L'amministratore di sostegno: responsabilità

Nicola Frivoli
19 Agosto 2021

L'introduzione della figura dell'amministratore di sostegno nel nostro ordinamento ha cambiato le “carte in tavola” in ordine alla protezione dei soggetti fragili, facendo divenire residuale gli istituti preesistenti (interdizione ed inabilitazione), ma, allo stesso tempo, tale strumento di tutela è stato ritenuto prevalente, comportando una serie obblighi e doveri in capo all'esecutore e conseguenti responsabilità.
Inquadramento dell'istituto

L'amministrazione di sostegnoè stata introdotta nel nostro ordinamento con la legge 9 gennaio 2004, n. 6 e disciplinata dagli artt. 404 e ss c.c. Con la normativa menzionata viene introdotta tale figura e, allo stesso tempo, vengono modificati e rivisti gli istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione. L'amministrazione di sostegno costituisce un istituto profondamente diverso dall'interdizione e dall'inabilitazione, ed intende valorizzare e promuovere l'autonomia residua della persona (beneficiario) e non emarginarla o escluderla. Infatti, con convenzione di New York 13.12.2006 sui diritti dei disabili (ratificata dall'Italia con legge 3 marzo 2009, n. 18) che riconosce «l'importanza per le persone con disabilità della loro autonomia ed indipendenza individuale», compresa la «libertà di compiere le proprie sceltee prefigura inoltre misure di protezione adatte e proporzionate che devono essere applicate per il più breve tempo possibile, con l'obbligo di verifica costante e concreta dell'attualità dei presupposti», l'istituto in disamina ti attaglia alla perfezione. In tema di tutele, l'amministrazione di sostegno si configura come uno strumento di tutela duttile e flessibile; esso è modulabile, sia in relazione alle condizioni (di salute o di vita) del soggetto al momento in cui viene predisposta la protezione, sia, nel tempo, in relazione ad un eventuale mutamento, positivo o negativo, delle stesse. Di contro, l'interdizione appare come un interruttore che accende o spegne la capacità di agire del soggetto, senza concedere alcuna sfumatura (salvo quanto ora previsto dall'art. 427 comma 1 c.c.); invece, l'amministrazione di sostegno non prevede nessuna aprioristica e generalizzata limitazione della capacità, ma un intervento che si adatti alle peculiarità dello specifico caso e che tenga conto, laddove possibile, delle richieste, dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario stesso. Nell'espletamento della sua funzione, l'amministratore ha molteplici doveri e susseguenti responsabilità.

I requisiti necessari

I presupposti per l'applicazione dell'amministrazione di sostegno sono indicati, innanzitutto, nell'art. 404 c.c., che dispone che può essere assistita da un amministratore di sostegno: «la persona che si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, per effetto di una infermità, ovvero di una menomazione fisica o psichica». La norma individua, dunque,

un requisito soggettivo

, consistente nella sussistenza di un'infermità o di una menomazione fisica o psichica, nonché

un requisito oggettivo

, rappresentato dall'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, personali o patrimoniali. Richiede, inoltre, la sussistenza di un rapporto di causalità tra l'infermità o la menomazione fisica e psichica e l'impossibilità di attendere ai propri interessi. È possibile che l'istituto dell'amministrazione di sostegno possa essere disposto non solo in presenza dei requisiti soggettivi indicati dall'art. 404 c.c. (infermità o menomazione fisica o psichica), ma anche in assenza di una specifica patologia, laddove il soggetto sia «

privo di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana

» anche per ragioni di tipo sociale, relazionale, culturale, etnico, ecc.

In tale ottica, quindi, l'amministrazione di sostegno potrà essere utilizzata anche per far fronte a situazioni di disagio, che possono estrinsecarsi sul piano sociale, affettivo, relazionale oppure lavorativo.

In sintesi, e tenendo conto sia dei requisiti previsti dall'art. 404 c.c., sia della più generale indicazione di cui all'art. 1 della legge n. 6/2004, l'istituto dell'amministrazione di sostegno potrà trovare applicazione nei seguenti casi:

-

Sussistenza di un'infermità mentale

che abbia i caratteri della abitualità e della gravità, nonché di una meno grave menomazione psichica che privino la parte (anche parzialmente e in via temporanea) della capacità di provvedere ai propri interessi, personali o patrimoniali. Il riferimento è alle

gravi patologie psichiatriche

(psicosi, gravi depressioni, autismo, ecc.), nonché neurologiche, anche di carattere degenerativo (demenze, patologia di alzheimer); alle dipendenze (alcool dipendenza, tossicodipendenza, prodigalità, oniomania); ma anche a quelle condizioni morbose transitorie che siano suscettibili di un'evoluzione positiva.

