L'art. 44 Legge Fallimentare: una norma da “maneggiare con cura”

Marco Terenghi
14 Settembre 2021

La Corte d'appello d i Bari, con la pronuncia oggetto di commento, individua i limiti di applicabilità dell'art. 44 l.fall. in un caso piuttosto particolare, dove vengono in rilievo entrambi gli aspetti contemplati dalla norma: da un lato il pagamento in favore del fallito (art. 44, comma 2, L.F.) eseguito da un debitore attraverso l'emissione e la consegna di alcuni assegni bancari tratti a suo nome, e dall'altro l'atto solutorio inefficace compiuto dal fallito stesso (art. 44, comma 1, L.F:), consistito nell'avere girato ad un terzo quegli stessi assegni ricevuti senza averli previamente versati sul proprio conto corrente, evitando così che le relative somme transitassero in conto e potessero venire apprese dalla curatela fallimentare.
Massime

L'inefficacia ex art. 44, comma 2, l.fall., dei pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento comporta che il debitore solvens non viene liberato dalla propria obbligazione ed è pertanto tenuto a rinnovare l'adempimento nelle mani della curatela, la quale però non può pretendere la prestazione anche nei confronti dell'istituto di credito eventualmente delegato dal debitore per il pagamento, in quanto la banca risulta estranea al rapporto sostanziale fatto valere ed al titolo azionato, essendo invece vincolata in forza di mandato esclusivamente al debitore-mandante.

Nel caso di pagamenti eseguiti dal fallito mediante l'emissione di assegni, la banca trattaria è obbligata a restituire alla massa le somme, giacenti sul conto, utilizzate per tali pagamenti, poiché il rapporto di conto corrente si scioglie ex lege e la banca non può utilizzare l'eventuale saldo attivo del c/c, che non si trova più nella sua disponibilità, per dare esecuzione ad un ordine inefficace del correntista fallito. Diversamente, nel caso di girata, da parte del fallito, di assegni bancari tratti da un suo debitore sulla banca presso cui quest'ultimo intrattiene il proprio rapporto di c/c, cui il fallito è estraneo, legittimato passivo verso la massa è il solo giratario accipiens della somma oggetto della girata, e non anche la banca trattaria, la quale esegue il pagamento sulla base di uno iussum efficace impartitole dall'emittente dell'assegno, e non potrebbe agire verso il giratario per la ripetizione dell'indebito, il quale ha invece riscosso una somma di spettanza della curatela.

Quando il fallito gira un assegno, emesso da un proprio debitore, in favore di un terzo, il quale riscuote la relativa somma dalla banca trattaria, l'atto inefficace ai sensi dell'art. 44 l.fall. è l'ordine di girata impartito dal fallito e/o il pagamento ricevuto da parte di quest'ultimo dal traente dell'assegno, ma non anche la successiva negoziazione di quest'ultimo da parte della banca, che non costituisce un “atto del fallito” o un “pagamento di un debito di questo”, tenuto altresì conto del fatto per cui la banca non può sottrarsi in alcun modo all'adempimento dell'ordine di pagamento proveniente dal traente.

Ammessa l'incapacità del fallito a trasferire un assegno bancario tramite girata, opera comunque l'art. 10 R.D. n. 1736/1933 (c.d. “Legge assegni”), che fa salve le obbligazioni assunte dai firmatari capaci, anche laddove sul titolo siano state apposte firme di persone incapaci.

Il caso

In una sorta di road movie itinerante tra Puglia e Marche, che potrebbe tranquillamente fornire la trama ad un film di Sergio Rubini o ad un racconto di Gianrico Carofiglio, il legale rappresentante di una società foggiana di compravendita di automobili, fallita da poche settimane, riceve da un cliente di quest'ultima assegni bancari per complessivi € 232.000= ca., tratti su Unicredit Banca – Agenzia di S. Benedetto del Tronto e destinati al pagamento di un debito.

Anziché consegnarli al Curatore, lo spregiudicato ex-amministratore li gira in favore di un terzo, probabilmente suo conoscente, ed insieme a quest'ultimo raggiunge in tutta fretta lo sportello marchigiano della banca trattaria dove è intrattenuto il c/c del solvens. Lì il giratario procede (siamo nel 2005) ad incassare materialmente il controvalore monetario degli assegni ed a consegnarlo seduta stante allo stesso ex-amministratore che lo accompagna, a chiusura di un'operazione-lampo concepita per distrarre dalle casse del fallimento un importo di rilevantissima entità.

