Le modalità di determinazione dei compensi del professionista delegato e del custode giudiziario
08 Settembre 2021
I compensi spettanti al custode giudiziario
Gli artt. 2 e 3 del d.m. 80/2009 applicabili alle procedure esecutive immobiliari si occupano, rispettivamente, dei «compensi per le attività ordinarie di custodia dei beni immobili» e dei «compensi per le attività straordinarie di custodia dei beni immobili». Non è applicabile alla custodia dei beni immobili l'art. 5 del d.m. 80/2009, intendendosi riferito al solo pignoramento mobiliare. Questa interpretazione si fonda: (i) sull'esame della rubrica della norma «compensi per l'attività di custodia presso i locali del debitore», perché solo nel pignoramento mobiliare le cose mobili possono trovarsi nei locali del debitore; (ii) sul tenore letterale del primo comma che, iniziando con l'incipit «Quando la custodia dei beni è esercitata nel luogo in cui i beni sono stati pignorati», non può che riferirsi al solo pignoramento mobiliare, dove si pone l'alternativa (assente nel pignoramento immobiliare) tra la custodia dei beni ubicati nell'immobile appartenente al debitore e la custodia nel luogo di pubblico deposito dove i beni, dopo il pignoramento, sono stati asportati. L'art. 2 comma 1 stabilisce che il compenso sia determinato sulla base di scaglioni a cui sono associate delle percentuali, applicate al valore di aggiudicazione (o assegnazione) ovvero di stima del bene, a seconda che la procedura si sia o meno conclusa con la vendita (o l'assegnazione): fino a euro 25.000,00: 3%; da euro 25.000,01 e fino a euro 100.000,00: 1%; da euro 100.000,01 e fino a euro 200.000,00: 0,8%; da euro 200.000,01 e fino a euro 300.000,00: 0,7%; da euro 300.000,01 e fino a euro 500.000,00: 0,5%; da euro 500.000,01 e oltre: 0,3%. Si discute se nel cd. «valore di aggiudicazione» vadano ricomprese anche le cauzioni versate e trattenute dalla procedura in caso di inadempimento dell'aggiudicatario. Sul punto non constano provvedimenti giurisprudenziali. Vi sono, invece, numerose circolari adottate da vari tribunali, che forniscono agli ausiliari direttive sui criteri da utilizzare per la predisposizione delle istanze di liquidazione e che propendono per la soluzione affermativa. A parere di chi scrive, è da escludersi che si debba tenere conto nella determinazione del compenso delle somme trattenute a titolo di multa, che – come noto – concorrono a formare il ricavato della vendita e non già il cd. prezzo di aggiudicazione, così da essere ontologicamente differenti. Il compenso di cui al comma 1 del citato art. 2 è dovuto per ogni singolo lotto (sul punto v. infra) laddove venga indicato dal custode lo svolgimento delle seguenti attività: a)- accessi presso l'ufficio giudiziario per il conferimento dell'incarico e la consultazione del fascicolo, nonché presso altri pubblici uffici; b)- accessi all'immobile pignorato, anche in caso di apertura forzata delle porte; c)- verifica dello stato di conservazione del bene e dell'esistenza di eventuali mutamenti rispetto a quanto risultante dalla relazione dell'esperto; d)- verifica dello stato di occupazione del bene e dell'eventuale sussistenza di titoli opponibili da parte di terzi; e)- quantificazione delle spese condominiali relative all'ultimo biennio, nonché di quelle future già deliberate; f)- sostituzione di serrature, installazione o sostituzione di dispositivi di sicurezza; g).informazioni relative all'immobile pignorato e alla procedura di vendita, rese agli interessati mediante l'utenza telefonica indicata nell'avviso di vendita di cui all'art. 570 c.p.c.; h)- invio agli interessati, anche tramite posta elettronica o fax, di copie o estratti della perizia di stima; i)- accompagnamento degli interessati presso l'immobile posto in vendita; l)- cura degli adempimenti pubblicitari previsti nell'ordinanza di vendita; m)- chiarimenti resi al giudice o suo delegato, alle parti ed agli offerenti nel corso delle operazioni di vendita; n)- attività di liberazione dell'immobile ai sensi dell'art. 560, terzo