La clausola floor

20 Settembre 2021

Il contributo approfondisce una clausola abbastanza utilizzata nei contratti di mutuo (o leasing) a tasso variabile, ossia la clausola floor, pattuita, a beneficio della banca mutuante, al fine di introdurre un meccanismo di redditività minima scollegato dalla variabilità dell'interesse corrispettivo. Le banche, infatti, soprattutto in periodi di calo dei tassi di interesse, inseriscono nei contratti di finanziamento delle clausole che prevedono un limite percentuale al di sotto del quale gli interessi dovuti dal mutuatario non possono scendere.
La clausola floor

La clausola floor, apposta ai contratti di mutuo (o leasing) a tasso variabile soprattutto in fasi di calo dei tassi di interesse, è un meccanismo di redditività minima scollegato dalla variabilità dell'interesse corrispettivo; configura un limite percentuale al di sotto del quale gli interessi dovuti dal mutuatario non possono scendere, anche in presenza di una sensibile riduzione dei tassi di interesse di periodo.

Tale clausola ha una evidente funzione di salvaguardia della banca mutuante, in quanto garantisce all'istituto bancario interessi almeno pari al valore percentuale individuato dalla clausola stessa, anche laddove il tasso di interesse (variabile e di regola parametrato all'Euribor) risultasse inferiore al valore del tasso assunto dalla clausola floor. In sostanza, il mutuatario non potrà mai beneficiare a pieno di un calo dei tassi d'interesse, poiché si impegna a pagare interessi almeno pari al limite fissato nella clausola floor.

Un potenziale contrappeso alla clausola floor è rappresentato dalla clausola cap. Questa pattuizione prevede un limite percentuale al di sopra del quale gli interessi dovuti dal mutuatario non possono salire. La clausola cap garantisce, infatti, che gli interessi corrispettivi non superino il valore percentuale individuato dalla clausola stessa, anche laddove il parametro di calcolo degli interessi fosse maggiore del valore del tasso assunto dalla clausola cap.

In altri termini, tali clausole stabiliscono un limite massimo (clausola cap, a favore del cliente) e minimo (clausola floor, a favore della banca) al di sopra e al di sotto del quale i tassi di interesse del mutuo non possono salire o scendere.

Le clausole floor – che come detto impediscono che il mutuatario possa beneficiare di riduzioni dei tassi vantaggiose per il debitore ma non per l'istituto di credito – sono oggetto di contestazione da parte della clientela bancaria. L'elaborazione giurisprudenziale e i responsi dell'ABF hanno sostanzialmente avvalorato la legittimità della clausola floor – se è rispettato, da parte della banca, il dovere di “clare loqui” – escludendo al contempo che il “tasso pavimento” configuri una opzione, e quindi un derivato implicito, con applicazione della disciplina, in tema di obblighi contrattuali e informativi, prevista dal Testo unico della finanza, D.Lgs. n. 58/1998, c.d. TUF.

Riguardo alla pattuizione della clausola floor, un obbligo di trasparenza è raccomandato anche dalla Corte di Giustizia europea (decisione del 9.7.2020, causa C‑452/18), secondo cui «al momento della conclusione di un contratto di mutuo ipotecario a tasso variabile, che prevede una clausola "di interesse minimo", il consumatore deve essere posto in grado di comprendere le conseguenze economiche che derivano nei suoi confronti dal meccanismo indotto da tale clausola "di interesse minimo", in particolare, grazie alla messa a disposizione di informazioni relative all'evoluzione, nel passato, dell'indice in base al quale viene calcolato il tasso di interesse».

La clausola floor è vessatoria?

Un primo filone di contestazioni è relativo alla asserita natura vessatoria della clausola floor, in quanto pattuizione 1) non sufficientemente chiara e comprensibile, che introduce 2) un significativo squilibrio di diritti ed obblighi tra la banca ed il cliente.

