Nuove misure sulla crisi d'impresa del D.L. 118/2021: Penelope disfa il Codice della crisi recitando il "de profundis" per il sistema dell'allerta

Filippo Lamanna
25 Agosto 2021

L'Autore svolge alcune riflessioni sul D.L. 24 agosto 2021, n. 118, recante "Misure urgenti in materia di crisi d'impresa e di risanamento aziendale, nonché ulteriori misure urgenti in materia di giustizia" pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 202 del 24 agosto 2021.
La bozza-proposta della Commissione "Pagni" e il D.L. n. 118/2021

Nella Gazzetta Ufficiale n. 202 del 24 agosto 2021 è stato pubblicato il D.L. 24 agosto 2021, n. 118, recante "Misure urgenti in materia di crisi d'impresa e di risanamento aziendale, nonché ulteriori misure urgenti in materia di giustizia".

Le misure urgenti in materia di crisi d'impresa - di nostro specifico interesse - occupano i primi 23 articoli dei 27 di cui si compone il decreto legge.

Se ne conosceva in verità il testo in bozza già dal 5 agosto u.s., essendo stato diffuso subito dopo la riunione del Consiglio dei Ministri tenutasi in quella data. Tale testo era stato predisposto e consegnato il 1° giugno u.s. dalla Commissione "Pagni", insediata il 22 aprile di quest'anno dalla Ministra della giustizia Cartabia con l'incarico: a) di adeguare all'occorrenza il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza alle indicazioni contenute nella Direttiva UE Insolvency n. 1023/2019 "riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione" (oltre a contenere modifiche alla precedente Direttiva n. 1132/2017 sulla ristrutturazione e sull'insolvenza); b) di apportare eventuali modifiche migliorative al Codice; c) sondare l'opportunità di varare altre misure a sostegno delle imprese in crisi.

Al cospetto di tale complesso ed articolato incarico, la Commissione, alla conclusione dei suoi lavori (conclusione peraltro dubbia, sconoscendosi se continueranno ulteriormente), si è limitata a proporre solo un duplice rinvio dell'entrata in vigore del Codice (unica misura cui in concreto si adatterebbe quel carattere dell'"urgenza" predicato dall'intitolazione del D.L., visto che il Codice sarebbe entrato in vigore l'ormai prossimo ed imminente 1° settembre), salvo estrapolarne alcune parti da applicare subito, interpolare alcune norme della vigente legge fallimentare con alcuni modesti ritocchi ed introdurre (unici contributi originali "inventati" dalla Commissione) due nuovi strumenti per la soluzione delle crisi d'impresa: la "composizione negoziata" e il "concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio".

Shakespeare certamente direbbe "much ado about nothing" (tanto rumore per nulla): era proprio necessario insediare una nutrita Commissione ministeriale per elaborare solo queste due novità e queste poche norme, molte delle quali, peraltro, quelle esentate dal rinvio, semplicemente estratte o copiate dallo stesso Codice della crisi? L'elefante, di fatto, ha partorito solo … un topolino.

In ogni caso la bozza della Commissione "Pagni", laddove ed in quanto ha introdotto solo le due summenzionate novità, mi è subito parsa alquanto criticabile anche nel merito, ad onta della sua pretesa virtuosità, generosamente auto-proclamata nella collegata bozza di Relazione illustrativa (ove si sprecano riferimenti ad un fantasioso solidarismo, alle salvifiche potenzialità risanatorie dei nuovi strumenti, alla coerenza con le norme comunitarie, ecc.), ma mi sono astenuto dal commentarla subito, perché non era un testo normativo definitivo, sicché ottimisticamente confidavo, devo confessarlo, in qualche ripensamento che portasse a rettifiche migliorative dell'ultim'ora, su impulso del medesimo esecutivo. La mia aspettativa, purtroppo, è andata delusa, poiché nessuna modifica, nettampoco migliorativa, è stata apportata alla bozza originaria, cui si conforma, nella sostanza, il D.L. n. 118/2021 nel suo testo finale. Alla luce del suo contenuto, ora ufficiale, mi permetto di esprimere dunque, adesso, qualche sommessa osservazione critica, rinnovando tuttavia l'auspicio che postumi miglioramenti possano giungere in occasione della conversione in legge.

L'oscillazione del pendolo legislativo verso le istanze filo-privatistiche

Per comprendere la "sostanza" di questo nuovo decreto-legge estivo, va ben compreso il mood che lo sottende, la radice culturale e ideologica che sembra ispirarlo.

Il pendolo del legislatore, come si sa, periodicamente oscilla, in ambito giusconcorsuale, tra una polarità di carattere più marcatamente pubblicistico ed un'altra, contrapposta, di indole più accentuatamente liberal-privatistica.

Del primo tipo è stata, indubbiamente, per quanto al segno della moderazione, l'ispirazione complessiva del Codice della crisi e dell'insolvenza, ispirazione pubblicistica espressasi soprattutto nella parte (il Titolo II) che ha disciplinato il sistema dell'allerta - specie quella "esterna", affidata infatti alle segnalazioni dei "creditori pubblici qualificati" (Agente della riscossione ed INPS) quando il debitore abbia superato rilevanti soglie di indebitamento fiscale o contributivo (ma a dimostrare il carattere pubblicistico soft e moderato del nuovo "sistema" stanno i noti progressivi ridimensionamenti subiti dalle soglie di rilevanza idonee a far scattare gli alert) - e della composizione assistita della crisi, procedimento demandato agli OCRI, emanazioni delle Camere di commercio, nel corso del quale è stato per di più previsto un possibile intervento di organi giudiziari (in alcuni casi del Tribunale, nonché, in caso di esito negativo del procedimento e di una situazione di insolvenza, del PM).

