Liquidatore della società che subentra all'amministratore e responsabilità per omesso versamento IVA

Niccolò Bertolini Clerici
21 Settembre 2021

Risponde del reato di omesso versamento IVA, quantomeno a titolo di dolo eventuale, il soggetto che, subentrando ad altri nella carica di amministratore, nonché, come nella specie, di liquidatore, di una società di capitali dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, ometta di versare all'Erario le somme dovute sulla base della dichiarazione medesima, senza compiere il previo controllo di natura puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, in quanto, attraverso tale condotta, lo stesso si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare dalle pregresse inadempienze.
Massima

Risponde del reato di omesso versamento IVA, quantomeno a titolo di dolo eventuale, il soggetto che, subentrando ad altri nella carica di amministratore, nonché, come nella specie, di liquidatore, di una società di capitali dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, ometta di versare all'Erario le somme dovute sulla base della dichiarazione medesima, senza compiere il previo controllo di natura puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, in quanto, attraverso tale condotta, lo stesso si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare dalle pregresse inadempienze.

Premessa

La sentenza in commento in tema di responsabilità del liquidatore per il reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto offre lo spunto per una rinnovata riflessione sui problemi applicativi della fattispecie di cui all'art. 10-ter d.lgs. 74/2000, già oggetto di acceso dibattito a seguito della sua introduzione ad opera del d.l. 4 luglio 2006, n. 223 e, successivamente, in occasione della riforma del 2015 (che ha eliminato il discutibile rinvio all'art. 10-bis d.lgs. n. 74/2000) nonché di alcune pronunce, succedutesi tra il 2013 e il 2019, che hanno affrontato, con differenti prospettive, la questione della valenza giuridica della crisi d'impresa - sottesa all'inadempimento dell'obbligo tributario - ad a incidere sulla responsabilità penale del legale rappresentante.

Il caso

Nel caso giudicato dalla Corte, il liquidatore di una società a responsabilità limitata, la cui nomina era avvenuta nella primavera 2015, era stato condannato dal Tribunale e dalla Corte d'Appello di Milano per il reato di omesso versamento dell'IVA dovuta con riferimento all'annualità 2014.

Le questioni giuridiche

Avverso la sentenza di condanna emessa dalla Corte d'appello, l'imputato ha proposto ricorso per Cassazione affidato a quattro diversi ordini di argomenti:

(a) erronea applicazione della fattispecie di cui all'art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000 in ragione del fatto che l'omesso versamento Iva era riferito all'anno di imposta precedente a quello in cui era intervenuta la nomina del liquidatore, sicché l'onere di provvedere al pagamento dell'imposta non avrebbe potuto gravare su quest'ultimo;

(b) erronea applicazione di legge per avere, la sentenza impugnata, disapplicato il principio di matrice giurisprudenziale secondo cui “in tema di reati tributari, il liquidatore di società risponde del delitto di omesso versamento […], non per il mero fatto del mancato pagamento, con le attività di liquidazione, delle imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori, ma solo qualora distragga l'attivo della società in liquidazione dal fine di pagamento delle imposte e lo destini a scopi differenti”(Cass. pen., sez. III, 28 aprile 2016, n. 21987);

(c) violazione di legge in relazione al profilo soggettivo del reato concernente l'omessa motivazione circa lo stato di illiquidità in cui versava la società a causa del mancato accantonamento dell'Iva da parte del precedente rappresentante della società;

(d) violazione di legge, con riferimento alla ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico del reato, e violazione dell'art. 27, comma 2, Cost. perché “la sentenza avrebbe onerato l'imputato, che avrebbe addirittura avuto l'obbligo di denunciare il precedente amministratore, di prove spettanti invece alla pubblica accusa”.