La Curatela, venuta a sapere dell'accaduto, a distanza di anni conviene in giudizio la Banca trattaria deducendo, ai sensi degli artt. 42 e 44 l.fall., l'inefficacia dei pagamenti e/o delle operazioni bancarie attraverso le quali la banca convenuta ha messo nella disponibilità della fallita Centrauto s.r.l. il complessivo importo… degli assegni negoziatie chiedendo la restituzione del relativo controvalore. Il Tribunale di Foggia, nell'accogliere l'eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata dalla Banca, rigetta la domanda del Fallimento, che impugna la sentenza dinnanzi alla Corte d'Appello di Bari deducendo una serie di motivi volti ad evidenziare l'obbligo restitutorio dell'istituto di credito per effetto dell'art. 44 l.fall.

La Corte d'Appello rigetta il ricorso della Curatela, riconoscendo l'estraneità dell'intermediario creditizio rispetto alla dinamica di depauperamento patrimoniale subito dalla società fallita, che ha invece coinvolto il beneficiario della girata e, sotto il profilo del pagamento senza effetto liberatorio, il traente degli assegni.

Le questioni giuridiche e le relative soluzioni

La Corte individua con precisione i limiti di applicabilità dell'art. 44 l.fall. in un caso piuttosto particolare, dove vengono in rilievo entrambi gli aspetti contemplati dalla norma: da un lato il pagamento in favore del fallito (art. 44, comma 2) eseguito da un debitore attraverso l'emissione e la consegna di alcuni assegni bancari tratti a suo nome, e dall'altro l'atto solutorio inefficace compiuto dal fallito stesso (art. 44, comma 1), consistito nell'avere girato ad un terzo quegli stessi assegni ricevuti senza averli previamente versati sul proprio conto corrente, evitando così che le relative somme transitassero in conto e potessero venire apprese dalla curatela fallimentare. In questo scenario, dove si stagliano in modo evidente la divergenza rispetto al precetto normativo sia del pagamento effettuato dal debitore a mani del fallito (anziché della curatela), sia della successiva girata solvendi causa apposta ai titoli dal fallito stesso (nonostante lo spossessamento determinato a suo carico dalla sentenza dichiarativa d'insolvenza), il curatore fallimentare ha convenuto in giudizio ex art. 44 l.fall. unicamente la banca trattaria, vale a dire il soggetto che, su ordine del debitore/traente, ha pagato i titoli in questione a mani del giratario, rimanendo estraneo ad entrambi i rapporti sostanziali che hanno dato origine all'emissione ed alla girata degli assegni.

La pronuncia della Corte, nel richiamare in modo puntuale un precedente di legittimità reso in una fattispecie simile, circoscrive il perimetro di applicazione della norma osservando come la natura di mero esecutore del pagamento da parte della banca trattaria, non legata al fallito da alcun rapporto sostanziale ed obbligata al pagamento dell'assegno sulla base del contratto di c/c esistente con il traente, non ha posto in essere alcuna condotta tale da venire sanzionata con l'inefficacia post-fallimentare e, di conseguenza, con l'ordine di restituzione di una somma della quale essa non ha minimamente beneficiato.

Osservazioni

La quotidiana realtà delle gestioni fallimentari presenta spesso casi di pagamenti ricevuti ed eseguiti dal fallito dopo il deposito della sentenza dichiarativa.

Uno dei più frequenti è rappresentato dal bonifico pervenuto sul c/c intestato al debitore a titolo di pagamento di un debito pregresso, che rappresenta al tempo stesso un pagamento “ricevuto” dal fallito (ossia effettuato con finalità solutoria dal terzo, quasi sempre ignaro dell'apertura della procedura, ed indirizzato all'IBAN di riferimento ricevuto a suo tempo) ed un pagamento “eseguito” (pur senza una specifica manifestazione di volontà in tal senso) da quest'ultimo in favore della banca, poiché solitamente esso va a ridurre l'esposizione debitoria presente sul c/c. Non si tratta, a stretto rigore, di una “rimessa” ai sensi dell'art. 67, comma 3, lett. b), l.fall., poiché il contratto di conto corrente bancario si scioglie automaticamente con la dichiarazione di fallimento in forza del disposto dell'art. 78 l.fall., bensì del mero pagamento di un debito concorsuale perlopiù scaduto, attuato secondo le tipiche modalità di funzionamento del rapporto di c/c.