Il sistema, così congegnato, sconta all'evidenza un certo tasso di coercitività, essendosi ritenuto che, per prevenire tempestivamente la crisi d'impresa in un ambiente imprenditoriale che tradizionalmente ha sempre cercato di ritardarne indefinitivamente l'emersione (così compromettendo ogni concreta chance di ristrutturazione o di risanamento), occorresse sollecitare una discovery tempestiva "ab externo".

Certo può discutersi sul se, il legislatore del Codice, abbia agito con sintesi armonica ed equilibrata nel mediare tra la necessità di propiziare la tempestiva ostensione della crisi con tale impulso coattivo, e la necessità, opposta ma non meno meritevole di essere soddisfatta, di indurre le imprese ad una compliance virtuosa, senza dare l'impressione di minacciare l'autonomia dell'iniziativa economica e la vocazione liberistica del sistema imprenditoriale.

Ed a questo proposito può ammettersi che, tra l'altro, il legislatore del Codice abbia anche peccato, nel disegnare la disciplina dell'allerta esterna, di un eccessivo burocratismo (da me già segnalato nel primo commento al Codice, cfr. F. Lamanna, Il nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Speciale Ilcivilista, Milano, 2019, I, 13), come tale poco coerente con i requisiti di celerità e semplificazione senza i quali è quanto mai difficile perseguire e realizzare efficaci soluzioni per le crisi d'impresa.

Sta però di fatto che quel complesso sistema normativo era, ed è ancora, anche coerente con l'obbligo di introdurre sistemi di precoce rilevamento delle crisi d'impresa dettato dalle Direttive comunitarie (già con la citata Direttiva n. 1132/2017 e poi con la Direttiva UE Insolvency n. 1023/2019 che, pur emanata dopo il Codice, di fatto era stata comunque considerata in anticipo dai suoi compilatori, che ne conoscevano in larga massima i contenuti sulla base della Proposta 0359 del 2016, che l'aveva preconizzata) ed è parso ai più come la parte piu innovativa e qualificante della riforma, quella su cui più si concentravano, del resto, le aspettative degli operatori concorsuali e dei vari stakeholders.

La strategia di abbandono e progressiva demolizione del Codice. Il nuovo rinvio

Sennonché il sistema delle imprese, che evidentemente male ha digerito la connotazione e canalizzazione meta-privatistica dell'allerta e le velleità interventistiche del Codice in materia di sollecitazione esterna alla discovery della crisi (a parte, in apparenza, Confindustria, dichiaratasi favorevole ad essa), e qualche altra lobby referente di alcune categorie professionali, hanno cercato una sponda nelle maggioranze governative formatesi dopo quella a cui si deve l'emanazione del Codice, ponendo in atto, progressivamente, una sottile strategia di demolizione del nuovo corpus normativo (demolizione non a caso già subito denunciata da M. Ferro, Codice della crisi differito al 1° settembre 2021, fallimenti sospesi fino al 30 giugno 2020 e immediato cordone societario, in Quotidiano giuridico, 9 aprile 2020, 1), facendo oscillare il pendolo, questa volta, verso la polarità di carattere più spiccatamente liberal-privatistico, nel quadro di una vera e propria, e complessiva, restaurazione contro-riformistica.

La strategia adottata a questo fine ha "dovuto" necessariamente essere "sottile", perché non potevano evidentemente essere abrogati in un sol tratto, ed esplicitamente, né il Codice in generale, né il sistema dell'allerta e della composizione assistita innanzi all'OCRI in particolare, se non altro perché la stessa Direttiva UE Insolvency n. 1023/2019, come ricordavo poc'anzi, che ora è comunque da attuare entro il 17 luglio 2022 (come previsto dalla legge di delegazione europea n. 53/2021, che ha sfruttato la possibilità di dilazionare di un anno il termine originario del 17 luglio 2021 ai sensi dell'art. 34, comma 2, della Direttiva), impone una riforma concorsuale rivolta a garantire proprio, come mirava a fare il sistema codicistico dell'allerta, la tempestiva rilevazione della crisi d'impresa, in modo da approntare i più efficaci e coerenti strumenti di ristrutturazione e risanamento, propiziando anche un intervento degli organi giudiziari quando esso appaia "proporzionato" e necessario a garantire i vari portatori d'interesse.

Dovevano cercare, dunque, i "controriformisti", di non far apparire in modo diretto l'intenzione di non applicare il Codice nelle parti ritenute indigeste, ma di trovare una apparentemente valida giustificazione formale per rinviare sine die il redde rationem, svuotando progressivamente il Codice dall'interno e sostituendo il sistema dell'allerta con strumenti più morbidi ed auto-gestibili di rilevazione e superamento della crisi.

