Terzo settore. Pubblicato il D.M. sulle attività diverse

Giuseppe Rivetti
12 Agosto 2021

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 177 del 26 luglio 2021, il Decreto del Ministero del Lavoro, rubricato Regolamento ai sensi dell'art. 6 del d.lgs. n. 117/2017 (Codice del Terzo settore), concernente l'individuazione di criteri e limiti delle attività diverse degli enti di Terzo settore.
ETS tra attività di interesse generale e attività diverse

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 177 del 26 luglio 2021, il Decreto 19 maggio 2021, n. 107 del Ministero del Lavoro, rubricato Regolamento ai sensi dell'art. 6 del d.lgs. n. 117/2017 (Codice del Terzo settore), concernente l'individuazione di criteri e limiti delle attività diverse degli enti di Terzo settore.

Il decreto si compone di soli quattro articoli e realizza la piena attuazione dell'art. 6 del Codice di Terzo settore (d.lgs. n. 117/2017, CTS) a mente del quale gli enti del Terzo settore possono esercitare attività diverse da quelle di interesse generale (art. 5 CTS), a condizione che l'atto costitutivo o lo statuto lo consentano e siano secondarie e strumentali rispetto alle predette attività di interesse generale.

Relativamente al rapporto tra attività commerciali e istituzionali occorre ovviamente tenere conto dell'insieme delle risorse, anche volontarie e gratuite, impiegate in tali attività in base all'insieme delle risorse, anche volontarie e gratuite, impiegate nelle attività di interesse generale.

La ratio sottesa a tale disposto si riscontra nella volontà del legislatore di non precludere, all'ente non commerciale, la facoltà di svolgere attività a contenuto economico.

Strumentalità e non prevalenza delle attività diverse. I parametri stabiliti nel Decreto

Gli ETS possono dunque svolgere le richiamate attività diverse, come forma di auto-finanziamento dell'ente stesso. I requisiti della strumentalità e della secondarietà vengono dettagliatamente delineati nel D.M. in esame. In particolare, le attività diverse sono considerate strumentali se, indipendentemente dal loro oggetto, vengono esercitate dall'ente del Terzo settore, per la realizzazione, in via esclusiva, delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale perseguite dall'ente medesimo (art. 2).

Ne consegue che il nesso di strumentalità viene in parte attenuato, in modo da agevolare la possibilità dell'ETS di finanziarsi mediante l'esercizio di attività diverse rispetto a quelle istituzionali.

La secondarietà, invece, ricorre in una delle seguenti ipotesi (art. 3):

  • i ricavi da attività diverse non sono superiori al 30% delle entrate complessive dell'ente del Terzo settore;
  • i ricavi da attività diverse non sono superiori al 66% dei costi complessivi dell'ente del Terzo settore.

Il decreto riprende la disciplina a suo tempo dettata per le Imprese sociali con riferimento alle attività secondarie (d.lgs. 112, art. 2, comma 3) e quella concernente le ONLUS (d.lgs. 460/1997, art. 10, comma 5).

Si sottolinea che siamo in presenza di criteri alternativi ed è dunque sufficiente il rispetto di uno dei due, affinché lo svolgimento delle predette attività diverse non violi la disposizione di legge. Inoltre, non viene fornita alcuna indicazione in merito alla “continuità” del criterio selezionato; in attesa di chiarimenti, si può presumere che questo criterio possa anche variare da esercizio ad esercizio.

L'ente del Terzo settore dovrà di conseguenza scegliere uno dei due parametri e l'organo di amministrazione avrà poi l'onere indicarlo in maniera esplicita nella relazione di missione o in un'annotazione in calce al rendiconto per cassa.

Nello specifico, si richiede infatti all'organo competente (ai sensi dell'art. 13, comma 6, CTS) di documentare il carattere secondario e strumentale delle attività diverse:

  1. nella relazione di missione per gli ETS che predispongono il bilancio in forma “ordinaria”;
  2. nell'annotazione al bilancio per gli ETS di minori dimensioni che redigono il bilancio forma semplificata, quindi senza relazione di missione;
  3. nella “nota integrativa” per gli enti che esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa commerciale, che quindi presentano il bilancio in linea con le previsioni adottate dalle società di capitali (v., anche CNDCEC, Riforma del Terzo settore: elementi professionali e criticità applicative, 2019, 43).

Il Decreto in oggetto, delinea inoltre i parametri per il computo della percentuale di cui all'art. 3, comma 1, lett. b) – ossia ricavi non siano superiori al 66% dei costi complessivi.

Al riguardo, rientrano tra i costi complessivi dell'ente del Terzo settore anche:

  • i costi figurativi relativi all'impiego di volontari iscritti nell'apposito registro previsto dall'art. 17 CTS. Nel dettaglio tali costi vanno calcolati attraverso l'applicazione, alle ore di attività di volontariato effettivamente prestate, della retribuzione oraria lorda prevista per la corrispondente qualifica dai contratti collettivi di riferimento;
  • le erogazioni gratuite di denaro e le cessioni o erogazioni gratuite di beni o servizi, per il loro valore normale;
  • la differenza tra il valore normale dei beni o servizi acquistati ai fini dello svolgimento dell'attività statutaria e il loro costo effettivo di acquisto.

Non rientrano invece nel computo di entrambe le percentuali indicate nel primo comma dell'art. 3, i proventi e gli oneri generati dal distacco del personale degli ETS presso enti terzi, né al numeratore né al denominatore del rapporto.

Obblighi, responsabilità e impianto sanzionatorio

Qualora si presenti uno “sforamento” delle citate percentuali, da parte dell'ETS, il legislatore prevede una possibilità di ravvedimento per rientrare nei parametri, senza applicazione immediata di sanzioni.

