Fra i vantaggi conseguibili dalla società va considerato anche il risparmio di tempi e costi conseguente alla mancata formazione dei dipendenti
15 Settembre 2021
Massima
In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, la colpa di organizzazione dell'ente può essere rinvenuta anche nella mancata formazione dei dipendenti, circostanza questa che a sua volta può integrare il profilo del vantaggio dell'ente, considerando che dalla mancata formazione deriva un risparmio di costi ed una accelerazione dei tempi di lavorazione. Il caso
In un processo per infortunio sul lavoro – in cui era contestato all'amministratore di una società di avere cagionato lesioni personali ad un dipendente che, intento a tagliare un pannello di polistirene estruso, con l'uso di una sega circolare, sprovvista di spingitoi, entrava in contatto con la lama, riportando una lesione della mano sinistra – veniva dichiarata anche la responsabilità da reato della relativa persona giuridica ex art. 25-septies c. 3 D.Lgs. 231/2001, in ragione della ritenuta inadeguata preparazione professionale del dipendente, mancata formazione da cui sarebbe derivato un risparmio per l'ente, il quale non aveva sostenuto i relativi costi inerenti allo svolgimento dei i corsi e per le giornate di lavoro perse.
In sede di ricorso per cassazione, veniva contestata in primo luogo questa conclusione affermandosi che dall'istruttoria dibattimentale sarebbe emerso che al lavoratore era stata fornita la preparazione teorica prevista per legge ed era stato dimostrato l'addestramento pratico sul luogo di lavoro.
In secondo luogo, la difesa lamentava che il giudice di merito non avesse ridotto la sanzione economica applicata fino alla metà, come previsto dall'art. 12 c. 2 D.Lgs. 231/2001, asserendo che l'intervenuto risarcimento sarebbe stato garantito dall'assicurazione, senza alcun diretto esborso da parte della società. Secondo la difesa, tuttavia, il medesimo risarcimento era stato tenuto in debita considerazione dalla Corte al fine di stabilire l'entità della pena inflitta all'imputato, con riconoscimento della circostanza di cui all'art. 62 c. 5 c.p., per cui non si comprenderebbe perché la medesima possa essere tenuta in considerazione per l'imputato, ma non per l'ente. Peraltro, se il risarcimento non ha comportato un esborso "diretto" da parte della società, tuttavia ha senz'altro comportato un esborso "indiretto", atteso che la polizza assicurativa a tal fine stipulata rappresenta un costo specifico che l'ente sostiene periodicamente, suscettibile di lievitare in caso di sinistri. La questione
L'attenzione che la presente decisione dedica al tema della formazione dei dipendenti di un'impresa, individuando nel mancato svolgimento della stessa, da un lato, una ipotesi di colpa di organizzazione dell'ente collettivo e dall'altro una scelta di gestione della azienda da cui consegue un vantaggio per la stessa, rinvenibile nel risparmio dei costi necessario per lo svolgimento dei relativi corsi e nell'accelerazione dei tempi di lavorazione non è una novità nella giurisprudenza, che anzi sul punto sembra essere ormai consolidata: Cass., sez. IV, c.c. 22 gennaio 2020 (dep. 5 maggio 2020), n. 13575; Cass., sez. V, c.c. 23 febbraio 2016 (dep. 27 settembre 2016), n. 40033.
D'altronde, quanto alla possibilità di rinvenire in capo all'ente un profitto economico maturato e derivante dalla commissione di un reato colposo secondo la giurisprudenza il “profitto del reato” è qualsiasi "vantaggio economico" che costituisca un "beneficio aggiunto di tipo patrimoniale" che abbia una "diretta derivazione causale" dalla commissione dell'illecito (Cass., sez. un., 3 luglio 1996, Chabni, in Mass. Uff., n. 205707; Cass., sez. un., 24 maggio 2004, Focarelli, in Mass. Uff., n. 228166; Cass., sez. un., 25 ottobre 2005, Muci, in Mass. Uff., n. 232164). Tale impostazione però non comporta che tale beneficio debba essere individuato nell'utile che il reo trae dalla sua condotta delittuosa né tanto meno che debba tradursi in un accrescimento materiale del suo patrimonio – insomma non è necessario che in conseguenza del reato il responsabile dello stesso acquisisca la disponibilità di beni o somme di denaro, ulteriori rispetto a quello di cui era già in possesso -, giacché il profitto del crimine è nozione comprensiva anche di qualsivoglia utilità che il criminale realizza come effetto anche mediato ed indiretto della sua attività criminosa (Cass., sez. un., 25 ottobre 2007, Miragliotta, in Mass. Uff., n. 238700).
