Green Pass per accedere ai luoghi di lavoro: prime riflessioni sui nuovi obblighiFonte: DL 21 settembre 2021 n. 127
23 Settembre 2021
Abstract
Entra in vigore oggi il DL 127/2021, che introduce l'obbligo generalizzato di Green Pass nei luoghi di lavoro.
Le nuove regole si applicheranno dal 15 ottobre fino al 31 dicembre 2021, sia nei confronti dei dipendenti delle Amministrazioni Pubbliche, sia nei confronti dei dipendenti delle aziende private e sarà compito dei datori di lavoro, o di personale da essi delegato, verificare che i lavoratori siano in possesso del Green Pass in corso di validità al momento dell'accesso sui luoghi di lavoro. Sono interessati dalle nuove disposizioni anche i lavoratori autonomi che dovranno possedere ed esibire su richiesta la certificazione. Ambito soggettivo
Preliminarmente si osserva, senza entrare nel merito dell'ampio dibattito in corso, che la ratio evidente della disposizione è l'incentivazione alla vaccinazione, attraverso un sistema di prevenzione e di controllo che fa leva sull'obbligo di adottare tutte le misure per la tutela dell'integrità fisica dei lavoratori, come impone l'art. 2087 c.c.
Per il comparto pubblico, il decreto dispone, mediante l'inserimento dell'art. 9 quinquies DL 52/2021 conv. in L. 87/2021, che dal 15 ottobre 2021 al 31 dicembre 2021 (termine di cessazione dello stato di emergenza) il personale delle Amministrazioni Pubbliche (art. 1, c. 2, D.Lgs. 165/2001), e il personale delle Autorità amministrative indipendenti (art. 3 D.Lgs. 165/2001), ivi comprese la Commissione nazionale per la società e la borsa (Consob) e la Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip), della Banca d'Italia, nonché degli enti pubblici economici e degli organi di rilievo costituzionale, sarà tenuto a possedere nonché ad esibire, su richiesta, il Green Pass ai fini dell'accesso nei luoghi in cui svolge l'attività lavorativa.
Per il settore privato, la previsione del nuovo art. 9 septies DL 52/2021 conv. in L. 87/2021 prevede il medesimo obbligo, ai fini dell'accesso nei luoghi di lavoro, per chiunque svolge un'attività lavorativa di carattere dipendente o autonomo.
Il Green Pass diventa obbligatorio anche per chi svolge, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato nella PA o da privati, anche con contratti esterni.
L'obbligo non riguarda i soggetti esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del ministero della Salute. In attesa di prossimi provvedimenti, il riferimento è la Circ. Min. Salute 4 agosto 2021 n. 35309.
L'obbligo di certificazione verde è previsto anche per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, i componenti delle commissioni tributarie mentre ne rimangono esclusi avvocati e altri difensori, consulenti, periti e altri ausiliari del magistrato estranei alle amministrazioni della giustizia, testimoni e parti del processo. Procedure di verifica e aspetti correlati
Uno degli aspetti più rilevanti del Decreto, principalmente sul piano operativo, attiene alla verifica della certificazione.
A verificare se i lavoratori sono in possesso del Green Pass, sia nel pubblico che nel privato, dovranno essere i datori di lavoro ai quali spetta inoltre il compito di definire, entro il 15 ottobre, le "modalità operative per l'organizzazione delle verifiche", che potranno essere anche a campione. Le imprese dovranno definire tali modalità individuando con atto formale i soggetti incaricati dell'accertamento e della contestazione delle eventuali sanzioni.
Sebbene la funzione del controllo e della sorveglianza dell'applicazione delle misure ricada in prima battuta sul datore di lavoro, sul piano operativo tale obbligo può essere declinato nella catena gerarchica a soggetti con poteri e capacità adeguati, soprattutto nelle realtà aziendali più strutturate.
La norma richiede un atto formale nel quale dovranno essere designati i soggetti incaricati delle verifiche e le modalità operative per effettuarle. La predisposizione di tale atto, che dovrà avvenire entro il prossimo 15 ottobre, merita indubbiamente qualche riflessione.
La tutela della privacy
Uno dei primi aspetti riguarda la disciplina a tutela dei dati personali. I Titolari del trattamento tenuti alla verifica della certificazione verde sono infatti obbligati al rispetto delle prescrizioni in materia. Il Garante privacy ha risposto con la Nota 6 settembre 2021 ad alcuni quesiti sulla attuale disciplina normativa sul Green Pass e, sotto il profilo della protezione dei dati ha confermato come essa implichi un trattamento legittimo dei dati nella misura in cui sia circoscritta nel perimetro delineato dalla normativa vigente. Le modalità di verifica del QR-code del Green Pass sono state oggetto di disciplina procedurale nel DPCM 17 giugno 2021.