comma, c.p.c.; o)- redazione e deposito del rendiconto di cui all'art. 560, primo comma, c.p.c. In ogni caso detto compenso non può essere inferiore ad euro 250,00. La disposizione in esame prevede, quindi, un compenso unitario per l'attività di gestione svolta dall'ausiliario nell'ambito dell'incarico conferitogli, analiticamente indicata dal legislatore, calcolato in proporzione al valore del bene oggetto di custodia. A parere di chi scrive, la norma è iniqua nella parte in cui, a fronte dell'analitica indicazione dei compiti del custode, indica quale unico criterio di calcolo del compenso il valore del bene pignorato. Ritenere che l'impegno e la responsabilità dell'ausiliario siano direttamente proporzionali al valore del bene è, infatti, frutto di una conoscenza miope dell'attività svolta dal custode. Invero, le attività analiticamente indicate dal legislatore nella disposizione in esame riguardano tutti gli immobili per i quali si assume l'incarico di custode senza distinzione di tipologia e tanto più di valore; inoltre, nella maggior parte dei casi l'attività del custode si rileva più impegnativa per immobili di basso/scarso valore (non solo per difficoltà ambientali derivanti dalla ubicazione ovvero dalle condizioni in cui versano, ma anche e soprattutto perché spesso il prezzo «vile» è stato determinato da una serie di tentativi di vendita infruttuosi, per effetto dei quali la procedura si trova a rischio di estinzione anticipata ex art. 164-bis disp. att. c.p.c.). Da queste brevi osservazioni può dunque evincersi che spesso il compenso del custode è incongruo rispetto all'impegno prestato dal professionista. Il d.m. in esame prevede maggiorazioni del compenso del custode (calcolato ai sensi dell'art. 2 comma 1) e compensi per attività straordinarie poste in essere dall'ausiliario. Segnatamente, l'art. 2 comma 3 prevede che il compenso possa essere aumentato sino al 20% nei casi di eccezionali difficoltà nello svolgimento dell'incarico. Si ritiene che la norma, facendo riferimento al presupposto delle «eccezionali difficoltà», sia di stretta interpretazione e che, quindi, la maggiorazione debba essere liquidata solamente in casi di attività che comportano un impegno straordinario, per tale intendendosi un impegno superiore rispetto a quello ordinariamente richiesto nella custodia dei beni immobili. Nelle prassi dei vari tribunali, le «difficoltà» di cui parla la norma sono state individuate nell'attuazione dell'ordine di liberazione avvenuta con modalità particolarmente gravose o ancora nello smaltimento di rifiuti, nell'attività di rinnovo, disdetta e stipula dei contratti di godimento del bene locato e, più genericamente, in tutte quelle attività non espressamente contemplate dalle altre disposizioni del d.m. 80/2009 a condizione che esse vengano espressamente e analiticamente individuate nell'istanza di liquidazione del compendio. Si ritiene, invece, che la maggiorazione in esame non possa (e debba) essere riconosciuta in tutti i casi in cui il custode abbia dovuto mettere in esecuzione l'ordine di liberazione, in quanto la liquidazione di tale attività rientra nel compenso unitario di cui all'art. 2 comma 1, che prevede espressamente alla lettera n) «l'attività di liberazione dell'immobile ai sensi dell'art. 560 c.p.c.». Di conseguenza, il riconoscimento della maggiorazione del 20% per eccezionale difficoltà in ogni caso di attuazione dell'ordine di liberazione comporterebbe una interpretazione abrogante dell'art. 2, comma 2, lettera n). Se questo è vero, non può, tuttavia, non rilevarsi che, così facendo, il legislatore da un lato, di fatto equipara - a parità di prezzo di aggiudicazione - il compenso del custode che attua l'ordine di liberazione a quello di chi viene esonerato a tanto dall'aggiudicatario; dall'altro lato, svilisce l'attività del custode nell'ambito della attuazione dell'ordine di liberazione, che con la modifica dell'art. 560 c.p.c. è ad esso totalmente demandata. L'art. 3 del d.m. citato, inoltre, prevede: (i) al primo comma, un compenso aggiuntivo per attività