Preliminare di compravendita immobiliare nel concordato preventivo e inapplicabilità della procedura competitiva

Giovanni Gerbini
07 Settembre 2021

Non si applica la procedura competitiva prevista dall'art. 163 bis l. fall. nel caso di cessione, da parte di una società in concordato, di un immobile destinato a costituire la sede principale dell'attività di impresa dell'acquirente e già oggetto di un preliminare trascritto ex art. 2465 bis c.c., atteso che il diritto del promissario acquirente ad ottenere il bene è pienamente opponibile al concordato e non può dunque essere assoggettato all'esito infruttuoso della suddetta procedura.
Massima

Non si applica la procedura competitiva prevista dall'art. 163 bis l. fall. nel caso di cessione, da parte di una società in concordato, di un immobile destinato a costituire la sede principale dell'attività di impresa dell'acquirente e già oggetto di un preliminare trascritto ex art. 2645-bis c.c., atteso che il diritto del promissario acquirente ad ottenere il bene è pienamente opponibile al concordato e non può dunque essere assoggettato all'esito infruttuoso della suddetta procedura.

Il caso

Il caso in esame riguarda una società in accomandita semplice che aveva stipulato un contratto preliminare a fronte del quale aveva assunto l'impegno di vendere un complesso immobiliare.

Il promissario acquirente aveva provveduto a trascrivere il preliminare ai sensi dell'art. 2645-bis c.c. e, nel frattempo, era anche entrato nel possesso (ma forse sarebbe più corretto parlare di detenzione) dell'immobile, che aveva adibito a sede principale della propria attività d'impresa.

La promittente venditrice presentava successivamente domanda di concordato preventivo e, una volta ammessa alla procedura, chiedeva di essere autorizzata alla stipula del definitivo ai sensi dell'art. 167, 2 comma, l. fall.. Il giudice delegato autorizzava il compimento dell'atto rimettendo al tribunale la decisione di subordinare o meno il perfezionamento della cessione del bene alla previa instaurazione della procedura competitiva ex art. 163 bis l. fall.

Il collegio investito della questione osservava, innanzitutto, che i contratti preliminari debbano senz'altro ritenersi compresi nell'alveo di quest'ultima disposizione, nella misura in cui impone al tribunale di favorire la presentazione di offerte concorrenti «anche quando il debitore ha stipulato un contratto che comunque abbia la finalità del trasferimento non immediato [...] di specifici beni».

Tuttavia, notava sempre il tribunale, la legge fallimentare contiene norme che dettano una disciplina speciale da applicare nel caso in esame.

L'art. 169 bis l. fall., infatti, nel solco di quanto previsto in tema di contratti pendenti nel fallimento, esclude che l'imprenditore concordatario possa sciogliersi dal preliminare di vendita che sia stato trascritto ai sensi dell'art. 2645 bis c.c. e che abbia ad oggetto un immobile destinato a costituire la sede principale dell'attività di impresa dell'acquirente; dal che sarebbe possibile desumere che tale contratto sia pienamente opponibile alla procedura qualora trascritto prima del deposito della domanda di concordato. Nello stesso senso deporrebbe anche il richiamo, contenuto nell'art. 169, all'art. 45 l. fall., nonché l'esenzione da revocatoria fallimentare che l'art. 67, comma 3, lett. c), l. fall. prevede in tali casi, sempreché i preliminari siano stati «conclusi a giusto prezzo».

Ad avviso del Tribunale di Massa, da tali premesse discenderebbe l'evidente intenzione del legislatore di accordare a questi contratti una particolare stabilità, destinata a prevalere anche sull'interesse dei creditori ad ottenere, mediante l'instaurazione della procedura competitiva di cui all'art. 163 bis l. fall., l'acquisizione di un prezzo il più alto possibile e, quindi, una più ampia possibilità di soddisfazione delle proprie pretese.

Seppur non previsto espressamente, insomma, il citato art. 163 bis l. fall. non potrebbe trovare applicazione nel caso di specie, anche perché sarebbe illogico inibire al debitore la facoltà di sciogliersi da un contratto se poi il diritto del terzo contraente, di ottenere il bene che ne costituisce l'oggetto, potesse esser comunque travolto da eventuali offerte concorrenti migliorative.

