Conflitto di competenza tra giudice ordinario e tribunale per i minorenni: vale il criterio di prevenzione

Francesco Bartolini
02 Settembre 2021

Il conflitto di competenza tra il tribunale ordinario e il tribunale per i minorenni dev'essere risolto secondo il criterio della prevenzione, atteso che l'art. 38 disp. att. c.c., la cui ratio risiede nell'evidente interrelazione tra i rispettivi giudizi, limita la vis actractiva del tribunale ordinario all'ipotesi in cui il procedimento dinanzi a questo sia stato instaurato per primo e si svolga tra le stesse parti dell'altro, in tal modo escludendo implicitamente l'ipotesi in cui il procedimento davanti al tribunale per i minorenni sia stato instaurato anteriormente.
Massima

Il conflitto di competenza tra il tribunale ordinario e il tribunale per i minorenni dev'essere risolto secondo il criterio della prevenzione, atteso che l'art. 38 disp. att. c.c., la cui ratio risiede nell'evidente interrelazione tra i rispettivi giudizi, limita la vis actractiva del tribunale ordinario all'ipotesi in cui il procedimento dinanzi a questo sia stato instaurato per primo e si svolga tra le stesse parti dell'altro, in tal modo escludendo implicitamente l'ipotesi in cui il procedimento davanti al tribunale per i minorenni sia stato instaurato anteriormente (fattispecie di azione per riconoscimento di paternità e provvedimenti chiesti al giudice minorile ex art. 333 c.c.).

Nel procedimento per i provvedimenti da impartire in caso di condotta del genitore pregiudizievole al figlio, ai sensi dell'art. 333 c.c., deve essere nominato sin dalla sua fase iniziale un curatore speciale che rappresenti il figlio minore, a pena di nullità per difetto del contraddittorio.

Il caso

Nella vicenda in oggetto la Corte d'appello ha confermato il decreto con il quale il Tribunale per i Minorenni aveva sospeso i genitori di un minore dalla responsabilità genitoriale, affidato il figlio ad una famiglia affidataria, sospeso i rapporti tra genitori e figlio e nominato al minore un curatore speciale. L'iniziativa era stata assunta ai sensi dell'art. 333 c.c dal procuratore minorile in relazione alla ritenuta capacità genitoriale limitata della madre. In precedenza, però, l'altro genitore aveva intrapreso dinanzi al tribunale ordinario un'azione per il riconoscimento della paternità, giunta alla pronuncia di una sentenza non definitiva dichiarativa della pretesa filiazione, con prosecuzione del procedimento per le decisioni conseguenti (capacità genitoriale, assegno di mantenimento, diritto di visita, ecc…). Il decreto esaminato in appello era dunque sopraggiunto nella pendenza del giudizio di riconoscimento, in corso presso il giudice ordinario: quale risultato di una seconda procedura, tra le stesse parti, svoltasi dinanzi a un giudice diverso da quello già adito.

La questione

Il ricorso del soggetto riconosciuto come padre ha posto alla Corte di legittimità due nodi da sciogliere. In primo luogo si è denunciato l'error in procedendo asseritamente cagionato dall'incompetenza del tribunale per i Minorenni ed altresì consistito nella violazione e falsa applicazione dell'art. 38 disp. att. c.c., in aderenza all'interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 2, 3, 4 e 111 Cost. Il ricorrente afferma al riguardo di aver anteriormente intrapreso dinanzi al Tribunale ordinario il giudizio di riconoscimento della sua paternità, giunto alla sentenza non definitiva dichiarativa della filiazione: con la conseguenza per cui la competenza per i successivi provvedimenti provvisori risultava attratta presso il giudice ordinario, dovendosi assicurare, si precisa, una parità di trattamento tra i figli nati in costanza di matrimonio e i figli nati al di fuori di esso. In proposito si ipotizza la ricorrenza di una questione di illegittimità costituzionale per irragionevole disparità di trattamento sull'assunto per cui la disciplina dettata dall'art. 38 riservi ai soli processi di separazione e divorzio, e quindi ai soli figli nati nel matrimonio, la concentrazione delle tutele e il simultaneus processus dinanzi al giudice preventivamente adito, così determinando un diverso trattamento processuale per i figli già denominati naturali.

