La composizione negoziata della crisi di cui al D.L. 118/2021: un rapido quadro e alcune riflessioni critiche

24 Agosto 2021

Il D.L. n. 118/2021, recante “Misure urgenti in materia di crisi d'impresa e di risanamento aziendale, nonché ulteriori misure urgenti in materia di giustizia”, approvato dal CdM lo scorso 5 agosto e pubblicato sulla G.U. n. 202 del 24 agosto 2021, tra le varie novità, introduce l'istituto della composizione negoziata della crisi di impresa, il cui presupposto è la condizione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario dell'impresa che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza. L'Autore analizza questo nuovo strumento e svolge alcune riflessioni critiche.
Premessa

Lo strumento di composizione negoziata della crisi rappresenta un passo deciso verso la degiurisdizionalizzazione della ristrutturazione di impresa, in chiave anticipatoria della Direttiva 1023/2019 e in netto superamento dell'impostazione del Codice della crisi, la cui entrata in vigore viene non a caso differita al 16 maggio 2022, a data presumibilmente successiva a quella di adozione della Direttiva suddetta, che ne renderà ampie parti del tutto superate.

Si tratta di una procedura - riservata, salvo le eccezioni previste dalla norma - di composizione della crisi di impresa il cui presupposto è la condizione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza (art. 2.1) nella quale campeggia la figura di un esperto indipendente il cui ruolo è di agevolare le trattative tra l'imprenditore, i creditori, ed eventuali altri soggetti interessati, al fine di individuare una soluzione per il superamento della condizione di squilibrio, anche mediante il trasferimento dell'azienda o rami di essa (art. 2.2).

La figura dell'esperto

Questo esperto è tratto da un elenco formato presso le camere di commercio di ciascun capoluogo di regione e delle province autonome di Trento e Bolzano tra gli iscritti, con idonea anzianità e qualificazione, agli albi dei dottori commercialisti, avvocati e consulenti del lavoro. Vi possono accedere, e questa è una novità, anche figure dirigenziali con esperienza nella ristrutturazione di impresa (art. 3.3). Tutti questi soggetti dovranno dimostrare di possedere specifica formazione secondo le linee di un decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia da emanarsi entro 30 giorni dall'entrata in vigore del Decreto.

L'esperto è nominato, su richiesta dell'imprenditore indirizzata al segretario generale della camera di commercio nel cui ambito territoriale si trova la sede legale dell'impresa, da una commissione di tre membri, soggetta a turnazione biennale di cui fa parte un magistrato nominato dal presidente del tribunale delle imprese del capoluogo di regione in cui si trova la camera di commercio che ha ricevuto la richiesta, un membro designato dal presidente della camera di commercio presso cui è costituita la commissione, e un membro designato dal Prefetto del capoluogo di regione (art. 3.6).

L'esperto è indipendente, non può assumere più di due incarichi contemporaneamente, osserva il segreto professionale sulle informazioni che ha il diritto di acquisire dall'imprenditore e dai suoi creditori, e gode del privilegio dell'art. 200 c.p.p. non potendo essere chiamato a deporre su quanto appreso nel corso del suo incarico.

Il suo compito è valutare, da subito, confrontandosi con l'imprenditore se “le prospettive di risanamento sono concrete” (art. 5.5). In tal caso, incontra con ritmo serrato le parti – non solo l'imprenditore ma anche i creditori – interessate al processo di ristrutturazione e “prospetta possibili strategie di intervento”.

Da notare che l'imprenditore deve avere fatto la propria parte nell'analisi della situazione se è vero che all'istanza per l'accesso alla composizione negoziata deve allegare “un piano finanziario per i successivi sei mesi e le iniziative industriali che intende adottare” (art. 5, comma 3, lett. c)).

Se il giudizio dell'esperto sulla risanabilità è negativo, questi informa l'imprenditore e il segretario generale della camera di commercio, che dispone l'archiviazione dell'istanza di composizione negoziata.

L'esperto è chiamato a concludere il suo incarico con una relazione finale in massimi 180 giorni (art. 5.7) con possibilità di proroga solo in presenza di accordo tra le parti, esperto incluso, o per ritardi dovuti ai tempi del tribunale in alcune fasi della procedura, di cui parleremo dopo.

