provveduto in tal senso.

d)Identicità di contenuto e conseguenze tra mancato rinnovo della carica o della revoca (Trib. Catania, decr. 10 febbraio 2014).

Il proprietario di un immobile ubicato in un condominio aveva chiesto la revoca giudiziale dell'amministratore condominiale, motivando la propria richiesta in ragione di una serie di irregolarità che l'amministratore avrebbe commesso durante lo svolgimento del suo incarico.

L'amministratore resistente, con la sua costituzione, eccepiva l'inammissibilità del ricorso presentato dal ricorrente sostenendo in primo luogo che non può essere revocato l'amministratore che opera in regime di prorogatio in quanto “il mancato rinnovo della carica o la revoca hanno lo stesso identico contenuto e le stesse identiche conseguenze”, ribadendo anche che il ricorso in questione violerebbe il principio della sovranità dell'assemblea. Per tali motivi, il decreto del Tribunale siciliano ha accolto la questione pregiudiziale sollevata dall'amministratore di condominio ritenendo che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile poiché rivolto nei confronti di un amministratore per il quale l'incarico era già scaduto. Tale decisione, quindi, si allinea all'orientamento giurisprudenziale che ha ritenuto che la prorogatio imperii finalizzata "all'interesse del condominio alla continuità dell'amministratore e pertanto la stessa opera non solo nei casi di scadenza del termine di cui all'art. 1129, comma 2, c.c. o di dimissioni, ma anche nei casi di revoca o di annullamento per illegittimità della relativa delibera di nomina” (Cass. civ., sez. II, 27 marzo 2003, n. 4531).

La revoca dell'amministratore in prorogatio: orientamento a favore

Con il decreto della Corte d'Appello di Bari del 12 giugno 2019, pare si sia superato, almeno in giurisprudenza, l'orientamento con il quale si esclude la revocabilità del mandato all'amministratore in prorogatio.

Ebbene, in tal vicenda, l'amministratore si era reso responsabile sia del mancato tempestivo deposito nel termine fissato dalla legge (artt. 1129, commi 11 e 12, e 1130, comma 1, n. 10, c.c.) di numerosissimi rendiconti annuali, sia della loro presentazione in termini in assemblea per l'approvazione. Per tali motivi, i condomini avevano chiesto la revoca del professionista.

Con decreto, il Tribunale di Foggia dichiarava inammissibile il ricorso. Avverso tale provvedimento, i condomini proponevano reclamo eccependo che il provvedimento impugnato fosse iniquo e ingiusto.

Premesso ciò, i giudici del reclamo, preliminarmente, hanno osservato che la disciplina in esame va coordinata con quella relativa c.d. prorogatio imperii che non trova una compiuta definizione normativa nell'ordinamento e viene menzionata solo nei lavori preparatori della Carta Costituzionale.

Dunque, pur riconoscendo che esiste giurisprudenza di merito secondo cui non può essere revocato l'amministratore di condominio che opera in regime di prorogatio, tuttavia, la Corte d'Appello ha ritenuto di dover aderire alla soluzione contraria.

Innanzitutto, secondo i giudici baresi, chi nega la possibilità della revoca equipara lo status di amministratore revocato a quello in prorogatio. Difatti, il comma 8 dell'art. 1129 c.c. ha invece disciplinato, indicandole in quelle urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni, le attività che l'amministratore cessato dall'incarico può continuare a svolgere. La revoca giudizialmente ha invece come effetto quello di non consentire all'amministratore revocato di continuare a svolgere legittimamente anche tali funzioni. La pronuncia di revoca, inoltre, ha la specifica utilità di determinare, ai sensi del comma 13 dell'art.1129 c.c., l'impossibilità in capo all'amministratore revocato di essere nuovamente nominato da parte dell'assemblea. Pertanto, ove la revoca giudiziale dell'amministratore in prorogatio non fosse ammessa, verrebbe meno la possibilità di qualsiasi controllo giudiziale sull'operato di questi, a discapito delle minoranze dell'assemblea condominiale o di singoli condomini dissenzienti, la cui tutela dovrebbe essere il perno della disciplina legislativa inerente alla funzione assembleare.

Nel caso di specie, in particolare, la prorogatio delle funzioni durava da molto tempo e, a causa del mancato raggiungimento del quorum deliberativo anche nell'ultima assemblea, avente all'ordine del giorno la nomina di un nuovo amministratore, proseguiva ancora, come evidenziato dallo stesso della sua comparsa di costituzione in questo grado di giudizio. Di conseguenza, a parere della Corte barese, propendendo per la possibilità di revoca dell'amministratore in regime di prorogatio, ben poco resta da dire in merito alla ricorrenza delle condizioni per la revoca. I rendiconti degli anni dal 2012 al 2017 sono risultati portati in assemblea solo il 9 aprile 2018 ed approvati il 27 giugno 2018, quindi con un ritardo enorme. La cosa costituisce indubbiamente un'ipotesi di grave irregolarità che consente a questa Corte di procedere alla revoca, ai sensi del comma 11 dell'art. 1129 c.c. Per i motivi esposti, la Corte d'Appello di Bari ha accolto il reclamo e, per l'effetto, ha revocato l'amministratore.