straordinarie relative alla «riscossione dei canoni di locazione ovvero di altre somme dovute per l'occupazione dell'immobile, nonché di rinnovo, disdetta e stipula dei contratti di godimento del bene» calcolato per scaglioni, nella misura di seguito indicata, sull'ammontare delle somme incassate: -fino a euro 5.000,00: 4%; -oltre euro 5.000,00: 3%; (ii) al secondo comma, una maggiorazione complessiva del compenso calcolato ai sensi dell'art. 2, comma 1, variabile tra il 5% e il 20%, per le seguenti attività: a)- domanda di convalida della licenza o dello sfratto per finita locazione o per morosità e promozione di ogni altra azione, anche esecutiva, occorrente per conseguire la disponibilità del bene; b)- partecipazione alle assemblee condominiali; c)- interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria; d)- regolarizzazione catastale, urbanistica ed edilizia degli immobili; e)- direzione e controllo delle attività di asporto e trasferimento presso un depositario delle cose mobili appartenenti al debitore o a terzi rinvenute nell'immobile pignorato. Si ritiene che tale disposizione sia applicabile soltanto ai casi espressamente contemplati dalla norma, senza possibilità di ricorrere ad interpretazioni analogiche. L'ammontare della maggiorazione (dal 5% al 20% del compenso calcolato ai sensi dell'art. 2 comma 1) va parametrato all'attività svolta in termini di qualità, di dispendiosità e di pregio dell'opera prestata e non può superare il tetto massimo (20%) previsto dalla norma. Ipotesi di riduzione del compenso
I commi 3 e 4 dell'art. 2 contemplano le fattispecie di riduzione del compenso in caso di cessazione dell'incarico, di inefficacia del pignoramento, sospensione o estinzione del processo prima della vendita (comma 3) e, comunque, quando l'immobile è libero o in altri casi di ridotta complessità dell'incarico (comma 4). Segnatamente, il comma 3 prevede che in caso di cessazione dell'incarico, di inefficacia del pignoramento, sospensione o estinzione del processo prima della vendita, il compenso del custode, calcolato, con le percentuali di cui al comma 1, sul valore indicato nell'ultima ordinanza di vendita o, se non ancora pronunciata, su quello stimato, sia ridotto in proporzione all'attività effettivamente svolta. In altri termini, secondo la norma in esame la diminuzione del compenso deve essere parametrata all'attività effettivamente svolta a discrezione del Giudice dell'esecuzione in ragione della peculiarità del caso concreto. Nella prassi sono stati individuati numerosi provvedimenti nei quali, tra i parametri utilizzati per la determinazione del compenso, è stata indicata anche la durata dell'attività custodiale. A parere di chi scrive, tuttavia, la durata e lo stato del processo esecutivo al momento della sua chiusura non è assolutamente dirimente per la valutazione dell'attività effettivamente svolta dal custode, che va verificata caso per caso e senza automatismi (si pensi ad immobili visionati da molti interessati all'acquisto ovvero ad immobili per i quali si è attuato l'ordine di liberazione prima della chiusura della procedura). La riduzione del compenso sino alla metà, prevista dal comma 4 dell'art. 2, ricorre in ipotesi eccezionali, enucleate dal legislatore nel caso di ridotta complessità dell'incarico oppure di immobile libero (quest'ultimo da intendersi come bene sgombro da persone e da cose per tutta la durata della procedura ovvero di boschi, pascoli e terreni incolti). La diminuzione in esame non è incompatibile con quella prevista dal comma 3, cosicché possono essere applicate congiuntamente. Nei vari uffici giudiziari si è riscontrata la prassi secondo la quale l'eventuale sussistenza di una o più fattispecie che impongono al Giudice dell'esecuzione di applicare una o più riduzioni deve essere espressamente segnalata nell'istanza di liquidazione, che deve contenere anche una «proposta» di riduzione da applicare in ragione di tutte le circostanze del caso concreto. Resta impregiudicata, per quant'ovvio, l'eventuale diversa decurtazione del Giudice dell'esecuzione in ordine all'ammontare della riduzione del compenso. Rimborso forfettario e spese