In queste situazioni, la curatela ha in astratto la possibilità di chiedere alla banca la restituzione della somma percepita post-fallimento, in quanto atto solutorio inefficace ex art. 44 l.fall., ma nel contempo anche quella di intimare al terzo solvens la ripetizione del pagamento, che essendo stato effettuato direttamente al fallito, e non al suo curatore, non produce alcun effetto liberatorio a favore del debitore.

Può quindi accadere (e spesso accade) che in questi casi, spinta da un vero e proprio “riflesso condizionato” frutto di una prassi inveterata, la Curatela rivolga le proprie attenzioni esclusivamente nei confronti del soggetto per definizione più solvibile (la banca), selezionandolo all'interno del lotto dei possibili responsabili di un evento depauperativo prodottosi a danno del patrimonio del fallito. Ciò suscita, altrettanto frequentemente, la difesa da parte dell'istituto bancario incentrata sull'affermazione della legittimazione passiva esclusiva in capo al debitore che ha eseguito il pagamento, accompagnata all'occorrenza da considerazioni ulteriori e diverse ogniqualvolta il bonifico ricevuto rivenga da un'operazione di anticipazione salvo buon fine o addirittura di cessione del credito, che se provate ed opponibili alla massa, andrebbero a scardinare la riconducibilità al patrimonio del fallito delle somme oggetto del pagamento.

La tendenza, quasi pavloviana, delle curatele fallimentari a coinvolgere gli istituti bancari nelle iniziative giudiziali di ricostruzione del patrimonio del fallito per atti compiuti post-fallimento, va detto, risulta in qualche modo giustificata dagli stessi orientamenti di legittimità, che in alcuni casi pervengono a conclusioni decisamente espansive.

Si pensi, ad esempio, al tema dei pagamenti eseguiti dalla banca su incarico del fallito mediante operazioni in c/c (bonifici, emissione di assegni) successive all'apertura del fallimento: secondo una posizione consolidata ed autorevolmente sostenuta che si autodefinisce “opinione prevalente”, poiché il conto corrente bancario, quale contratto, lato sensu, di mandato (in quanto il servizio di cassa che ne forma oggetto consiste appunto nel ricevere accrediti o nell'eseguire pagamenti per conto del mandante), si scioglie per effetto del fallimento del correntista (art. 78 l.fall.), le successive operazioni concretamente eseguite (ossia gli ordini del correntista ed i correlativi atti esecutivi della banca) restano colpite dalla sanzione di inefficacia di cui all'art. 44 l.fall. (cfr. sostanzialmente in tal senso Cass. 20.12.2000, n. 16032, in motivazione; Cass. 20.1.1988, n. 407).