- Ai sensi dell'art. 404 c.c.,

sussistenza di un

'

infermità

o di una

menomazione fisica

, che privino la parte (anche parzialmente e in via temporanea) della capacità di provvedere ai propri interessi, personali o patrimoniali. Il riferimento è alle più svariate patologie fisiche, ivi compresi gli stati vegetativi e il coma; gli ictus, le malattie terminali; così come i deficit sensoriali (cecità, sordomutismo, ecc.).

- Ai sensi dell'art. 1 legge n. 6/2004,

sussistenza di una condizione di inadeguatezza gestionale

,

non necessariamente dovuta ad una patologia

, ma caratterizzata dalla mancanza in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana.

I doveri dell'amministratore di sostegno

Per l'individuazione dei doveri cui è tenuto l'amministratore di sostegno, la norma cardine è l'art. 410 c.c., che recita: «nello svolgimento dei suoi compiti l'amministratore di sostegno

deve tener conto dei bisogni

e delle

aspirazioni del beneficiario

(…)».

Va precisato che il rispetto delle aspirazioni e dei bisogni del beneficiario è

un dovere

al quale l'amministratore di sostegno dovrà ispirarsi oltre che per la gestione degli aspetti patrimoniali ma anche non patrimoniali.

A ciò si aggiunga che «l'amministratore di sostegno deve

tempestivamente informare il beneficiario

circa gli

atti da compiere

nonché il Giudice Tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso. (…)», come stabilito sempre dall'art. 410, comma 2, c.c.

Dunque,

le finalità proprie dell'amministrazione di sostegno

sono quelle di cura della persona e di gestione del patrimonio, da perseguirsi tenendo conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario.

In tale ambito, l'amministratore di sostegno avrà

il dovere, stabilito dalla legge,

di:

  • ascoltare il beneficiario e renderlo edotto circa gli atti da compiere e informare il Giudice in caso di dissenso con il beneficiario (art.410, commi 1 e 2, c.c.);
  • prestare

    giuramento

    ex art. 349 c.c.: il giuramento è una dichiarazione solenne, pronunciata avanti giudice tutelare che impegna l'amministratore di sostegno a prendere consapevolezza della delicatezza dell'incarico e della responsabilità che assume nei confronti del beneficiario. Prima di tale atto– in linea teorica da effettuarsi entro 10 giorni da quello in cui l'amministratore di sostegno ha avuto notizia dell'avvenuta nomina – l'amministratore di sostegno non può validamente porre in essere alcun atto;
  • redigere l'

    inventario dei beni

    ex art. 362 c.c., se richiesto dal giudice. L'amministratore di sostegno dovrà documentare analiticamente l'ammontare e la composizione del patrimonio del beneficiario;
  • farsi portavoce di ogni

    istanza

    nell'interesse del beneficiario, promuovendo l'intervento del giudice tutelare per una modulazione costante della misura di protezione, sempre con riferimento ai bisogni e alle aspirazioni del beneficiario;
  • continuare nello svolgimento dei suoi compiti per almeno 10 anni, nel caso in cui 'amministratore di sostegno sia un soggetto terzo,(anche oltre i dieci anni, se,invece,l'amministratore di sostegno è coniuge, convivente, ascendente o discendente del beneficiario) ex art.410,ultimo comma, c.c.;
  • amministrare il patrimonio con la diligenza del buon padre di famiglia (ex art. 382 c.c.) e relazionare periodicamente sull'attività svolta e sulle condizioni di vita personale e sociale del beneficiario;
  • chiedere al giudice le

    autorizzazioni preventive per atti di straordinaria amministrazione

    ex artt. 374 e 375 c.c.;
  • rispettare i

    limiti di spesa ordinaria

    stabiliti nel decreto;
  • svolgere

    personalmente

    le proprie funzioni;
  • alla cessazione dell'incarico, fare subito la

    consegna dei beni

    e presentare, nel termine di due mesi, il

    conto finale

    .