L'art. 2 comma 6 prevede che al custode sia dovuto il rimborso forfettario, in ragione del 10% del compenso liquidato per le spese generali di organizzazione e studio, nonché per quelle di corrispondenza, viaggi e comunicazioni, anche telefoniche. Le altre spese documentate (e diverse da quelle indicate al comma 6) vanno pure rimborsate al custode così come dispone il comma 7. Tale rimborso non è previsto nell'ambito delle procedure esecutive mobiliari, per le quali l'art. 5 prevede in favore del custode il riconoscimento delle spese di trasferta e del compenso per ogni accesso. Dalla lettura delle citate norme si ricava che un'istanza di liquidazione nella quale si richiedesse sia il rimborso forfettario sia il riconoscimento delle spese, di cui all'art. 5 del d.m. 80/2009, opererebbe una duplicazione di compensi e di rimborsi spese. Tuttavia, non può non osservarsi che qualora il bene pignorato si trovasse ad una distanza elevata, la liquidazione del solo rimborso forfettario del 10% sul compenso liquidato potrebbe non solo non essere sufficiente a coprire le spese di trasferta ma porterebbe a risultati inaccettabili in termini di redditività dell'incarico assunto dal professionista. Per questo motivo, gli uffici giudiziari (alcuni con circolari più o meno dettagliate) riconoscono un ulteriore rimborso (questa volta documentato) sia esso previsto dalle tabelle ACI (dopo il superamento di un certo limite chilometrico) ovvero costituito da biglietti di aliscafi o navi (quando il bene pignorato sia ubicato su un'isola). Liquidazione per singoli lotti
Non vi sono dubbi che il compenso del custode giudiziario vada calcolato per singoli lotti e non sul valore complessivo del compendio pignorato. Invero, in nessuno degli articoli del d.m. in esame si rinviene tale prescrizione, ma non si registrano opinioni differenti nella prassi dei tribunali di merito, anche in caso di chiusura anticipata della procedura espropriativa. Ciò per intuibili motivi: l'attività di custodia giudiziaria, per sua natura e contenuto, non può che essere esercitata in relazione a ciascun singolo bene e/o lotto staggito. Basta dare una rapida scorsa alle disposizioni del d.m. ovvero alle prescrizioni contenute nei provvedimenti di conferimento/accettazione incarico dei Giudici dell'Esecuzione dei vari uffici giudiziari per averne chiara contezza. Ogni cespite è oggetto di specifica attività di gestione ed amministrazione da parte del custode giudiziario, che si atteggia variamente a seconda delle caratteristiche intrinseche (stato di manutenzione e conservazione, natura, etc.) ed estrinseche (stato di occupazione, costituzione del condominio, etc.) del bene. Parimenti, il contenuto della responsabilità del custode giudiziario varia a seconda del cespite assunto in custodia: basti pensare alla differenza tra un immobile occupato (con conseguente necessità di costantemente valutare il titolo di occupazione) ed un immobile libero (con conseguente immissione del custode anche nella detenzione materiale). Diverso, ovviamente, è il caso in cui i beni pignorati costituiscano un unico lotto ovvero abbiano caratteristiche tali da non poter essere atomisticamente considerati. Al riguardo con riguardo all'attività degli esperti stimatori la giurisprudenza di legittimità ritiene che, in caso di formazione di più lotti, ai fini dell'art. 13 del d.P.R. 115/2002, se ne deve cumulare il valore (soltanto) laddove si tratti di beni omogenei e operazioni ripetibili, mentre devono considerarsi separatamente se si tratta (come solitamente avviene) di beni disomogenei, aventi caratteristiche autonomamente valutabili: cfr. Cass. civ., 5325/2016; cfr. anche: Cass. civ., 7632/2006; Cass. civ., 6892/2009. Invero, data la peculiarità dell'attività custodiale, l'ipotesi che i beni abbiano caratteristiche tali da non poter essere atomisticamente considerati costituisce – a parere di chi scrive - un mero caso di scuola. I criteri per la determinazione del compenso del professionista delegato alle operazioni di vendita