Di conseguenza, “le somme che la banca accredita al correntista, quale mandataria nel rapporto di conto corrente con questi intercorso, rimangono di pertinenza del fallimento e sono sottratte alla disponibilità del correntista fallito, sicchè, ove quest'ultimo, come nella specie, ne entri, ciò malgrado, in possesso mediante le operazioni di prelievo pacificamente avvenute dopo il suo fallimento, si è in presenza di atti inopponibili alla massa dei creditori, cui la mandataria predetta è tenuta a versare l'intera provvista del conto, posto che la Banca, quale debitrice del correntista per le somme pervenute sul proprio conto, deve astenersi dall'estinguere, in tutto o in parte, il suo debito nei confronti del correntista medesimo - anche mediante pagamenti a persone da questi indicate - e ha l'obbligo di versare il relativo importo alla curatela. Conseguentemente, i pagamenti e/o gli atti estintivi del proprio debito verso il correntista eseguiti dalla Banca dopo il deposito in cancelleria della sentenza dichiarativa del fallimento di quest'ultimo sono inefficaci nei confronti della procedura (cfr. Cass. 6 dicembre 1974 n. 4043; Cass. 14 maggio 1975 n. 1851; Cass. 7 luglio 1981 n. 4434; Cass. 21 marzo 1989 n. 1417; Cass. 2 marzo 1993 n. 2572)” (così, tra gli arresti più recenti, Cass. 8.2.2018, n. 3086). Ancora più nello specifico, come sancito da Cass. n. 26501 del 27.11.2013, i prelievi del correntista fallito effettuati sul conto corrente bancario (ed i pagamenti eseguiti a terzi dalla banca operando sullo stesso conto) sono inefficaci verso i creditori ai sensi dell'art. 44 l.fall., per cui la banca non può sottrarsi alla richiesta di restituzione da parte degli organi della procedura invocando l'uso fatto delle somme versate nel conto ed è tenuta a restituire quanto ricevuto dal fallito a qualsiasi titolo, senza poter dedurre dall'obbligo di restituzione - nei limiti delle somme ricevute - i prelievi ed i pagamenti eseguiti per conto del fallito, “in ciò differenziandosi dall'ipotesi regolata dalla legge fallimentare, art. 42 che, ove le rimesse costituiscano proventi di un'attività d'impresa (autorizzata), legittima la curatela a reclamare dalla banca la restituzione del solo saldo attivo del conto, corrispondente all'utile di impresa”.

Esiste però una diversa impostazione che resiste all'idea di inquadrare l'atto solutorio, compiuto dal fallito tramite la banca, come una fonte di obbligo per quest'ultima di restituire alla massa il controvalore ai sensi dell'art. 44, soprattutto in quei casi dove l'istituto di credito non ha beneficiato di alcun pagamento, ma ha svolto unicamente il ruolo di intermediario per l'esecuzione di un'operazione.

E' la fattispecie esaminata da Cass.20.3.2020, n. 7477, dove il curatore ha chiesto l'inefficacia ex art. 44 l.fall. di due pagamenti eseguiti mediante bonifico dopo l'iscrizione della sentenza dichiarativa nel registro delle imprese (e fin qui nulla quaestio), ma ciò ha fatto evocando in giudizio solo la banca presso cui il fallito intratteneva il c/c da cui i bonifici erano partiti, e non invece i beneficiari di questi ultimi. Da qui la decisione della Corte, secondo cui la banca delegata resta estranea al rapporto obbligatorio fra il fallito ed il terzo e non è, pertanto, destinataria né dell'azione di inefficacia, né dell'azione di condanna alla restituzione, fatta salva una sua eventuale responsabilità, ad altro e diverso titolo, nei confronti del proprio cliente (fallito), che dovrà, allora, essere dedotta specificamente dal curatore, a fondamento di una distinta azione di condanna”.; ciò in quanto “L'azione dichiarativa dell'inefficacia deve essere svolta nei confronti del terzo “accipiens”, quale unico legittimato passivo, in quanto diretta a privare l'atto giuridico-pagamento dell'effetto estintivo del debito, con la conseguenza, da un lato, che il curatore potrà recuperare dal terzo la somma a questi versata, eventualmente azionando il titolo esecutivo relativo al capo di condanna della sentenza dichiarativa della inefficacia; dall'altro che, persistendo inadempiuta la obbligazione originaria, il terzo sarà legittimato ad insinuare il proprio credito al passivo della procedura concorsuale”.

Se, dunque, la banca non può essere chiamata a rispondere verso la curatela nei termini di cui all'art. 44 l.fall., in quanto estranea al rapporto obbligatorio su cui il pagamento va ad incidere, la sua responsabilità verso il fallito va inquadrata in modo completamente diverso per poter pensare di conseguire un risultato utile in favore della massa dei creditori. Ad esempio, come la pronuncia citata suggerisce, può argomentarsi che la dichiarazione di fallimento scioglie il contratto di c/c e con esso il rapporto di mandato che vi accede, privando così l'istituto bancario del potere-dovere di eseguire le istruzioni del cliente-mandante, con la conseguenza per cui esso risponde non in forza dell'art. 44 l.fall., ma a diverso titolo (contrattuale o extracontrattuale, a seconda di come si voglia inquadrare la responsabilità dell'ex mandatario che continui ad eseguire atti e pagamenti pur dopo la cessazione el rapporto) per la deminutio patrimoniale verificatasi.

