26 Agosto 2021

Rivedendo un suo precedente del 2003, la Cassazione interviene su una questione complessa e particolare: la surrogazione dell'INPS nei diritti risarcitori verso il terzo responsabile per recuperare le somme erogate a titolo di indennizzo, nel caso in cui le condizioni del danneggiato migliorano con conseguente riduzione della menomazione (e della misura dell'obbligo di corresponsione dell'indennizzo). Tale circostanza incide sull'oggetto della surroga, sia per evitare una locupletazione indebita, sia perché difetta un danno risarcibile o, meglio, sul danno come liquidato, a nulla rilevando l'art. 14, l. n. 222/1984, che presuppone la stabilità della menomazione.

All'INPS che agisce in surroga ex art. 1916 c.c. e art. 14, comma 2, l. n. 222/1984, quale importo va riconosciuto, se le condizioni del danneggiato migliorano e si modifica l'originaria prestazione previdenziale?

Tre gradi di giudizio, tre soluzioni diverse.

A seguito di un sinistro stradale avvenuto nel 2008 e dopo che nel 2013 le condizioni di invalidità erano cambiate (in meglio per il danneggiato, con conseguente revoca della pensione di invalidità nel 2014 e corresponsione di un importo effettivo di quasi 98 mila euro), l'INPS evocava in giudizio il danneggiante e la sua compagnia assicurativa per ottenere il rimborso del valore capitale dell'assegno di invalidità erogato al danneggiato.

Il Tribunale riconosceva una minor somma di 63 mila euro in base ad una stima del presunto danno patrimoniale effettivamente subito dal danneggiato.

La Corte d'Appello riconosceva la maggior somma di quasi 157 mila euro pari dall'intero valore capitalizzato della rendita pensionistica.

La questione sorge perché l'art. 14, comma 2, l. n. 222/1984 afferma che dovrà essere calcolato il valore capitale della prestazione erogata. Ecco perché l'Istituto previdenziale chiede il rimborso dell'intero valore capitalizzato.

La Suprema Corte cassa con rinvio la decisione impugnata.

Il percorso argomentativo (a tratti ridondante nel richiamare precedenti e principi di diritto) si può così riassumere:

1) il meccanismo di regresso e surroga previsto dall'art. 1916 c.c. ha una duplice finalità (confermata dall'art. 142, Cod. Assic., d.lgs. n. 209/2005): evitare un ingiustificato alleggerimento della posizione debitoria del danneggiante; impedire la duplicazione o il cumulo del ristoro per lo stesso danno procurando un ingiusto vantaggio al danneggiato;

2) il meccanismo non è solo una conseguenza dell'istituto della compensatio lucri cum damno, ma diretta conseguenza della non configurabilità di un danno risarcibile per la parte già indennizzata, oltre che perseguire di fatto una semplificazione processuale;

3) viene riportata un'ampia disamina dei precedenti della Corte sulle finalità della surrogazione (evitare l'arricchimento senza causa) sino alle note Sez. Unite n. 12566/2018 sulla non cumulabilità tra indennità e risarcimento;

4) si giunge così alla revisione critica del precedente Cass. 4688/2003 che aveva ritenuto che l'INPS aveva diritto a surrogarsi rapportando, quanto all'ammontare, alla capitalizzazione della prestazione erogata;

5) l'art. 14 in questione configura l'indennizzo come liquidazione di un danno futuro;

6) richiamando numerosi precedenti in tema di risarcimento del danno non patrimoniale da liquidare a favore degli eredi, in ipotesi di morte del danneggiato in pendenza di giudizio, il danno deve essere calcolato sulla base non della probabile aspettativa di vita del soggetto, ma sulla durata effettiva di vita dello steso (salvo che il fatto sopravvenuto riguardi un soggetto che aveva già un'età anagrafica superiore a quella della c.d. vita media determinata nelle tabelle di liquidazione del danno);

7) tali principi si applicano anche al caso di specie, poiché l'indennizzo in capitale è diretto a ristorare l'effettiva menomazione dell'integrità fisica durante la vita residua dell'assicurato, dovendosi evitare una locupletazione indebita del danneggiato;