In secondo luogo si è eccepita la nullità del provvedimento di merito per difetto del contraddittorio: il curatore speciale al figlio minorenne, infatti, era stato nominato unicamente al termine del procedimento ex art. 333 c.c. e non già all'inizio del medesimo.

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia della Corte è articolata in due decisioni di contenuto opposto. Quella che ha richiesto meno argomentazioni ha riguardato l'eccezione di nullità del decreto di merito per il denunciato vizio di costituzione del contraddittorio. Al minore, nei cui confronti con quel decreto era stato disposto l'affidamento ad una famiglia diversa da quella naturale, non era stato nominato, sin dalla fase iniziale del procedimento, il rappresentante legale nel giudizio, contro il disposto di cui all'art. 336, ultimo comma, c.c. La nomina era giunta tardivamente, con la decisione finale, in difetto di regolare costituzione delle parti; e la conseguente nullità avrebbe dovuto essere rilevata già in appello, ai sensi dell'art. 354, primo comma, c.p.c. L'accoglimento del ricorso sul punto ha comportato la cassazione del decreto con il rinvio degli atti al primo giudice. L'altra decisione, di maggior interesse, è riferita alla questione che il Supremo collegio ha dovuto risolvere in via preliminare in quanto sollevata con le eccezioni di incompetenza e di illegittimità costituzionale. In proposito i motivi di ricorso sono stati dichiarati infondati.

La Corte ha posto come premessa della motivazione l'affermazione di condivisione della ratio che ha giustificato il disposto dell'art. 38 disp. att. c.c. per la parte che aveva rilievo nella causa. Esso affida la competenza ad adottare i provvedimenti di tutela del figlio in caso di condotta del genitore a lui pregiudizievole al tribunale per i minorenni. L'attribuzione della competenza incontra un'eccezione, costituita dall'essere già in corso, tra le stesse parti, un giudizio di separazione, di divorzio o per responsabilità genitoriale. La deroga trova ragione nella possibile esistenza di interrelazioni e interferenze tra questi giudizi e le procedure affidate al giudice minorile. Tali situazioni di reciproca connessione rendono molto spesso difficile distinguere l'ambito delle rispettive azioni, con la conseguente opportunità di evitare provvedimenti contrastanti e impedire la presentazione di istanze strumentali, proposte ad un ufficio diverso. In tale contesto si giustifica l'attribuzione in via eccezionale della competenza al giudice ordinario allorchè si verifichi il caso in cui il giudizio presso di lui sia già pendente nel momento in cui è intrapresa l'azione ex art. 333 c.c. dinanzi al Tribunale per i Minorenni. La disposizione normativa non dà luogo ad alcuna discriminazione tra figli nati in costanza di matrimonio e figli nati al di fuori di esso ma pone, soltanto, un criterio discretivo che separa le competenze o le attrae in dipendenza del momento temporale in cui l'una e l'altra azione viene esercitata: se per primo è stato adito il giudice dei minori, la deroga di cui all'art. 38 a favore del giudice ordinario non si applica. Se, per contro, l'azione per la condotta pregiudizievole del genitore sopravviene rispetto al giudizio pendente davanti al tribunale ordinario, la sua competenza attrae ed esclude quella del tribunale per i minorenni. Alla luce di questo principio doveva essere considerata condivisibile la valutazione del giudice di merito che aveva ritenuto preventivamente esercitata l'azione del P.M. minorile ex art. 333 c.c. rispetto a quella per riconoscimento di paternità. Ciò in quanto, a proposito di quest'ultima, dovevasi tener conto non già del tempo del primo atto di esercizio dell'azione (che era antecedente all'iniziativa del P.M.) ma del momento successivo in cui con la sentenza non definitiva (non appellata) era stata riconosciuta e dichiarata la paternità. La Corte ha spiegato che nella fase precedente alla pronuncia della detta sentenza, il soggetto, anche se poi riconosciuto come padre, non è titolare di alcuna responsabilità genitoriale, non è legittimato a contraddire sui temi concernenti l'esercizio della genitorialità della madre e su quelli relativi all'interesse del minore. Inoltre, il tribunale dei minorenni aveva, ancor prima della citata sentenza, adottato provvedimenti urgenti che il giudice ordinario, richiesto unicamente di una pronuncia dichiarativa, non avrebbe potuto pronunciare.