La soluzione

In primo luogo la Corte, rigettando, perché infondato, il primo motivo di ricorso, ha affermato la sussistenza - dal punto di vista formale - dell'obbligo di versamento dell'imposta in capo al liquidatore sulla base del seguente iter argomentativo:

(i) il reato di omesso versamento IVA è un reato omissivo proprio che si consuma al momento della scadenza del termine per il versamento dell'acconto IVA relativo al periodo d'imposta successivo, fissato dall'art. 6, comma 2, l. n. 405/1990, al 27 dicembre di ciascuna annualità (c.d. termine lungo, in contrapposizione con le scadenze mensili o trimestrali previste dalla normativa fiscale, irrilevanti sul versante penalistico);

(ii) nessuna norma prevede che l'obbligo di versamento incomba unicamente sul legale rappresentante che abbia effettuato la corrispondente dichiarazione;

(iii) al contrario, secondo un ormai consolidato principio giurisprudenziale, la responsabilità del soggetto che ha effettuato la dichiarazione è esclusa se questi non è poi tenuto, anche per fatti sopravvenuti, al pagamento dell'imposta “salvo che il p.m. non dimostri che il soggetto abbia inequivocabilmente preordinato la condotta rispetto all'omissione del versamento (ad esempio, dismettendo artatamente la carica di amministratore della persona giuridica soggetto i.v.a.) ovvero abbia fornito un contributo causale, materiale o morale, da valutarsi a norma dell'art. 110 c.p., all'omissione della persona obbligata, al momento della scadenza, al versamento dell'imposta dichiarata” (cfr. Cass. Pen., sez. III, 2 luglio 2014, n. 53158).

Su tali presupposti la sentenza in commento si è dunque allineata all'orientamento giurisprudenziale secondo cui “nel caso di successione nella carica di legale rappresentante in un momento successivo alla presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del termine fissato per l'adempimento dell'obbligo tributario di versamento, sussiste la responsabilità, per i reati tributari connessi all'omesso versamento di imposte dovute, di colui che succede nella carica dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima del termine ultimo per il versamento della stessa” (cfr. Cass. pen., sez. III, 23 novembre 2020, n. 1729).

Più complesso, invece, l'iter logico sotteso alla motivazione con cui la Corte di Cassazione ha disatteso il secondo motivo di ricorso anche in ragione, come si dirà di qui a breve, del conflitto emerso internamente alla stessa sezione III penale con riferimento alla portata applicativa della disposizione di cui all'art. 36 d.P.R. 29 settembre 1973, 602.

In proposito, per una migliore coerenza logica dell'esposizione conviene premettere un breve inquadramento normativo e giurisprudenziale della fattispecie di cui all'art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000.

Come noto, nell'impianto normativo della disciplina penale-tributaria, gli unici due reati di omesso versamento di cui agli artt. 10-bis e 10-ter d.lgs. n. 74/2000 si distinguono per la natura di reati omissivi propri, a consumazione istantanea, caratterizzati da dolo generico ed eventuale e, dunque, per l'essere del tutto estranei alla fraudolenza del momento dichiarativo (connotata dal dolo specifico di evasione) che avrebbe dovuto fungere da perimetro dell'area delle condotte penalmente rilevanti secondo le intenzioni del legislatore delegato.

Sarebbe tuttavia scorretto affermare che l'ordinamento punisca la semplice inosservanza dell'obbligo di versamento dell'imposta sul valore aggiunto entro il termine del 27 dicembre dell'esercizio fiscale successivo.

L'impostazione accolta dalla giurisprudenza, infatti, consente di intravedere la peculiarità che distingue l'oggetto materiale dei delitti ex artt. 10-bis e 10-terd.lgs. n. 74/2000 da ogni altro tributo o imposta e, come tale, giustifica le rispettive incriminazioni: il mancato accantonamento da parte dell'agente delle somme percepite da destinare all'Erario. In altri termini l'art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000 punisce il soggetto che: (i) compie operazioni imponibili; (ii) percepisce il corrispettivo, comprensivo di tassazione, dalla controparte commerciale, omettendone l'accantonamento; (iii) presenta la dichiarazione annuale IVA; (iv) omette volontariamente il versamento dell'imposta per un importo superiore alla soglia di punibilità prevista dalla norma incriminatrice.