Occorre preliminarmente segnalare che la Banca d'Italia, con Provvedimento del 3 febbraio 2016, ha chiarito come gli intermediari debbano «attenersi a uno scrupoloso rispetto della normativa di trasparenza e correttezza e alla rigorosa applicazione delle condizioni pattuite con la clientela. In particolare, gli intermediari dovranno astenersi dall'applicare di fatto clausole di c.d. “tasso minimo” (“floor clause”) non pubblicizzate e non incluse nella pertinente documentazione di trasparenza e nella modulistica contrattuale». Le vigenti disposizioni di “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti” della Banca d'Italia (Provvedimento 29 luglio 2009 e successive modifiche), Sezione VI bis Credito immobiliare ai consumatori, punto 5.2.1., prevedono altresì che «per i mutui a tasso variabile o misto, è specificato se il contratto contiene clausole che comportano l'applicazione di un limite massimo (cap) o minimo (floor) alle oscillazioni del tasso, con una breve illustrazione dei relativi effetti per il consumatore».

La clausola floor non può dirsi vessatoria ai sensi dell'art. 1341, comma 2, c.c., che notoriamente contiene un elenco di previsioni svantaggiose per l'aderente a condizioni generali di contratto, moduli o formulari predisposti dall'imprenditore, le quali per essere valide ed efficaci debbono essere specificamente approvate per iscritto. L'elenco contenuto nella disposizione appena richiamata è infatti considerato dalla giurisprudenza di legittimità tassativo (ex multis, Cass. n. 9646/2006), senza alcuna possibilità di estensione analogica.

Tanto premesso, secondo l'orientamento preferibile e prevalente, la clausola floor non è ritenuta vessatoria, atteso che, per espressa previsione normativa, il «carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell'oggetto del contratto, né all'adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile» (art. 34, comma 2, D.Lgs. n. 206/2005, c.d. Codice del consumo) (cfr. Trib. Lanciano 17.10.2017 e 20.3.2018; Trib. Monza 24.11.2016; Trib. Modena 17.4.2018 e 19.9.2018; Trib. Pesaro 7.8.2018; Trib. Treviso 12.3.2019; Trib. Sondrio 12.6.2020). Al riguardo, assumono rilievo anche le previsioni recate dall'art. 33 Codice del consumo (ABF Napoli n. 10381/2016; Trib. Monza 24.11.2016; Trib. Como 13.7.2017; Trib. Rovereto 19.12.2020).

Del resto, se, per un verso, si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, per altro verso detto squilibrio non può derivare, per ciò solo, dalla previsione di una clausola floor non accompagnata da una c.d. clausola cap, ossia un limite massimo in favore del cliente (Trib. Chieti 3.10.2017; Trib. Pesaro 7.8.2018; ABF Milano n. 688/2011; ABF Roma n. 2688/2011; ABF Napoli n. 395/2012; ABF Napoli n. 2735/ 2014; ABF Napoli n. 7355/2015). Clausole del genere possono essere sindacate, nel nostro ordinamento giuridico, sotto il profilo della vessatorietà, solo a condizione che risultino formulate in modo oscuro e poco comprensibile, circostanza dubbia se la clausola floor è inserita in un atto pubblico (Trib. Lanciano 4.4.2018; conf. Trib. Chieti 3.10.2017); di conseguenza, se la clausola in contestazione è formulata in maniera semplice, chiara, univoca e comprensibile (“clare loqui”), non può essere censurata sotto il profilo della vessatorietà (Trib. Modena 19.9.2018; Trib. Pesaro 7.8.2018; Trib. Treviso 12.3.2019; Trib. Forlì 18.6.2020; ABF Milano n. 11568/2017; ABF Roma n. 8867/2016; ABF Napoli n. 10381/2016; ABF Napoli n. 2735/2014; ABF Milano n. 668/2011).

La clausola floor inserita nel contratto di mutuo non determina alcuna indeterminatezza del tasso laddove, considerata la sua collocazione contrattuale, ossia in calce all'analitica determinazione del tasso nominale annuo, anche tale tasso minimo non potrà che essere calcolato sulla base dei medesimi parametri indicati (Trib. Treviso 5.12.2017; Trib. Ravenna 20.3.2018; Trib. Modena 19.9.2018; App. Brescia 29.4.2020; Trib. Pordenone 24.4.2020).