La procedura

La procedura prevede che l'imprenditore sia conservato nella piena gestione dell'impresa (art. 9), potendo compiere atti di ordinaria e straordinaria amministrazione e pagamenti a creditori, di cui assume la responsabilità. Certo, dice la legge, quando “sussiste probabilità di insolvenza” deve agire in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell'impresa. Inoltre, quando intende compiere atti di gestione straordinaria e pagamenti che non siano coerenti con le trattative e le prospettive di risanamento, deve informarne preventivamente l'esperto il quale, se ritiene che l'atto sia pregiudizievole, lo segnala all'imprenditore e all'organo di controllo. L'imprenditore può compiere comunque l'atto contestato ma si sottopone alla conseguenza dell'iscrizione, obbligatoria o volontaria a seconda che l'atto pregiudichi o meno i creditori, del dissenso dell'esperto nel registro delle imprese e quindi alla pubblicizzazione della procedura.

L'imprenditore verrà aiutato nella diagnosi della sua situazione e nell'apprestamento di una strategia di contrasto da una piattaforma telematica nazionale (art. 3.1) che rende disponibile una lista di controllo particolareggiata, adatta in particolare alle PMI, che contiene indicazioni operative per la redazione del piano di risanamento e un test pratico per la verifica della sua ragionevole perseguibilità, il tutto secondo quanto previsto dal decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia di cui sopra.

È stabilito dal Decreto (art. 15) – che per altro rinvia a ben il 31 dicembre 2023 (una sorta di lancio in tribuna) l'entrata in vigore del titolo II del codice della crisi, quello sulle misure di allerta – che l'organo di controllo segnali all'organo amministrativo l'esistenza dei presupposti per la presentazione dell'istanza di composizione negoziata, avendone in cambio un possibile esonero o attenuazione di responsabilità ex art. 2407 c.c..

Il Decreto prevede l'intervento del tribunale (art. 10) (solo) quando l'imprenditore intenda negoziare finanziamenti di terzi (anche affiliati) o di soci muniti di prededucibilità o quando voglia dar corso alla vendita dell'azienda senza che operi la responsabilità del compratore ai sensi dell'art. 2560, comma 2, c.c.

Il tribunale decide anche sulla equa rideterminazione delle condizioni dei contratti resi eccessivamente onerosi dalla pandemia, sentito l'esperto, che avrà tentato infruttuosamente di mettere d'accordo le parti in fase stragiudiziale.

Il delicato tema delle misure di protezione patrimoniale viene risolto (art. 6) prevedendo che esse possano essere richieste dall'imprenditore nella istanza di composizione negoziata – o successivamente ad essa, nel corso della procedura -, e siano ottenute immediatamente e automaticamente, ma a prezzo della disclosure della crisi essendo tale istanza soggetta a pubblicazione nel registro delle imprese. Restano fermi i diritti dei titolari di crediti di lavoro. I creditori interessati dalle misure protettive non possono rifiutare l'adempimento dei contratti pendenti o dichiararli risolti per il solo fatto del mancato pagamento dei crediti anteriori.

L'Autorità Giudiziaria è però chiamata a confermare le misure protettive di cui l'imprenditore ha chiesto l'adozione (art. 7). E in questo contesto le può modificare e può concedere, ove occorra, mezzi cautelarinecessari per condurre a termine le trattative”. L'attivazione dell'Autorità Giudiziaria avviene con ricorso, contemporaneo all'istanza alla camera di commercio, con pubblicazione a registro imprese del ruolo del procedimento. Al ricorso vanno allegati gli ultimi tre bilanci, una situazione patrimoniale e finanziaria aggiornata a 60 giorni, l'elenco dei creditori, un piano finanziario per i successivi 6 mesi, un prospetto delle iniziative di carattere industriale in adozione, una dichiarazione con valore di autocertificazione attestante che l'impresa può essere risanata e il nome dell'esperto. Il procedimento si svolge nelle forme del rito cautelare (artt. 669 bis ss. c.p.c.) e con formalità minime, salvo il contraddittorio.

Dal deposito dell'istanza per l'ammissione alla conciliazione negoziata e fino alla conclusione del procedimento resta sospesa l'efficacia degli artt. 2446 e 2447 c.c. (e omologhe norme per le s.r.l.), anche agli effetti dello scioglimento della società.

La disciplina appresta misure premiali (art. 14) in ambito tributario.

In primis, durante la procedura gli interessi sui debiti tributari sono limitati alla misura legale.

In secondo luogo, per i debiti la cui scadenza intervenga durante la procedura, le sanzioni sono ridotte alla misura minima. Per i debiti sorti prima del deposito dell'istanza e oggetto di composizione negoziata le sanzioni sono ridotte a metà nelle ipotesi di cui all'art. 11, commi 2 (accordo di ristrutturazione del debito omologato) e 3 (accesso alle procedure di cui alla legge fallimentare, al concordato liquidatorio semplificato e al piano ex art. 67, comma 3, lett. d), l.fall.