La questione

Con la pronuncia in esame il Tribunale di Massa fornisce un'interessante interpretazione delle norme che, nell'ambito del concordato preventivo, e in particolare nel caso in cui il piano contempli un'offerta di acquisto di beni aziendali da parte di un possibile acquirente, impongono di indire per la vendita di quegli stessi beni una procedura competitiva al fine di raccogliere eventuali proposte migliorative di terzi e, dunque, di incassare il prezzo più alto possibile. Il tutto, ovviamente, al fine del miglior soddisfacimento delle pretese dei creditori.

L'art. 163 bis l. fall., infatti, prevede che «Quando il piano di concordato […] comprende una offerta da parte di un soggetto già individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore, anche prima dell'omologazione, verso un corrispettivo in denaro o comunque a titolo oneroso dell'azienda o di uno o più rami d'azienda o di specifici beni, il tribunale dispone la ricerca di interessati all'acquisto disponendo l'apertura di un procedimento competitivo a norma delle disposizioni previste dal secondo comma del presente articolo». E tanto deve farsi – prosegue la stessa disposizione – «anche quando il debitore ha stipulato un contratto che comunque abbia la finalità del trasferimento non immediato [...] di specifici beni»: qual è, a tutti gli effetti, il contratto preliminare.

Se questo è vero su un piano generale, va tuttavia distinta l'ipotesi particolare in cui il preliminare i) abbia ad oggetto un immobile destinato a costituire l'abitazione principale dell'acquirente (o di suoi parenti o affini) oppure la sede della sua impresa; e ii) sia stato tempestivamente trascritto. In presenza di queste due condizioni, infatti, come osserva correttamente il tribunale, l'accordo preliminare diviene pienamente opponibile alla procedura, non potendo essere né sciolto – come gli altri contratti pendenti exart. 169 bis l. fall. – né revocato – a patto che preveda un giusto prezzo – in un eventuale successivo fallimento. Ne consegue che il relativo immobile debba essere sottratto alle dinamiche concorsuali, perché “riservato” al promissario acquirente, così venendo meno la possibilità (ma anche la ragione) di dar luogo alle formalità pubblicitarie e all'eventuale gara previste dall'art. 163 bis l. fall..

Osservazioni

Il decreto del Tribunale di Massa espone in maniera analitica i passaggi di tale ragionamento, che trova il proprio fulcro proprio nella particolare considerazione che l'ordinamento accorda, in ambito di crisi d'impresa (ma non solo), ai contratti preliminari posti a presidio di interessi di rango costituzionale, qual è l'acquisto della prima casa o della sede della propria impresa.

Il legislatore compie qui una scelta di campo, in virtù della quale un creditore anteriore alla procedura assume rispetto agli altri una peculiare situazione di vantaggio, che non sembra tuttavia potersi ricondurre nell'alveo dell'art. 2741 c.c.. Perché se è vero, da un lato, che anche il promissario acquirente è un creditore dell'impresa in concordato (ovvero del fallimento), dato che vanta nei confronti di quest'ultima un diritto ad un facere consistente, in particolare, nella stipula del definitivo; è altrettanto vero, dall'altro lato, che questi (sempre, beninteso, nelle ipotesi di immobile destinato ad abitazione o sede dell'impresa) riceve una tutela maggiore anche rispetto ai creditori privilegiati, in ragione del fatto che il suo diritto di credito neppure partecipa al concorso, ma viene soddisfatto in via preferenziale al di fuori dello stesso (motivo per cui, a rigore, probabilmente non si può neppure parlare di deroga alla par condicio creditorum). In altri termini, vige in tali casi un particolare regime di opponibilità che, a dispetto degli effetti solamente obbligatori (e relativi) che dispiega il preliminare, sembra conferire al promissario acquirente un diritto che nella formazione del passivo (concordatario o fallimentare) si atteggia alla stregua di un diritto reale, se è vero che questi ha diritto non (solo) al ricavato di liquidazione dell'immobile, bensì ad ottenere il bene stesso in natura, come se ne fosse il proprietario e avesse presentato una domanda di restituzione; come, cioè, se da questo preliminare nascesse un obbligo di dare, piuttosto che di fare, in capo al promittente venditore e, dunque, «un ius ad rem e non già un mero ius in persona» in favore del promissario (F. Gazzoni, Trascrizione del preliminare di vendita e obbligo di dare, in Riv. Not., 1997, 25).