La nomina giudiziale di un nuovo amministratore in presenza di quello in regime di prorogatio

In tal vicenda, il contrasto insorto tra le parti s'incentrava sulla individuazione della corretta procedura per addivenire alla sostituzione dell'amministratore in prorogatio, ed in particolare, se -prima di procedere alla nomina giudiziale di un nuovo amministratore di condominio- fosse necessario o meno revocare il precedente amministratore, non confermato dall'assemblea alla scadenza del primo mandato e dunque, in regime di prorogatio.

Premesso ciò, ai fini di una corretta soluzione del problema sotteso, il Tribunale di Bologna, a seguito della domanda di nomina giudiziale in sostituzione dell'amministratore in prorogatio, ha ritenuto di dover aderire all'orientamento interpretativo maggioritario, riscontrabile nella giurisprudenza di merito, secondo il quale: “alla scadenza può aversi la c.d. prorogatio imperii. Ma, in tal caso, formalmente non è in carica alcun amministratore e l'assemblea si deve attivare per una nuova nomina; sicché, l'assenza, alla data di proposizione della domanda, di un amministratore in carica consente solo il ricorso all'istituto della nomina” (così Trib Roma 26 novembre 2018, cit.; Trib. Teramo 26 giugno 2016, cit.).

Dunque, a parere dei giudici bolognesi, il citato decisum era pienamente invocabile anche in questa sede; difatti, nella fattispecie, l'amministratore nel 2016 era formalmente decaduto dall'incarico per scadenza del mandato, sebbene avesse continuato ad esercitare le sue funzioni in regime di prorogalo. Di conseguenza, il modo più corretto per procedere alla sua sostituzione era quello di procedere alla nomina di un nuovo amministratore e, poiché l'assemblea non era riuscita a provvedere in tal senso, gli attori risultavano legittimati a chiedere l'intervento dell'autorità giudiziaria in via suppletiva, ex art. 1129, comma 1, c.c.

Su questa stessa linea interpretativa, del resto, il Tribunale di Palermo, con il decreto del 9 novembre 2018, ha precisato che “in tale situazione, deve ritenersi compito dell'assemblea - la cui convocazione spetta, in prima battuta, all'amministratore in prorogatio - curare l'investitura di un nuovo gestore, e all'inerzia dell'assemblea - così come alle omissioni gestionali dell'amministratore - può sopperirsi attivando l'intervento

surrogatorio giudiziale previsto dall'art. 1129 c.c.”.

In conclusione, atteso che l'assemblea si era dimostrata incapace di procedere alla nomina di un nuovo amministratore, nonostante quattro tentativi in questa direzione, sulla base di quanto premesso, il Tribunale di Bologna ha accolto la domanda per la nomina giudiziale del nuovo amministratore.

Anche in tale sede, il giudicante, in tema di spese, ha confermato che “trattandosi di materia sulla quale si registrano a tutt'oggi non sopiti contrasti interpretativi, appare giustificata la integrale compensazione” (Trib. Bologna 7 novembre 2019, n. 11831).

Diniego di rinnovazione dell'amministratore in prorogatio da parte dei condomini

In tale precedente, ai fini della revoca giudiziale, tra i vari motivi di censura, i ricorrenti contestavano il ripetuto rifiuto di convocare l'assemblea per la revoca e per la nomina del nuovo amministratore. Nella specie era incontestato che l'amministratore rivestiva la carica dal 2004, e che era stato sempre tacitamente prorogato. Secondo il giudicante, tale comportamento costituiva irregolarità grave, come tale idonea a giustificare la revoca dell'amministratore.

Come abbiamo detto più volte, sul punto l'art. 1129 c.c. prevede, al primo periodo del decimo comma, che “l'incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato per uguale durata”.

Ebbene, secondo il Tribunale adito (Trib. Catania 17 giugno 2019, n. 4249), il punto di partenza dell'interpretazione di tale norma è, quindi, che la riforma conferma in un solo anno la durata (certa) dell'incarico di amministratore. Ciò, salvo rinnovo (tacito), salvo - quindi - che i condòmini non manifestino una volontà contraria a tale rinnovo. In sostanza, salvo che l'assemblea condominiale non approvi una delibera di disdetta o, meglio, di “diniego di rinnovazione”.

La carica di amministratore ha, quindi, una stabilità certa - per il legislatore - nel solo anno successivo alla nomina, mentre dopo tale decorso del tempo resta sempre nel potere dei condomini denegare la rinnovazione e quindi scardinare il meccanismo del tacito rinnovo. Ne deriva che in presenza di una richiesta in tal senso formulata dalla ricorrente, l'amministratore avrebbe dovuto prontamente inserire tale argomento all'interno dell'ordine del giorno dell'assemblea immediatamente successiva o in quella precedente l'inizio del nuovo anno di mandato. Né all'istituto è applicabile la norma dell'art. 66 disp. att. c.c.; il collegio, infatti, ha ritenuto che la richiesta di assemblea per la delibera di “diniego di rinnovazione” non debba eventualmente essere formulata da due condòmini in quanto tale assemblea non atterrebbe a una convocazione straordinaria, come richiesto dall'articolo testé citato, ma a un meccanismo ordinario, previsto (dopo la scadenza del primo e secondo anno di mandato) dalla stessa norma di cui all'art. 1129 c.c.

