Confermata la natura di soft law del Protocollo Corte di cassazione - CNF

Roberto Succio
20 Settembre 2021

Il Protocollo d'intesa fra la Corte di cassazione e il Consiglio Nazionale Forense non può radicare, di per sé, sanzioni processuali di nullità, improcedibilità o inammissibilità che non trovino anche idonee giustificazioni nelle regole del codice di rito.
Massima

L'onere del ricorrente, di cui all'art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., così come modificato dall'art. 7 del d.lgs. 40/2006, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, «gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda» è soddisfatto, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d'ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell'art. 369, terzo comma, c.p.c.

Il Protocollo d'intesa fra la Corte di cassazione e il Consiglio nazionale forense non può radicare, di per sé, sanzioni processuali di nullità, improcedibilità o inammissibilità che non trovino anche idonee giustificazioni nelle regole del codice di rito.

Il caso

All'atto della costituzione in giudizio di fronte alla Suprema Corte nella vicenda di cui alla sentenza in commento, i controricorrenti eccepivano l'improcedibilità dei ricorsi avversari ai sensi dell'art. 369, comma 2, n.4, c.p.c. per non aver i ricorrenti provveduto alla formazione di appositi fascicoletti contenenti gli atti e i documenti sui quali i ricorsi si fondavano. La Corte rigetta l'eccezione.

La questione

Va premesso che l'introduzione, nell'art. 366 c.p.c., del n. 6, per il quale il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, «la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda» è connessa alla previsione per cui col ricorso debbono essere depositati, a pena di improcedibilità, quei medesimi atti, documenti, contratti o accordi collettivi (art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c.).

Tal previsione ha fatto compiere al sistema un passo ulteriore nella direzione della semplificazione degli oneri imposti dal principio di autosufficienza. Si è chiarito cioè – almeno stando all'orientamento prevalente – che non è necessario trascrivere il contenuto del documento o dell'atto cui si riferisce la censura, e che è invece sufficiente, e insieme necessario, «localizzare» documenti e atti all'interno del processo, specificando il passaggio al quale la doglianza si riferisce e individuando il momento temporale di formazione o di produzione degli atti in questione nei precedenti gradi di merito.

Quanto alla portata dell'onere previsto dall'art. 369 c.p.c., il contrasto di giurisprudenza circa la necessità o meno della produzione con autonomo fascicolo degli atti e documenti in questione, indipendentemente dal fatto che essi siano già presenti nei fascicoli di causa, ha determinato tempo fa la necessità di un intervento delle Sezioni Unite, che si sono pronunciate nel 2011 escludendo la necessità di un deposito aggiuntivo, al tempo stesso però affermando che «quanto qui osservato in ordine ai presupposti legali dell'improcedibilità ovviamente non preclude affatto al ricorrente – essendo anzi auspicabile che vi si determini – di produrre comunque copia degli atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda» (Cass. civ., sez. un., 8 febbraio 2011, n. 3033).

Le soluzioni giuridiche

La decisione in nota si colloca – e lo conferma – nel solco di un orientamento già espresso dalla Suprema Corte: in altra recente pronuncia (Cass. civ., sez. I, 24 aprile 2018, n. 10112) essa aveva analogamente ritenuto che «la violazione delle regole per la redazione del ricorso per cassazione secondo il Protocollo siglato il 17 dicembre 2015 dalla Corte di cassazione e dal Consiglio nazionale forense, a mezzo dei loro presidenti, in merito alle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia civile e tributaria, dà luogo ad inammissibilità, laddove tale violazione implica la violazione – non già, ovviamente, del Protocollo in sé, bensì – del dato normativo di riferimento, ed in particolare delle norme relative al contenuto del ricorso, nell'interpretazione recepita nello stesso Protocollo».

La Suprema Corte in quel caso rigettava il ricorso, dichiarandolo inammissibile, per violazione dei principi di specificità e autosufficienza, come recepiti nel Protocollo del 17 dicembre 2015, nella parte in cui i ricorrenti non avevano fornito alcuna indicazione circa la collocazione (il c.d. locus processuale) e la rilevanza ai fini della decisione degli atti e dei documenti da cui si sarebbe dovuto desumere l'errore della Corte d'appello.