Naturalmente vi è chi nega sia tale esito che tale strategia, ma già da tempo, in questo quadro, ancor più numerosi commentatori hanno lucidamente notato e criticato sia il "tradimento" - via via perpetrato - di quel nuovo modello culturale sotteso al sistema dell'allerta, sia l'ipocrisia che ormai si avverte celata dietro il reiterato rinvio dell'entrata in vigore del Codice della crisi, accompagnato, peraltro, dalla selettiva e contraddittoria applicazione immediata solo di alcune sue parti (cfr., per tutti, D. Galletti, E' arrivato il venticello della controriforma? Così è, se vi pare, in questo portale, 27 luglio 2021, il quale ha ipotizzato la sottesa "volontà, neanche troppo recondita, di attuare una vera e propria “controriforma”, senz'altro “favorita” anche dagli effetti dell'evento pandemico"; nonché M. Irrera, Le tormentate procedure concorsuali e la nuova legislazione “a gambero” (è giunto il tempo di un Recovery Plan per le crisi d'impresa?), in Ilcaso.it, 21 gennaio 2021, che, dinanzi a “pezzi del Codice della Crisi già entrati in vigore; norme rimaneggiate sin da subito in vista dell'originaria data di entrata in vigore; un decreto correttivo (rimasto nel cassetto per lunghi mesi) che modifica un Codice della Crisi che forse non entrerà mai in vigore; nuove norme espiantate dalla riforma e trapiantate alla bella e buona in testi legislativi al momento destinati all'oblio nel giro di otto mesi o poco più”, conclude evidenziando la necessità di decidere con chiarezza cosa fare una volta per tutte del Codice della Crisi; se destinato a non entrare mai in vigore si abbia il coraggio di dirlo e… di farlo; cfr. anche M. Vitiello, L'enigma dell'entrata in vigore del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in questo portale, 2021).

Ebbene, il D.L. n. 118/2021 sembra confermare la fondatezza di tali critiche e sospetti sul perseguimento di una complessiva strategia contro-riformistica e, al contempo, ancora una volta, la saggezza del noto aforisma andreottiano secondo cui “a pensar male si fa peccato, ma quasi sempre ci si indovina”, visto che con tale decreto è stato disposto un ulteriore duplice rinvio del CCII (davvero in corner, ormai solo una settimana prima che il Codice entrasse in vigore, e quindi anche con totale mancanza di rispetto e considerazione verso gli operatori e tutti i vari stakeholders interessati alla riforma e ormai in procinto e desiderosi di attuarla; il rinvio è stato disposto al 16 maggio 2022 per l'entrata in vigore della gran parte del Codice, da cui andrebbero però "detratte" le parti già rese oggetto di applicazioni anticipate, e al 31 dicembre 2023 - che cade peraltro di domenica… - dell'intero Titolo II riguardante il sistema dell'allerta).

Se il precedente rinvio dal 15 agosto 2020 al 1° settembre 2021 sembrava giustificato dalle problematiche applicative connesse con la sopraggiunta pandemia, l'ulteriore duplice rinvio voluto e deciso ora utilizza quest'ultima solo come (non più credibile) pretesto, lasciando intravedere di sbieco il vero motivo del rinvio: recitare per il Codice, o quanto meno certamente per il sistema dell'allerta, un tristissimo "de profundis", nel quadro di una complessiva inversione di marcia rispetto alla direzione segnata dall'originaria riforma codicistica.

Come altrimenti interpretare il rinvio "a babbo morto" del sistema dell'allerta e della composizione assistita dinanzi all'OCRI, sistema sostituito nel frattempo da quella forma di accesso autogestito e "spontaneo" ad un tentativo precoce di accordo con i creditori tramite i buoni uffici di un "facilitatore", in cui si traduce, almeno nelle aspettative dei laudatores del decreto, la "composizione negoziata"?

Lo svuotamento interno del Codice e la tela di Penelope

Al contempo, il nuovo decreto legge prosegue nell'opera di svuotamento interno del Codice già da prima intrapresa con altre misure normative "urgenti", ancora una volta prevedendo l'immediata entrata in vigore di alcune sue parti, inserite - novellandola - nella vigente legge fallimentare (a sua volta rimaneggiata in alcune altre norme, tra cui mi limito qui a citare l'art. 182 bis, con l'allungamento da uno a due anni del periodo di moratoria per il pagamento dei crediti muniti di prelazione e con alcune indicazioni sulle modalità attuative dei piani di ristrutturazione oggetto di modifiche sostanziali sopravvenute; e l'art. 182 quinquies, con la prevista possibilità di effettuare pagamenti alla scadenza dei ratei di mutuo ipotecario e delle retribuzioni insolute antecedenti al deposito del ricorso nei casi di continuità aziendale).

Sono stati così introdotti nella legge fallimentare un nuovo art. 182 septies a disciplinare - come già previsto dal Codice - gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa; un nuovo art. 182 opties a disciplinare la convenzione di moratoria; un nuovo art. 182 novies a disciplinare gli accordi di ristrutturazione agevolati e un nuovo art. 182 decies per applicare anche agli accordi di ristrutturazione la regola di estensione dei relativi effetti ai soci illimitatamente responsabili, facendo salvi al contempo i diritti dei creditori non aderenti, cui sia estesa l'efficacia degli accordi, verso i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso.

A sommare le parti del Codice di cui è stata disposta fin qui l'anticipata applicazione, si ottiene un consistente coacervo (che forse meglio sarebbe chiamare - come qualcuno ha già proposto - "ircocervo"), che, appunto, ha svuotato a tal punto il Codice dall'interno da renderlo ormai uno scheletro non più sorretto da muscoli e tendini, e quindi suscettibile di collassare su se stesso in mancanza di una revisione ortopedica complessiva ed armonica.