In realtà l'art. 13, c. 5, DPCM 17 giugno 2021 specifica che il controllo non costituisce trattamento dei dati sotto il profilo della protezione di essi, ma è indubbio che il datore di lavoro non potrà considerarsi compliant semplicemente facendo firmare un atto formale ad un soggetto incaricato dei controlli.
La procedura di verifica comprende la regolamentazione dei canali funzionali alla lettura della certificazione (in particolare mediante l'app “VerificaC19” sviluppata dal Ministero della salute, che consente di conoscere le generalità dell'intestatario, senza rendere visibili le informazioni che ne hanno determinato l'emissione) e il potere di verifica dell'identità del titolare della certificazione. Il Garante, sgombrando il campo da dubbi, ha chiarito che tra le garanzie previste dal DPCM 17 giugno 2021 è prevista l'esclusione della raccolta da parte dei soggetti verificatori, dei dati dell'intestatario della certificazione, in qualunque forma.
Oltre alla designazione formale dei soggetti delegati, deve essere definita la procedura da applicarsi in caso di esito negativo della verifica o in assenza del Green Pass, garantendo il diritto alla riservatezza del lavoratore. Nel rispetto del principio di minimizzazione le operazioni non dovranno comportare la rilevazione di dati eccedenti le finalità perseguite e, in particolare, di dati inerenti alla condizione sanitaria dell'interessato. Il trattamento sarà pertanto legittimo nella misura in cui si limiti ai soli dati effettivamente indispensabili alla verifica della presenza della certificazione e alle operazioni a tal fine strettamente necessarie (si pensi all'obbligo di trasmissione al Prefetto degli atti relativi alla violazione).
In altri termini, i soggetti tenuti alle verifiche potranno raccogliere solo i dati essenziali per l'applicazione delle misure previste in caso di mancato rispetto degli obblighi sul Green Pass (assenza ingiustificata, sospensione del rapporto di lavoro e del pagamento dello stipendio). In riferimento alle misure di sicurezza da adottare, i soggetti tenuti ai controlli potranno accedere, in modo selettivo, ai soli dati del personale in servizio presso l'unità operativa di propria competenza. Per evitare eventuali abusi, le operazioni di verifica del possesso delle certificazioni saranno oggetto di registrazione senza però conservare traccia dell'esito delle verifiche.
In ossequio al principio di trasparenza, il Titolare del trattamento dovrà rendere ai soggetti interessati adeguata informativa (art. 13 GDPR) relativa al trattamento dei dati effettuato tramite la verifica del Green Pass. L'informativa dovrà avere ampia diffusione ed eventualmente essere affissa nei luoghi dove viene effettuata la rilevazione per consentire agli interessati di poterla consultare. Il trattamento di verifica sarà annotato anche sul registro dei trattamenti previsto dall'art. 30 GDPR.
Mutuando le indicazioni fornite dal Garante con parere del 31 agosto 2021 per il settore scolastico, il processo di verifica dovrà essere effettuato quotidianamente prima dell'accesso dei lavoratori in sede e dovrà riguardare solo il personale per cui è prevista l'effettiva presenza in servizio nel giorno della verifica, escludendo comunque chi è assente per specifici motivi: ad esempio, per ferie, permessi o malattia.
Sotto l'aspetto squisitamente operativo, la verifica quotidiana sui lavoratori comporta un indubbio aggravio di lavoro e un dispendio di tempo all'interno delle aziende. Tuttavia, il necessario possesso della certificazione al momento dell'accesso nei luoghi di lavoro pare non lasciare spazio ad interpretazioni meno restrittive che consentano controlli una tantum ovvero con scarsa frequenza. La certificazione, difatti, ha una validità limitata a seconda della prestazione sanitaria a cui è collegata (48 ore per i tamponi, 6 mesi per i certificati di guarigione, 12 mesi per il completamento del ciclo vaccinale) e il datore di lavoro potrebbe trovarsi ad affrontare situazioni soggettive diverse (si pensi al caso del lavoratore in possesso di certificazione generata con la prima dose di vaccino e che scade con la generazione della certificazione per la seconda dose).
La formazione dei verificatori
Un ulteriore aspetto di rilievo attiene alla formazione dei soggetti verificatori.
L'incaricato (o gli incaricati) alla verifica dovranno necessariamente essere formati circa le operazioni che saranno chiamati a compiere. Occorrerà quindi verificare in concreto le modalità con le quali la verifica dovrà essere effettuata anche in relazione alle misure di sicurezza adottate sia negli ambienti dove le operazioni si svolgono (apposita formazione sul protocollo e sulle misure anti-contagio per evitare assembramenti del personale), sia sui dispositivi utilizzati e sui diritti-doveri delle parti in causa. Tutto ciò implica che la designazione dei soggetti verificatori dovrà essere corredata delle informazioni gestionali e da opportune istruzioni per svolgere l'attività di verifica.