Quest'ultimo profilo è stato confermato dalle Sezioni Unite (30 gennaio 2014, Gubert, in Mass. Uff., n. 258647) che – nell'ambito di una decisione relativa alla possibilità di procedere ad una confisca per equivalente in capo ad una persona giuridica in relazione ad illeciti fiscali commessi dal suo amministratore e nell'interesse della società stessa – hanno chiaramente affermato che il concetto di profitto di reato legittimante la confisca deve intendersi come comprensivo non soltanto dei beni che l'autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto ed immediato dell'illecito, ma altresì di ogni altra utilità che lo stesso realizza come conseguenza anche indiretta o mediata della sua attività criminosa. La decisione della Cassazione
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile in relazione ad entrambi i motivi.
Con riferimento al primo motivo – inammissibile in quanto “il rilievo difensivo … è tutto incentrato sulla negazione della violazione addebitata all'imputato … [con] affermazioni puramente avversative che collidono con la ricostruzione offerta in motivazione dalla Corte di merito” –, la Cassazione condivide la tesi del giudice di merito secondo cui dalla mancata fornitura di un'adeguata preparazione professionale dei dipendenti deriva un risparmio dell'ente, che non deve sostenere costi aggiuntivi per i corsi e per le relative giornate di lavoro “perdute”, con la conseguenza di immettere nell'attività produttiva lavoratori non adeguatamente formati ed allettati delle possibili insidie che il luogo di lavoro può sempre presentare.
Quanto alla mancata riduzione della sanzione inflitta all'ente nella misura massima della metà, secondo la Cassazione la difesa non considera come a tale conclusione i giudici di merito non siano pervenuti solo considerando il mancato diretto esborso di somme a titolo risarcitorio, essendo stato il risarcimento riconosciuto dalla società assicuratrice, ma anche tenendo in considerazione i più generali profili della gravità delle criticità osservate nella gestione della sicurezza dei lavoratori e del risparmio conseguito dall'ente.
Sul punto, la decisione in commento contiene una articolata riflessione in ordine ai rapporti fra ll'art. 11 D.Lgs. 231/2001 – secondo cui nella determinazione della sanzione da applicare all'ente, il giudice deve tenere conto della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell'ente nonché dell'attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti – ed il successivo art. 12 – che prevede, al comma 2, che la sanzione pecuniaria sia diminuita da un terzo alla metà se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, l'ente abbia provveduto a risarcire integralmente il danno e ad eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si sia adoperato efficacemente in tal senso. Secondo la Cassazione, nella ricorrenza delle condizioni imposte nella norma da ultimo citata, l'entità della diminuzione della sanzione pecuniaria è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, il quale, nel compiere la valutazione fa uso di un potere discrezionale entro i parametri indicati dall'art. 11 D.Lgs. 231/2001 e tale valutazione sfugge al sindacato di legittimità ove non sia espressione di manifesta illogicità.
Quanto al fatto che la circostanza del risarcimento del danno sia stata tenuta in considerazione ai sensi dell'art. 62 c. 1 n. 6 c.p., tale profilo non rileva in quanto la norma codicistica disciplina e prevede un'attenuante comune destinata ad incidere sul trattamento sanzionatorio riservato all'imputato, mentre il comma 2 del citato art. 12 richiama un'attenuante che riguarda l'ente, cui il legislatore ha disegnato un trattamento avente proprie connotazioni peculiari. Considerazioni conclusive
Se, come detto, la sentenza della Cassazione ora in commento non presenta profili di novità con riferimento al tema della possibile rilevanza, ai sensi del D.Lgs. 231/2001, della mancata formazione dei dipendenti, al contempo la stessa pare troppo sintetica con riferimento all'attenzione dedicato al profilo attinente all'individuazione dell'interesse o del vantaggio che l'ente ha tratto da tale inottemperanza. Infatti, se è vero che in astratto l'inosservanza dell'obbligo di preparazione dei lavoratori può rilevare ai sensi del D.Lgs. 231/2001, occorre poi dimostrare che nel caso concreto tale circostanza abbia determinato un beneficio effettivo per la società. |