Nello specifico, l'ETS nel termine di trenta giorni dalla data di approvazione del bilancio da parte dell'organo competente, deve inviare apposita segnalazione all'ufficio del Registro unico nazionale territorialmente competente nonchè, eventualmente, agli enti altri autorizzati, ossia alle reti associative iscritte nell'apposita sezione del RUNTS ovvero agli enti accreditati come Centri di servizio per il volontariato (CSV), appositamente autorizzati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali (v., art. 93, comma 5 CTS).

Tale previsione si intreccia con la disciplina in materia di competenze e responsabilità dell'organo di controllo di cui all'art. 30 CTS.

Infatti, tale l'organo (nelle ipotesi in cui sia prevista la nomina da parte dell'ETS) oltre ad esercitare vigilanza sull'osservanza della legge e dello statuto e sul rispetto dei principi di corretta amministrazione - anche con riferimento alle disposizioni del D.lgs. n. 231/2001, qualora applicabili - nonché sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile e sul suo concreto funzionamento, deve farsi garante anche della verifica dei richiamati requisiti di secondarietà e strumentalità delle attività economiche eventualmente esercitate, in linea con quanto stabilito dal recente D.M.

Inoltre, con una formulazione che non brilla per chiarezza, si stabilisce che a seguito della segnalazione agli Uffici competenti, l'ente del Terzo settore è tenuto ad adottare, nell'esercizio successivo, un rapporto tra attività secondarie ed attività principali di interesse generale «per cui applicando il medesimo criterio di calcolo di cui all'articolo 3, comma 1, sia inferiore alla soglia massima per una percentuale almeno pari alla misura del superamento dei limiti nell'esercizio precedente» (v. art. 4, comma 2).

In altri termini, l'ente è tenuto a riequilibrare il rapporto tra attività secondarie e istituzionali, regolarizzando nell'esercizio successivo il mancato rispetto della soglia percentuale.

Infine, in caso di omessa segnalazione o mancato rispetto del computo delle percentuali nel successivo esercizio, viene disposta una sanzione gravosa: l'ufficio del RUNTS territorialmente competente, infatti, dispone la cancellazione dell'ETS dal Registro medesimo (art. 4, comma 3).

La regolamentazione delle attività di interesse generale nel Codice del Terzo Settore

In via generale, si ricorda che gli ETS sono tenuti a svolgere in via esclusiva e principale le attività di interesse generale espressamente elencate nell'art. 5 del Codice del Terzo settore al fine di perseguire, senza scopo di lucro, finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale.

Peraltro, i parametri per la valutazione della non commercialità si ritrovano nell'art. 79, norma cit. in riferimento al quale «le attività di interesse generale si considerano di natura non commerciale quando sono svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi (…)».

Successivamente il legislatore inserisce nell'art. 79 CTS, il comma 2-bis con cui, introducendo un nuovo parametro, specifica che le attività di interesse generale si considerano non commerciali qualora i ricavi non superino di oltre il 5% i relativi costi per ciascun periodo d'imposta e per non oltre due periodi di imposta consecutivi.

Del resto, qualora risultasse rilevante solo la gratuità o la quasi gratuità del servizio reso dall'ente ai fini dell'assenza dello scopo di lucro, ne deriverebbe che, paradossalmente, solo gli enti no profit in perdita o destinati a gestioni fallimentari potrebbero essere annoverati tra gli enti di Terzo settore.

La relazione illustrativa al Decreto correttivo (d.l. n. 119/2018, conv. in L. n. 136/2018) chiarisce che la disposizione è volta a «consentire un margine di flessibilità nella gestione degli enti ed evitare che il conseguimento di eventuali utili al termine dell'esercizio, che peraltro devono essere costantemente reinvestiti negli scopi istituzionali, possa automaticamente comportare la qualifica dell'attività svolta come di natura commerciale, incidendo anche sulla natura dell'ente». Il calcolo del 5% deve essere effettuato per ciascun periodo d'imposta sino ad un massimo di due consecutivi, e per ciascuna attività di interesse generale, in modo da verificare se sia stato o meno superato il limite di tolleranza previsto.

In conclusione

La dimensione economica rappresenta un aspetto costitutivo e di autonomia delle moderne strutture non profit che, in tal modo, risultano affrancate dai finanziamenti degli enti pubblici; finanziamenti che, se prevalenti, potrebbero finirebbero per condizionare lo stesso modo di esistere dell'ente.

La possibilità per tali enti di reperire risorse strumentali alle finalità istituzionali, realizza senza dubbio una importante funzione di autonoma crescita e sviluppo.

Per altro verso questo significa, sul piano normativo, riconoscere il ruolo e la rilevanza sociale di tali enti nell'ambito delle moderne strutture di Welfare State, incentivando la ricerca di mezzi economici, per uscire da una dannosa logica di assistenzialismo di Stato.

Non si può, infatti, negare la possibilità all'ente non profit di organizzarsi in modo imprenditoriale/economico e di conseguire risorse finanziarie, per lo svolgimento delle proprie attività istituzionali.

D'altronde, sin dall'emanazione della Legge delega n. 106/2016 appariva chiaro l'obiettivo primario della riforma: incentivare l'armonizzazione della finalità solidaristica con quella economico-imprenditoriale, valorizzando in concreto il ruolo del Terzo settore nel tessuto economico (sulle tematiche, v. Cass. civ., sez. trib., 16/06/2021, n. 17026; Cass. civ., sez. VI, 25/03/2020, n. 7502; Cass. civ., sez. trib., 14/01/2021, n. 526; Cass. civ., 16/07/2019, n. 19072; Cass. civ., 21/05/2019, n. 13691;Cass. civ., sez. trib., 8 luglio 2015, nn. 14225 e 14226).

(Fonte: IlTributario.it)

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