Tale Protocollo è stato stipulato non già per colmare una lacuna legislativa, anzi: esso è diretto nelle sue intenzioni a far fronte a due esigenze di carattere pratico: da un lato, arginare il «sovradimensionamento» dei ricorsi per cassazione in ossequio ai canoni di «sinteticità» e «chiarezza»; dall'altro, definire «i precisi limiti» del principio di autosufficienza, la cui applicazione aveva spesso assunto «i caratteri dell'abnormità, arbitrarietà e talora dell'ingiustizia» (così F. Santangeli, Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in Riv. dir. proc., 2012, 611), ed era, in parte, la causa del sovradimensionamento dei ricorsi.

Il Protocollo reca quindi prescrizioni relative alla redazione dei ricorsi e propone una più delineata applicazione del principio di autosufficienza, il cui rispetto «non comporta un onere di trascrizione integrale» degli atti e dei documenti ai quali si faccia riferimento, ma piuttosto un onere di «specifica indicazione del luogo» dell'atto o del documento al quale ci si riferisce, nonché del tempo del relativo deposito. Peraltro, si è precisato che il mancato rispetto delle prescrizioni relative alla redazione dei ricorsi non comporta l'inammissibilità o l'improcedibilità degli stessi («salvo che ciò non sia espressamente previsto dalla legge»), ma è valutabile ai fini della liquidazione delle spese del giudizio.

In ordine alla portata applicativa del Protocollo, alla luce del codice di rito e delle sue superiori previsioni, sono state avanzate diverse opzioni interpretative.

Secondo alcuni si tratterebbe di una regolamentazione puramente pattizia che si inserisce nel regime legale del ricorso per cassazione e ne completa la disciplina. Il suo contenuto ha quindi valenza di mera «raccomandazione» valevole tanto per gli avvocati nella redazione dei ricorsi, quanto per i giudici nell'applicazione del principio di autosufficienza (C. Punzi, Il principio di autosufficienza e il «Protocollo d'intesa» sul ricorso in Cassazione, in Riv. dir. proc., 2016, 585 ss.).

Secondo altri, pur trattandosi di una «mera raccomandazione», il Protocollo produce nei fatti «ricadute delicatissime in punto di allocazione delle spese» e costituirebbe un accordo con cui gli avvocati avrebbero rinunziato alla libertà «di modulare, secondo logica ed esperienza, il contenuto dei propri scritti difensivi», a fronte della promessa che la Cassazione avrebbe abbandonato l'indirizzo assai restrittivo in tema di c.d. autosufficienza (A. Panzarola, La difesa scritta ed orale in cassazione dopo il Protocollo d'intesa Mascherin-Santacroce e la legge 25 ottobre 2016 n. 197, in Il giusto processo civile, 2016, 1061 ss.).

Altri ancora hanno sostenuto che il Protocollo ha valore di soft law ed impone, in ossequio al principio di autosufficienza, un onere di localizzazione «interna» ed «esterna» degli atti e dei documenti cui ci si riferisce all'interno del ricorso (C. Consolo, Il ricorso per cassazione tra sinteticità e completezza – il Protocollo redazionale CNF-Cassazione: glosse a un caso di scuola di soft law (…a rischio di essere riponderato quale hard black letter rule), in Giur. it., 2016, 2768 ss.).

Parte della dottrina, poi, ha sottolineato come il Protocollo, pur costituendo un «accordo processuale» dall'efficacia persuasiva, ha una valenza peculiare sia perché frutto dell'accordo di soggetti istituzionali, la cui determinazioni non possono risultare irrilevanti per i soggetti che a dette istituzioni – firmatarie comunque di un impegno – ovviamente appartengono (vale a dire avvocati che redigono gli atti e magistrati che li esaminano) sia perché detta regole la cui violazione è «correlata alla valutazione che il giudice compie nella liquidazione delle spese» (I. Pagni, Il ricorso per cassazione tra sinteticità e completezza – chiarezza e sinteticità negli atti giudiziali: il Protocollo d'intesa tra Cassazione e CNF, in Giur. it, 2016, 2768 ss.).