Quanto alla peculiare posizione del liquidatore, vengono senz'altro in rilievo le norme sostanziali di cui all'art. 2487 ss. c.c. che definiscono obblighi e responsabilità del medesimo, oltre che l'art. 36 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, secondo cui “i liquidatori dei soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all'obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all'assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. Tale responsabilità è commisurata all'importo dei crediti d'imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti”.

Tale disposizione opera, quindi, una puntuale chiarificazione dell'ambito di responsabilità propria del liquidatore che (a) si estende alle imposte dovute sia per il periodo della liquidazione sia per quelli anteriori e (b) si configura nel caso in cui egli non provi di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all'assegnazione di beni ai soci o comunque di non aver destinato ad altri scopi le somme necessarie al pagamento delle imposte.

Su tali presupposti, secondo un primo orientamento della Corte di Cassazione,espresso da sez. III, 28 aprile 2016, n. 21987, la portata dell'art. 36 d.P.R. n. 602/1973 - ed è qui il punto - non potrebbe essere affatto confinata all'ambito prettamente civilistico.

In quel caso la Corte aveva infatti affermato che, in applicazione dell'art. 36 d.P.R. n. 602/1973 la responsabilità del liquidatore “non deriva […] dal mero [in]adempimento fiscale, […]: una diversa lettura della norma porterebbe alla illogica conseguenza della imposizione al liquidatore, da un lato, dell'obbligo di osservare un ordine gerarchico nell'assolvimento delle posizioni debitorie - tra le quali rientrano anche quelle fiscali - e, dall'altro, nella previsione di responsabilità nel caso in cui l'osservanza di tale criterio di riparto abbia comportato la non volontaria omissione del versamento delle ritenute”.

Conseguentemente la citata pronuncia concludeva che la responsabilità delineata dall'art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000 si configura (solo) qualora il soggetto preposto alla liquidazione distragga l'attivo della società al fine del pagamento delle imposte e lo destini a scopi differenti.

Secondo un diverso orientamento - frontalmente contrapposto al primo ed espresso principalmente da Cass. pen., sez. III, 5 dicembre 2019, n. 13092 - ciò che solo rileva è che il reato è commesso dal liquidatore in proprio e, pertanto:

(i) devono trovare applicazione i principi generali di responsabilità di matrice civilistica in tema di responsabilità degli amministratori per il mancato pagamento dei debiti;

(ii) non può trovare accoglimento il richiamo all'art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973, costituendo disciplina di settore che non deroga ai principi generali in tema di responsabilità penale degli amministratori/liquidatori.

Seguendo tale orientamento giurisprudenziale, infatti, la suddetta norma “riguarda l'obbligo civilistico solidale del pagamento dei tributi non versati, […] e non vale […] ad esonerare il liquidatore della società dai reati di omesso versamento, responsabilità che si fonda sulle norme civilistiche secondo cui […] il liquidatore […] è equiparato a tutti gli effetti all'amministratore di diritto che gestisce l'impresa […]”.

Facendo dunque espresso riferimento al secondo degli indirizzi giurisprudenziali appena ricordati, la sentenza in commento ha ribadito “che quello nei confronti del liquidatore è credito dell'amministrazione finanziaria non strettamente tributario, ma più che altro civilistico, il quale trova titolo autonomo rispetto all'obbligazione fiscale vera e propria, costituente mero presupposto della responsabilità stessa […] (così, Sez. 6 civ., n. 17020 del 2019)”.

Breviter: la disposizione di cui all'art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973 sarebbe volta a disciplinare, “per la sua collocazione e per il suo tenore” (nella fase della riscossione tributaria) unicamente l'obbligazione solidale (di natura civile) propria del liquidatore per il pagamento dei tributi non versati dalla società da questi amministrata e, per l'effetto, consentire all'amministrazione finanziaria di beneficiare di un mezzo di esecuzione diretto nei confronti del liquidatore per il soddisfacimento del proprio credito.

A riprova della correttezza dell'assunto, secondo la pronuncia in commento:

(a) la norma di cui all'art. 36d.P.R. n. 602 del 1973 trova applicazione unicamente con riguardo alle imposte sul reddito e non, appunto, all'IVA;

(b) tale interpretazione troverebbe conferma nel d.lgs. 74/2000, nell'ambito del quale non si rinvengono disposizioni che escludono l'applicazione dell'art. 10-ter d. lgs. 74/2000 alla figura del liquidatore.