La determinazione dei compensi del professionista delegato alle operazioni di vendita è prevista ai sensi del d.m. 227/2015, successivamente modificato dal d.m. 104/2021. L'art. 2 comma 1 del d.m. in esame distingue l'attività del professionista delegato in quattro «macrofasi»: 1)- la fase preparatoria alla vendita, che comprende tutte le attività comprese tra il conferimento dell'incarico e la redazione dell'avviso di vendita, ivi incluso lo studio della documentazione ipocastastale; 2)- la fase della vendita in senso stretto, che comprende tutte le attività successive alla redazione dell'avviso di vendita e fino all'aggiudicazione o all'assegnazione del bene pignorato; 3)- la fase del trasferimento, che comprende tutte le attività svolte nel corso della fase di trasferimento della proprietà, necessarie alla attuazione del decreto di cui all'art. 586 c.p.c.; 4)- la fase della distribuzione del ricavato, conformemente alla scansione procedimentale fissata in giurisprudenza sin dalla sentenza della Cass. civ., n. 11178/1995. Il medesimo articolo prevede un compenso unitario - per scaglioni di valore - quantificato per ogni fase in: (i) euro 1.000,00 se il valore rientri nell'importo di euro 100.000,00; (ii) euro 1.500,00 se il valore sia compreso tra euro 100.000,01 ed euro 500.000,00 (iii) euro 2.000,00 laddove il valore sia superiore a euro 500.000,00; e che spetta al professionista solo se ha svolto l'attività relativa alla specifica fase. Il valore è determinato dal prezzo di aggiudicazione o di assegnazione (comma 1) ovvero – in caso di chiusura anticipata – dal prezzo previsto per l'ultimo esperimento di vendita e, in mancanza, del valore di stima (comma 8). Al riguardo, non può non rilevarsi che il legislatore ha correlato il compenso del professionista all'effettivo risultato economico finale conseguito dalla vendita, in linea con quanto previsto dall'art. 161 disp. att. c.p.c., ultimo comma, per il compenso dell'esperto stimatore. Tale criterio è, tuttavia, opinabile, in quanto, a differenza di quanto accade per l'esperto stimatore, l'attività del professionista delegato dipende da una serie di fattori, che esulano dalla capacità e dall'impegno profuso dal professionista nello svolgimento dell'incarico e che condizionano l'andamento della procedura e il suo esito (si pensi, ad esempio, ad un immobile sovrastimato o piuttosto all'oscillazione del mercato immobiliare). Maggiorazioni e riduzioni del compenso del p.d.
A causa della genericità delle attività ricomprese nelle macrofasi innanzi indicate, il d.m. prevede la possibilità di aumentare o di ridurre il compenso in base alla complessità delle attività svolte fino a un massimo e un minimo che vengono prefissati. Segnatamente, l'art. 2 comma 3 (nella sua originaria formulazione) prevedeva la possibilità di riduzione o di aumento del compenso in misura non superiore al 60% in ragione della «complessità dell'attività svolta». La norma è stata poi parzialmente modificata dal d.m. 172/2021, che ha previsto che il compenso possa essere ridotto del 25% (e non già del 60%), tenendo conto di quanto disposto dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 7440/2019, secondo cui se non è irragionevole la soglia massima di aumento del compenso, «occorre, di contro, rilevare che la previsione di una così elevata percentuale di riduzione del compenso potrebbe portare alla liquidazione di valori eccessivamente esigui in relazione al tenore dell'attività espletata. Ne consegue che, in parte qua, con esclusivo riferimento alla percentuale massima di riduzione (60%) prevista dagli artt. 2, comma 3, per i beni immobili, e 3, comma 3, per i beni mobili iscritti in pubblici registri, il decreto ministeriale impugnato si rivela illegittimo e deve essere annullato, ferma restando, ovviamente, la facoltà per l'Amministrazione di rideterminarsi in ordine all'attribuzione al giudice dell'esecuzione della possibilità di una riduzione percentuale degli importi da corrispondere al professionista