Per completezza, vi sono

doveri che rinvengono dal decreto di nomina

emessa dal Giudice Tutelare competente:

  • «

    Coinvolgimento del beneficiario

    . Nello svolgimento dei suoi compiti, l'amministratore di sostegno deve tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario (art. 410, comma 1, c.c.), pertanto questi dovrà periodicamente conferire con il beneficiario, secondo i tempi e le circostanze specifiche del caso concreto, riferendo al giudice tutelare, in occasione del rendiconto ovvero senza indugio se è necessario segnalare eventi o fatti rilevanti per l'amministrazione di sostegno»;
  • «

    Partecipazione del beneficiario.

    L'amministratore di sostegno deve tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere nonché il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso. In caso di contrasto, di scelte o di atti dannosi ovvero di negligenza nel perseguire l'interesse o nel soddisfare i bisogni o le richieste del beneficiario, questi, il Pubblico Ministero o gli altri soggetti di cui all'art. 406 c.c. possono ricorrere al giudice tutelare, che adotta con decreto motivato gli opportuni provvedimenti (art. 410, comma 2,c.c.)».
  • «

    Adeguatezza della protezione

    (art. 413 c.c.). L'amministratore di sostegno è tenuto a riferire senza indugio, al giudice tutelare le circostanze sopravvenute o gli altri eventi di cui abbia avuto notizia che depongono, nel senso di una sua inidoneità della amministrazione di sostegno, in vista di una sua revoca oppure in funzione dell'applicazione di una misura di protezione diversa (es. interdizione)».

Va, altresì, sottolineato che l'ufficio di amministratore di sostegno ha un rilievo pubblicistico (munus publicum), dato che l'attività viene svolta, oltre che nell'interesse del beneficiario, in quello di tutta la collettività. In considerazione di detta caratteristica, si è affermato che

l'amministratore di sostegno riveste la qualità di pubblico ufficiale,

argomento che si approfondirà nel prosieguo della presente disamina.

La responsabilità dell'amministratore di sostegno nei confronti del beneficiario

Analogamente a quanto previsto per il tutore (art. 382 c.c.) in virtù del richiamo operato

dall'art. 411 c.c.,

l'amministratore di sostegno deve amministrare il patrimonio del beneficiario con la diligenza del buon padre di famiglia e

risponde verso il beneficiario stesso di ogni danno a lui cagionato

,

violando i propri doveri

, anche se la violazione discenda da una condotta caratterizzata da colpa lieve.

La norma, pur essendo dettata con riferimento alle inadempienze relative all'amministrazione del patrimonio, deve essere ormai estesa anche a quelle relative all'attività di cura della persona del beneficiario. Infatti, la previsione è stata formulata con riferimento alla tutela, in cui

la protezione degli interessi patrimoniali del tutelato assumevano massima centralità,

rimanendo invece periferici, sullo sfondo,i temi legati alla cura della persona. Di contro, la legge sull'amministrazione di sostegno garantisce un ruolo quasi predominante alla cura del soggetto debole, all'attenzione alla sua salute e alla qualità della sua vita.

Pertanto, l'amministratore di sostegno, che nello svolgimento del suo incarico violi i propri doveri relativi alla

gestione patrimoniale e a quelli di cura e di vigilanza

, adempiendo con negligenza o disonestà, oppure in eccesso rispetto all'oggetto dell'incarico e in contrasto con gli interessi del beneficiario, risponderà dei danni causati a quest'ultimo e potrà essere

destinatario di un provvedimento di rimozione

. Inoltre, i predetti atti dannosi, potranno essere annullati ai sensi

dell'art. 412 c.c

., per iniziativa dell'amministratore di sostegno, del Pubblico Ministero, del beneficiario o dei suoi eredi od aventi causa (non, quindi, per iniziativa dell'altro contraente), entro 5 anni dalla data di cessazione della sottoposizione all'amministrazione di sostegno.

Nell'ipotesi di cui all'art.382c.c., oltre a dover risarcire i danni,

l'amministratore sarà rimosso dall'ufficio ex art.

384c.c.

Infatti, la pendenza di una lite, anche stragiudiziale, costituisce causa di incapacità all'ufficio tutelare, ai sensi dell'art.350n.3c.c.(previsione applicabile al caso di specie, giusta il richiamo della norma di cui all'art. 411c.c.).

La

responsabilità exart.382c.c. è di natura contrattuale

: i doveri cui fa riferimento la norma riguardano il rapporto obbligatorio che lega l'amministratore di sostegno al beneficiario, che si instaura con la nomina del giudice. Spetterà quindi all'amministratore di sostegno provare che un supposto inadempimento a doveri connessi allo svolgimento del suo incarico non dipenda da una causa a lui imputabile.