Una delle prime criticità che emergono dalla lettura della norma riguarda l'obiettiva difficoltà di procedere con i controlli nei confronti di esercenti, elettricisti, lavoratori esterni in genere ossia nei confronti delle categorie diverse dai lavoratori dipendenti. Desta inoltre più di una perplessità l'obbligo previsto anche per i datori di lavoro domestico, considerate le peculiarità di tale forma di lavoro. Sul punto il Ministro per la Pubblica Amministrazione ha spiegato in conferenza stampa che la ratio della norma ne consente l'applicazione soltanto laddove è possibile applicare un controllo diretto e regolamentato, dunque in quegli ambiti di lavoro che presuppongono un “cancello di ingresso”.
Come affermato in precedenza, l'obbligo di possedere e di esibire la documentazione si applica anche a quei soggetti che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato nei luoghi di lavoro sulla base di contratti esterni. Ebbene, per tali soggetti, l'art. 1, c. 4 (settore pubblico) e l'art. 3, c. 4 (settore privato) del Decreto in esame prevedono un duplice controllo: il primo effettuato dai rispettivi datori di lavoro; il secondo effettuato all'accesso nei luoghi di lavoro “esterni”.
Green Pass e smart working
Per alcuni, lo smart working potrebbe diventare l'escamotage per aggirare l'obbligo vaccinale per i lavoratori.
Tuttavia non manca chi, con interpretazione restrittiva dei nuovi obblighi, considera luogo di lavoro anche il domicilio del lavoratore agile.
Ad ogni modo, se è vero che il Green pass potrebbe non essere richiesto laddove le esigenze di ufficio consentono al datore di lavoro di adibire il lavoratore in smart working, l'assenza del certificato non può essere considerata alla stregua di un automatico diritto al lavoro da remoto.
D'altro canto, se l'azienda richiedesse la presenza del lavoratore in sede, anche episodica, in assenza della certificazione scatterebbe la regola della sospensione prevista dal nuovo decreto. Sanzioni
Fermo restando che la sanzione principale prevede che il periodo senza certificazione è da considerare assenza ingiustificata, fino alla presentazione del Green Pass e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, per le aziende del settore privato, con meno di 15 dipendenti, il Decreto prevede la possibilità che il datore di lavoro sostituisca temporaneamente il lavoratore privo di certificazione.
La disciplina sanzionatoria contempla una serie di violazioni o di inadempimenti, sia dei datori di lavoro che dei lavoratori.
L'accesso di lavoratori ai luoghi di lavoro, in violazione dell'obbligo di possesso e esibizione del Green Pass, è punita con una sanzione amministrativa da € 600 a € 1.500.
I datori di lavoro sono invece puniti con una sanzione amministrativa da € 400 a € 1.000 (art. 4, c. 1, 3, 5 e 9 DL 19/2020 conv. in L. 35/2020) quando:
• omettono il controllo del Green pass; • non adottano le misure organizzative per la verifica del Green pass entro il 15 ottobre 2021; • consentono l'accesso ai luoghi di lavoro a lavoratori privi di Green pass.
Nel caso in cui i lavoratori riescano ad eludere i controlli all'ingresso, il dipendente sarà comunque soggetto a possibili accertamenti a campione che possono dar luogo all'applicazione di sanzioni pecuniarie. Ai lavoratori, sia dipendenti che autonomi, si applicano infatti i medesimi importi di cui sopra, qualora accedano ai luoghi di lavoro senza Green Pass ma con alcune particolarità.
Nelle imprese con meno di 15 dipendenti, dopo 5 giorni di sospensione, il datore di lavoro può (quindi è una facoltà e non un obbligo) assumere un sostituto per un massimo di 10 giorni (stesso limite per la durata massima della sospensione). La sospensione può essere rinnovata una sola volta e in ogni caso entro il 31 dicembre 2021.
Rileva invece sotto il profilo disciplinare l'eventuale accesso senza Green Pass, effettuato dal lavoratore eludendo i controlli e violando gli obblighi, sia per i dipendenti pubblici che per quelli del settore privato, secondo i rispettivi ordinamenti di settore.
Infine, rileviamo che la disciplina non prevede una disposizione ad hoc nel caso in cui un lavoratore produca un certificato falso. In tal caso possiamo ritenere applicabili i principi generalmente riconosciuti dal codice penale e in giurisprudenza che ascrivono al reato di truffa il comportamento del lavoratore che falsifica o altera un certificato. In detti casi, la gravità del comportamento del lavoratore incide anche sull'elemento fiduciario alla base del rapporto di lavoro e pertanto integra i presupposti per l'applicazione della sanzione più grave, ossia il licenziamento.
(Fonte: Mementopiù)
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