È quindi lecito concluderne che, nella migliore delle ipotesi, se alla nuova scadenza dovuta all'ultimo rinvio disposto dal D.L. n. 118/2021 vorrà conservarsi il Codice rispettandosene in linea di massima l'impianto originario, sarà inevitabile una complessa e delicata opera chirurgica di "taglia e cuci" per ripristinarne e aggiornarne la struttura portante, recuperando e ritrapiantando le norme già modificate ed oggetto delle varie anticipazioni applicative; nella peggiore, il Codice, come oggi lo conosciamo, rischierà di essere del tutto abbandonato in soffitta per essere riscritto secondo l'attuale e diversa impronta culturale contro-riformista.

Di fatto, con l'ultimo rinvio, il Codice della crisi sembra ormai finito nelle mani di una novella Penelope, che, come la mitica regina di Itaca, abile a disfare di notte la tela del sudario di Laerte tessuta di giorno, rinvia all'infinito il momento della scelta e della sorte del Codice.

La Penelope del mito riuscì a portare avanti l'astuto stratagemma per poco meno di 4 anni, record che ora, però, potrebbe finanche essere surclassato se i rinvii del Codice dovessero continuare ancora.

Al contempo, le diverse leggine di conversione dei decreti legge invariabilmente "urgenti", che si sono fin qui succeduti anticipando "pezzi" del Codice della crisi, sono andate progressivamente azzerando quel complesso ed innovativo corpus normativo, che, sulla base dello schema redatto dalla Commissione Rordorf-bis nel tempo record di soli due mesi a fine 2017 (su impulso dell'allora Ministro della Giustizia Orlando), si è poi tradotto, a gennaio 2019, nel D.Lgs. n. 14/2019, il quale avrebbe dovuto entrare in vigore 18 mesi dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, e dunque, come ho già detto, il 15 agosto 2020.

Sta di fatto che l'originaria data di entrata in vigore è stata prima rinviata al 1° settembre 2021 (dall'art. 5 del cd. “decreto Liquidità”, D.L. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modificazioni dalla L. 5 giugno 2020, n. 40), e ora viene rinviata, come ricordavo sopra, al 16 maggio 2022, mentre il sistema dell'allerta - che costituiva certamente la parte più innovativa ed attesa del Codice, in quanto destinata ad attuare finalmente un efficace sistema di prevenzione della crisi d'impresa -, ha subito paralleli ed ancor più lunghi differimenti (prima a dopo un anno dalla entrata in vigore del Codice con la L. n. 69/2021 di conversione del D.L. Sostegni n. 41/2021, ed ora, come precisato poc'anzi, al 31 dicembre 2023 con il D.L. n. 118/2021).

Tutto questo, per di più, nel contesto dielle summenzionate concomitanti antipazioni applicative di consistenti parti del medesimo Codice, interpolate nella vigente legge fallimentare del '42 o rese oggetto delle norme confusamente dislocate nelle varie leggine sinora succedutesi (la L. n. 40/2020 di conversione del D.L. Liquidità n. 23/2020; la L. n. 159/2020 di conversione del D.L. n. 125/2020; la L. n. 176/2020 di conversione del D.L. Ristori n. 137/2020; la L. n. 69/2021di conversione del D.L. Sostegni n. 41/2021).

La "composizione negoziata della crisi" nelle mani dell' "esperto"

Quanto mai sintomatica, ripeto, della volontà, non già di testare anticipatamente sul campo, come vorrebbe ipocritamente far credere la Relazione illustrativa che accompagna il D.L., il sistema della composizione assistita affidata dal CCII agli OCRI (cui sarebbero funzionali le misure di allerta esterna), ma, piuttosto, di non attuare mai tale sistema, è l'inopinata introduzione della "composizione negoziata", nuova misura stragiudiziale affidata all'intervento (solo immaginificamente) salvifico di un mediatore/facilitatore (chiaramente ispirato all'archetipo del sistema francese, come osservato in modo acuto e pertinente da D. Galletti nel contributo succitato) definito ipocritamente "esperto".

Tale qualifica, che dovrebbe attualizzare in questo specifico ambito la figura del "professionista nelle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione" prevista dall'art. 26 della Direttiva Insolvency, appare purtroppo, tra l'altro, palesemente incongruente e comunque difforme dal modello professionale pensato dalla Direttiva, poiché il professionista dovrebbe essere dotato - ai sensi dell'art. 26, comma 1, lett. a, di quest'ultima - delle "competenze necessarie per adempiere alle sue responsabilità", mentre per il D.L. n. 118/2021 possono assumere la veste di "facilitatori" i dottori commercialisti semplicemente iscritti da cinque anni al proprio albo, senza nemmeno che sia per essi necessaria la qualifica di revisore legale, né la prova di aver maturato alcuna pur modesta esperienza nella ristrutturazione/risanamento aziendale, esperienza senza la quale la stessa qualifica di "esperto" diventa priva di senso (e dunque anche chi si è occupato sempre e soltanto di dichiarazioni dei redditi o di amministrazioni condominiali avrà diritto all'iscrizione); o avvocati e consulenti del lavoro - con relativa iscrizione ai propri albi di pari durata quinquennale - o addirittura soggetti (in pratica gli amministratori di società) finanche privi di qualunque abilitazione professionale, per tutti costoro esigendosi, invece, a differenza dei dottori commercialisti, la maturazione di qualche modestissima esperienza ristruttural-risanatoria, e prevedendosi per tutti il solo requisito aggiuntivo della frequenza di un corso di formazione, il cui contenuto e le cui modalità di svolgimento sono peraltro allo stato del tutto ignoti, essendo previsto che siano specificati con un decreto dirigenziale del Ministero della giustizia da emanare entro 30 giorni dalla pubblicazione del D.L. (ma resta incomprensibile come tale corso di formazione, dopo l'emanazione del decreto dirigenziale, possa poi essere davvero realizzato, oltre che successivamente anche frequentato dagli interessati, in modo che costoro possano, non solo tempestivamente iscriversi negli elenchi tenuti presso le Camere di commercio dimostrando il possesso dei requisiti di legge, ma poi essere anche nominati prima del 16 novembre 2021, data della prevista applicazione a regime della composizione negoziata; v. in proposito le condisibili critiche mosse da S.A. Zenati, L'esperto indipendente al quale è affidata la composizione negoziata della crisi: schema di D.L. approvato dal CdM del 5 agosto 2021, in questo portale, 18 agosto 2021, che, tra l'altro, si chiede perché mai non sia stato semplicemente attuato subito l'albo ex art. 356 CCI, osservando a sua volta che: "Il requisito della formazione specifica nelle tecniche di facilitazione e mediazione, nulla toglie al fatto che l'esperto dovrà essere un autentico professionista esperto nel settore del risanamento aziendale, possedendone già in partenza, e a prescindere alla citata formazione specifica che gli sarà richiesta, le nozioni aziendalistiche, concorsuali, finanziarie, giuslavoristiche e giuridiche di base, oltre ad una adeguata esperienza acquisita sul campo, sia come incaricato dall'autorità giudiziaria, sia come professionista del debitore, sia come manager").