La responsabilità sarà attenuata in quanto derivante dalla violazione di un'obbligazione a titolo gratuito: l'incarico è infatti tendenzialmente gratuito.

L'attenuazione della responsabilità, inoltre, è conseguente:

  • alla meritevolezza dell'attività oggetto dell'obbligazione;
  • all'ampiezza dell'intervento del giudice tutelare (tanto maggiore sarà l'intervento, tanto minore sarà la responsabilità dell'amministratore di sostegno e, quindi, l'importo risarcibile);
  • alla parziale capacità d'agire del beneficiario (tanto maggiore sarà la consapevolezza e il coinvolgimento del beneficiario, tanto minore sarà la responsabilità dell'amministratore di sostegno).

Ai fini della quantificazione dell'entità del risarcimento, il beneficiario, tramite l'amministratore di sostegno che sarà subentrato al precedente, dovrà fornire la prova del danno subito, avvalendosi di ogni strumento probatorio.

La responsabilità

dell'amministratore di sostegno nei confronti dei terzi per gli atti illeciti commessi.

Ai sensi dell'

art.

2043 c.c.,

l'amministratore di sostegno risponde dei danni provocati a terzi per gli atti compiuti e per le obbligazioni assunte in nome e per conto del beneficiario, senza le prescritte autorizzazioni del Giudice Tutelare. Situazione diversa, è quella che si verifica quando sia il beneficiario a commettere un illecito civile.

Per tale ipotesi, ci si interroga, in particolare, in merito all'applicabilità dell'art. 2047 c.c. e, in stretta connessione ad esso, dell'art. 2046 c.c.

In altri termini, ci si domanda, l'amministratore di sostegno sarà tenuto ex art. 2047 c.c. a rispondere dei danni commessi dal beneficiario a terzi.

Facendo riferimento ai presupposti della norma, due sono i principali problemi che si pongono con riferimento all'applicabilità dell'art. 2047c.c.:

1) se il beneficiario possa sempre definirsi “incapace di intendere e di volere”;

2) se tra i doveri dell'amministratore di sostegno rientri anche quello di “sorveglianza” dell'incapace (dovere di custodia) e se, di conseguenza, in caso di omessa vigilanza, egli possa essere chiamato a rispondere per i danni commessi dal beneficiario.

Quanto

al primo problema

, va ricordato che, ai sensi dell'art. 409,comma 1 c.c., il beneficiario conserva la capacità d'agire per tutti gli atti che non richiedano la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno.

Questo significa che il beneficiario non è da ritenersi automaticamente incapace e che, piuttosto, il giudice sarà tenuto a valutare di volta in volta se questi lo fosse nel momento in cui ha commesso il fatto illecito.

In secondo luogo, anche laddove il beneficiario abbia posto in essere un atto in condizioni di incapacità, l'art. 2047 c.c. potrà essere invocato, solo se sussista anche un dovere di sorveglianza in capo all'amministratore di sostegno. Il predetto dovere non è sempre riconducibile all'amministratore di sostegno, che, a differenza dei genitori, del tutore o del personale delle strutture sanitarie relativamente ai soggetti incapaci ricoverati, a cui è sempre demandato un compito di cura della persona e in capo ai quali si riconosce un dovere di vigilanza, può essere titolare di compiti di natura esclusivamente patrimoniale (Cass. civ. 20 giugno 2008,n.16803).

In concreto, la responsabilità dell'amministratore di sostegno quale sorvegliante (e quindi la titolarità in capo allo stesso di un dovere di vigilanza) dovrà essere valutata con riferimento al contenuto del decreto di nomina. La posizione di garanzia dell'amministratore di sostegno potrà ritenersi sussistente ogni qualvolta il decreto di nomina gli attribuisca un potere (di rappresentanza o di assistenza) nella cura della persona e della salute della stessa.

Nel caso di

danni cagionati a terzi dal beneficiario

, quando non sia possibile applicare

l'art. 2047 c.c.,

si è supposto, infine, di applicare

l'art. 2048 c.c.,

che presuppone la capacità di intendere e di volere del soggetto sorvegliato. Nell'ambito della disciplina sulla responsabilità extracontrattuale per illecito commesso dall'incapace, disciplinata dagli artt. 2047 e 2048 c.c., ci si chiede se rientri o meno anche l'ipotesi di danno auto cagionato dal beneficiario a sé stesso, con conseguente responsabilità dell'amministratore tenuto alla sua sorveglianza.