delegato, che tenga conto delle statuizioni contenute nella presente sentenza». Di conseguenza, se inizialmente il Giudice dell'esecuzione poteva aumentare o ridurre il compenso liquidato in misura non superiore del 60%, ora, in base alla nuova formulazione della norma, può aumentarlo al massimo del 60% oppure ridurlo in misura non superiore al 25%. In altri termini, il Giudice dell'esecuzione, nel liquidare il compenso in favore del professionista delegato alla vendita, può continuare nei casi più complessi ad aumentarne l'ammontare fino alla percentuale del 60%, mentre può diminuirlo nei casi caratterizzati da una minore complessità nella stessa misura percentuale ma solo nella misura del 25%. In ogni caso, il compenso, unitamente alle spese generali riconosciute nella misura del 10%, non può mai superare il 40% del prezzo di aggiudicazione (art. 2 comma 5). La maggiorazione, così come la riduzione del compenso, trova, in buona sostanza, la sua giustificazione nella valutazione - ad opera del Giudice dell'esecuzione - della maggiore o minore «complessità dell'attività svolta». I giustificati motivi che possono essere posti alla base della maggiorazione sono da individuarsi, in via meramente esemplificativa, nella complessità dell'esame della documentazione ex art. 567 c.p.c. o, in ragione della maggiore attività svolta, nel caso in cui siano state effettuate più aste ovvero in caso di concrete difficoltà insorte durante la vendita, ma anche per particolare gravosità di formalità pubblicitarie aggiuntive previste nell'ordinanza di delega oppure in caso di vendita mista quando vi è l'esame contestuale delle offerte cartacee e telematiche. La riduzione o l'aumento del compenso non possono, invece, derivare - per stessa volontà del legislatore (che, infatti, non lo ha previsto) - dall'ammontare delle somme ricavate dalla vendita, da cui può, dunque, ritenersi svincolata e fermo restando quanto prevede il successivo comma 5, che (re)introduce - tra i parametri di liquidazione - il prezzo di aggiudicazione. A ben vedere, dunque, il d.m. in esame riconosce nella liquidazione del compenso ampia discrezionalità al Giudice dell'esecuzione, a cui spetta di valutare la complessità (o meno) dell'attività svolta dal professionista con il solo limite della percentuale massima in aumento (fino al 60%) e in riduzione (fino 25%) dell'onorario di cui all'art. 2 e del tetto massimo di liquidazione (che non può mai superare il 40% del prezzo di aggiudicazione). Invero, proprio per la genericità della disposizione e al fine di amministrare equamente l'ampia discrezionalità riconosciuta al Giudice dell'esecuzione, è auspicabile che ogni ufficio giudiziario individui criteri univoci per chiarire in quali occasioni le attività devono ritenersi semplici o complesse. Rimborso forfettario e spese
L'art. 2 comma 4 prevede che al professionista delegato sia dovuto il rimborso forfettario in ragione del 10% del compenso liquidato e il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate. Sono rimborsabili tutte le spese sostenute per le attività materiali e, dunque, in via esemplificativa, le spese di notifica, quelle postali e bancarie. L'art. 2 comma 2 prevede che quando la delega ha ad oggetto più lotti, il giudice – in presenza di giusti motivi – può liquidare per ciascun lotto il compenso determinato secondo i criteri previsti all'art. 2, limitatamente alle attività relative alla (i) fase preparatoria, alla (ii) fase di vendita in senso stretto e a quella (iii) di trasferimento del bene. Lo stesso criterio si applica per la fase di distribuzione del ricavato (iv) se le somme da distribuire riguardano masse distinte e cioè più debitori. Dalla interpretazione letterale della norma si ricava che nel caso che ci occupa la regola sia la liquidazione di un unico compenso per ciascuna fase, prendendo come valore la somma dei prezzi dei lotti aggiudicati, con possibilità di deroga in presenza di giusti motivi, sicché il giudice dell'esecuzione può – dandone adeguata motivazione – liquidare il compenso previsto