La specialità della tutela del promissario acquirente gioca qui sul piano cronologico. Infatti, in caso di preliminare “generico”, trascritto ai sensi dell'art. 2645 bis c.c., il contraente in bonis può subire lo scioglimento del contratto (da parte del curatore ex art. 72, ovvero del tribunale ex art.169-bis l. fall.) ed è eventualmente solo a seguito di ciò che viene tutelato, in particolare, mediante la concessione del privilegio speciale di cui agli artt. 2775-bis c.c. e 72, comma 5, l. fall. a garanzia del suo credito restitutorio derivante dalla mancata esecuzione del preliminare; invece, quando il preliminare trascritto abbia ad oggetto un immobile da destinare ad abitazione principale o sede dell'impresa del promissario acquirente, la tutela in suo favore opera non solo a posteriori (nel concorso), ma direttamente ex ante (nella formazione del passivo), nel senso che viene a monte esclusa la possibilità che il contratto pendente possa essere sciolto.

Rimane il fatto che, qualora il preliminare sia stato stipulato ad un prezzo non “giusto”, viene meno l'esenzione prevista dall'art. 67, comma 3, lett. c), l. fall. e, dunque, l'accordo potrà essere revocato.

Il che potrà avvenire: tanto ai sensi del comma 1, n. 1, art. 67 l. fall., in quanto atto oneroso con cui il fallito ha assunto un'obbligazione eccedente quanto datogli o promessogli (evitiamo di soffermarci sui profili di coordinamento tra la misura del “quarto”, di cui al primo comma, ed il concetto di “giusto prezzo”, nella lettera c) del terzo comma); tanto ai sensi del comma 2, in quanto atto costitutivo di un diritto di prelazione (i.e. il privilegio iscrizionale ex art. 2775 bis c.c.). Vale peraltro la pena di chiedersi quale sia la sorte del credito restitutorio vantato dal promissario acquirente nel caso in cui il preliminare sia stato revocato ai sensi del solo comma 1, num. 1, dell'art. 67 l. fall.; se, cioè, questi debba essere ammesso al chirografo, oppure possa godere del privilegio previsto in caso di «mancata esecuzione» ex art. 2775 bis c.c., concetto che, secondo alcuni autori, comprende anche tutte le ipotesi in cui il definitivo non venga concluso per sopravvenuta inefficacia del preliminare. Ad una prima riflessione, mi sembra che la questione non possa essere risolta in quest'ultimo senso, per due motivi almeno. Un primo argomento si può trarre dalle norme codicistiche della revocatoria ordinaria – cui l'azione fallimentare è generalmente assimilabile – e segnatamente dall'art. 2902, comma 2, c.c., laddove si prevede che il terzo contraente, nella misura in cui abbia verso il debitore ragioni di credito derivanti dalla revocatoria, non possa concorrere sul ricavato del bene che è stato oggetto dell'atto dichiarato inefficace, se non dopo che il creditore è stato soddisfatto; il che si pone in evidente contrasto con la possibilità che il promissario acquirente, a fronte della revoca del preliminare, possa mantenere il privilegio – perlopiù – speciale (sull'immobile) di cui all'art. 2775 bis c.c.. Un secondo argomento, di carattere sistematico, si può cogliere non appena si ricordi che la finalità perseguita dallo strumento previsto dall'art. 67 l. fall. è, per un verso, di ripristinare il patrimonio del debitore e, per altro verso, di ricostituire la par condicio ridistribuendo la perdita da insolvenza tra tutti i creditori; riconoscere al promissario il privilegio exart. 2775 bis c.c., dopo averne censurato l'atto perché in frode agli altri creditori, significherebbe pertanto “far rientrare dalla finestra” una lesione alla parità di trattamento che con l'esperimento della revocatoria si era “fatta uscire dalla porta”.

Uno sguardo alla disciplina del Codice della crisi d'impresa

Come affermato dal Tribunale di Massa, le disposizioni sopra richiamate dimostrano come «l'ordinamento intenda accordare a tali contratti – in ragione della particolare finalità economico-sociale e del perseguimento di interessi costituzionalmente tutelati – una particolare stabilità destinata a prevalere anche sulle disposizioni volte a ottenere la cd. “cristallizzazione del patrimonio” del debitore in funzione del miglior soddisfacimento dei creditori con sacrificio dei diritti dei terzi».

La stessa relazione governativa al c.d. “Decreto correttivo” della riforma fallimentare (d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169), d'altro canto, affermava espressamente di aver voluto «accresc[ere], ai sensi dell'art. 47 Cost., la tutela del promissario acquirente di immobile destinato a casa di abitazione» e che «l'estensione del trattamento preferenziale anche agli immobili non abitativi ma oggetto di sede principale di attività di impresa […] pare inevitabilmente perseguire la medesima finalità di accrescere la tutela che la carta costituzionale accorda all'attività di impresa».