L'art. 44 ed i rapporti bancari in c/c - Una simile divergenza interpretativa circa l'applicazione dell'art. 44 nell'ambito dei rapporti bancari non stupisce, poiché la ricostruzione di come interagiscono tra loro questi due settori normativi non è semplice e dimostra, ove ce ne fosse bisogno, come lo strumento dell'inefficacia post-fallimentare venga spesso utilizzato al di fuori del perimetro di sua effettiva pertinenza.

Ora, la dichiarazione di fallimento comporta, ai sensi dell'art. 78 l. fall. (destinato a rimanere pressoché identico quanto a formulazione nell'ambito del Codice della Crisi d'Impresa, che gli dedica l'omologo art. 183), lo scioglimento del contratto di conto corrente bancario stipulato anteriormente, con il conseguente venir meno dell'obbligo, per la banca-mandataria, di eseguire gli ordini impartiti dal correntista-mandante, a carico del quale si realizza, come noto, lo spossessamento tipico della procedura fallimentare (cfr. art. 42). Il venir meno del rapporto determina poi, da un lato, l'acquisizione da parte della massa dell'eventuale saldo attivo esistente nonché degli accreditamenti successivamente contabilizzati, e dall'altro l'inefficacia degli addebiti posti a carico del fallito, in quanto alla data di fallimento si verifica la c.d. "cristallizzazione" del patrimonio del debitore e di tutti i rapporti giuridici che lo compongono, in ossequio al carattere di “pignoramento generale” della procedura fallimentare (Cass. 30.7.2009, n. 17735; R. Provinciali, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1970, 701 e segg.) che lo rende insensibile agli atti dispositivi alla stregua di quanto previsto dall'art. 2913 c.c. in tema di esecuzione forzata (Cass. 21.8.2013, n. 19325, Il Fallimento 2014, 476; V. Zanichelli, in A. Jorio-B. Sassani, Trattato delle procedure concorsuali. Il fallimento, Milano, 2014, 24).

In questo contesto, l'inefficacia dei pagamenti successivi all'apertura del fallimento rappresenta un effetto pressoché automatico (come la giurisprudenza costantemente suole rilevare: Cass. 2.10.2019, n. 24602; fondamentale Cass. 13.9.2007, n. 19165, in Il Fallimento, 2008, 419, con commento di F. Lamanna) della sopravvenuta indisponibilità del patrimonio del fallito, che declina al tempo stesso l'esigenza di salvaguardia delle ragioni del ceto creditorio (protetto dagli effetti depauperatori dell'atto dispositivo o del pagamento) e la correlata necessità di rispettare il principio della par condicio creditorum (M. Ferro, a cura di, La Legge Fallimentare. Commentario teorico-pratico, Padova, 2011, 530, C. Costa, Gli effetti del fallimento sul fallito, in G. Ragusa Maggiore-C. Costa, Le procedure concorsuali. Il fallimento, Torino, 1997, 13).

Assodato, dunque, che il pagamento post-fallimento eseguito dal fallito espone il beneficiario all'esercizio dell'azione di inefficacia ex art. 44 l.fall. da parte della curatela, c'è da chiedersi se la collocazione di un simile evento all'interno dello scenario del rapporto di c/c bancario comporti un diverso atteggiarsi delle conseguenze ora esaminate alla luce del coinvolgimento di un terzo soggetto, ossia la banca.