È poi prevista, in caso di pubblicazione nel registro delle imprese degli accordi che danno luogo alla continuità aziendale secondo le previsioni dell'art. 11, comma 1, lett. a) e c) del Decreto, di cui diremo dopo, la rateizzazione fino a un massimo di 72 rate delle somme dovute e non versate a titolo di imposte sul reddito, ritenute alla fonte operate e imposta sul valore aggiunto e non ancora iscritte a ruolo e relativi interessi e sanzioni.

Si estendono infine alla procedura in esame i noti benefici degli artt. 88, comma 4 ter e 101, comma 5, D.P.R. 917/1986.

Qual è lo sbocco della procedura?

Ce n'è uno stragiudiziale, le cui articolazioni sono enunciate dall'art. 11, comma 1 del Decreto; e precisamente: (i) una convenzione di moratoria nella versione di cui all'art. 182 octies l. fall., come inserito dall'art. 20 del Decreto sul calco dell'art. 62 CCI (art. 11, comma 1, lett. b)); (ii) oppure un accordo tra imprenditore e creditori, controfirmato dall'esperto, che produce gli effetti dell'art. 67, comma 3, lett. d), l.fall. senza tuttavia che vi sia necessità di attestazione (art. 11, comma 1, lett. c)); (iii) e infine, citiamo testualmente “un contratto, con uno o più creditori, che produce gli effetti di cui all'art. 14 se, secondo la relazione dell'esperto di cui all'art. 5, comma 8 [n.d.r.: è la relazione conclusiva], è idoneo ad assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni (art. 11, comma 1, lett. a)).

Il secondo comma dell'art. 11 prevede che l'imprenditore possa, all'esito delle trattative, chiedere l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell'art. 182 bis l.fall. anche nella forma di accordi ad efficacia estesa, che il Decreto introduce nella legge fallimentare anticipando l'entrata in vigore dell'art. 61 CCI, o di accordi agevolati, anch'essi inseriti nella legge fallimentare sul calco dell'art. 60 CCI (rispettivamente nuovi artt. 182 septies e 182 novies l.fall.). Negli accordi ad efficacia estesa, che nel nuovo art. 182 septies non riguardano solo le banche ma anche creditori comuni, la percentuale da raggiungersi all'interno di una categoria per forzare i non aderenti scende dal 75 al 60% se il raggiungimento dell'accordo risulta dalla relazione finale dell'esperto. É una misura premiale che tende, evidentemente, a incentivare il ricorso alla composizione negoziata anche quando la sua conclusione si identifica con la procedura giudiziale dell'art. 182 bis l.fall.

Infine, il terzo comma dell'art. 11 del Decreto precisa che l'imprenditore può predisporre un piano di risanamento attestato ex art. 67, comma 3, lett. d), l.fall., o accedere a una delle procedure di cui alla legge fallimentare, o al concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, istituto di nuovo conio regolato dagli artt. 18 e 19 del Decreto.

Il presupposto del concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio è che l'esperto nella relazione finale dichiari l'insuccesso della procedura, vale a dire che le trattative non abbiano avuto esito positivo né siano praticabili le soluzioni di cui all'art. 11, commi 1 e 2, D.L. 118/2021. In tal caso, l'imprenditore potrà, nei 60 giorni successivi, presentare una proposta di concordato per cessione dei beni, unitamente al piano di liquidazione e ai documenti indicati nell'art. 161, comma 2, lett. a), b), c) e d) l.fall. (si tratta, lo ricordiamo, di una situazione contabile aggiornata, uno stato analitico ed estimativo delle attività, l'elenco nominativo dei creditori con indicazione dei relativi crediti e delle cause di prelazione, l'elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore e infine il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili. Viene omesso il richiamo alla lett. e) che fa riferimento al piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta).

Il tribunale valuterà la ritualità della proposta, la relazione finale dell'esperto e un suo ulteriore parere sui presumibili risultati della liquidazione e sulle garanzie offerte, nominando un ausiliario ai sensi dell'art. 68 c.p.c. cui si applicano in punto di incompatibilità le norme di cui agli artt. 35, comma bis, 35.1 e 35.2 del codice antimafia (il cui focus è incentrato sui rapporti tra ausiliario e giudici, più che su quelli con il debitore). Tale figura è comunque assimilata a quella del commissario con riferimento alla applicazione degli artt. 173, 184, 185, 186 e 236 l.fall. alla procedura in commento.