L'art.2047c.c. chiama a rispondere colui che era tenuto a sorvegliare l'incapace, salvo che non riesca a provare di non aver potuto impedire l'evento.

L'art. 2048 c.c. chiama a rispondere i genitori, il tutore o i precettori a seconda che l'illecito sia stato commesso dai figli o dagli allievi, a meno che non provino di non aver potuto impedire il fatto. Gli articoli citati si differenziano soltanto sotto il profilo dell'esistenza o meno della capacità di intendere o di volere del soggetto attivo «Infatti la responsabilità del sorvegliante per il danno cagionato dal fatto illecito del minore trova fondamento, a seconda che il minore sia o meno capace di intendere o di volere al momento del fatto, rispettivamente nell'art. 2048, in relazione ad una presunzione iuris tantum di difetto di educazione o di vigilanza, ovvero nell'art. 2047, in relazione ad una presunzione iuristantum di difetto di sorveglianza e di vigilanza: le due indicate ipotesi di responsabilità presunta, pertanto, sono alternative – e non concorrenti – tra loro, in dipendenza dell'accertamento, in concreto dell'esistenza di quella capacità» (Cass. civ. S.U. 27 giugno 2002, n. 9346).

La responsabilità penale dell'amministratore di sostegno

L'amministrazione di sostegno presenta profili critici anche di rilevanza penale. Il tutto è strettamente legato ai doveri dell'amministratore di sostegno, disciplinati dall'art. 410 c.c., da cui discendono in capo allo stesso precise responsabilità.

In particolare, posiamo l'accento sulla qualifica che assume l'amministratore di sostegno di pubblico ufficiale.

In tal senso, l'art. 357 c.p. dispone che «agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali, coloro i quali esercitano una

pubblica funzione legislativa, giudiziaria

o

amministrativa

. Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi».

In sintesi, la pubblica funzione è l'attività disciplinata da norme di diritto pubblico, dotata di autoritarietà ed espressioni di pubbliche potestà.

Al contrario, il

pubblico servizio

, così come previsto dall'art. 358 c.p., consiste in un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale.

In conclusione, secondo la Cassazione: «Al fine di individuare se l'attività svolta da un soggetto possa essere qualificata come pubblica, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 357 e 358 c.p., è necessario verificare se essa sia o meno

disciplinata da norme di diritto pubblico

, quale che sia la connotazione soggettiva del suo autore, distinguendosi poi – nell'ambito dell'attività definita pubblica sulla base di detto parametro oggettivo – la pubblica funzione dal pubblico servizio per la presenza, nell'una, o la mancanza, nell'altro,dei poteri tipici della potestà amministrativa, come indicati dall'art. 357 c.p., comma 2» (Cass. pen., 1° febbraio 2016, n. 4126).

L'art. 357c.p. induce a pensare che la qualifica di pubblico ufficiale vada attribuita solamente a coloro che concorrono, con la loro attività, a formare e a manifestare la volontà dello Stato o di altri enti pubblici.

La Suprema Corte ha però affermato che è

pubblico ufficiale

: «anche chi è chiamato a svolgere attività avente carattere accessorio o sussidiario ai fini istituzionali degli enti pubblici, in quanto anche in questo caso si verifica, attraverso l'attività svolta, una partecipazione, sia pure in misura ridotta, alla formazione della volontà della pubblica amministrazione» mediante poteri autoritativi o certificativi (Cass. pen., 30 maggio 2014, n. 22707).

Sulla base di tali considerazioni gli ermellini ha anche stabilito che: «il ruolo del

tutore

, disciplinato da norme di diritto pubblico, è contrassegnato dall'esercizio di poteri certificativi ed autoritativi, di talché lo stesso tutore deve intendersi investito di una

pubblica funzione

, così come già stabilito da questa Corte nella sua giurisprudenza più recente» (Cass. pen., 4 giugno 2014, n. 23353).

L'esame della “reale attività esercitata e gli scopi perseguiti” dal tutore, prima, e dall'

amministratore di sostegno

poi, ha condotto la giurisprudenza di legittimità ad attribuire a quest'ultimo la veste e la qualità di

pubblico ufficiale

, considerato il complesso delle norme a lui applicabili ed in particolare:

a) la prestazione del

giuramento

prima dell'assunzione dell'incarico (art. 349c.c.);

b) il regime delle

incapacità

e delle

dispense

(artt. 350 e 353c.c.);

c) la disciplina delle

autorizzazioni

, le categorie degli

atti vietati

, il

rendiconto

annuale al giudice tutelare sulla contabilità dell'amministrazione (artt. 374 e 388c.c.);

d) l'applicazione, nei limiti di compatibilità, delle

norme limitative in punto di capacità a ricevere per testamento

(artt. 596 e 599 c.c.)

e capacità a ricevere per donazioni

(art. 779c.c.).