Infine, con riguardo al profilo soggettivo del reato e alla lamentata violazione dell'art. 27, comma 2, Cost., la Corte di Cassazione ha riaffermato come anche per il liquidatore debba trovare applicazione il consolidato principio di diritto secondo cui l'amministratore che subentra nella carica prima della scadenza del versamento dell'imposta risponde del reato a titolo di dolo eventuale ogniqualvolta, prima dell'accettazione dell'incarico, abbia omesso il previo controllo contabile sugli adempimenti fiscali.

In tal caso, infatti - come assertivamente affermato dalla pronuncia in esame - il liquidatore “si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possano derivare dalle pregresse inadempienze” senza che possa dirsi gravato di un onere probatorio non spettantegli, “ma, più semplicemente, di una responsabilità giuridicamente derivante, anche sotto il profilo dell'elemento soggettivo, dalla volontaria assunzione della carica di liquidatore”.

Osservazioni

Le argomentazioni dalla Corte con riferimento alla non applicabilità del citato art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973 avrebbero meritato, a parere di chi scrive, un differente grado di approfondimento, (anche) in ragione del contrasto con i precedenti rappresentati da sez. III, 28 aprile 2016, n. 21987 e sez. III, 13 marzo 2019, n.17727.

Quest'ultima pronuncia, in particolare, pur riconoscendo che la norma di cui all'art. 36 d.P.R. n. 602/1973riguarda l'obbligo civilistico solidale del pagamento dei tributi non versati [e] si riferisc[e] esclusivamente alle imposte sui redditi […]”, aveva già chiaramente espresso l'applicabilità della norma in questione anche in ambito penale affermando che “[…] il principio di cui essa è espressione rispond[e] all'esigenza di non gravare chi assuma la carica di liquidatore di una società di responsabilità per omessi pagamenti dovuti all'insufficienza di risorse che spesso caratterizza la fase liquidatoria e rispetto ai quali nessuno specifico motivo di rimprovero può essere mosso all'agente”.

Ma non solo. La stessa pronuncia aveva altresì indicato la corretta collocazione sistematica da assegnare all'applicazione della norma in questione affermando come potessero essere correttamente invocate le categorie penalistiche, in alternativa:

(a) della non imputabilità della condotta per causa di forza maggiore”, ovvero

(b) della assenza dell'elemento soggettivo del reato, o, ancora,

(c) della inesigibilità della condotta, così fugando ogni perplessità in ordine alla assenza di specifiche scriminanti nella disciplina di settore ex d.lgs. n. 74/2000.

In tal senso, appare inoltre affrettato (almeno dalla lettura della sola sentenza e non anche degli atti di causa) il richiamo all'orientamento secondo cui il mancato esercizio dei preliminari controlli contabili esporrebbe (per ciò solo) il liquidatore a tutte le conseguenze che possano derivare dalle pregresse inadempienze.

Si tratta, invero, di un canone di valutazione dell'elemento soggettivo che, evocando una sorta di violazione della regola cautelare, parrebbe più facilmente riconducibile al canone della colpa e non, invece, a quello del dolo, neppure nella declinazione del dolo eventuale.

Inoltre, una differente (maggiore) attenzione alla effettiva completezza della motivazione avrebbe consentito di comprendere quale davvero sia l'orientamento della Corte con riferimento a ipotesi in cui il mancato pagamento delle imposte possa non essere stato oggetto di rappresentazione in capo al liquidatore, senza che ciò, peraltro, sia neppure conseguenza di negligenze o imperizia: si pensi, ad esempio, al caso in cui la capacità della società in liquidazione di soddisfare tutte le proprie esposizioni debitorie (incluse quelle fiscali) dipenda interamente - ovviamente in assenza di accantonamenti effettuati dal precedente amministratore - dal ricavato della liquidazione dei beni della società, il cui esito presenta margini di aleatorietà ed incertezza imponderabili a priori.

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