Questo senza poi voler dubitare pregiudizialmente dell'utilità dei corsi di formazione di questo tipo, tenuto conto che, finora, sono solo serviti, nei vari ambiti, non tanto a "formare" i discenti, quanto piuttosto a creare occasioni di lavoro per improvvisati docenti.

A tutto però c'è rimedio, anche alla mancanza di requisiti di esperienza effettiva dell'"esperto", ed infatti è stata di conserva approntata anche una provvidenziale "copertura" per le ontologiche carenze di tale claudicante figura professionale: la possibilità di avvalersi a proprie spese di un revisore legale (visto che tale qualifica, come già detto, non è richiesta per l'esperto) oltre che di "soggetti dotati di specifica competenza" (ma non dovrebbero essere proprio gli esperti mediatori ad esserne dotati?). Insomma, il "non competente" e "non esperto" facilitatore "esperto" potrà svolgere il suo incarico comunque, tramite … terzi.

Mi pare allora più che giustificato il pronostico (argutamente fatto da D. Galletti, ibidem) che questa sorta di improvvisato "amministratore di sostegno" subisca la sorte infausta e fallimentare dei "navigators", inventati più per creare a loro vantaggio un posto di lavoro, che per procurarne di nuovi ai bisognosi assistiti dal reddito di cittadinanza.

Osservo inoltre che il D.L. n. 118/2021 ha poi previsto che la Commissione chiamata ad effettuare la nomina dell'esperto debba attenersi a criteri di rotazione e trasparenza, ossia dovrà nominare gli esperti seguendo una turnazione tendenzialmente, anche se non completamente, automatica.

V'e da chiedersi allora che ruolo possano in concreto giocare, da un lato, i curricula autodichiarati dai candidati al momento dell'iscrizione negli elenchi tenuti dalle Camere di commercio, dai quali dovrebbero o potrebbero risultare esperienze e titoli ulteriori rispetto a quelli "basici" (art. 3, comma 5), e, dall'altro, le sommarie indicazioni che deve fornire l'impresa che abbia chiesto la nomina dell'esperto, e che la Camera di commercio deve poi comunicare con nota sintetica alla Commissione, sulle sue dimensioni e sulla tipologia di attività svolta (volume d'affari, numero dei dipendenti, settore in cui opera l'impresa; art. 3, comma 7). Se, infatti, ai fini della nomina si privilegiasse volta a volta il curriculum del singolo professionista insieme alla tipologia di impresa da assistere (al punto che il D.L. considera addirittura possibile "pescare" nominativi fuori regione, evidentemente quando manchino localmente professionisti idonei a "facilitare" gli accordi delle imprese più grandi; cfr. l'art. 3, comma 7), il sistema della nomina rotativa finirebbe per trovare solo residuale applicazione. Ma, in ogni caso, chi ottiene l'iscrizione avrà diritto, in applicazione del criterio rotativo, ad essere nominato prima o poi, e mal ne incogliera' lo sfortunato debitore cui toccherà l'esperto munito soltanto dei requisiti basici, utili (solo) per l'iscrizione nell'elenco (senza che chi possieda solo questi possa, in realtà, "facilitare" alcunché).

Peraltro nemmeno è stato previsto alcun serio monitoraggio sui criteri di nomina applicati dalla Commissione (a parte la sola pubblicazione di curricula e nomine sul sito camerale), - come sarebbe stato invece opportuno, essendo la Commissione un organo non giudiziario - alcun rimedio per eliminare o sanzionare eventuali abusi nelle nomine.

In definitiva, introducendo tale figura, si è voluto strizzare semplicemente l'occhiolino alle categorie professionali di settore, facendo balenare la chance, che il sistema degli OCRI non consentiva di realizzare in pari misura, di nuove facili occasioni di lavoro e guadagno, anche a rischio di penalizzare imprese e creditori.