Il decreto che ammetta alla procedura e nomini l'ausiliario deve già fissare la data dell'udienza di omologazione, con un implicito invito alla celerità.

La proposta con il parere dell'ausiliario e la relazione dell'esperto andrà comunicata ai creditori i quali potranno proporre opposizione all'omologazione, costituendosi almeno 10 giorni prima dell'udienza fissata.

Il tribunale omologherà se, verificata la regolarità del procedimento e del contraddittorio, il rispetto dell'ordine delle cause di prelazione e la fattibilità del piano di liquidazione, rileverà che la proposta non arrechi pregiudizio ai creditori rispetto alla alternativa della liquidazione fallimentare e comunque assicuri una utilità a ciascun creditore.

La liquidazione procederà con un liquidatore, nominato con il decreto di omologazione. Se il piano di liquidazione comprende una offerta da parte di un soggetto individuato che abbia ad oggetto il trasferimento in proprio favore dell'azienda (o di suoi rami) o specifici beni, anche prima dell'omologazione, il liquidatore, verificata l'assenza di soluzioni migliori sul mercato, darà esecuzione all'offerta. Alla vendita si applicano le norme in punto di vendita forzata (da art. 2919 a art. 2929 c.c.).

Se la vendita dovrà intercorrere prima dell'omologazione sarà lo stesso ausiliario a darvi corso, osservate le cautele sulle possibili soluzioni alternative imposte al liquidatore giudiziale.

Fin qui una rapida sintesi del Decreto.

Riflessioni critiche

Siamo senza dubbio in presenza di una discontinuità: lo spostamento del baricentro istituzionale dal tribunale alla camera di commercio è evidente, a sottolineare una netta volontà del Legislatore di degiurisdizionalizzare le procedure di risanamento (smettiamola di dire concorsuali …). La presa di ruolo delle camere di commercio influirà sull'evoluzione normativa, perché saranno esse stesse futuro fattore di cambiamento e miglioramento di tali procedure.

Questo aspetto istituzionale è già in sé una rivoluzione e va salutato con grande favore e speranza.

Più in dettaglio: il procedimento si può concludere con un accordo che abbia l'effetto oggi previsto dall'art. 67, comma 3, lett. d) l.fall. senza che sia necessaria l'attestazione del piano, con una convenzione di moratoria, o con un accordo che sia in grado di assicurare continuità aziendale per almeno 2 anni, avendo accesso a rilevanti benefici tributari, senza che l'autorità giudiziaria venga minimamente coinvolta.

L'autorità giudiziaria interviene infatti solo accidentalmente, quando sia necessaria la conferma di una misura di protezione del patrimonio – anche qui con un grande iato rispetto al codice della crisi in cui la concessione delle misure dipendeva ab origine dalla decisione del giudice (art. 20 codice della crisi) – o quando venga richiesta di autorizzare effetti in danno dei creditori come la prededucibilità dei finanziamenti e la purgazione della vendita dell'azienda, o quando si tratti di condurre a equità contratti resi squilibrati dalla pandemia. Ma si tratta di interventi per l'appunto accidentali, che non incidono sulla sostanza del procedimento.

L'autorità giudiziaria entra invece in gioco, su piano sostanziale, se l'imprenditore vuole dare epilogo al procedimento con un accordo ex art. 182 bis, anche nelle versioni nuove, direttamente importate dal codice della crisi, degli accordi agevolati e di quelli ad efficacia estesa. In tale chiave, la procedura appare come una preparazione al momento della domanda di omologazione, che dovrà essere corredata dal piano attestato. Significativo a proposito è il beneficio della riduzione al 60% della percentuale dei creditori aderenti di una categoria per procedere al cram down degli altri, in una logica di facilitazione dell'accordo. Varranno qui, sempre che non siano rese inutili dalla proposta ex art. 182 ter l.fall., le misure premiali di cui all'art. 14 del Decreto.

Da notare anche l'assenza di ruolo del pubblico ministero che invece veniva coinvolto all'esito delle procedure di composizione della crisi innanzi all'OCRI ai sensi dell'art. 22 CCI.

Il problema fondamentale ci sembra però quello di avere giocato ogni fiche sull'accordo coi creditori, ancorché favorito dalla moral suasion dell'esperto e da obblighi di collaborazione e buona fede delle parti. Conoscendo la difficoltà del ceto bancario, in specie, a decidere in fretta e la normale frammentazione del ceto creditorio, è possibile che l'accordo non si trovi, dovendo archiviare la procedura con gran spreco di energie. Lo scarso ricorso all'art. 182 bis non fa sperare bene …

E allora, e qui sta la critica maggiore, perché non immaginare un concordato stragiudiziale in continuità che avvenga sotto la sorveglianza dell'esperto e conduca alla adozione di un piano di ristrutturazione che sia frutto di una votazione a maggioranza?