Tale impostazione, di evidente favore per il promissario acquirente, viene tuttavia decisamente ridimensionata nel Codice della crisi d'impresa, quantomeno nella sua versione attuale. L'art. 173 CCI in tema di liquidazione giudiziale prevede, infatti: da un lato, che al fine dell'esenzione dalle regole sui rapporti pendenti non basta più che il preliminare sia stato trascritto e che abbia ad oggetto la prima casa o la sede dell'impresa, ma è ora altresì necessario un terzo e nuovo requisito, e cioè che «il promissario acquirente ne chieda l'esecuzione nel termine e secondo le modalità stabilite per la presentazione delle domande di accertamento dei diritti dei terzi sui beni compresi nella procedura» (comma 3); dall'altro lato, che nell'ipotesi di subingresso del curatore nel preliminare di vendita di un (qualunque) immobile gli «acconti corrisposti prima dell'apertura della liquidazione giudiziale sono opponibili alla massa in misura pari alla metà dell'importo che il promissario acquirente dimostra di aver versato», ciò che equivale a dire che questi potrà ottenere il bene solo nella misura in cui versi alla procedura l'altra metà (comma 4).

Questo nuovo approccio sorprende non poco, atteso che – come appena visto – le scelte di politica legislativa «nel corso degli ultimi anni sono state univoche nella direzione opposta: quella di tutelare quanto più possibile l'acquirente» (N. Nisivoccia, Un favore ai creditori a spese di chi compra la prima casa, in Il Sole 24 Ore, 12 maggio 2021, 12), a maggior ragione qualora oggetto dell'acquisto fosse la prima casa o un immobile da destinare a sede della propria impresa.

La norma di cui al comma 3 dell'art. 173 CCI viene espressamente richiamata anche nell'ambito del concordato preventivo (v. art. 97, comma 13, CCI; al pari di quanto fa, nella legge fallimentare, l'art. 169-bis, comma 4, con l'art. 72, comma 8), ma è lecito ritenere che l'introduzione di un terzo e nuovo requisito ai fini della opponibilità del preliminare abbia, nella procedura minore, effetti meno marcati che nella liquidazione giudiziale. In primo luogo, perché nel concordato la regola generale per i rapporti pendenti è (almeno sulla carta) quella della prosecuzione, quindi la verifica della sussistenza dei requisiti ai fini della “non risolubilità” del contratto si pone semmai nel solo caso (eventuale) di richiesta di scioglimento al tribunale da parte del debitore. In secondo luogo, perché in tale procedura non è il creditore a dover insinuare il proprio diritto, ma è il debitore ad indicare i propri creditori e i titolari di diritti reali o personali sui propri beni e, pertanto, l'onere da ultimo introdotto dall'art. 173, comma 3, c.c.i. in capo al promissario acquirente (di chiedere l'esecuzione del preliminare nei termini e alle modalità previsti per le domande di rivendica e restituzione) di fatto passa in secondo piano; sembra, insomma, che anche con il codice della crisi il regime speciale di opponibilità continuerà, in ambito concordatario, ad esser soggetto ai due soli requisiti oggi vigenti.

La previsione di cui al comma 4 dell'art. 173 CCI non è invece oggetto di alcun richiamo in tema di concordato; né sembra potervisi applicare in via analogica: innanzitutto perché la norma ha natura evidentemente eccezionale, ma anche per il semplice motivo che in quest'altra procedura, a rigore, non c'è un subentro (che invece costituisce la condizione della norma in esame) né alcun curatore. Se questo è vero, la portata dirompente di questa nuova disposizione «salomonica» (N. Nisivoccia, cit.) si può allora ritenere circoscritta alla sola liquidazione giudiziale; di più: benché non lo affermi esplicitamente, sembra ragionevole ritenere che la medesima disposizione sia circoscritta anche ai soli contratti preliminari che non siano stati trascritti ai sensi dell'art. 2645 bis c.c. (aventi o meno ad oggetto la prima casa o la sede dell'impresa del promissario acquirente). Sostenere il contrario, infatti, significherebbe privare la trascrizione di qualsiasi utilità ed efficacia prenotativa nell'ipotesi di apertura di una liquidazione giudiziale, perché anche il promissario acquirente che si fosse premurato di trascrivere il preliminare si troverebbe obbligato, se intende ottenere l'immobile, a ripagare, per la metà, gli acconti già versati; e viene da pensare che, in tal caso, il creditore possa paradossalmente preferire che il curatore disponga lo scioglimento del rapporto, così da evitare ulteriori esborsi e poter recuperare quanto già versato in via privilegiata (art. 173, comma 2 c.p.c.). Il timore di perdere gli acconti già pagati (anche solo per la metà), anche qualora si sia trascritto il preliminare, avrebbe peraltro ricadute negative sul mercato immobiliare, come si può facilmente intuire, perché verosimilmente complicherebbe l'incontro tra domanda e offerta: essendo il compratore evidentemente disincentivato a versare una qualsiasi somma rilevante, se non alla stipula del definitivo, e viceversa preferendo il venditore incassare almeno un anticipo già in sede di preliminare, a garanzia dell'impegno dell'acquirente.