In particolare, laddove l'atto solutorio non venga posto in essere direttamente dal fallito, bensì da un suo mandatario o delegato (con provvista fornita dal debitore e giacente sul conto), sorge il quesito se anche l'esecutore materiale vada assoggettato agli effetti del rimedio previsto dall'art. 44 l.fall., in via alternativa, cumulativa o solidale rispetto al destinatario del pagamento (in argomento C. Trentini, Esecuzioni di ordini di pagamento dopo l'apertura del concorso: questioni di legittimazione passiva e di dies a quo, in Il Fallimento, n. 11, 2020, 1408). Sul punto continua ad esistere un dibattito aperto tra gli interpreti e, in particolare, all'interno della stessa Suprema Corte, poiché il recentissimo e già citato arresto rappresentato da Cass. 20.3.2020, n. 7477 (in Il Fallimento, n. 11, 2020, 1399 e segg. e in Giur. it. 2020, con commento di F. Grieco, L'ora zero del fallimento e l'esclusione della legittimazione passiva dell'istituto di credito), che, nel negare la legittimazione passiva dell'istituto bancario rispetto all'azione di inefficacia esercitata dalla curatela, riprende un orientamento già espresso sia in sede di legittimità (Cass. 19.7.2016, n. 14779), sia di merito (Trib. Bari 10.1.2008, in Giur. mer. 2008, 1638), si contrappone all'opinione divergente sostenuta da una nutrita schiera di precedenti (Cass. 8.2.2018, n. 3086; Cass. 27.11.2013, n. 26501, in Mass. Giust. Civ. 2013, rv. 629336; App. Milano 16.10.2002, in Il Fallimento, 2003, 857, con osservazioni di P. Oliva), i quali, seppur in relazione a casi specifici peculiari e diversi tra loro, ritengono invece la banca assoggettabile, almeno in linea di principio, agli effetti dell'art. 44 l.fall..

La tesi “assolutoria” nei confronti della banca muove dal difficilmente contestabile presupposto per cui quest'ultima, eseguendo l'ordine di pagamento impartitole dal fallito, non consegue da esso alcuna utilità, esattamente alla stregua del terzo pignorato il quale, dopo avere effettuato un pagamento in favore del creditore espropriante a seguito del provvedimento di assegnazione del g.e., non potrà venire convenuto in revocatoria dopo il fallimento del debitore (Cass. 3.11.2016, n. 22160; Cass. 19.7.2016, n. 14779), poiché l'esigenza di ricostituzione del patrimonio di quest'ultimo e di ripristino della par condicio può venire soddisfatta unicamente rivolgendosi al beneficiario del pagamento, e non anche all'intermediario.

L'opinione contraria, che vede in prima linea anche una serie di pronunce di merito (Trib. Roma 3.3.2020; Trib. Roma 6.4.2017; Trib. Lucca 27.1.2017), fa derivare la legittimazione passiva dell'istituto bancario da una sorta di “applicabilità ad ampio spettro” dell'art. 44 l.fall. che travolgerebbe l'insieme delle operazioni compiute sul c/c dopo l'apertura del concorso fallimentare, con la conseguenza per cui, laddove la banca abbia dato esecuzione, dopo la dichiarazione di fallimento, ad un mandato di pagamento impartitole dal debitore prima della sentenza dichiarativa, la legittimazione passiva rispetto all'azione d'inefficacia competerebbe in via esclusiva alla banca, fermo restando che questa, una volta effettuata la restituzione, è legittimata ad agire nei confronti del beneficiario sulla base dell'azione di ripetizione d'indebito ex art. 2033 c.c., essendo l'atto compiuto privo di titolo.

In realtà, premesso che anche nell'ambito del rapporto di c/c può venire individuato il genus dei c.d. “pagamenti delegatori” [nel quale rientrano il bonifico (Cass. 24.3.2000, n. 3519; Cass. 21.9.2000, n. 12489), il pagamento dell'assegno bancario (Cass. 16.5.1997, n. 4345), il pagamento della tratta non accettata (Cass. 29.9.1998, n. 9705], il filo conduttore che unisce le varie pronunce dirette ad assoggettare l'istituto bancario all'azione ex art. 44 l.fall. sembra prendere spunto dall'analisi degli effetti del fallimento sulle dinamiche delegatorie non ancora concluse, e mette in evidenza come la procedura fallimentare travolga, da un lato, l'ordine di pagamento del correntista non ancora eseguito, e determini, dall'altro, lo scioglimento del mandato e del contratto di conto corrente, con l'ulteriore conseguenza per cui lo iussum del correntista, ancorché validamente impartito prima della dichiarazione di fallimento, non sarà più giuridicamente riferibile a quest'ultimo né suscettibile di incidere sul patrimonio del fallito, che risulterà «congelato» ed insensibile alle vicende successive proprio ai sensi dell'art. 44 l.fall..