dal d.m. per ogni singolo lotto. Nella prassi vari sono gli uffici giudiziari che hanno predisposto dei protocolli per la liquidazione dei compensi dei professionisti delegati, nei quali sono indicate le condizioni applicative del comma 2: così, ad esempio, in alcuni casi si è previsto un aumento percentuale standardizzato di una o più fasi a seconda del numero dei lotti o dei tentativi di vendita effettuati; in altri, si è posto come un ulteriore elemento la comune o differente provenienza dei cespiti componenti i lotti (la quale incide sull'attività di controllo della documentazione ipocatastale ex art. 567 c.p.c. e anche sulla stesura del decreto di trasferimento); in altri ancora, una riduzione se l'importo ricavato dalla vendita sia inferiore ad una determinata cifra. Tuttavia, a prescindere dalle varie circolari, nel caso di plurimi lotti è evidente che i giusti motivi, richiesti dalla norma per il riconoscimento del compenso relativo alle prime tre fasi per ciascun lotto, sono spesso (se non sempre) ricorrenti: si pensi che ogni lotto ha la sua provenienza ultraventennale e, comunque, la propria cronistoria catastale; l'avviso di vendita (per quanto unico per tutti i lotti) va pubblicato sul portale delle vendite pubbliche (in uno all'ulteriore documentazione richiesta dell'ordinanza di delega) tante volte quanto sono i lotti; i decreti di trasferimento (e l'attività che da essi ne consegue) sono distinti per ogni lotto. A ciò è da aggiungere che, tra i «giusti motivi» deve farsi rientrare l'ipotesi (frequente) nella quale i vari lotti sono aggiudicati in differenti esperimenti di vendita (ad es. il lotto 1 nel primo esperimento ed il lotto 2 nel secondo). È noto che tra i compiti del professionista delegato vi è quello relativo alla registrazione, voltura catastale e trascrizione del decreto di trasferimento, nonché alla cancellazione delle formalità pregiudizievoli gravanti sul pignorato secondo quanto disposto nel decreto di trasferimento. I compensi relativi all'attività di registrazione, volturazione e trascrizione devono essere sostenute dall'aggiudicatario o dell'assegnatario, a carico del quale è posta la metà del compenso relativo alla fase di trasferimento della proprietà, nonché le relative spese generali e le spese effettivamente sostenute per la loro esecuzione (art. 2 comma 7), con la possibilità che il compenso a carico dell'aggiudicatario sia diversamente determinato in ragione di «giustificati motivi». Il d.m., invece, nulla dispone sulla cancellazione delle formalità pregiudizievoli e ciò per molti commentatori va interpretato come l'implicita affermazione da parte del legislatore che la cancellazione dei gravami sia un'attività a carico della procedura, facendo così propria la prassi di tutti quegli uffici giudiziari che, allo scopo di sgravare di oneri e difficoltà l'aggiudicatario e incentivare l'accesso alle vendite giudiziarie, (ritenevano e) ritengono che sia un costo a carico del creditore procedente che poi le ripete in sede di piano di riparto. Tuttavia, tali osservazioni non escludono che il Giudice dell'esecuzione possa prescrivere che tale attività sia svolta dal professionista delegato con costi a carico dell'aggiudicatario (ferma la facoltà di esonero) e ciò (invero) resta ancora una prassi estremamente diffusa in vari tribunali. Quanto all'onorario del professionista delegato per le cancellazioni, alcuni uffici giudiziari ritengono che il medesimo vada ricompreso nel compenso stimato dal d.m. per la terza fase. Tuttavia, a parere di chi scrive, tale impostazione non è condivisibile. L'attività in esame è complessa, delicata ed «eventuale», di talché, aderendo al citato orientamento, il compenso del professionista sarebbe lo stesso sia in caso di cancellazione sia in caso di esonero. Proprio per tale motivo, molti sono gli uffici giudiziari che, al fine di adeguare il compenso all'effettiva complessità dell'attività espletata, hanno ritenuto applicabile la maggiorazione di cui all'art. 2 comma 7, limitatamente alla quota a carico dell'aggiudicatario. |