Venendo infine alla disciplina della procedura competitiva prevista nel concordato, il Codice della crisi non contiene particolari novità rispetto alla legge fallimentare, salvo introdurre all'art. 94, comma 6, la previsione che, in caso di urgenza, il tribunale, sentito il commissario giudiziale, possa autorizzare il compimento di atti di alienazione e affitto di azienda, di rami di azienda e di specifici beni senza indire la procedura competitiva, qualora vi sia il pericolo che possa essere compromesso irreparabilmente l'interesse dei creditori al miglior soddisfacimento. Ammettendo esplicitamente tale eventualità, la nuova norma accoglie le perplessità manifestate nella giurisprudenza di merito (e in dottrina: v. M. Vitiello, L'obbligatorietà della procedura competitiva nelle cessioni d'azienda di carattere urgente, in questo portale, 4 dicembre 2017) rispetto ad una disciplina – quella dell'attuale art. 163-bis l. fall. – ritenuta eccessivamente rigida nell'imporre, necessariamente e in ogni caso, l'instaurazione della procedura competitiva, paradossalmente anche quando all'atto pratico ciò si riveli disfunzionale agli stessi interessi che vorrebbe presidiare (i.e. quelli dei creditori). Da meccanismo «ineludibile delle procedure concorsuali, in ogni loro relazione con il mercato» (Trib. Bologna, 4 giugno 2013), la giurisprudenza ha infatti successivamente attribuito alla regola competitiva la dimensione di principio generale, in quanto tale, dotata di un'elasticità applicativa che ne legittima deroghe laddove le circostanze del caso concreto lo rendano opportuno alla luce della ratio sottesa (Trib. Roma, 3 agosto 2017). Ben venga, insomma, il “nuovo” art. 94, comma 6, che consente (o consentirà) ufficialmente di lasciarsi alle spalle i retaggi di quell'indirizzo (in passato asseverato anche dalla Cassazione) che, con cieco ed irragionevole automatismo, assegnava alla procedura competitiva e alle sue cadenze temporali l'assoluta prevalenza sulle ragioni economiche sottese agli atti dispositivi urgenti (P. Liccardo, Il caso e la legge: l'apertura al mercato nell'epoca post-moderna, in questo portale, 30 settembre 2016).

Guida all'approfondimento

Tutti in questo portale: M. Vitiello, L'obbligatorietà della procedura competitiva nelle cessioni d'azienda di carattere urgente, 4 dicembre 2017; D. Galletti, Ancora sulle elusioni dell'art. 163-bis l.fall., 9 gennaio 2018; P. Liccardo, Il caso e la legge: l'apertura al mercato nell'epoca post-moderna, 30 settembre 2016; M. Greggio, Le offerte concorrenti nel nuovo art. 163-bis l. fall.: l'eteronomia prevale sull'autonomia?, 21 gennaio 2016; F. Ioverno, Trasferimento delle quote sociali nella proposta di concordato e disciplina delle offerte concorrenti, 20 maggio 2019; M. Terenghi, Nuovi contributi giurisprudenziali in materia di rapporti tra concordato con assunzione ed offerte concorrenti, 11 gennaio 2019; F. Signorelli, I contratti pendenti nel concordato preventivo, 29 marzo 2021; S. Morri, F. Giovannardi, Concordato e scioglimento dei contratti pendenti: i criteri guida per l'autorizzazione, 11 dicembre 2017; A. Fittante, Concordato preventivo e contratti pendenti in corso di esecuzione: il punto sull'art. 169-bis l. fall., 19 novembre 2014.

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