Resta da dire, sull'esperto, che egli dovrebbe svolgere un ruolo esclusivamente mediatorio, di facilitatore nelle trattive, che invece è il debitore ad aver l'onere di condurre personalmente (eventualmente assistito dai suoi advisors), senza però che emerga in alcun modo di quale credibilità e personale influenza presso i creditori, specie verso enti creditizi e finanziari, per dare corpo ed efficacia alle trattative con un'opera di moral suasion, sia dotato l'esperto facilitatore, cui non potrà certo fare aggio a tale scopo la sua semplice ed incongrua qualifica di "esperto", essendo appunto basata sul nulla, almeno quanto ai soggetti muniti dei soli requisiti di base, né il vacuo rappell all'incoercibile obbligo di comportarsi secondo buona fede, collaborare lealmente e sollecitamente, le banche e gli intermediari finanziari anche in modo attivo e informato (e rispettando tutti la riservatezza: figuriamoci!) che l'art. 4, commi 4, 6 e 7 del D.L. n. 118/2021 rivolge a tutte le "parti".

Tra l'altro nemmeno è richiesto che l'"esperto" depositi alcuna relazione attestativa per dare un suggello certificativo ai dati patrimoniali forniti dal debitore (e del resto non ha, per svolgere tale attività, come già sopra rilevato, nemmeno la qualifica di revisore), il che ulteriormente rende poco credibile la sua figura e la sua funzione di facilitatore/mediatore, secondario e poco pregnante il valore della "relazione" finale che è tenuto a depositare all'esito del procedimento, e puramente teorica la possibilità di svolgere utilmente il suo incarico trovando quegli accordi con i creditori che siano in grado di dare respiro all'impresa in difficoltà.

Il "procedimento" di composizione negoziata

Eliminandosi in toto qualunque connotato pubblicistico dell'allerta disegnata dal Codice, nonché qualunque segnalazione esterna da parte dei creditori qualificati (obblighi di segnalazione dello stato di difficoltà o di crisi da comunicare agli amministratori sono infatti previsti solo a carico degli organi interni di controllo, ma solo se esistenti), qualunque rilevanza di indici ed indicatori di crisi (relegati d'ora in poi per sempre nel dimenticatoio), la composizione negoziata sarà attivabile solo su iniziativa volontaria e spontanea (quanto improbabile, ma si vedrà poi sul campo statisticamente quale applicazione concreta avrà l'istituto, tenuto conto che potrebbero giocare a suo favore le misure premiali previste dall'art. 14 in tema di riduzione degli interessi e delle sanzioni relativi a debiti fiscali, e di rateazione di questi ultimi) dell'impresa (sia commerciale che agricola, sia sopra- o sotto-soglia) in stato di pre-crisi o di crisi (essendo rilevante lo squilibrio patrimoniale/finanziario che renda probabile sia la crisi che l'insolvenza), dunque senza lo stimolo di alcun alert proveniente dall'esterno (per una prima lettura dell'istituto cfr. F. Cesare, La nuova composizione negoziata della crisi e il concordato liquidatorio semplificato, in questo portale, 19 agosto 2021).

Secondo la Relazione accompagnatoria al D.L., il successo del nuovo strumento - in supposta antitesi evolutiva rispetto all'originaria connotazione pubblicistica del sistema dell'allerta e della composizione assistita - sarebbe propiziato dal suo carattere stragiudiziale e dalla sua riservatezza. Sennonché predicare l'obbligo di riservatezza non equivale certo ad inverarla concretamente, ed anzi la pluralità dei soggetti coinvolti nelle trattive ed il contrasto di interessi di cui sono portatori costuisce quasi una garanzia di "non riservatezza", con buona pace di chi vorrebbe vedere nella riservata stragiudizialità della composizione negoziata un vantaggio competitivo sul procedimento di composizione assistita (ma in cui - è bene ricordarlo - è stato comunque pure previsto un obbligo di riservatezza…).

Evidenzio poi che anche se la composizione negoziata parte come strumento stragiudiziale, è non dimeno previsto che il debitore possa richiedere misure protettive o cautelari destinate per definizione ad essere pubblicizzate, sicché in tal caso la disclosure della crisi sarà inevitabile; ed è altresì previsto l'intervento del tribunale in svariati casi (ex art. 7 per la conferma di misure protettive e la concessione di misure cautelari, per la loro revoca o per abbreviarne la durata; ex art. 10 per concedere speciali autorizzazioni a contrarre finanziamenti o vendere l'azienda o suoi rami o per rideterminare in alcune ipotesi il contenuto di contratti, con una così decisa invasione nella sfera di autonomia contrattuale dei contraenti da far sorgere qualche seria preoccupazione nei privatisti puri). Pertanto non si vede quale effettiva stragiudizialità (e concomitante riservatezza) possa davvero distinguere, in modo sensibile, da questo punto di vista, la composizione negoziata da quella assistita, facendo preferire la prima alla seconda.

L'attivazione del procedimento dovrebbe poi seguire ad un "test pratico" - secondo un modello informatico che verrà successivamente elaborato e inserito su una piattaforma telematica centralizzata - cui l'impresa che tema di essere in difficoltà patrimonial-finanziaria potrà liberamente accedere per verificare se la difficoltà esista o meno. Sennonché, a parte le situazioni di crisi più banali (relativamente alle quali è anche difficile immaginare che l'impresa abbia qualche dubbio in ordine alla relativa esistenza...), per le altre, più serie, è stato giustamente evidenziato come "il nuovo strumento presuma una capacità quasi taumaturgica della piattaforma telematica nazionale da istituirsi presso le camere di commercio. Forse ci sbagliamo, sottovalutando il potere dell'intelligenza artificiale e degli algoritmi, ma pensiamo che difficilmente una macchina potrà sostituire il lavoro di consulenti specializzati in crisi di impresa" (così S. Morri, La composizione negoziata della crisi di cui al D.L. n. 118/2021: un rapido quadro e alcune riflessioni critiche, in questo portale, 24 agosto 2021).

