L'attribuzione del buono pasto nel pubblico impiego privatizzato: il diritto alla mensa è diritto alla pausa

Paolo Patrizio
30 Agosto 2021

In tema di pubblico impiego privatizzato, l'attribuzione del buono pasto, in quanto agevolazione di carattere assistenziale che, nell'ambito dell'organizzazione dell'ambiente di lavoro, è diretta a conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del dipendente...
Massima

In tema di pubblico impiego privatizzato, l'attribuzione del buono pasto, in quanto agevolazione di carattere assistenziale che, nell'ambito dell'organizzazione dell'ambiente di lavoro, è diretta a conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del dipendente, al fine di garantirne il benessere fisico necessario per proseguire l'attività lavorativa quando l'orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente previsto per la fruizione del beneficio, è condizionata all'effettuazione della pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, solo che il lavoratore, osservando un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, abbia diritto ad un intervallo non lavorato.

Il caso

La Suprema Corte di cassazione viene chiamata ad intervenire in merito al ricorso promosso da un'Azienda Ospedaliera avverso la decisione del Giudice d'appello, il quale, a conferma della sentenza di primo grado, aveva riconosciuto, in capo ad un turnista dipendente, il diritto a beneficiare dei buoni pasto sostitutivi del servizio mensa per ogni turno lavorativo eccedente le sei ore, sul presupposto dell'impossibilità di fruire del servizio in ragione dell'articolazione temporale dei turni orari assegnati al dipendente.

L'Azienda Ospedaliera affida le proprie censure in sede di legittimità ad un'unica motivazione, incentrata sull'asserita "Violazione e falsa applicazione del CCNL Comparto sanità 7 aprile 1999, articolo 29, comma 2, modificato e integrato in data 20 settembre 2001 e del Decreto Legislativo n. 66 del 2003, articolo 8", contestando la ricorrente il diritto al buono pasto, sostitutivo del servizio mensa, in capo al dipendente adibito a turni in fascia oraria normalmente non destinata alla consumazione del pasto, a causa dell'assenza di una norma del contratto collettivo integrativo che ponga espressamente detto obbligo in capo all'amministrazione.

La questione

La decisione in commento involge la tematica del riconoscimento del diritto al buono pasto nel pubblico impiego privatizzato, per l'ipotesi in cui il dipendente risulti adibito a turni in fascia oraria normalmente non destinata alla consumazione del pasto.

La soluzione giuridica

La Suprema Corte di cassazione nel rigettare il ricorso promosso dall'azienda ospedaliera, richiama il proprio orientamento confermativo in materia per cui, ai fini del riconoscimento del buono pasto per dipendenti adibiti a turni orari, deve ritenersi coessenziale alle "particolari condizioni di lavoro" di cui al contratto collettivo integrativo del comparto Sanità 20 settembre 2001, articolo 29, il diritto a usufruire della pausa di lavoro, a prescindere dal fatto che la stessa avvenisse in fasce orarie normalmente destinate alla consumazione del pasto o in fasce per le quali il pasto potesse essere consumato prima dell'inizio del turno.

Secondo il Giudice di legittimità, infatti "In tema di pubblico impiego privatizzato, l'attribuzione del buono pasto, in quanto agevolazione di carattere assistenziale che, nell'ambito dell'organizzazione dell'ambiente di lavoro, e' diretta a conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del dipendente, al fine di garantirne il benessere fisico necessario per proseguire l'attività lavorativa quando l'orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente previsto per la fruizione del beneficio, e' condizionata all'effettuazione della pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, solo che il lavoratore, osservando un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, abbia diritto ad un intervallo non lavorato" (Cass. n. 5547 del 2021).

Osservazioni

La pronuncia in esame si pone nel solco della giurisprudenza di legittimità che identifica il diritto alla mensa ed al connesso buono pasto come vero e proprio diritto alla pausa e, dunque, come tale spettante al lavoratore qualora l'orario giornaliero ecceda le 6 ore ed a prescindere dal fatto che la stessa avvenisse in fasce orarie normalmente destinate alla consumazione del pasto o in fasce per le quali il pasto potesse essere consumato prima dell'inizio del turno.