Pertanto, ove si ritenesse in senso contrario, si finirebbe per lasciare all'arbitrio dell'amministratore o all'inerzia di tutti gli altri condomini il meccanismo del tacito rinnovo, il quale tende invece a limitare la durata certa dell'incarico in un solo anno, e solo per dare stabilità al condominio.Ne deriva che il fatto che la ricorrente abbia chiesto l'inserimento all'interno dell'ordine del giorno dell'argomento afferente la nomina dell'amministratore, non esonerava affatto quest'ultimo dall'adempiere, anche se la convocazione assembleare non era stata richiesta da parte di almeno due condomini ai sensi dell'art. 66 disp. att. c.c.

Per i motivi esposti, l'omissione in tal senso operata dal resistente è risultata grave, atteso peraltro che egli gestiva il condominio dal 2004 e ben oltre, quindi, l'annualità tollerata dall'art. 1129 c.c.

Conclusioni

È pacifico che l'amministratore di condominio uscente, quale che sia il motivo della cessazione (scadenza del mandato, revoca, dimissioni) rimanga in carica fino a quando non venga nominato un sostituto. L'assemblea, tuttavia, ha la possibilità di evitare la c.d. prorogatio dell'amministratore, ad esempio esonerandolo con una delibera specifica e dall'effetto immediato, da qualsiasi obbligo e responsabilità, fissando al contempo un termine ultimo per la consegna degli atti inerenti la gestione dello stabile.

Difatti, il principio che consente all'amministratore di conservare ed esercitare i suoi poteri fino a quando non avviene l'avvicendamento con un altro professionista si fonda su una presunzione di conformità della prorogatio all'interesse e alla volontà dei condòmini. Tale principio non si applica, però, qualora gli stessi condòmini, attraverso una delibera assembleare, esprimano la loro contrarietà alla conservazione dei poteri di gestione da parte dell'amministratore cessato.

Premesso quanto innanzi esposto, ancora oggi, l'argomento è ancora oggetto di discussioni e dibattiti in dottrina e in giurisprudenza; soprattutto, nel caso di revoca giudiziale.

Proprio su tale ultimo aspetto, alla luce della ricostruzione degli opposti orientamenti giurisprudenziali esaminati, possiamo notare come i magistrati hanno fornito soluzioni diverse e adattate al caso di specie.

A parere di chi scrive, attesi i dubbi applicativi, occorrerebbe (forse) un intervento chiarificatore della norma in quanto la revoca giudiziale resta uno strumento indispensabile per i condomini. Basti pensare al caso esaminato dalla Corte d'Appello di Bari (12 giugno 2019) i cui giudici hanno (finalmente) affermato un particolare principio: “ove la revoca giudiziale dell'amministratore in prorogatio non fosse ammessa, verrebbe meno la possibilità di qualsiasi controllo giudiziale sull'operato di questi, a discapito delle minoranze dell'assemblea condominiale o di singoli condomini dissenzienti, la cui tutela dovrebbe essere il perno della disciplina legislativa inerente alla funzione assembleare”.

Del resto, la prorogatio non esiste quando è stata pronunciata una revoca giudiziale. E anche l'atto di convocare l'assemblea da parte dell'amministratore revocato è illecito, con la conseguenza che la delibera assembleare di nomina di un nuovo amministratore è nulla (Trib. Fermo 12 ottobre 2017, n. 608).

In conclusione, le ragioni sottese alla revoca giudiziale dell'amministratore poggiano sulla violazione dei doveri impostigli dalla legge; il provvedimento giudiziale resta quindi finalizzato a sottrarre il condominio alla condotta contraria alle norme di legge da parte dell'ex amministratore e ciò giustifica una rescissione netta ed immediata del rapporto tra le parti.

Riferimenti

Frugoni, Non è soggetto a revoca giudiziale l'amministratore che si trovi in regime di prorogatio imperii, in Condominioelocazione.it, 2 settembre 2019;

Gatto, Amministratore (durata e prorogatio), in Condominioelocazione.it, 6 novembre 2017;

Valentino, Con la revoca niente proroga, in Norme e tributi, 31 ottobre 2017, 29;

Accoti, L'amministratore in prorogatio: dopo la riforma la limitazione dei suoi poteri gestori, in Consulente immobiliare, 15 giugno 2017, fasc. 1023, 1002;

Celeste - Scarpa, L'amministratore e l'assemblea, Milano, 2014, 30;

Baldacci, Come applicare la riforma del condominio, Rimini, 2013, 162.

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