Il meccanismo della clausola “pavimento” è altresì escluso possa essere illegittimo poiché, diversamente opinando, dovrebbero allora considerarsi illegittimi tutti i mutui a tasso fisso, per il solo fatto che le condizioni economiche concretamente applicate prevedono che a fronte di una eventuale discesa dei tassi di mercato non operi alcuna riduzione del tasso di interesse applicato al finanziamento (Trib. Ravenna 20.3.2018).

Lo squilibrio determinato dalla clausola “pavimento” può essere compensato da una clausola cap: la banca “acquista” un floor ma contestualmente “vende” al cliente un cap con un effetto di bilanciamento dei rischi e di compensazione del premio (altrimenti dovuto dalla banca al mutuatario, è talora sostenuto). È stato altresì rilevato che lo squilibrio introdotto dall'inserimento in un contratto di mutuo a tasso variabile della clausola floor può risultare compensato da una riduzione dell'entità dello spread applicato al finanziamento (evidentemente da riscontrare nel concreto, ossia confrontando l'entità del tasso del finanziamento con floor rispetto ad altri finanziamenti ad indicizzazione pura) (in arg. Trib. Lanciano 20.3.2018; ABF n. 350/2012; ABF n. 2735/2014; ABF n. 4191/2015).

Nell'ipotesi in cui la pattuizione relativa alla clausola floor non risulti chiara e comprensibile, ovvero determini un significativo squilibrio, e dunque incorra nel vizio di vessatorietà, quali sono le conseguenze? Al riguardo, si è opportunamente rilevato che «se si ritiene che la pattuizione floor sia destinata ad integrare, insieme agli altri elementi atti ad individuare il tasso variabile (anzitutto, l'indice di riferimento e lo spread), un'unitaria clausola determinativa del tasso di interesse, la sua nullità dovrebbe condurre all'applicazione del meccanismo sostitutivo di cui all'art. 117 t.u.b. (o, nei contratti, regolati dagli artt. 121 ss., t.u.b., la conseguenza potrebbe essere quella più radicale, di cui all'art. 125 bis, 5° co, t.u.b.); laddove, diversamente opinando, ed assegnandole cioè autonomia, la stessa verrebbe semplicemente espunta e risulterebbe applicabile il tasso variabile, senza alcun floor» (così Colombo, Il cantiere sempre aperto degli interessi pecuniari nei contratti bancari: appunti su tassi parametrati all'euribor, pattuizioni floor e cap, tassi negativi, ammortamento alla francese e taeg/isc, in Rivista trimestrale di diritto dell'economia, 2/2020, 250, fondazionecapriglione.luiss.it).

La clausola floor è uno strumento derivato?

Secondo alcuni Autori, la clausola floor altro non è che un'opzione su tasso di interesse (interest rate options) offerta nei mercati over the counter. Si tratta di un negozio in forza del quale, dietro pagamento di un premio, l'acquirente del floor acquista il diritto a ricevere dal venditore un importo pari al capitale nozionale maggiorato del differenziale tra tasso variabile e tasso predeterminato (il tasso pavimento): se il differenziale è negativo (ossia il tasso variabile è maggiore o uguale al tasso predeterminato) nulla è dovuto. La clausola floor costituisce, dunque, uno strumento derivato non autonomo ma incorporato in un contratto primario (il contratto di mutuo). Chi acquista l'opzione deve pagare il premio alla controparte (mutuatario), che è controparte anche del contratto primario (mutuo). La causa del contratto di opzione è, infatti, l'assunzione del rischio di variazione del tasso dietro corrispettivo di un premio.