Un simile ragionamento, tuttavia, giunge ad affermare la soggezione della banca alle pretese di ricostituzione del patrimonio del fallito attraverso un iter che coinvolge anche profili estranei al tema, strettamente considerato, dell'inefficacia post-fallimentare degli atti e dei pagamenti; profili che, valutati di per sé, possono comunque portare ad un risultato, sostanzialmente analogo, di ripristino della consistenza patrimoniale del debitore ante-fallimento.

Se è vero, infatti, che il rapporto di c/c si scioglie automaticamente per effetto della dichiarazione di fallimento, e che l'apertura del concorso priva di efficacia l'eventuale ordine di pagamento anteriormente impartito dal correntista alla banca, la sua successiva esecuzione da parte di quest'ultima assume i profili dell'inadempimento o comunque dell'atto illegittimo, poiché il mandatario (così come il depositario: cfr. art. 1771 c.c.), venuto meno il contratto, ha l'obbligo di rendere il conto al mandante e di rimettergli tutto quanto ha ricevuto in forza dell'incarico, e non può continuare a svolgere attività esecutiva di quest'ultimo. La banca, dunque, è tenuta a riversare alla curatela il saldo attivo del c/c esistente al momento dell'apertura del concorso, con la conseguenza per cui l'utilizzo di quest'ultimo per effettuare pagamenti post-fallimentari può integrare una fonte di responsabilità contrattuale (inadempimento delle obbligazioni gravanti sul mandatario) o eventualmente extracontrattuale (da fatto illecito exart. 2043 c.c.) verso la massa dei creditori (Cass. 7477/2020, cit.), dove il danno risarcibile coincide con le somme di cui la provvista è stata diminuita a seguito dell'esecuzione dei pagamenti. E' pur vero che, ai sensi dell'art. 1729 c.c., gli atti compiuti dal mandatario prima di conoscere l'estinzione del mandato sono validi nei confronti del mandante e dei suoi eredi, ma la sentenza di fallimento acquista rilevanza nei confronti dei terzi mediante la sua iscrizione nel registro delle imprese (art. 16, ult.comma, l.fall.), ragion per cui il sistema di pubblicità legale previsto dalla norma può valere anche al fine di integrare e circoscrivere la responsabilità della banca in relazione al compimento di atti ultra-mandato.

La pronuncia in commento - La Corte d'appello ha correttamente rigettato la domanda svolta art. 44 dal Fallimento contro la Banca trassata, ossia contro il soggetto delegato al pagamento da parte del debitore del fallito, mediante l'emissione degli assegni successivamente girati da quest'ultimo. Nel motivare la decisione, la Corte ha osservato che, in questo caso, se da un lato il debitore non è certamente liberato dalla propria obbligazione e risulta quindi tenuto a rinnovare l'adempimento nei confronti della curatela, dall'altro la legittimazione ad agire della curatela nei confronti del debitore originario non si estende però nei confronti dell'istituto di credito delegato dal debitore per il pagamento, poiché quest'ultimo è del tutto estraneo rispetto al rapporto sostanziale fatto valere ed all'eventuale titolo azionato. L'istituto trattario, nella visione della corte, è un mero delegato al pagamento che intrattiene un rapporto negoziale (vale a dire il mandato, innestantesi su quello sottostante di c/c) esclusivamente con il debitore del fallito, e non direttamente con quest'ultimo, e che per eseguire l'ordine di pagamento insito nell'emissione dell'assegno attinge alla provvista costituita dal delegante sul proprio conto corrente, svolgendo in questo caso un ruolo esclusivamente materiale di semplice esecutore dello iussum ricevuto.

La Corte barese, a sostegno della propria decisione, cita il precedente rappresentato da Cass., Sez. I, 17.12.2003, n. 19313, confermando forse inconsapevolmente il proprio risalente orientamento, espresso nella pronuncia di secondo grado che aveva dato origine alla richiamata sentenza di legittimità (App. Bari 14.11.2000, n. 1071). In quel caso, il debitore del fallito aveva incaricato la propria banca di eseguire un pagamento a favore di quest'ultimo (senza tuttavia, così pare di capire, emettere un assegno), ed in esecuzione dell'ordine l'istituto aveva provveduto alla corresponsione della somma dovuta, probabilmente mediante accredito sul c/c del fallito il quale, successivamente, aveva illegittimamente disposto della somma.