Si tratta di una misura già sperimentata nel contesto europeo e perfettamente conforme allo spirito della Direttiva 1023: ci riferiamo in specie alla riforma del Companies Act 2014 che introduce lo Small Company Administrative Rescue Process (SCARP) che prevede che il piano di ristrutturazione venga sottoposto al voto dei creditori e si dia per approvato se riceve il voto di tanti di essi che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto e di almeno una classe di creditori. Solo l'opposizione dei creditori dissenzienti attiva l'intervento del tribunale.

Grave è poi la carenza nella composizione negoziata della transazione fiscale i cui effetti non sono certo surrogati dalle misure premiali di cui all'art. 14 del Decreto (nello SCARP i crediti tributari sono esclusi dalla procedura solo se sussistono indizi di possibile “tax avoidance”). Anche qui ci si gioca pesantemente il successo dell'iniziativa. Perché non immaginare che l'esperto possa rendere parere sulla circostanza che l'offerta fatta all'agenzia o agli enti preveda un trattamento migliore di quello che essi otterrebbero dalla liquidazione dell'impresa (naturalmente, e anche questo andrà chiarito, usando la “relative priority rule” di cui al considerando 55 e all'art. 11 della Direttiva 1023?

Qualora la risposta dei soggetti pubblici alla proposta sia negativa - e tale posizione sia determinante ai fini del risanamento -, l'imprenditore potrà adire il giudice dell'omologa che potrà attivare i suoi poteri surrogatori, naturalmente senza che sia necessario presentare un piano attestato, essendo sufficiente per l'appunto il parere dell'esperto.

Non possiamo poi fare a meno di notare come il nuovo strumento presuma una capacità quasi taumaturgica della piattaforma telematica nazionale da istituirsi presso le camere di commercio. Forse ci sbagliamo, sottovalutando il potere dell'intelligenza artificiale e degli algoritmi, ma pensiamo che difficilmente una macchina potrà sostituire il lavoro di consulenti specializzati in crisi di impresa. In un tessuto di PMI come quello italiano, è cruciale che si crei una rete di operatori specializzati con competenze economiche, giuridiche e manageriali che intervengano a favore dell'imprenditore nella fase della prima manifestazione della crisi. L'esperienza degli Early Warning (ad esempio quello danese, il cui responsabile è stato intervistato dal gruppo di lavoro sulla crisi d'impresa dello studio Morri Rossetti) è lì a testimoniare l'essenzialità di questo servizio. Né l'esperto può sopperire al bisogno: è una figura di garanzia del sistema e non può stare dalla parte dell'imprenditore.

Diagnosticare correttamente la situazione, redigere un piano di ristrutturazione – che per altro deve essere, se pure forse in nuce, allegato alla domanda di avvio della composizione -, portarlo avanti, non è certo alla portata dell'impresa di piccola o media dimensione. Occorre che venga creata, sotto l'egida pubblica, una cultura dell'intervento precoce, favorendo l'addensarsi di un ecosistema di figure professionali, business angels, fondi di investimento, banche specializzate nei prestiti durante e dopo la crisi. Questa è una grande sfida, che dovrebbe vedere coinvolte le forze imprenditoriali, professionali e le istituzioni nella convinzione cha la tutela del tessuto imprenditoriale è un fattore di ordine pubblico e di sicurezza nazionale.

Andrebbe valorizzato il ruolo delle associazioni imprenditoriali che potrebbero creare un servizio di ascolto e primo intervento, elaborando prassi di affronto della crisi che vedano coinvolti i diversi portatori di interessi.

Bisogna che passi finalmente nella cultura italiana l'idea che fallire è in qualche modo salutare e necessario, purchè si “fallisca bene”, cioè si possa sbagliare senza venire distrutti dall'errore.

In questo senso una robusta rete di soggetti che presidiano la fase precoce della crisi è la miglior risposta al bisogno di accogliere l'errore imprenditoriale come elemento necessario alla salubrità del sistema e di trasformarlo in potente fattore di sviluppo. È infatti nella crisi che l'uomo impara, accade il cambiamento e il sistema si rigenera evitando la sclerosi.

Sarebbe bene che il dibattito parlamentare che accompagnerà la conversione del Decreto in legge, e soprattutto il fondamentale lavoro di recepimento della Direttiva sui quadri di ristrutturazione, tenessero conto di queste esigenze vitali della nostra società.

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