La natura di strumento finanziario della clausola floor è affermata anche dall'Autorità Garante della concorrenza e del mercato nel Provvedimento del 24 febbraio 2016 n. 25882, secondo cui « ;un finanziamento con tasso floor contiene al suo interno un'opzione floor, ovvero uno strumento finanziario derivato che consente alla banca di porre un limite alla variabilità in discesa di un determinato indice (es. l'Euribor), ricevendo la differenza che alla scadenza/alle scadenze contrattuali si manifesta tra l'indice di riferimento ed il limite fissato. In altre parole, la banca ottiene la copertura dal rischio che la variabilità del rendimento dell'attività finanziaria (tasso del finanziamento) non possa scendere sotto di un rendimento certo (tasso floor)».

L'impostazione predetta è stata recepita dal Trib. Udine 16.4.2017, secondo cui, pattuendo la clausola floor, le parti «hanno incorporato nel contratto un derivato (embedded derivative), appartenente alla famiglia delle “interest rate options” (opzioni sui tassi di interesse) denominato “interest rate floor” o più brevemente “floor”. Ogni opzione di tal genere ha un prezzo per il cliente, che dipende dal valore predeterminato del tasso rispetto a quello di mercato». La pattuizione è legittima, prosegue la decisione, se trasparente, ossia se risultano esplicitate chiaramente e correttamente le caratteristiche, i rischi e i costi della clausola floor, attesa la sua natura di derivato embedded a contenuto opzionale. In altri termini, il cliente deve essere in condizione di comprendere la funzione specifica della clausola (finanziaria) floor.

In definitiva, anche laddove la clausola floor sia qualificabile come uno strumento derivato, quindi riconducibile alla disciplina del Testo unico della finanza (D.Lgs. n. 58/1998), la sua legittimità non è comunque in discussione se indicata in contratto con modalità «corrette, chiare e non fuorvianti», come previsto dall'art. 21 TUF (Trib. Monza 24.11.2016).

Attribuire alla clausola floor una natura finanziaria pone il problema della sua coesistenza con il contratto di mutuo che la ospita, avente invece una evidente, tipica funzione creditizia: in altri termini, il contratto in cui è contenta la clausola floor sarebbe un “prodotto composto”, con duplice funzione: di credito e finanziaria.

È diffuso il convincimento giurisprudenziale che la presenza di una clausola floor non faccia assumere automaticamente al contratto cui accede la natura di strumento finanziario, con conseguente applicabilità della disciplina del TUF, e in particolare degli obblighi informativi in esso previsti a carico dell'intermediario finanziario; né può fondatamente ritenersi che, a fronte dell'inserimento di tale clausola, la pattuizione di interessi “minimi” da corrispondersi da parte del mutuatario al mutuante, quale accessorio dell'obbligo di restituzione e remunerazione per la cessione del capitale, snaturino l'essenza del contratto mutandone la natura da contratto reale avente causa finanziamento a strumento finanziario con cui il cliente, controparte dell'istituto di credito, mira a realizzare un investimento mobiliare economicamente proficuo (ed ha diritto a ricevere informazioni complete e puntuali in relazione all'effettivo grado di rischio assunto, e sull'equilibrio delle condizioni contrattuali così come effettivamente praticate) (Trib. Bologna 6.3.2018, Dejure; Trib. Treviso 12.3.2019; Trib. Genova 5.2.2019; Trib. Crotone 27.1.2020; Trib. Pordenone 24.4.2020; Trib. Rovereto 19.12.2020).

In tale stato di cose, considerato che il contratto di mutuo con tasso floor mantiene la sua preponderante causa e funzione creditizia nonostante l'inserimento di una clausola riconducibile (secondo alcuni) allo schema del contratto di interest rate floor, è sicuramente da privilegiare l'applicazione delle regole del Testo unico bancario. Con la stipula del contratto di mutuo, infatti, i contraenti intendono disciplinare il trasferimento di una somma di denaro e non di un rischio (come avviene nei derivati), indipendentemente dalle modalità con cui è pattuita la determinazione del tasso di interesse (ad esempio con clausola floor o cap). Insomma, la clausola resta legata da un nesso di stretta inerenza rispetto allo svolgimento del rapporto contrattuale e al suo oggetto – onerosa messa a disposizione di denaro – inserendo in punto di interessi un elemento di rigidità che funge da limite – in favore della banca finanziatrice – alla variabilità del tasso (Trib. Trento 6.7.2017; Trib. Bologna 8.2.2018; Trib. Modena 17.4.2018).