La Cassazione, nel rigettare la domanda della curatela contro la banca, ha precisato che l'art. 44, pur sancendo l'inefficacia del pagamento operato in favore del fallito, non conferisce pure, per questo solo fatto, l'insorgere di un autonomo diritto del fallimento nei confronti del soggetto che ha materialmente compiuto il versamento, ed ha aggiunto che delle eventuali negligenze, carenze ed omissioni poste in essere nell'espletamento dell'incarico affidatole la banca può dunque certamente essere chiamata a rispondere secondo le regole del mandato (art. 1856 c.c.), ma trattandosi di responsabilità contrattuale il solo soggetto legittimato a dedurle è unicamente l'altro contraente titolare del rapporto, e cioè il mandante. Da ciò discende sia l'irragionevolezza della domanda ex art. 44 svolta verso l'esecutore materiale del pagamento ricevuto dal fallito, sia l'infondatezza dell'eventuale pretesa risarcitoria ex mandatu nei confronti della banca incaricata del pagamento, poiché il mandante di quest'ultima non è certo il fallito, bensì il suo debitore. Solo laddove il versamento sia stato accreditato sul c/c del fallito e successivamente da questi utilizzato, la curatela ha, per quanto esaminato nei paragrafi precedenti, l'azione contrattuale risarcitoria per inadempimento del mandato, ma solo verso la banca presso cui il fallito intratteneva il proprio conto corrente, e non anche quella delegata al pagamento.

La pronuncia in commento arricchisce poi la fattispecie con ulteriori considerazioni imperniate sull'esistenza degli assegni e sulla girata degli stessi ad opera del fallito, osservando correttamente che la banca trattaria rimane estranea al rapporto tra fallito e debitore di quest'ultimo anche in caso di girata dei titoli in favore di terzi ad opera del primo. Ciò in quanto la girata realizza un mero trasferimento del diritto cartolare al pagamento da parte della banca trattaria, il quale non coinvolge il rapporto di c/c del fallito e non determina quindi lo spostamento patrimoniale (ossia il venir meno) di somme che avrebbero dovuto venire acquisite all'attivo fallimentare. In realtà, sul conto corrente del fallito non transita alcuna somma, poiché l'assegno emesso dal debitore viene utilizzato dal prenditore/girante quale mezzo di pagamento, e la girata (ancorché atto dispositivo inefficace dal punto di vista sostanziale, in quanto esso concreta un'iniziativa solutoria post-fallimentare da parte del fallito: cfr. Cass. 6.2.2018, n. 2821) impone alla banca trassata di effettuare il pagamento nei confronti del giratario, in ossequio all'originario iussum del traente/debitore ed in conformità alle norme che regolano la circolazione dell'assegno bancario e la legittimazione del suo portatore ad esigerne il pagamento. La banca non può infatti rifiutarsi di pagare l'assegno nemmeno in caso di girata da parte del fallito.

In definitiva, nel caso di emissione di un assegno bancario in favore di un soggetto già dichiarato fallito e di successiva girata del titolo ad opera di quest'ultimo, il curatore può promuovere contemporaneamente, trattandosi di obbligazioni differenti, sia l'azione di inefficacia, ex art. 44, comma 2, l.fall., nei confronti dell'emittente (il quale non resta liberato a seguito del pagamento inefficace), sia l'azione di inefficacia, ex art. 44, comma 1, l.fall., nei confronti del terzo giratario del medesimo titolo (quale beneficiario di un atto solutorio posto in essere dal fallito e quindi inefficace rispetto ai creditori), ma non può esercitare tale azione anche nei confronti della banca trattaria, estranea per definizione ad entrambi i rapporti.

Vi è da aggiungere, per completezza, che la vicenda sostanziale si colloca in un momento storico (dicembre 2005) dove non erano ancora entrate in vigore le limitazioni e le restrizioni introdotte dal D. Lgs. 22.11.2007, n. 231 alla libera trasferibilità degli assegni bancari, e che pertanto il pagamento dei titoli al giratario da parte della banca trassata non avrebbe, con ogni probabilità, costituito fonte di responsabilità risarcitoria nei confronti del fallimento ai sensi dell'art. 2043 c.c. nemmeno sotto tale profilo.

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