Ancora, si è rilevato che il Protocollo, sia pure non potendo certo introdurre in un sistema già «periglioso» una nuova ipotesi di inammissibilità, crea un dovere istituzionale di interpretare l'art. 366 c.p.c. in conformità a quanto in esso sancito, in considerazione della circostanza che «esso è frutto di una decisione «concordata», che, dal punto di vista della Corte esprime e preannuncia la volontà di osservarlo» (R. Frasca, Glosse e commenti sul protocollo per la redazione dei ricorsi civili convenuto fra Corte di cassazione e Consiglio nazionale forense, in www.judicium.it).

Osservazioni

Proprio quest'ultima indicazione interpretativa pare quella prediletta dalla Suprema Corte che, nella pronuncia in commento. Essa nel concreto conferma e ribadisce come il Protocollo sia indice e perimetro di un orientamento interpretativo che è stato oggetto di condivisione tra le istituzioni e pertanto si dirige agli operatori fondando la propria ragionevolezza pratica nel dato normativo. Esso intende meglio tratteggiare sia l'esigenza di specificità, sia l'esigenza di autosufficienza e per far ciò indica l'interpretazione della norma processuale in conformità al protocollo, con l'ulteriore conseguenza che la violazione delle regole del protocollo dà luogo ad inammissibilità laddove esso sia in linea con opzioni interpretative di quel dato.

Pertanto, l'inammissibilità non può né deve discendere dalla violazione del Protocollo ma esclusivamente dalla violazione del dato normativo relativo ai requisiti del ricorso, che si manifestano nell'interpretazione recepita nel Protocollo.

I requisiti di specificità e di autosufficienza sono in tal modo meglio descritti e delimitati: il primo è qualificato come elemento intrinseco del ricorso per cassazione, essendo quest'ultimo diretto a censurare, per demolirlo, il provvedimento impugnato in ragione della sussistenza di uno dei vizi normativamente previsti, con la conseguente necessità primaria – anche dal punto di vista meramente logico - di individuare il vizio e illustrare come esso vizia la decisione impugnata.

Ciò in conformità al consolidato orientamento secondo cui il principio di specificità del ricorso per cassazione «è diretta espressione dei principi sulle nullità degli atti processuali e segnatamente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorché la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo» (Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2005, n. 4741).

Quanto, invece, al requisito dell'autosufficienza, la Corte pare confermare l'orientamento meno rigoroso secondo cui tale requisito si concreta nella mera indicazione degli atti e dei documenti posti a fondamento del ricorso, con la specificazione della sede processuale in cui essi risultino prodotti, e a patto che sia rispettato l'ulteriore requisito di procedibilità di cui all'art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., relativo al deposito di tali atti e documenti (Cass. civ., sez. un., 25 marzo 2010, n. 7161).

In relazione a ciò, occorre, tuttavia, sottolineare che a dispetto delle indicazioni in parte offerte nel Protocollo – che naturalmente va applicato anche dalle pronunce della Suprema Corte – essa, anche in epoca successiva alla sua sottoscrizione, ha talvolta continuato ad intendere piuttosto rigidamente il principio di autosufficienza come onere di trascrizione del contenuto (quanto meno essenziale) degli atti e dei documenti richiamati (si vedano, ex multis, Cass. civ., sez. V, 3 febbraio 2016, n. 2093; Cass. civ., sez. VI – 3, 10 agosto 2017, n. 19985; Cass. civ., sez. V, 16 febbraio 2018, n. 3830; Cass. civ., sez. lav., 3 aprile 2018, n. 8148).

Evidentemente, la portata di tal strumento processuale quasi negoziale merita ancora ulteriori approfondimenti.