Il nuovo procedimento dovrebbe infine sfociare, in ipotesi positiva, in una soluzione concordata o comunque in una soluzione di tipo concorsuale (ma non certo gratuitamente per il debitore, bensì con lo scotto - che contraddice la speciale economicità attribuita dalla Relazione illustrativa a questo procedimento - del pagamento a suo carico di un compenso per l'esperto che potrebbe arrivare anche fino a 400.000 euro...).

A supporto del tentativo di accordo non è stata peraltro prevista l'applicabilità della transazione fiscale (come segnalato criticamente anche da S. Morri, cit.: "Grave è poi la carenza nella composizione negoziata della transazione fiscale i cui effetti non sono certo surrogati dalle misure premiali di cui all'art. 14 del Decreto"), mentre è stata prevista la possibilità che l'impresa in stato di pre-crisi o di crisi ottenga, sulla base della sua semplice richiesta, il "congelamento" temporaneo sia delle norme in tema di riduzione del capitale e di scioglimento della società (art. 8), sia delle azioni esecutive e cautelari, della possibilità di acquisire diritti di prelazione non concordati e delle istanze di fallimento (art. 6), misure protettive cui possono aggiungersi anche altre misure cautelari (art. 7), le une e le altre restando soggette a conferma da parte del Tribunale, ma restando il debitore esente da qualunque forma di pur attenuato spossessamento, in totale assenza di una qualunque forma di cristallizzazione del passivo e dell'attivo, potendo egli continuare ad effettuare pagamenti ai creditori, anche anteriori, selezionati a sua discrezione, e conservando tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione (con le sole eccezioni già sopra segnalate riguardanti le autorizzazioni da richiedere al tribunale per il compimento solo di alcuni speciali atti di straordinaria amministrazione).

Tale regime di assoluto favor, pur non apparendo incoerente in assoluto con le indicazioni della Direttiva Insolvency sul "debtor in possession", sembra comunque recepirne l'ipotesi estrema in cui il debitore può conservare il controllo totale sugli attivi e sulla gestione dell'impresa, e non l'alternativa meno drastica e più soft, pure da essa prevista, di un controllo solo parziale (cfr. l'art. 5, comma 1, della Direttiva), determinando di fatto un quadro finalizzato alla ristrutturazione incongruamente asimmetrico in danno dei creditori colpiti dall'inibitoria o dalle misure cautelari, visto che per essi non è stata prevista alcuna adeguata forma compensativa, quasi che, per l'ideologia sottesa al nuovo trend legislativo, la crisi d'impresa sia sempre e comunque, di per sé, senza eccezioni, fattore giustificativo di una tutela assoluta del debitore, senza alcun riferimento alla sua meritevolezza, al pregiudizio concretamente causato ai creditori o alla funzionalità della soluzione compositiva rispetto alla continuità dell'impresa e alla conservazione dei posti di lavoro.

La previsione che i pagamenti e gli atti dispositivi compiuti possano essere attinti da revocatoria o non essere esonerati da conseguenze penali qualora ex post essi risultino non "coerenti con l'andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti" è poi talmente generica e vaga da risultare di quasi nessuna efficacia deterrente; senza considerare poi, da un lato, che non è stato previsto alcun prolungamento del periodo di revocabilita' pur dinanzi alla sospensione delle istanze di fallimento che può intervenire durante il tentativo di composizione negoziata, e, dall'altro, che in generale tali misure sanzionatorie potranno scattare solo in caso di successivo fallimento, mentre - al di fuori di tale evento - non sembrano previste serie misure di contrasto degli abusi che può compiere il debitore, di tal genere non potendo considerarsi l'obbligo di informare l'esperto, incombente sul debitore, in ordine alla sua intenzione di compiere pagamenti ed atti di straordinaria amministrazione (art. 9), tenuto conto che tale obbligo sussiste solo quando lo stesso debitore (improbabilmente) ritenga che tali atti e pagamenti siano non coerenti rispetto alle trattative o alle prospettive di risanamento.

Peraltro, nei casi, verosimilmente rari, in cui il debitore assolverà tale obbligo, l'esperto potrà solo, quando lo ritenga opportuno o quando l'atto o il pagamento "pregiudichino gli interessi dei creditori" (altra formula vaga ed ambigua), segnalarlo al debitore ed all'organo di controllo (se esistente) e poi eventualmente iscrivere il suo dissenso nel registro delle imprese (art. 9, commi 3 e 4); misura che, a sua volta, acquisterà efficacia solo in via postuma, se segua il fallimento, consentendo allora l'esercizio delle azioni revocatorie ex artt. 66

e 67 L.fall.; oppure, ma solo quando siano state concesse misure protettive o cautelari, effettuare la segnalazione al Tribunale per la revoca o l'abbreviazione di durata delle stesse (artt. 7, comma 6, e 9, comma 5).

Merita anche segnalare che non è stata prevista cautela alcuna per indurre il debitore a denunciare l'eventuale compimento di atti fraudolenti, o comunque pregiudizievoli, di dismissione di beni o di dispersione del patrimonio, in epoca antecedente all'inizio del procedimento, e che la previsione ex art. 10, comma 1, lett. b) e c), della prededuzione integrale per i finanziamenti eventualmente concessi dai soci o da società del gruppo (potendo lo strumento applicarsi anche ai gruppi, altra ipotesi di anticipo parziale di nuovi istituti del Codice) appare - in antitetica nemesi con l'originaria sanzione della postergazione, totale o parziale, che connotava tali finanziamenti "domestici" - uno schiaffo vero e proprio ai creditori (soprattutto a quelli anteriori).