La ratio sottesa a tale impostazione decisionale di stampo nomofilattico si incentra, invero, sulla portata dell'articolo 29, comma 2, del CCNL integrativo del comparto sanità del 20 settembre 2001, da leggere ed interpretare in combinato disposto con il dettato dell'articolo 8 del D.lgs. n. 66/2003 in materia di orario di lavoro.

In tale contesto di riferimento, infatti, la Suprema Corte di Cassazione ha evidenziato, a più riprese, come il buono pasto sostitutivo spetti anche al lavoratore che effettua un orario di lavoro giornaliero eccedente le 6 ore, se non può usufruire del servizio mensa o se, per ragioni di servizio, non riesce a beneficiare della relativa pausa.

Come è noto, invero, consolidato è l'orientamento giurisprudenziale che esclude la natura retributiva del diritto alla fruizione del buono pasto, riconoscendone, al contrario, l'essenza di erogazione a carattere assistenziale (siccome finalizzata ad alleviare, in mancanza di un servizio mensa, il disagio di chi è costretto, a causa dell'orario di lavoro a mangiare fuori casa) e collegata al rapporto di lavoro grazie ad un nesso meramente occasionale, individuabile nell'obiettivo finalistico di operare una opportuna conciliazione tra le esigenze di servizio e le esigenze quotidiane del lavoratore (vedasi sul punto ex multis: Cassazione 31137/2019).

Ed in tal senso, oltremodo chiaro appare il disposto dell'articolo 29 del CCNL 20 settembre 2001, in base al quale le aziende, in relazione al proprio assetto organizzativo e compatibilmente con le risorse disponibili, possono istituire mense di servizio o, in alternativa, garantire l'esercizio del diritto di mensa con modalità sostitutive.

Senonchè, mentre l'organizzazione e la gestione dei suddetti servizi rientrano nell'autonomia operativa delle aziende, resta invece ferma la competenza del CCNL nella definizione delle regole in merito alla fruibilità e all'esercizio del diritto di mensa da parte dei lavoratori, prevedendo espressamente la norma de qua (nel testo come integrato e modificato dall'art. 4 del CCNL del 31 luglio 2009) che: a) hanno diritto alla mensa tutti i dipendenti effettivamente in servizio ed in relazione ad una particolare articolazione dell'orario di lavoro; b) il pasto va consumato fuori l'orario di lavoro ed il tempo impiegato è rilevato con i normali strumenti di controllo e non deve superare i 30 minuti.

A questo punto, appare allora essenziale comprendere cosa debba intendersi per la locuzione "particolare articolazione dell'orario di lavoro", di cui all'art. 29 del CCNL del 20 settembre 2001, avendo al riguardo la Cassazione evidenziato come, in assenza di una espressa disposizione contrattuale, bisogna far riferimento al medesimo art. 29 nella parte in cui stabilisce che il pasto va consumato al di fuori dell'orario di lavoro ed il tempo impiegato non deve superare i 30 minuti, rilevato con i consueti strumenti di controllo dell'orario di lavoro.

Da ciò, infatti, si ricaverebbe che la fruizione del pasto, ed il connesso diritto alla mensa o al buono pasto, è dunque prevista nell'ambito di una pausa di lavoro in quanto diversamente, non potrebbe esercitarsi alcun controllo sulla sua durata.

Se così è, si può dunque convenire, come sottolineato dalla Suprema Corte, sul fatto che la "particolare articolazione dell'orario di lavoro" sia quella collegata alla fruizione di un intervallo non lavorato, con conseguente rilievo del D.lgs. n. 66/2003 il quale all'art. 8 prevede che il lavoratore deve beneficiare di una pausa qualora l'orario giornaliero ecceda le 6 ore al fine del recupero delle energie psicofisiche e della eventuale consumazione del pasto.

Da tali considerazioni si evince allora che il diritto alla mensa deve essere identificato con il diritto alla pausa e che, pertanto, come sancito dalla Suprema Corte nella pronuncia in commento "In tema di pubblico impiego privatizzato, l'attribuzione del buono pasto, in quanto agevolazione di carattere assistenziale che, nell'ambito dell'organizzazione dell'ambiente di lavoro, e' diretta a conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del dipendente, al fine di garantirne il benessere fisico necessario per proseguire l'attività lavorativa quando l'orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente previsto per la fruizione del beneficio, e' condizionata all'effettuazione della pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, solo che il lavoratore, osservando un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, abbia diritto ad un intervallo non lavorato" .

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