8) per inciso, l'eventuale eccesso di somme erogate dall'INPS all'assicurato potrà essere oggetto di domanda di ripetizione nei confronti del danneggiato stesso;

9) in presenza di surroga riferita ad un danno futuro, si deve tener conto dell'eventuale sopravvenienza della modifica delle condizioni del danneggiato, tale da incidere sul danno come liquidato;

10) l'art. 14 citato si limita a stabilire l'ammontare della surroga al momento del riconoscimento per l'ipotesi di stabilità della menomazione del danneggiato nei termini riconosciuti dall'assicuratore sociale.

V'è da osservare che la soluzione giuridica, per quanto condivisibile, poggia espressamente sulla equiparazione di funzione tra indennizzo e risarcimento, aspetto che meriterebbe una riflessione sull'inquadramento almeno nella sua assolutezza.

Si suggerisce la lettura della motivazione del precedente della Cassazione del 2003 che evidenzia un approccio pubblicistico che completa l'inquadramento di una tematica molto complessa.

In effetti la prospettiva squisitamente privatistica della sentenza in commento, per quanto rispondente ad orientamenti consolidati, dimentica la prospettiva pubblicistica, che invece aveva indagato la Cassazione nel 2003. La conseguenza pratica è che l'odierna decisione omette di considerare il sistema della legge del 1984, che viene così apoditticamente limitata nella sua applicazione, ritenendo che l'art. 14 citato si limiti a stabilire l'ammontare della surroga al momento del riconoscimento per la sola ipotesi di stabilità della menomazione del danneggiato.

Probabilmente la questione dovrà essere affrontata dalla Sezioni Unite.

Per Cass. 4688/2003, infatti, è la stessa legge a disporre espressamente che, per tutte le prestazioni da essa previste, senza esclusione alcuna, il relativo "ammontare" sia rapportato, in sede di surroga, al valore capitale e non agli importi in concreto corrisposti, per un periodo più o meno lungo, all'assicurato danneggiato. Una tale regola generale e assoluta che, per la sua estrema chiarezza, non può essere disattesa dall'interprete (la rendita è erogabile quando la capacità di lavoro dell'assicurato si sia ridotta permanentemente a meno di un terzo; riconoscibile per tre anni e confermabile a domanda per periodi della stessa durata, qualora permangano le condizioni che diedero luogo alla liquidazione della prestazione; confermabile ancora automaticamente dopo tre riconoscimenti consecutivi, e soggetto infine, in quest'ultimo caso, a revisione, il tutto a norma degli artt. 1, commi 1,3,7 e 8, e 9 della legge cit.).

La norma non prevede infatti alcuna eccezione nell'ipotesi che il beneficio in esame non venga, dopo il primo triennio, confermato, o venga revocato in seguito a revisione.

Di fronte all'inequivoco dettato della legge, non occorre enumerare gli inconvenienti pratici cui darebbe luogo la diversa tesi (a tacer d'altro, la surroga sarebbe quantificabile, "a posteriori", soltanto dopo che fosse sopravvenuta una causa estintiva del beneficio, come è avvenuto per l'appunto nel caso presente, e non mai prima, non essendo mai esattamente prevedibile, "a priori", la durata della prestazione).

Non bisogna dimenticare poi che, almeno tendenzialmente, il "valore capitale" della prestazione erogata dall'Istituto rappresenta il risarcimento del danno subito dall'assicurato per la riduzione permanente della capacità lavorativa, che dovrebbe essere corrisposto in una sola volta, ma che invece è liquidato obbligatoriamente sotto forma di rendita, analogamente a quanto è in facoltà del giudice civile (art. 2057 c.c.).

La ratio del sistema adottato dalla legge risponde dunque ad esigenze di certezza e di semplificazione dei rapporti, e, per giunta, risiede altresì nell'osservazione statistica che la conferma dei benefici, anche in sede di revisione, e dunque la durata indeterminata delle prestazioni, è la regola, mentre l'anticipata cessazione è l'eccezione.

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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