Il concordato liquidatorio parte II: il ritorno e la rivincita

Ulteriore indice sintomatico dell'inversione di marcia e della natura "controriformistica" del D.L. 118/2021 in esame, è poi l'introduzione del “concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio”, che riporta in auge, contro le finalità riformatorie sottese al Codice (notoriamente rivolte a valorizzare il concordato in continuità e a penalizzare invece il concordato con mera cessione dei beni), con un vero e proprio colpo di mano, la species del concordato liquidatorio per cessio bonorum, rimodellato per di più in una variante ancor più perniciosa di quella originaria (per un primo commento cfr. A.I. Baratta, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. Brevi considerazioni introduttive, in questo portale, 13 agosto 2021; nonché S. Morri, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, in questo portale).

La nuova procedura, sebbene applicabile, in apparenza, non in via generale (deo gratias), ma solo all'esito negativo del tentativo di composizione negoziata (come sembrerebbe potersi desumere dal fatto, segnalato anche dalla Relazione illustrativa, che l'art. 18, comma 1, prevede la possibilità di proporre il ricorso entro 60 gg. dalla comunicazione al debitore della relazione finale redatta dall'esperto, la quale segue appunto ad un vano tentativo di composizione negoziata), costituisce al contempo sia una forma di restaurazione (o meglio resurrezione) di uno strumento concorsuale "zombie", quale era ormai il concordato per cessione dei beni, sia una vera e propria fuga legalizzata del debitore dalla responsabilità patrimoniale, risolvendosi in una forma di concordato del tutto svincolato - come purtroppo non lascia ben intendere l'ipocrita ed edulcorato aggettivo "semplificato" -, da un preventivo vaglio di ammissibilità, dal requisito della messa a disposizione di risorse aggiuntive a favore dei creditori (richiedendosi solo che ad essi sia riservata una qualche "utilità"), dal requisito del pagamento di almeno il 20% dei chirografari, da qualunque requisito di "convenienza" rispetto all'alternativa della liquidazione fallimentare (requisito sostituito da quello - recessivo - della semplice mancanza di un "pregiudizio" per i creditori), dalla necessità che i creditori esprimano un voto di adesione o di dissenso (restando loro concessa solo la gravosa chance di svolgere opposizione all'omologa; ma la mancata previsione di un sistema di voto, apparentemente giustificata dalle antecedenti trattative intercorse con i creditori, tuttavia senza nemmeno alcuna garanzia che siano stati sentiti tutti, sembra violare in ogni caso l'art. 9, comma 2, della Direttiva Insolvency, a tenore del quale "Gli Stati membri provvedono affinché le parti interessate abbiano diritto di voto sull'adozione di un piano di ristrutturazione", sì che, per evitare che la violazione sia sanzionabile, occorrerà a mio modesto parere prevedere comunque un sistema di voto per il concordato semplificato almeno entro il 17 luglio 2022, termine ultimo per adeguarsi alla suddetta Direttiva; va poi notato che, forse anche come effetto dell'assenza di un sistema di voto, pure in tal caso, come nella composizione negoziata, non è stata prevista la possibilità di una transazione fiscale).

Senza poi dire dell'ulteriore previsione che affranca questa anarcoide forma di concordato anche dalle garanzie di competitività previste nel concordato preventivo disciplinato sia dal Codice che dalla vigente legge fallimentare in materia di vendita di azienda (anche nella variante della cessione "preconfezionata"), ora sostituite da un non meglio definito "sondaggio" che un ausiliario nominato dal Tribunale (al posto della scomparsa figura del commissario giudiziale; cfr. l'art. 18, comma 3) quando le vendite debbano essere effettuate prima dell'omologa, o un nominando liquidatore, quando debbano effettuarsi dopo, dovranno effettuare per verificare "l'assenza di soluzioni migliori sul mercato".

Un insieme di caratteri, in effetti, che molto probabilmente renderà questo "mini-concordato" uno strumento rapido, ma a quale prezzo? E che bisogno c'era di introdurlo in fretta e furia, come misura "urgente", quando può servire soltanto a liquidare imprese decotte?

In definiva, una misura che annuncia una sorta di eversivo "liberi tutti", per quanto alcuni Autori abbiano in prevenzione voluto negarlo, che sembra anch'essa progettata solo o soprattutto per creare nuove opportunità di lavoro a favore dei professionisti che assisteranno i debitori nelle (ipoteticamente numerose) nuove proposte di concordato "semplificato" (in un contesto che ha visto sinora ridursi quasi a zero le proposte di concordato preventivo liquidatorio "classico" e quindi le occasioni per maturare compensi assistendo i debitori) piuttosto che per favorire i creditori e le imprese (non a caso essendo insorto lo stesso sistema imprenditoriale, in un ancor recente passato, contro l'abuso dei concordati liquidatori, destinati a proteggere solo imprese ormai decotte e senza alcuna prospettiva di ritorno sul mercato, a danno delle imprese creditrici sane) e che, nel continuo oscillare del pendolo normativo, segna indubbiamente un deciso ritorno, senza alcuna armonica mediazione, verso le istanze filo-privatistiche, in aperta contraddizione con la complessiva ed equilibrata ispirazione, moderna e garantistica verso tutti i soggetti coinvolti nella crisi d'impresa, che aveva il Codice.

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