In sostanza si tratta di una disciplina, formale e sostanziale, che pone l'amministratore di sostegno sullo stesso piano del tutore con gli obblighi e le ricadute penali che la sua qualità di pubblico ufficiale comporta (Cass. pen., 3 dicembre 2014, n. 50574).

Infatti, analogamente a quanto previsto per il tutore dall'art. 380 c.c., anche l'amministratore di sostegno «deve tenere regolare contabilità della sua amministrazione e renderne conto ogni anno al giudice tutelare» così esercitando una

potestà certificativa

.

Inoltre, la sottoposizione alla direzione e alla vigilanza del giudice, oltre alle finalità proprie dell'istituto dell'amministrazione di sostegno evidenziano il carattere pubblicistico di un incarico che è lo stesso giudice tutelare a conferire all'amministratore per svolgere un'attività “ausiliaria” all'esercizio di una funzione giudiziaria.

L'amministratore di sostegnoè un pubblico ufficiale, con la conseguenza che lo stesso potrà risultare

imputabile di tutta una serie di reati

c.d.

propri

, tipici della funzione pubblica dallo stesso esercitata.

Va osservato, altresì, che vi sono numerosi reati che possono essere commessi dall'amministratore di sostegno nell'esercizio delle proprie funzioni, quali, tipicamente, i

delitti contro il patrimonio

, ma non solo. Si pensi al

delitto di falso

, ideologico e/o materiale (artt. 476-481 c.p.),che può essere commesso nella compilazione e presentazione al giudice tutelare della rendicontazione delle spese, così da ottenere una maggiore indennità.

In tale ipotesi, peraltro, il reato di falso costituirebbe altresì elemento tipico del

reato di truffa

(art. 640 c.p.), rappresentando l'artificio volto ad indurre in inganno il giudice tutelare.

Il delitto di truffa potrebbe configurarsi anche qualora l'amministratore di sostegno induca in errore il proprio amministrato o il giudice tutelare, procurando a sé o ad altri un ingiusto profitto con danno dell'amministrato.

Senza alcuna pretesa di esaurire la casistica dei reati che possono caratterizzare le attività svolte dall'amministratore di sostegno, di seguito verranno brevemente tratteggiati gli elementi distintivi del

peculato

, dell'

abbandono di minori e di persone incapaci

, della

circonvenzione

di

incapaci

e del

rifiuto di atti d

'

ufficio

, mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice che, a nostro avviso, presentano aspetti di maggior interesse rispetto alla funzione svolta.

In conclusione

L'amministratore di sostegno, nell'espletamento della sua funzione di protezione dei soggetti deboli - che hanno determinate caratteristiche - è divenuto l'istituto giuridico più adottato nei Tribunali della nostra penisola, atteso che mira a tutelare il beneficiario, non comprimendo la capacità d'agire dello stesso, essendo un istituto duttile ed adattabile.

La complessità del ruolo espletato, in sinergia con Il Giudice Tutelare competente, fa sì che l'amministratore di sostegno abbia una molteplicità di doveri ed obblighi, che hanno come rovescio della medaglia una miriade di responsabilità. La conseguenza è quella che chi esercita il “ruolo” di amministratore di sostegno deve essere una persona altamente professionale e preparata, perché la mancanza di tali caratteristiche, che ritengo necessarie, comporterebbe effetti, purtroppo, negativi in capo alla persona in difficoltà, che ha esclusivo bisogno di sostegno per far fronte alle proprie esigenze.

Dunque, l'individuazione della figura dell'amministratore di sostegno è di esclusiva competenza del Giudice Tutelare, il quale dovrà sceglierlo con attenzione, e come avviene in molti Tribunali, da appositi elenchi, dove vengono segnalati professionisti (nella maggior parte avvocati), aventi determinati requisiti di professionalità.

Riferimenti

Masoni, Amministratore di sostegno, in Il Familiarista, 2021;

Mercanti, Amministratore di sostegno e conflitto di interessi: quali soluzioni?, in Il Familiarista, 2021;

Masoni, Amministratore di sostegno: procedimento, in Il Familiarista, 2016.

(Fonte: Il Familiarista)

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