La clausola floor ospitata nel contratto di mutuo è dunque da escludere (quantitativamente e qualitativamente) che assuma una finalità esclusiva o preponderante di investimento tale da prevalere sulla caratterizzante funzione creditizia del mutuo.

Secondo la giurisprudenza maggioritaria, il tasso minimo denominato floor non deve essere confuso con la cosiddetta “opzione floor”, che è uno strumento finanziario derivato che consente a chi lo acquista, a fronte di un premio da versare, di porre un limite alla variabilità in discesa di un determinato indice o di un prezzo, ricevendo la differenza che alla scadenza/alle scadenze contrattuali si manifesta tra l'indice/prezzo di riferimento ed il limite fissato (Trib. Lanciano 4.4.2018). La clausola “pavimento”, infatti, non darebbe luogo a un'operazione a sé stante correlata a valori che restano esterni al rapporto tra le parti (cosiddetto sottostante); al contrario, la clausola resta legata da un nesso di stretta inerenza rispetto allo svolgimento del rapporto contrattuale e al suo oggetto (onerosa messa a disposizione di denaro), inserendo in punto di interessi un elemento di rigidità che funge da limite – in favore della banca finanziatrice – alla variabilità del tasso (Trib. Trento 6.7.2017; Trib. Sulmona 28.3.2018).

La clausola floor (comprensibilmente espressa) qualifica la pattuizione del tasso di interesse e non possiede rispetto ad esso requisiti di autonomia e autosufficienza (i caratteri strutturali del derivato sono la compravendita del differenziale di valore e l'astrattezza); se è anticipatamente estinto il mutuo (natura creditizia), la clausola floor (asserita natura finanziaria) in esso incorporata non sopravvive.

L'equiparazione della clausola floor ad uno strumento derivato è stata reputata « ;una vera e propria acrobazia logica e dialettica ;», considerato che non si è in presenza di un contratto d'investimento mobiliare ma di un contratto di mutuo, « ;dove la prestazione del mutuante è già avvenuta, mentre deve avvenire soltanto quella del mutuatario, e dove l'unica “alea” consiste proprio nell'inadempimento di quest'ultimo ;»; contratto tipico, quindi, con causa e funzione tipizzati, che trova la sua disciplina positiva nelle norme del codice civile e del TUB, nonché in quella secondaria ad opera del Ministero dell'Economia e delle Finanze, del CIPE e della Banca d'Italia espresse in materia bancaria e creditizia. In sostanza, con la sottoscrizione di un contratto di mutuo con clausola floor, il mutuatario non intende realizzare un investimento ma mira solamente ad ottenere fondi in previsione dell'acquisto di un bene e non già, ad esempio, a gestire un rischio di cambio o a speculare sul tasso di cambio di una valuta estera et similia, specialmente quando sussiste una previsione chiara e determinata in ordine al tasso d'interesse, che esclude ogni rilevanza a meccanismi aleatori, giuridicamente rilevanti e facenti parte come tali del contenuto del contratto (così Trib. Bologna 8.2.2018; conf. Trib. Bologna 29.5.2017; Trib. Crotone 27.1.2020; Trib. Forlì 18.6.2020; Trib. Sondrio 12.6.2020)

In conclusione

L'elaborazione giurisprudenziale e i responsi dell'ABF hanno avvalorato la legittimità della clausola floor – se è rispettato, da parte della banca, il dovere di “clare loqui – escludendo al contempo che il “tasso pavimento” configuri una opzione, e quindi uno strumento derivato implicito (con applicazione nell'eventualità della disciplina, in tema di obblighi contrattuali e informativi, prevista dal Testo unico della finanza, D.Lgs. n. 58/1998, c.d. TUF).

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