Osservazioni

Sulle questioni di maggior interesse, in tema di conflitto di competenza, la Corte di cassazione ha pronunciato con un'argomentazione lineare e ineccepibile. Per disposizione dell'art. 38 disp. att. c.c., essa ha ricordato, è competente il tribunale dei minorenni a conoscere delle domande in tema di tutela contro le condotte del genitore pregiudizievoli al minore. Alla regola si fa eccezione se tra le stesse parti è già in corso un giudizio per separazione, per divorzio, o per responsabilità genitoriale. Nella vicenda esaminata doveva considerarsi preventivamente esercitata l'azione del P.M. minorile, che aveva adito ex art. 333 c.c. il giudice dei minori: e dunque correttamente tale giudice aveva conosciuto dell'azione ed emanato il decreto di sospensione genitoriale e di allontanamento del figlio.

Sul punto la decisione è certamente corretta: ma si rendono opportune alcune precisazioni.

In realtà, il criterio della prevenzione costituisce un parametro di ripartizione delle competenze che nel caso di specie era ultroneo ed è stato applicato con una considerazione dei fatti del tutto particolare. Il conflitto di competenze non aveva, quale estremo con cui confrontare la prevenzione dell'azione ex art. 333 c.c., un giudizio di separazione, di divorzio o di responsabilità genitoriale ma una domanda di riconoscimento di paternità, estranea, come tale, alle previsioni derogatorie di cui al già citato art. 38 (nella sua motivazione il Collegio lo riconosce esplicitamente). Sarebbe bastata questa osservazione per respingere il ricorso. Ma la Corte ha voluto scendere su un terreno di fatto che poneva un problema specifico, palesemente desumibile dal contenuto del ricorso. Il ricorrente, infatti, sosteneva di avere agito per primo, rispetto all'iniziativa del P.M. minorile, e che pertanto la competenza anche per i provvedimenti interdittivi doveva spettare al giudice ordinario da lui prioritamente adito. La circostanza, in sé, era vera. Infatti, se, conformemente ai principi generali, si afferma che un procedimento ha inizio con l'atto notificato a controparte o, nel caso del ricorso, con l'atto che adisce il giudice, ne deriva che nel caso de quo il primo ad attivarsi era stato il ricorrente con la sua richiesta al Tribunale ordinario di riconoscere la sua paternità. Quale la conseguenza da desumerne? Nel caso in oggetto la competenza doveva essere attribuita al giudice ordinario. Ma tanto i giudici di merito quanto il Supremo collegio hanno raggiunto una conclusione diversa. Il giudizio per riconoscimento di paternità, essi hanno affermato, doveva dirsi iniziato (e quindi in corso, per gli effetti di cui all'art. 38) solo dal momento in cui era stata pronunciata la sentenza non definitiva che tale paternità aveva dichiarato. Questo atto costituiva il riferimento temporale decisivo per stabilire la prevenzione. La sentenza era successiva a confronto con l'iniziativa intrapresa dal P.M. e pertanto questa iniziativa doveva prevalere cronologicamente e determinare la prevenzione a favore (come è avvenuto) del giudice minorile.

Le argomentazioni che giustificano la decisione destano qualche perplessità. Può esser vero, come enunciato dalla Corte, che nella fase precedente alla sentenza di riconoscimento il padre non è titolare di alcuna responsabilità genitoriale, non è legittimato a contraddire le difese della madre o a proporre osservazioni sull'interesse del minore. Indubbiamente egli è in attesa di una pronuncia che gli attribuisca uno status di diritti e di obblighi, dapprima non a lui facenti capo. Ma occorre ammettere che comunque il medesimo riveste una posizione soggettiva di attore nel processo da lui intrapreso: processo che, in forza della sua azione, non può non dirsi esistente e in corso.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.